Dal punto di vista di Bersani, lo scenario politico deve risultare vagamente schizofrenico. Da una parte c’è l’ex segretario Walter Veltroni che chiede il congresso anticipato del Pd e discetta di “fallimento della linea tutti contro Berlusconi”, in un tripudio di liti su politica delle alleanze e primarie sì/primarie no. Dall’altra parte c’è lo stato maggiore del Pdl che va a caccia di parlamentari all’asta per puntellare la maggioranza, mentre alcune teste d’uovo progettano “nuovi predellini”.
Questa abbagliante sagra del politichese natalizio ostacola la visuale su un dato strutturale della politica. I due maggiori partiti, Pdl e Pd, hanno fatto finalmente il vero “inciucio”, hanno trovato il grande accordo: insieme si stanno allontanando da interi pezzi della società italiana, ai quali risultano (ciascuno a suo modo) incomprensibili.
Se infatti Silvio Berlusconi è il leader più amato dalle casalinghe (il 40% delle quali scelgono Pdl), i pensionati sono attratti in egual misura da Pd e Pdl, che li attraggono per il 32 e rotti per cento ciascuno. Se in Italia votassero solo i pensionati, Pdl e Pd metterebbero insieme il 65% dei voti, anziché il 53,6% generale rilevato dallo stesso sondaggio.
Ciò significa che il consenso dei due partiti maggiori crolla in altre categorie. Innanzitutto il massiccio appoggio raccolto dai due partiti maggiori tra anziani e pensionati significa che Pdl e Pd vanno male tra chi lavora. Il partito di Bersani, se votasse solo chi ha un lavoro, prenderebbe il 22%. Il Pdl non andrebbe oltre il 26%. La Lega salirebbe al 14% (contro un dato generale dell’11,5%).
In particolare, il Pdl non riesce a catturare l’attenzione degli impiegati e degli insegnanti (24%) e degli studenti (20%). Il Pd è in crisi verticale tra i lavoratori autonomi, l’unico gruppo sociale in cui Pdl e Lega Nord raccolgono la maggioranza assoluta dei consensi: il partito di Bersani qui non va oltre il 14%. Ma soffre anche tra gli operai, i disoccupati e le casalinghe, tre categorie nelle quali il consenso del Pd è sotto il 20%. Gli operai ormai sembrano persi. Votano a sinistra (Pd, Idv, Pdci, Prc, Vendola) per il 35%, a destra (Pdl+Lega) per il 46%. I dati consegnati a Bersani confermano che il Pd è un partito che piace al pubblico impiego, cioè ai cosiddetti garantiti. E poco a chi se la passa male e tra essi, come abbiamo visto, ai disoccupati.
Quest’ultimo dato va letto insieme a quello sui livelli culturali. Infatti il Pd è anche il partito dei laureati. Se in Italia votassero solo i cittadini dotati di laurea, paradossalmente verrebbero esclusi dal voto alcuni influenti boss del Pd (a cominciare da Veltroni e D’Alema che risultano sprovvisti), ma Bersani, con la sua laurea in Filosofia, stravincerebbe le elezioni con il 28% dei voti e un’eventuale alleanza Pd-Di Pietro-Vendola-Prc-Pdci andrebbe trionfalmente al governo con quasi il 52% dei voti (35% tra gli operai, ricordiamo).
Lo scenario rimane teorico, visto che in Italia vige per ora il suffragio universale. Ma illumina un tema drammatico per entrambi i maggiori partiti. Per il Pdl, l’incapacità di risultare convincente per chiunque abbia qualche buona lettura alle spalle (tra i laureati, il partito di Berlusconi e la Lega non vanno oltre il 27%, contro un consenso generale che supera il 40%).
Per il Pd c’è un aspetto ancora più grave: i laureati sono pochi, come relativamente pochi sono gli studenti. Il dato forse più allarmante per Bersani è proprio questo. Il consenso del 26% tra gli studenti e del 22% tra gli under 25 indica una forbice pericolosa. Basta confrontare il dato con quello raccolto dai tre partiti di sinistra-sinistra, che tra gli under 25 vedono aumentare il loro voto del 50%, dall’8 al 12%.
Dunque, il Pd non sa parlare ai giovani che non possono studiare, agli operai, ai disoccupati, alle partite Iva, ai precari, alle casalinghe. Insomma, non sa più parlare a quella che una volta si chiamava la povera gente, quella che affidava alla sinistra un sogno di riscatto.
da Il Fatto Quotidiano del 7 gennaio 2011