Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 5 giugno 2011
Il Panico delle Libertà.
Cavillo atomico: «Il referendum deve saltare». - di Claudia Fusani
Nella memoria allegata al ricorso, e che i giudici costituzionali potranno leggere solo domani, si sottolinea che con il varo del decreto Omnibus il Governo non ha fatto una modifica meramente «formale», ma una «innegabile e sostanziale diversità di scelta» rispetto alle norme sul nucleare sulle quali era stato chiesto il referendum. L’Avvocatura sostiene in pratica che gli elettori, il 12 e 13 giugno, «si troveranno a votare un quesito del tutto difforme rispetto a quello in base al quale sono state raccolte le sottoscri- zioni necessarie allo svolgimento del referendum».
Nella decisione della Cassazione - che ha ammesso il quesito, pur modificandolo, ma rispetto a una situazione, il piano energetico, diversa - vi è dunque «ben di più rispetto a quelle modifiche formali o di dettaglio» su cui la Cassazione si sarebbe potuta esprimere. Non solo: secondo l'Avvocatura è cambiata la natura stessa del referendum «non più abrogativa ma propositiva, se non addirittura consultiva».
L’Unità ha letto al telefono una sintesi dei motivi del ricorso a uno dei quattordici giudici (il quindicesimo, che dovrebbe prendere il posto dell’ex presidente De Siervo, non è stato ancora sostituito) membri della Consulta. I giudici infatti sono stati informati via mail dell’arrivo del ricorso ma potranno leggere le motivazioni solo domattina quando si riuniranno per l’elezione del nuovo Presidente.
«Direi che si tratta di una complicazione notevole - osserva il giudi- ce - viene sollevato un problema di merito e sostanziale molto importante. Vista l’urgenza dovremo decidere già martedì. E se il quesito dovesse essere giudicato inammissibile, la scheda sul nucleare dovrà essere annullata». Una faccenda dannatamente complicata e che «non ha precedenti».
Idv e Pd, il leader dei Verdi Angelo Bonelli, non hanno dubbi: si tratta dell’ennesimo «sabotaggio» ordito da Berlusconi ai danni del nucleare. «È evidente e logico che governo e maggioranza sperano che i referendum non passino, facendo carte false per non far raggiungere il quorum, e ancora adesso, a una settimana dal voto, scelgono la più totale ipocrisia» scrive Di Pietro sul suo blog. «I furbetti sono stati sconfitti più di una volta e lo saranno ancora» chiosa Vendola.
Pochi dubbi sull’infondatezza del ricorso dell’Avvocatura di Stato anche per gli avvocati che in Cassazione hanno sostenuto le ragioni dei referendari, il professor Alessandro Pace e l’avvocato Gianluigi Pellegrino.
Il Pd chiede il rigetto del ricorso. La segreteria nazionale del partito e i gruppi parlamentari di Camera e Senato si sono costituiti innanzi alla Corte costituzionale, con l'avvocato Gianluigi Pellegrino, chiedendo il «rigetto dell' istanza del Governo volta a far dichiarare inammissibile il referendum sul nucleare e il perfezionamento, come previsto dalla legge e dalla Costituzione, della conferma della consultazione referendaria per il 12 e il 13 giugno, già sancita dalla Cassazione». La risposta è attesa per martedì. Il giorno dopo, per l’appunto, l’elezio- ne del nuovo Presidente. Che sarà, quasi sicuramente, Alfonso Quaranta. Non un’elezione qualsiasi: per la prima volta nella storia della Consulta verrà interrotta la prassi per cui diventa Presidente il più anziano dei giudici. La qual cosa ha imposto, a volte, presidenze lampo anche di tre sole settimane visto che i giudici costituzionali hanno una data di uscita inderogabile. Adesso si vuole un giudice che durerà di più. Quaranta resterà in carica due anni.
sabato 4 giugno 2011
Alfano segretario: il regolamento del PdL lo vieta. Come faranno?
Berlusconi vuole promuovere Alfano coordinatore del Pdl, ma lo statuto del partito non lo permette. Per modificarlo ha bisogno di riunire almeno due terzi di tutti gli esponenti locali e nazionali del Pdl. La promozione politica del nuovo "delfino" berlusconiano risulta più difficile del previsto.
In molti nel Popolo della Libertà - dai vertici alla base - chiedono più democrazia interna. Insomma, esigono una svolta, dopo l'ultima catastrofe elettorale. Il Presidente del Consiglio risponde convocando in fretta e furia un "ufficio di presidenza", ed imponendo ai presenti la figura di Angelino Alfano, che lascerà il Ministero della Giustizia per diventare "segretario nazionale" del Pdl. Una nomina avvenuta "per acclamazione", "all'unanimità", "senza nessun intervento dissonante", ha spiegato orgoglioso il Premier. Per dirla in sintesi: ha deciso lui, e della democrazia interna, chi cacchio se ne fotte.
Ma il bello deve ancora venire. La figura di "segretario nazionale", all'interno del Pdl, non esiste mica. Lo statuto non la prevede affatto. I probiviri l'hanno cercata per giorni, all'interno delle pieghe del regolamento, ma niente. Per poterla istituire, e permettere ad Alfano di sverniciare il triumvirato composto da Verdini, La Russa e Bondi, bisogna convocare niente popo di meno che il "consiglio nazionale" del Partito. E seguire tutte le procedure del caso. Così ne raccontano su Italia Oggi:
Il "consiglio nazionale" del Pdl, a memoria, non pare essere mai stato riunito. Il sito internet del partito non ne dà notizia alcuna. Non ne elenca i componenti. Lo statuto prevede che ne facciano parte parlamentari nazionali ed europei, coordinatori regionali, provinciali, di capoluoghi, membri del governo, consiglieri regionali, capigruppo e vicecapigruppo nei consigli provinciali e nei maggiori comuni, e molti altri ancora. Sono parecchie centinaia di membri: quindi, un organismo impossibilitato ad agire e a dibattere. Al consiglio nazionale compete, fra un congresso e l'altro (ma quando mai si terrà il secondo congresso del Pdl, che sarebbe poi il primo vero?), modificare lo statuto. Viene la curiosità di sapere se avrà il numero legale per decidere, posto che occorre «il voto favorevole di 2/3 degli aventi diritto al voto». Sarà arduo riuscire ad avere presenti i 2/3 dei consiglieri, ammettendo che poi si esprimano all'unanimità.
Insomma, altroché "congratulazioni, Angelino!", piazzare il Ministro della Giustizia al vertice del Pdl potrebbe essere più difficile del previsto. Una bella grana. In ogni caso statene certi, ci sarà da divertirsi: nuovo lodo Alfano, autocertificazione congressuale, applauso breve, legittimo scavalcamento, quale improbabile cavillo caccerà stavolta il Premier, per sanare le trasgressioni alle regole che egli stesso si è dato?
http://www.agoravox.it/Alfano-segretario-il-regolamento.html
Quel bacio dimenticato tra Alfano e il boss.
Alla festa per il matrimonio della figlia di uno dei boss più in vista della provincia agrigentina l’ospite d’onore si fa largo tra gli altri invitati per abbracciare e baciare il padre della sposa. È un giovane avvocato venticinquenne, astro nascente della politica siciliana. Si chiama Angelino Alfano e diventerà in pochi anni ministro della Giustizia. Ma oggi che Berlusconi lo vorrebbe incoronare suo vice nessuno lo ricorda.
«Il padre di Angelino Alfano mi ha chiesto voti per il figlio». A parlare, Giovanni Alongi, boss della famiglia mafiosa di Aragona. Almeno secondo il racconto di Ignazio Gagliardo, un pentito di mafia di Agrigento. Il 12 marzo 2009 i pm di Palermo lo interrogano nell’ambito della nuova inchiesta per mafia sull’ex governatore siciliano Tòtò Cuffaro, oggi in carcere per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. Il pentito racconta, e fa i nomi. Anche nomi eccellenti che i pm non si aspettavano di dovere ascoltare. Parla anche del Ministro della Giustizia in carica, che oggi Berlusconi vorrebbe promuovere segretario del suo partito. In carcere era un giorno qualunque, uguale a tutti gli altri. I boss, nelle loro celle, giravano i canali del televisore, finché vennero tutti sopresi dalle stesse immagini. E soprattutto dalle stesse parole. Davanti ai loro occhi il nuovo Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, parlava di mafia e antimafia con i suoi soliti ritornelli retorici che chiunque lo abbia sentito parlare almeno una volta conosce a memoria: “Un tempo bisognava dire di essere antimafiosi, oggi bisogna esserselo con i fatti”, “Giovanni Falcone è l’eroe e l’esempio cui ci dobbiamo ispirare” perché la mafia, com’è noto, “fa schifo”. I boss, abituati dal governo Prodi a un ministro della Giustizia che con i mafiosi prima fa il testimone di nozze e poi tratta, come dimostrano le intercettazioni pubblicate da AgoraVox, tramite i suoi collaboratori al Ministero, non ci stanno. E quando s’incontrano per l’ora d’aria, esprimono tutto il loro risentimento per la presa di distanza del nuovo Ministro. «È un pezzo di merda», dicono. «Ora facciamo schifo ma non lo facevamo prima, quando ci chiedevano voti». Finché a sua difesa non interviene Alongi. «A questo putno – racconta Gagliardo – Giovanni Alongi, rappresentante della famiglia di Aragona, disse: “Il padre di Angelino mi ha chiesto voti per Angelino. Anche il padre di Alfano era un politico”». Queste dichiarazioni non sono mai state riscontrate in un processo, e al momento Alfano non risulta nemmeno indagato. Ma questo racconto nelle innumerevoli biografie giornalistiche del nuovo “delfino” berlusconiano che i quotidiani stanno pubblicando in questi giorni è del tutto scomparso. Meglio ripiegare su più accomodanti agiografie come quelle stilate dal Giornale (“Angelino, il primo della classe che ha bruciato tutte le tappe”) o dal quotidiano indipendente La Stampa: “Sposo ideale, figlio ideale, genero ideale, e poi deputato ideale, alleato ideale, avversario ideale fino a ministro e segretario ideale. C’è qualcuno a cui non piaccia Angelino Alfano?” E giù una lenzuolata di motivi per cui Alfano “piace” (perché ha “il piglio”, perché ha fascino, “perché non esibisce il vizio e di conseguenza non è tenuto a esibire la virtù”, perché “si mantiene in forma”, perché piace e basta). Poi, a sorpresa, l’agiografo morde: “Se poi qualcuno insinua, ché la mano sbagliata capita sempre di stringerla, si addolora virilmente”. Di quali mani si stia parlando ai lettori della Stampa non è dato sapere, così come a tutti gli altri lettori di giornali. Eppure una mano sbagliata, di quelle da cui a tutti i costi bisognerebbe stare lontani, Alfano l’ha stretta. È la mano del capomafia di Palma di Montechiaro, Croce Napoli, morto ormai da dieci anni. O meglio, la guancia. Perché il boss Alfano l’ha anche baciato. E stavolta non c’entra il racconto de relato di un mafioso in carcere: a inchiodare il ministro c’è un filmato. Era l’estate del 1996, l’anno in cui il neo-delfino del Cavaliere ottenne quasi novemila voti alle regionali, risultando il primo dei non eletti. Si sposava la figlia del boss e Alfano era l’ospite d’onore. In una videocassetta del matrimonio lo si vede baciare il padre della sposa. Dopo il taglio della torta, Alfano si fa avanti con in mano il suo regalo di nozze, tra i saluti ossequiosi dei presenti, verso gli sposi. Prima bacia loro, poi abbraccia e bacia il capomafia padre della sposa. Tutto filmato e documentato. Interpellato sui fatti, Alfano prima negò tutto, dicendo di non ricordare e minacciando i giornalisti («attenti a pubblicare notizie del genere»). Poi, dopo ventiquattro ore, uscita la notizia, recuperò la memoria: «Adesso ricordo, (…) ricordo di esserci stato, ma su invito dello sposo e non della sposa». Racconta che non conosceva la sposa e «men che meno suo padre» della cui identità «non conoscevo nemmeno l’esistenza». Dunque «non ho nulla di cui giustificarmi», e via con il solito copione del ragazzo antimafioso «dai tempi del liceo». Certo, il racconto di un pentito non dimostra affatto una collusione mafiosa tra Alfano e Cosa nostra, né tantomeno un bacio dato a un boss forse per caso. Ma dell’opportunità di ricoprire le cariche di Ministro della Giustizia e a breve di segretario del primo partito del Paese (se Berlusconi riuscirà ad aggirarne i regolamenti) alla luce di queste storie occorrerebbe quantomeno discutere. Ma per poterne discutere, prima, bisognerebbe raccontare i fatti.
http://www.agoravox.it/Quel-bacio-dimenticato-tra-Alfano.html
I giovani siciliani si sono rotti Parte la rivolta delle forchette spezzate.
Dopo la spedizione di un migliaio di buste anonime ad esponenti della classe dirigente siciliana, nasce ufficialmente il movimento delle Forchette Rotte: "I giovani siciliani si sono rotti. Col nostro futuro non ci mangia piu’ nessuno”. Altri due blitz via mail a deputati regionali e rettori universitari per protestare contro la legge 104 e le parentopoli negli atenei isolani. I rivoluzionari delle forchette spezzate inoltre lanciano l'appuntamento per il 25 giugno a Palermo.
di Giuseppe Pipitone
Tutto è iniziato con un migliaio di buste chiuse recapitate due giorni fa a politici, amministratori comunali, industriali, rappresentanti degli ordini professionali, sindacalisti, docenti e amministratori universitari siciliani. Il mittente era anonimo. Ma non si trattava di una minaccia di massa alla classe dirigente siciliana. O meglio non di una minaccia di stampo mafioso o criminale (in quel caso si potrebbe anche parlare di un auto minaccia). Dentro le buste infatti non c’erano pallottole. E neanche disegni di croci o bare. Contenevano invece forchette di plastica spezzate. Sissignori. Una forchetta spezzata per ogni destinatario. Insieme alla posata di plastica anche un’anonima cartolina con scritto ”I giovani siciliani si sono rotti. Col nostro futuro non ci mangia piu’ nessuno”. Allegato al messaggio un non meglio precisato appuntamento per il 25 giugno a Palermo.
Così è partita in Sicilia la rivoluzione delle forchette spezzate. Anzi, come si definiscono loro, la rivoluzione delle “forchette rotte”. Neanche il tempo di metabolizzare lo storico atto di ribellione giovanile che le forchette rotte sono tornate nuovamente all’attacco. Con due rapidi blitz via mail. Il primo messaggio di posta elettronica è stato inviato ai 90 deputati regionali dell’isola: “In Sicilia succede che i laureati con 110 e lode – scrivono le “forchette rotte” – a 40 anni sono ancora disoccupati e alla Regione, grazie alla legge 104 in salsa siciliana, a 40 anni si è già super pensionati. Diciamo basta“. In pratica il movimento giovanile chiede l’immediata cancellazione della legge che consente di andare in pensione anticipata e di cui in Sicilia si è fatto un ampio utilizzo negli ultimi anni.
Subito dopo il messaggio ai consiglieri regionali il movimento ha inoltrato – proprio poche ore fa - un’altra mail, questa volta indirizzata ai rettori delle università dell’isola: Roberto Lagalla che guida l’ateneo di Palermo, Salvo Andò a capo di quello di Enna, Antonio Recca rettore dell’unversità di Catania e Francesco Tomasello a Messina. “I parenti salgono in cattedra e diventano docenti e i talenti prendono la valigia e diventano migranti – recita la cartolina telematica del movimento - A questo modello universitario diciamo basta e ai vertici dell’università siciliana diciamo che ci siamo rotti e che col nostro futuro non ci mangia più nessuno”. Alla fine del j’accuse nei confronti dei baroni dell’università isolana, le “forchette rotte” hanno nuovamente lanciato l’appuntamento nel capoluogo siciliano sempre per il 25 giugno.
Nel frattempo è nata anche la pagina su Facebook del movimento che in pochissime ore ha superato quota 500 amici. Sulla bacheca il movimento scrive di essere in attesa delle risposte dei politici, che verranno pubblicate sul social network: “Questione di trasparenza” ammettono. Nel frattempo è già stata anticipata una nuova spedizione per domani.
In attesa di capirci qualcosa il 25 giugno sembra proprio che in Sicilia stia nascendo qualcosa di nuovo e dal sapore storico. Quei giovani costretti a vendersi ai potenti di turno per vivere stanno finalmente cercando di alzare la testa. Le forchette con cui si sono mangiati il loro futuro si sono spezzate. Anzi, rotte.
http://www.iquadernidelora.it/articolo.php?id=371
Il governo ricorre alla Consulta "Referendum inammissibile".
L'avvocatura dello Stato ha ricevuto il mandato di intervenire all'udienza della Corte Costituzionale sul nucleare con l'intento di bloccare la consultazione. Martedì la decisione.
ROMA - Silvio Berlusconi con una mano giura di voler rispettare il verdetto popolare sui referendum, soprattutto quello sul nucleare. Ma con l'altra lavora ancora al "sabotaggio" del quesito. Il governo, infatti, il primo giugno, con una lettera firmata da Gianni Letta, ha chiesto all'Avvocatura generale dello Stato, di "intervenire" all'udienza della Corte costituzionale sull'ammissibilità del nuovo quesito sul nucleare dopo il via libera dato dall'Ufficio per il referendum della Cassazione. Con il mandato chiarissimo di "evidenziare l'inammissibilità della consultazione".
Dunque gli avvocati dello Stato martedì chiederanno che ai cittadini sia impedito di votare sul nucleare. Mentre il premier giura in tv che "i referendum sono inutili e fuorvianti", ma che "il governo si rimetterà alla volontà dei cittadini; l'esito del referendum non ha nulla a che vedere con il governo: se i cittadini non vorranno il nucleare, il governo ne prenderà atto". "Inutili?", chiede Pierluigi Bersani: "Credo - dice - che quello del referendum sia un voto utilissimo". Gli avvocati nella loro memoria di fatto sollevano anche un conflitto di attribuzione "mascherato" su chi debba "verificare la permanenza dell'originaria intenzione del legislatore". E sostengono che il potere non spetta alla Cassazione. Nel merito, i legali di Palazzo Chigi spiegheranno ai giudici che non si deve andare a votare perchè il referendum avrebbe a questo punto "un oggetto del tutto difforme rispetto al quesito in base al quale sono state raccolte le firme". Il quesito inoltre sarebbe inammissibile perché non sarebbe di tipo abrogativo, ma consultivo o propositivo.
Insomma il governo questo referendum non lo vuole proprio celebrare. E a Palazzo Chigi sperano ancora di potere ribaltare l'esito di una battaglia che al momento li vede perdenti. Lo rivela l'interesse con cui segue la vicenda il ministro Paolo Romani e quello che dice: "Ritengo che la Cassazione abbia riproposto un quesito referendario che non è stato sottoscritto da coloro che hanno chiesto di fare il referendum, quindi per dare un giudizio: aspetto la sentenza della Consulta". La questione si fa ancora più complessa alla luce delle motivazioni dell'Ufficio per il referendum che sono state rese note ieri. Intanto c'è da notare che il relatore non ha scritto la sentenza: segno di grande divisione fra i giudici. Che hanno constato, a maggioranza, che nelle nuove norme c'è una "manifesta contraddizione con le dichiarate abrogazioni" e si "dà luogo a una flessibile politica dell'energia che include e non esclude anche nei tempi più prossimi la produzione a mezzo di energia nucleare". Per i giudici il famoso comma 1 dell'articolo 5 "apre nell'immediato al nucleare (solo apparentemente cancellato". La sentenza appare molto "politica" e potrebbe prestare il fianco a qualche critica da parte dei giudici costituzionali, lasciando sul tappeto qualche dubbio sulla decisione della Consulta. Consulta che proprio lunedì eleggerà Alfonso Quaranta, che piace al centrodestra, nuovo presidente.