giovedì 9 giugno 2011

Alitalia nella super-holding francese? L’ultima beffa di un disastro annunciato. - di Matteo Cavallito


Secondo il Messaggero è questione di mesi: entro la fine dell’anno la compagnia di bandiera italiana sarà incorporata dal colosso francese. Praticamente lo stesso destino ipotizzato nel 2007. Pronto a materializzarsi però con 4 anni di ritardo. E diverse centinaia di milioni in meno.


Il Ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani smentisce ma, la notizia è ormai nell’aria.Alitalia, scrive in esclusiva il quotidiano romano Il Messaggero, sarebbe pronta a trasferirsi a Parigi diventando parte di una super-holding controllata dal duo Air France-Klm. Un’indiscrezione? Senz’altro, ma anche una voce concreta a sentire il quotidiano che dell’operazione sembra in grado di fornire più di un dettaglio. In sintesi: la compagnia di bandiera, che dai francesi è già partecipata per un quarto, si preparerebbe alla fusione con conseguente trasferimento della sede direzionale a Parigi (vi ricorda qualcosa che riguarda una certa Detroit?). Air France avrebbe già dato mandato in tal senso alla Leonardo & Co, advisor finanziario reclutato per l’occasione. Il sottosegretario alla presidenza del ConsiglioGianni Letta sarebbe già stato informato della vicenda nel corso di un incontro a Palazzo Chigi.

Fin qui gli elementi chiave dell’operazione che, afferma ancora il Messaggero, dovrebbe realizzarsi entro la fine dell’anno. Ma nella notizia, ovviamente, c’è dell’altro. A cominciare dagli indizi a conferma dell’indiscrezione. Il primo, in realtà, lo aveva offerto lo stesso presidente di Alitalia,Roberto Colaninno che, smentite successive a parte, non aveva escluso sette mesi fa la possibilità della fusione con il vettore francese. Il secondo lo aveva fornito lo scorso anno l’amministratore delegato Rocco Sabelli secondo il quale quella di Air France rappresenterebbe la scelta obbligata in calendario per il 2013, alla faccia dei proclami di “italianità” dell’azienda. Il terzo indizio lo offre oggi la stessa compagnia che, in risposta allo scoop del quotidiano, sceglie di non seguire Romani nella smentita preferendo, al contrario, il più neutrale no comment. Tre indizi potranno anche non fare una prova. Ma per un legittimo sospetto ce n'è già a sufficienza.

A dire il vero tra gli indizi ve ne sarebbe anche un quarto, quello rappresentato dalla logica del mercato. La stessa logica chiamata in causa dal direttore generale uscente della Iata –International Air Transport Association, Giovanni Bisignani secondo il quale allo stato attuale delle cose la compagnia per come è concepita oggi non sarebbe più in grado di sopravvivere. “La strada è il consolidamento con altre compagnie con cui creare più efficienza” ha dichiarato all’Ansa. A pesare la concorrenza dei low cost ma anche i rincari del prezzo del carburante. Secondo la Iata, l’industria area mondiale avrebbe già rivisto al ribasso del 50% i propri utili attesi per quest’anno ipotizzando per il 2011 un profitto complessivo di circa 4 miliardi di dollari contro gli 8,6 previsti in precedenza. Nel 2010 gli utili erano stati di 18 miliardi. Alitalia, dal canto suo, ha registrato una perdita operativa di 100 milioni nel 2010 migliorando la propria situazione contabile rispetto all’anno precedente quando il rosso si era attestato a 274 milioni.

La scelta di affidarsi ad Air France, insomma, sembrerebbe logica. Ma una domanda sorge spontanea: non sarebbe stato preferibile percorrere la stessa strada anni fa quando l’accordo, che sembrava cosa fatta, fu stoppato con la scusa delle necessità strategica della compagnia di bandiera in “solide” mani italiane? Un passo indietro. