Da una parte Umberto Bossi e i suoi “fuori dalle palle”, dall’altra il suo compagno di partito Roberto Maroni, che, in aperta contraddizione con la politica della Lega in materia di immigrazione, chiude entrambi gli occhi di fronte alle continue fughe dai centri d’accoglienza.
Il simbolo di quello che accade è la tendopoli di Manduria. Qui, nel giro di due giorni, sono arrivate circa 3000 persone. Sono fuggite in 2500. Con il beneplacito dello Stato. Giovedì gli abitanti del paese pugliese si erano organizzati in ronde per riportare, con le buone o con le cattive, nel centro chi era uscito. In pulmino i cittadini caricavano i migranti e li trasportavano nelle tende. Venerdì, una volta capito che il centinaio di agenti posti di guardia al campo avevano l’ordine di non intervenire, ecco che le ronde si sono messe a trasferire gli immigrati nella vicina stazione ferroviaria.
Così adesso c’è Berlusconi che annuncia il via libera delle regioni sull’istallazione di altre tendopoli per essere smentito subito dopo dal presidente della Conferenza delle regioni Vasco Errani. Edal centro di Manduria, teatro di una spettacolare fuga di massa, al Villaggio della solidarietàdi Mineo, in provincia di Catania, è un continuo fuggi fuggi. Profughi, clandestini, immigrati economici, non fa differenza. Tutti verso nord. Spesso con il placet delle forze dell’ordine che dicono “non ci è stato detto di intervenire”.
Eppure una soluzione ci sarebbe. A proporla è il pool di legali dell’associazione Avvocati per niente. “Mentre il governo spacca il capello in quattro per cercare di capire che trattamento riservare ai profughi piuttosto che ai clandestini – dice Alberto Guariso, membro dell’associazione – fa finta di non sapere che la risoluzione del problema è a portata di mano”. Secondo Guariso, il governo dovrebbe fare un decreto d’urgenza sulla linea di quello che fece nel1991 durante la crisi albanese. “L’esecutivo può e deve emanare una legge di protezione temporanea”, dice l’avvocato che sottolinea come la normativa non solo sia contemplata dalle disposizioni europee (articolo 78 del Trattato di Lisbona), ma soprattutto sia esplicitamente prevista anche dal Testo unico sull’immigrazione. “L’articolo 20 recita che in presenza di guerre, catastrofi o altri eventi di particolare gravità – sottolinea Guarino – ai migranti è consentito temporaneamente di stare in Italia e di girare nell’area Schengen”.
Il governo però un decreto del genere non lo vuole approvare. Non può farlo la Lega che ha timore di perdere la faccia nei confronti del suo elettorato. Non può farlo Berlusconi che teme di perdere l’appoggio del Carroccio. Quindi la soluzione è all’italiana: da una parte si dice “rispediamoli a casa”, dall’altra si ordina alle forze di Polizia di chiudere tutti e due gli occhi davanti ai migranti che evadono dai centri, occupano i treni verso nord e cercano in una maniera o nell’altra di raggiungere la Francia, il Belgio e la Germania.
Sono i numeri a parlare. I 3500 tunisini sbarcati a Lampedusa e trasferiti nelle strutture di accoglienza in continente sono fuggiti dai centri e ora si stanno accalcando alla frontiera di Ventimiglia, nel tentativo di raggiungere le città francesi. Ultima tappa di un viaggio iniziato su un barcone nei porti tunisini si Sfax o Zarzis.
Ma com’è possibile che le forze dell’ordine e soprattutto il Viminale tollerino questa continua emorragia di immigrati? Soprattutto alla luce del fatto che il ministro dell’Interno è la stessa persona che nel 2008 sottoscrisse gli accordi con la Libia per i respingimenti in alto mare. Quel trattato, che mandò su tutte le furie Europa e Nazioni unite, prevedeva che tutti i barconi che incrociavano nel Canale di Sicilia fossero respinti. Poco importava se sui natanti ci fossero immigrati economici o gente che scappava da guerre e carestie e quindi bisognosa (e soprattutto avente diritto) di protezione internazionale. Oggi le indicazioni del Viminale sono di segno opposto. “Maglie larghe”, come hanno riferito fonti qualificate del ministero a Repubblica.
“Dai nostri superiori abbiamo avuto indicazioni di fare finta di niente”, dice al fattoquotidiano.it un agente della Polfer in servizio sul treno interregionale che da Milano va a Ventimiglia. Sul convoglio, uno dei tanti, ci sono almeno una trentina di giovani tunisini che sperano di raggiungere la Francia attraversando, in un modo o nell’altro, il confine fra Ventimiglia e Menton. Forse non sanno ancora che non appena attraversata la frontiera, la polizia francese li arresterà per poi lasciarli nuovamente liberi, ma in Italia.
La situazione nella città ligure è paradossale e, assieme a Manduria, è un’altra istantanea su come è stata affrontata questa emergenza. Centinaia di giovani tunisini fanno la spola fra la stazione ferroviaria e il confine di Stato. “Non possiamo fare niente se non monitorare la situazione dal punto di vista dell’ordine pubblico. Speriamo semplicemente che nessuno si faccia male tentando di arginare i controlli francesi”, dicono gli agenti di polizia che controllano la città. E hanno ragione perché per arrivare in Francia, gli immigrati sono disposti a tutto. Anche a rischiare la vita camminando sui binari del treno, sui sentieri di montagna o in autostrada. Ma per molti Parigi è solo un miraggio. Appena passato il confine, la Gendarmerie li aspetta implacabile. Li blocca e li riporta in Italia. E dopo l’ennesima notte passata in stazione a dormire, la giostra ricomincia: un altro viaggio, un altro rimpatrio.
Anche “il tappo” francese potrebbe essere evitato se il governo si decidesse a emanare il decreto sulla protezione temporanea. “La legge consentirebbe agli immigrati non solo di rimanere temporaneamente in Italia, ma anche di transitare nei paesi europei – sottolinea Guariso – E se l’esecutivo decidesse di emanare un provvedimento del genere, a quel punto Parigi non avrebbe altra scelta se non di lasciarli passare”.
Nel frattempo un monito all’Eliseo è arrivato direttamente dall’Unione europea con la commissaria Ue agli affari interni Cecilia Malmstrom che ha condannato la Francia per la sua politica dei rimpatri coatti.