Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 28 marzo 2011
Maroni "a casa i tunisini, ma non i libici" Una solidarietà a prova di petrolio.
Il Ministro dell'Interno parla di "rimpatri forzosi" per i migranti che provengono dalla Tunisia.
“Con la Tunisia non siamo sotto ricatto come con la Libia per il petrolio. Sono loro a dipendere da noi, soprattutto nel settore turistico quindi, se non cesseranno gli sbarchi, si provvederà arimpatri forzosi". E’ categorico il ministro dell'Interno Roberto Maroni in un'intervista al Corriere della Sera , spiegando che “se i somali e gli eritrei non possono essere rimpatriati perché scappano dalla guerra, questo non può valere per i tunisini.”
Porte aperte, quindi, ai libici e non ai tunisini, come dichiara il titolare del Viminale invitando le regioni ad accogliere le possibili ondate di profughi. Solidarietà e accoglienza dunque, ma guardando prima il passaporto. “La Tunisia aveva promesso un impegno immediato per fermare flussi migratori, ma le barche continuano ad arrivare - contina il titolare del Viminale - In questa situazione i rimpatri forzosi sembrano essere l'unica strada possibile”.
Il Ministro leghista, inoltre, reputa l'impegno dell'Italia nella guerra libica un errore. “L'unica soluzione è quella diplomatica proposta da Franco Frattini in accordo con la Germania, se si vuole uscire da un pantano che può rivelarsi molto pericoloso.”
In ballo quindi c'è soprattutto il petrolio. I libici lo hanno e sono bene accetti. I tunisini invece è meglio si affidino ad Allah. Ma la situazione attuale interessa anche il settore turistico. Almeno secondo il Ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla in un'intervista a Il Giornale: “prima vengono le esigenze del turismo italiano e dei nostri operatori - tuona orgogliosa - I continui sbarchi clandestini di tunisini verso l'Italia stanno danneggiando il nostro turismo e, in particolare, quello dell'isola di Lampedusa dove la stagione vale almeno 50 milioni di euro”. Pensiero condiviso da tutto l’esecutivo.
La Brambilla aggiunge che secondo i suoi calcoli "quest'anno si avranno 800 mila turisti giapponesi in meno". Dimenticando forse che inGiappone al momento hanno ben altro a cui pensare. Ma il ministro al Turismo propone anche un piano straordinario di sostegno per l'isola per recuperare la perdita subita in seguito alle cancellazioni delle prenotazioni di questi ultimi giorni. Il piano prevede, inoltre, di allungare la stagione fino all'autunno. In pratica il ministero cercherà d’intervenire anche sulle condizioni metereologiche.
Di Piera Farinella e Grazia La Paglia
http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=81
Lampedusa scoppia: è rischio epidemie Lombardo vuole " tendopoli in Padania"
Oggi gli ispettori sanitari della Regione arriveranno sull'isola, dove le condizioni sanitarie si fanno sempre più critiche. Stasera sbarcherà anche l'assessore alla Sanità Massimo Russo. Lombardo, già da ieri a Lampedusa, polemizza a distanza col Ministro dell'Interno Maroni.
Sono oltre 6.500 i tunisini sbarcati negli ultimi giorni a Lampedusa. A breve dovrebbe attraccare anche un barcone con oltre 300 libici. L'imbarcazione ha lanciato un SOS nelle scorse ore e al momento dovrebbe trovarsi ancora nelle acque libiche. Proprio oggi arriveranno anche gli ispettori sanitari della Regione per verificare lo condizioni dei centri d'accoglienza e dei punti più critici dell'isola. Nonostante la disponibilità dei cittadini lampedusani infatti, le condizioni igieniche iniziano ad essere delicate. Negli sterminati accampamenti inizia ad essere alto l'allarme epidemia.
