A questo, allora, serviva la missione in Marocco di quei due italiani. Serviva a truccare le carte, a cambiare i connotati della storia che da cinque mesi tiene in ostaggio Berlusconi e l’intero governo del nostro Paese. A prima vista poteva sembrare una truffa ben congegnata e neppure troppo costosa. Fkih, 90 mila abitanti, è una cittadina povera nel mezzo di una regione depressa, spopolata da un’emigrazione massiccia verso l’Italia, la Francia, la Spagna. Non c’è famiglia qui, che non abbia qualche parente in Europa. In Sicilia è sbarcato più di vent’anni fa anche il padre di Ruby, Mohammed El Marough, che vive a Letojanni, in provincia di Messina. E allora, devono aver ragionato i due misteriosi italiani, una mancia sostanziosa, qualche migliaio di euro, avrebbe messo in moto la burocrazia del posto. Si sbagliavano. Fatima non si è fatta corrompere. Si è rifiutata di metter mano ai documenti che riguardano quella sua concittadina colpita da improvvisa notorietà dall’altra parte del Mediterraneo. Fatima, a dire il vero, non sapeva neppure chi fosse questa Karima. Gliel’hanno spiegato qualche giorno dopo i suoi parenti che abitano in Italia. Le hanno raccontato di un presidente del Consiglio che riempie la casa di ragazze con cui trascorre allegre nottate. Le hanno detto del bunga bunga. E chissà che cosa aver pensato lei, donna musulmana, ad ascoltare le avventure erotiche di Silvio il sultano di Arcore. Di questo con noi ha preferito non parlare. Pudore, forse. Ma la storia dei due viaggiatori italiani in trasferta a Fkih, quella no, quella non poteva proprio tenersela per sè. A metà febbraio, tramite un parente, Fatima ha contattato il Fatto Quotidiano. Due settimane di verifiche. Poi il viaggio sul posto, in Marocco, per raccogliere la sua testimonianza e nuovi elementi utili a chiarire la vicenda. Ecco, allora, il racconto di Fatima agli inviati del Fatto Quotidiano. “La mattina del 7 febbraio mi hanno chiamata fuori dal mio ufficio”, dice. “Erano in tre. Due parlavano italiano”. Ne è sicura. Conosce il suono di quella lingua grazie ai suoi famigliari emigrati. Poi c’era un interprete, un marocchino, un tipo distinto. “Mi è sembrato di capire – ricorda Fatima – che anche lui venisse dall’Italia, forse da Milano”.
Operazione ritocco
Prima le hanno spiegato che volevano dare un’occhiata ai documenti d’anagrafe di questa tale Karima. Poi hanno fatto capire che la data di nascita annotata sul pubblico registro non è quella giusta. E allora potrebbe essere necessario correggere l’errore con un nuovo atto in cui inserire l’anno giusto, il 1990, al posto del 1992. Per capire fino in fondo questa strana storia bisogna sapere che nei centri minori del Marocco l’anagrafe non è informatizzata. I nuovi nati vengono registrati in libroni scritti a mano e compilati in ordine cronologico. Un sistema arcaico, certo. Paradossalmente, però, truccare i numeri in un computer può rivelarsi più semplice che falsificare uno di questi registri. Per fare un lavoro perfetto bisognerebbe riscrivere tutto il volume, omettendo la pagina che si vuole cambiare. Poi si fa lo stesso lavoro sul registro di due anni prima, ma qui invece di cancellare si aggiunge un foglio, quello della persona di cui si vuole spostare la data di nascita. Volendo c’è una scorciatoia. Con l’aiuto di un funzionario compiacente si può compilare un estratto di nascita falso e questo inizialmente sarà sufficiente a ingannare il pubblico. I libroni possono essere sistemati in seguito, con calma. Così, se qualcuno, magari dopo qualche mese, si spingerà fino in Marocco per confrontare la data dell’estratto con quella del registro, tutto coinciderà.
Ovviamente quei tizi venuti dall’Italia erano disposti a pagare per il disturbo. “Mi hanno offerto una somma importante”, rivela Fatima senza specificare la cifra. Certo, confessa, quei soldi le avrebbero fatto comodo. Ci ha pensato un po’, ingolosita. Che fare? Alla fine ha preferito lasciar perdere perché, ci spiega, non voleva “passare dei guai”. E poi ha pensato anche a Karima. “Se avessi accettato l’offerta – racconta – avrei potuto creare dei problemi anche a questa mia concittadina”. Problemi per Ruby? Non proprio. Di certo se quella data di nascita fosse stata davvero anticipata di due anni, buona parte dei guai di Berlusconi si sarebbero risolti d’incanto. Caduta l’accusa di prostituzione minorile, il premier avrebbe dovuto rispondere della sola concussione. Niente da fare.
L’incastro delle date
“Non posso accettare”, ha risposto Fatima ai suoi interlocutori, quasi scusandosi. Era il 7 febbraio, un lunedì. In Italia, a quell’epoca nessuno aveva sollevato pubblicamente la questione dell’età di Ruby. Giravano molti pettegolezzi, questo sì, a proposito di una ragazza dal fisico appariscente, che sembrava più vecchia della sua età. Solo voci, però. Fino a quando, giovedì 3 marzo, il Giornale annuncia: “Il premier cala l’asso: Ruby era maggiorenne”. È questo il titolo a tutta pagina di un articolo in cui si racconta che Berlusconi, in alcuni colloqui privati, avrebbe confidato di “avere la prova che Ruby è stata registrata all’anagrafe due anni dopo la sua nascita”. Nello stesso articolo si parla di indagini difensive che sarebbero sbarcate “dall’altra parte del Mediterraneo”. Indagini qui, a Fkih Ben Salah, la città natale di Ruby? Fatima non ne sa nulla. Si ricorda bene però di quei due italiani. Due italiani che volevano corromperla.