È l’estate 2010 e le indagini sul caso della ragazza marocchina Karima el Mahroug detta Rubystanno decollando. Il procuratore aggiunto che ha preso in mano le carte sulla minorenne, Pietro Forno, va a interrogarla a Genova, nella comunità protetta in cui vive, pur non rinunciando a molte serate “libere”. Ruby è una ragazza irrequieta, al tempo stesso spavalda e fragile. Dopo i suoi contatti ravvicinati con il presidente del Consiglio, è seguita a distanza da alcune persone. Da Nicole Minetti, la soubrette di Colorado Cafè diventata così intima di Silvio da essere stata imposta nelle liste elettorali, con elezione assicurata, nel listino del presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Dall’impresario Lele Mora, che assieme al direttore del Tg4 Emilio Fede l’ha catapultata nel “giro” del presidente, facendola arrivare fino ad Arcore. Dall’avvocato Luca Giuliante, fedelissimo del presidente della Provincia di Milano Guido Podestà, tesoriere lombardo del Pdl e legale di Lele Mora nelle questioni tributarie.
Nicole Minetti ha già dovuto farsi carico di Ruby, correndo in questura la fatidica notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, a chiedere che le fosse affidata la minorenne, indicata ai funzionari, da una telefonata molto autorevole, come “la nipote del presidente egiziano Mubarak”. Bene, Minetti qualche mese dopo è al telefono proprio con Silvio Berlusconi e, fedele al suo mandato, lo informa di un nuovo pericolo: Ruby è stata interrogata a Genova da un magistrato arrivato da Milano (è l’aggiunto Pietro Forno). Il presidente del Consiglio le risponde e le dice che non è allarmato, che non c’è da preoccuparsi. “Non importa, tanto non potranno mai dimostrare che io sapevo che è minorenne”. Così dice il presidente. Peccato che la sua voce rimanga registrata nei file degli investigatori della Procura di Milano. Certo: il presidente del Consiglio non può essere intercettato. Ma a essere controllati erano i telefoni di Nicole Minetti. E parlando con lei, Berlusconi offre incautamente agli investigatori la prova che, invece, sapeva: sapeva che Ruby Rubacuori, più volte ospite ad Arcore nelle nottate del Bunga bunga, non aveva ancora compiuto i 18 anni.
Le certezze di Boccassini e Forno
Eccole, dunque, le “prove evidenti” che i pm Ilda Boccassini, Pietro Forno, Antonio Sangermano e il procuratore della Repubblica Edmondo Bruti Liberati ritengono di aver già raccolto, tanto da chiedere il giudizio immediato per Berlusconi, saltando l’udienza preliminare. Nella telefonata ha ammesso di sapere che era minorenne. Le presenze di Ruby ad Arcore in almeno sei occasioni (il 14 febbraio, San Valentino; il 24, 25 e 26 aprile, festa della Liberazione; il 1 maggio, festa del Lavoro; il 4 e il 5 aprile, Pasqua e Pasquetta) sono provate inconfutabilmente dalla presenza del cellulare della ragazza nella “cella” di Arcore.
Per far scattare l’accusa di prostituzione minorile, nell’unico caso in cui il codice punisce (con una pena da 6 mesi a 3 anni) il cliente di una prostituta, e cioè quando questa ha un’età compresa tra i 14 e i 18 anni, resta da provare che Ruby ad Arcore non abbia parlato di filosofia, ma abbia avuto rapporti sessuali con il padrone di casa. Per questo ci sono i racconti delle molte ragazze presenti, che hanno parlato del Bunga bunga nelle intercettazioni e negli interrogatori. Ci sono anche le immagini riprese con i telefonini dalle protagoniste? La procura smentisce e il procuratore Bruti Liberati allarga le braccia e sospira: “Permettetemi che queste prove me le tenga per me”.
Ci sono, comunque, anche i pagamenti: buste con centinaia, migliaia di euro, approntate daSalvatore Spinelli, l’uomo-portafoglio di Silvio Berlusconi. Troppi per premiare innocenti serate organizzate per assicurare il riposo del guerriero. E a cui si aggiungono anche gli affitti pagati nella casa residence di via Olgettina, a un passo dall’ospedale San Raffaele: una vera tana delle ragazze a disposizione del presidente. Ruby continua a smentire: “Non ho mai fatto sesso con il premier”, ha dichiarato ieri a Sky Tg24. “Silvio mi ha dato soldi perché aveva saputo della mia situazione difficile”. Ma nelle perquisizioni dei giorni scorsi alle ragazze sono stati trovati migliaia di euro, tutti in banconote da 500, e anche una busta con su scritto “Silvio”.
Nel decreto di perquisizione degli uffici di Spinelli, la Procura di Milano spiega che Minetti, Fede e Mora, “in concorso con ulteriori soggetti”, hanno “continuativamente svolto un’attività di induzione e favoreggiamento della prostituzione di soggetti maggiorenni e della minore El Mahroug Karima, individuando, selezionando, accompagnando un rilevante numero di giovani donne, che si sono prostituite con Silvio Berlusconi, presso le sue residenze, dietro pagamento di corrispettivo in denaro da parte di quest’ultimo, nonché gestendo e intermediando il sistema di retribuzione delle suddette ragazze a fronte dell’attività di prostituzione svolta”. La prosa è cruda, ma chiara.
Il plico nei Palazzi della politica romana
Tutto il resto, tutto il malloppone delle “prove evidenti” che condurranno Silvio Berlusconi diritto al giudizio immediato per prostituzione minorile e per concussione (per le pressioni esercitate nelle notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 sui funzionari della Questura di Milano, affinché rilasciassero Ruby), sta nell’invito a comparire spedito al presidente del Consiglio e nelle 300 pagine mandate alla Camera per rinnovare la richiesta di perquisizione degli uffici di Spinelli, considerati “pertinenza della segreteria politica dell’onorevole Silvio Berlusconi”.
Sarà la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera a decidere. Intanto il plico è arrivato a Montecitorio ed è stato chiuso in cassaforte. Lo ha comunicato il presidente della Giunta,Pierluigi Castagnetti: “È arrivato alla Camera, ma non è stato aperto. Io mi trovo in Sicilia e ho anticipato il mio rientro a Roma da martedì a lunedì proprio per questo”. Anticipata di due giorni la riunione dell’organismo, che era prevista, su tutt’altro argomento, per mercoledì. “Visto che i pm hanno chiesto il giudizio immediato”, commenta Castagnetti, “si può immaginare che i magistrati ritengano di disporre già di prove sufficienti. Dunque la nostra decisione potrebbe non rivelarsi decisiva ai fini processuali”. Ma intanto il materiale che, secondo la Procura di Milano, incastra Berlusconi è approdato nei Palazzi della politica romana.
Dal Fatto Quotidiano del 16 gennaio 2010