Stasera sbarcherà sull'isola anche l'assessore regionale alla SanitàMassimo Russo, che stamattina ha fatto visita, facendosi precedere addirittura da un comunicato stampa, alla giovane mamma Feketre Alemu e al suo bimbo Yeabsera, ricoverati presso la struttura ospedaliera di Villa Sofia. "Mi auguro che il governo nazionale comprenda appieno la gravità della situazione e sostenga in maniera concreta e fattiva questo enorme sforzo" ha dichiarato l'assessore alla Sanità. Gli dà man forte il Governatore Raffaele Lombardo che è a Lampedusa già da ieri sera: “Il grido di dolore di Lampedusa è il grido di dolore di tutta la Sicilia, che pretende rispetto ed efficienza per sé, il proprio territorio e per la propria gente, oltre che per i migranti poveri disperati che devono essere assistiti in modo civile”.
Lombardo, come già nei giorni scorsi, ha anche chiamato in causa l'esecutivo nazionale, reo di essere stato assente dalla situazione lampedusana. Ma il Ministro dell'Interno Roberto Maroni, che sulla gestione dei migranti ha delineato una sua precisa strategia (leggi l'articolo), la pensa in modo diverso arrivando a definire l'operato di Lombardo come "una ridicola sceneggiata". Lombardo ha immediatamente risposto all'attacco del titolare del Viminale, con una bordata senza pari. "Voglio vedere tendopoli di immigrati anche in Val Padana" ha esclamato il Governatore siciliano. L'idea che i migranti possano essere sistemati in strutture diverse dalle tendopoli non sembra quindi sfiorare nessun esponente politico.
http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=82
Berlusconi oggi in aula, tribunale blindato: "Non mi sono mai occupato di diritti tv".
Mafia e Lombardia, le radici del tabù.
La lite Vendola-Formigoni è solo il caso più recente ma non sarà l'ultimo: parlare di criminalità organizzata al Nord è sempre stato considerato proibito. Eppure già negli anni 70 le cosche avevano trasferito parte dei loro interessi nella capitale morale d'Italia.
Lombardia, mafiosa e omertosa. Tre parole che ribaltano decenni di senso comune e mostrano un’Italia capovolta. Soprattutto se a dirle è il presidente di una regione del Sud, Nichi Vendola, al presidente di una regione del Nord, Roberto Formigoni. La reazione di quest’ultimo è stata scomposta: Vendola è «sotto effetto di sostanze», e poi «come mai non è in galera» per lo scandalo della sanità pugliese? (vedi http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/03/25/vendola-formigoni-il-primo-lombardia-regione-ultramafiosa-laltro-e-un-miserabile/99994/).
Passata la buriana, però, sia Moratti che Formigoni hanno optato per un mezzo passo indietro ed entrambi hanno rilasciato qualche timida ammissione a mezzo stampa (lettera e intervista sulCorriere della Sera di oggi). Il messaggio grosso modo è lo stesso, per dirla con le parole di Formigoni: “Basta liti, combattiamo insieme la mafia”. Che quindi c’è anche a Milano, se ne ricava. Più timida Moratti, che dopo la polemica con Vendola decide di rispondere alla lettera del procuratore Pignatone, pubblicata sempre dal Corriere un paio di giorni prima. Il procuratore di Reggio Calabria, magistrato di punta nella lotta alla ‘ndrangheta, aveva scritto una lettera alCorrierone per scuotere il Nord dal suo preoccupante torpore: «La repressione non basta. È necessaria la reazione della società civile, con tutte le sue articolazioni, ognuna delle quali può svolgere un ruolo prezioso, innanzi tutto agendo secondo le regole e contrastando il silenzio e l’omertà».
Ecco allora che sotto il titolo “Guardia alta contro la ‘ndrangheta” sfila la lista degli interventi adottati dal Comune, ma soprattutto un invito al governatore della Puglia: “Deve e può essere (quella contro la criminalità, ndr.) una battaglia senza barriere ideologiche e ostracismi politici, perché sono sicura che tutti [...] vogliamo mantenere Milano fedele alla più autentica tradizione di e vocazione di lavoro e solidarietà, capacità di iniziativa e onestà [...]. Per questo chiedo a chi lancia accuse pretestuose e infamanti contro la Lombardia solo per ragioni elettorali di fare un passo indietro”.
Certo che Vendola è in campagna elettorale per il suo candidato Giuliano Pisapia, che sfiderà la Moratti alle amministrative di maggio, ma due comparsate sui mezzi di informazione non bastano ad annullare il punto centrale della sua invettiva: in Lombardia la parola mafia è sempre stata un tabù, soprattutto per i governanti. Come a Corleone, ma Corleone degli anni Cinquanta, non quella di adesso che di mafia discute pubblicamente.
E’ un vero e proprio negazionismo che ha radici lontane. La mafia era una «favola» per il sindaco socialista Paolo Pillitteri, che poi si vedrà scoppiare tra le mani lo scandalo Duomo Connection e gli intrecci pericolosi tra Cosa nostra e Palazzo Marino.
Vent’anni dopo Letizia Moratti negherà l’esistenza di una «criminalità mafiosa» a Milano, vedendo al massimo una generica (tanto per cambiare) «criminalità organizzata». Era il 23 gennaio 2010, sette mesi dopo l’operazione Crimine-Infinto porta in carcere 160 presunti affiliati alla ‘ndrangheta milanese e lombarda. Quei criminali «organizzati» di cui parla la Moratti, guarda un po’, risultano strettamente legati alle cosche calabresi e spesso portano i cognomi di famiglie di rispetto.
E che dire dello strano caso del prefetto Gian Valerio Lombardi, che durante la visita della Commissione parlamentare antimafia fa filtrare il messaggio che a Milano «la mafia non esiste», ma nello stesso istante consegna ai commissari un’allarmante relazione riservata in cui sottolinea la penetrazione dei clan nell’economia legale «grazie a consolidati rapporti con il mondo bancario, finanziario e istituzionale»? E’ lo stesso prefetto che affossa l’istituzione di unaCommissione antimafia al Comune di Milano, con l’entusiastica adesione del centrodestra tutto – Pdl, Lega, Udc, Lista Moratti – che pure ne aveva votato l’istituzione all’unanimità. Tabù.
La mafia a Milano e in Lombardia c’è, e c’è da almeno sessant’anni, dato che i primi boss di Cosa nostra e ‘ndrangheta salirono al Nord all’epoca in cui nascevano la Rai Tv e il festival di Sanremo.Luciano Liggio è stato arrestato nel 1974 in via Ripamonti, dove viveva con la compagna e il figlio. Michele Sindona e Roberto Calvi erano perfettamente inseriti nel «salotto buono» dell’economia e della finanza, prima di finire male, mentre al funerale di Giorgio Ambrosoli non si presentarono né autorità né «vip». I colletti bianchi del narcotraffico legati allo «stalliere» di Arcore Vittorio Mangano avevano uffici di copertura in via Larga, a due passi dal Duomo.
Nei primi anni Novanta la Direzione distrettuale antimafia di Milano portò in carcere circa duemila boss e soldati della ’ndrangheta, di Cosa nostra, della camorra, della Sacra corona unita, tutti stabilmente insediati al Nord.
Formigoni e la Moratti forse non hanno studiato la storia. Ma, come accusa Vendola, sono stati muti anche di fronte alla cronaca. Protagonisti di una politica dove si dichiara e si polemizza su tutto, fino allo sfinimento, si sono tenuti lontani il più possibile dalla parola tabù.
Ecco un elenco – inevitabilmente parziale e sparso – delle occasioni in cui avrebbero dovuto dire qualcosa di più o di diverso.
Alla vigilia del Natale 2010, Pietrogino Pezzano è stato nominato direttore generale della Asl numero uno della provincia di Milano, pochi mesi dopo che erano emerse le sue strette frequentazioni con i presunti boss della ‘ndrangheta di Desio. Nomina avvallata e difesa dallo stesso Formigoni.
Proprio a Desio, il 26 novembre 2010, si registra il primo caso lombardo di una giunta comunale caduta per mafia. Dopo mesi di agonia, la maggioranza Pdl-Lega non ha retto ai contraccolpi dell’inchiesta Crimine-Infinito e delle pesanti collusioni politico-amministrative che ha fatto emergere.
Il 13 luglio 2010, l’inchiesta Crimine-Infinito svela diversi contatti tra ‘ndrangheta e politica. Il direttore della Asl di Pavia, Carlo Chiriaco, finisce in carcere per associazione mafiosa. Dall’inchiesta emerge tra l’altro che si dà da fare per fabbricare prove false in favore di Rosanna Gariboldi, moglie del parlamentare del Pdl Giancarlo Abelli, vicinissimo a Formigoni.
L’assessore regionale all’ambiente Massimo Ponzoni, altro fedelissimo di Formigoni, pur non indagato è definito dagli inquirenti «parte del capitale sociale» dell’organizzazione mafiosa.
Giulio Giuseppe Lampada, imprenditore legato al clan Valle sotto accusa per associazione mafiosa e usura, era ospite alla festa elettorale di Letizia Moratti per la vittoria del 2006, grazie ai buoni uffici di un paio di consiglieri comunali del Pdl.
La recente operazione Caposaldo svela un capillare sistema di estorsioni gestito, secondo l’accusa, dallo storico clan ‘ndranghetistico dei Flachi. A Milano pagano il pizzo famosi locali notturni, parcheggiatori abusivi, venditori ambulanti di panini. In perfetta sinergia con lo spaccio di coca. Paolo Martino, boss reggino di prima grandezza, parla di appalti in tono assai confidenziale con Luca Giuliante, tesoriere del Pdl e primo avvocato di Ruby nello scandalo dei festini di Arcore.
Intorno all’aeroporto di Malpensa, a Lonate Pozzolo e in altri centri del varesotto, decine di imprenditori lombardi hanno subito per anni estorsioni, violenze e minacce da parte del clan di origine crotonese dei Filippelli, secondo un’indagine condotta dalla direzione distrettuale antimafia di Milano. Nessuno di loro ha mai trovato il coraggio di denunciare. Il relativo processo sta per concludersi a Busto Arsizio.
L’11 giugno 2010 diversi esponenti del clan Barbaro-Papalia sono stati condannati in primo grado per associazione mafiosa, con l’accusa di aver conquistato, con il timore che il loro nome incuteva, il monopolio di un’attività economica lecita: il movimento terra nei cantieri edili dell’hinterland sudovest di Milano. Gran parte dei testimoni convocati in aula hanno fatto scena muta o sono stati reticenti.
Indagini successive hanno evocato l’esistenza di un sistema centralizzato grazie al quale la ’ndrangheta si spartisce le commesse in varie parti della Lombardia, capoluogo compreso. E scarica abusivamente rifiuti tossici e pericolosi.
Da almeno vent’anni si susseguono operazioni antimafia all’Ortomercato di Milano, struttura di proprietà comunale attraverso la Sogemi. L’ultima, del 2007, ha smascherato un traffico internazionale di cocaina gestito dal clan Morabito di Africo, con tanto di night club aperto in un locale della Sogemi.
Negli ultimi anni in Lombardia ci sono stati una quindicina di omicidi di mafia e si registrano centinaia di casi di minacce e intimidazioni, soprattutto ai danni di imprenditori e commercianti, che raramente vengono denunciati. La sola indagine Crimine-Infinito riporta 130 incendi dolosi e 70 episodi di intimidazione in quattro anni.
Nei giorni scorsi in un campo Bernate Ticino, tra Milano e Novara, è stato scoperto un «cimitero della ‘ndrangheta», con due corpi di presunte vittime di lupara bianca, sotterrati insieme a resti di maiali macellati clandestinamente.
La Lombardia è la quarta regione italiana per beni immobili confiscati alle mafie: 762, di cui 173 a Milano città. Le aziende tolte ai clan sono 195.
Non è seguito dibattito.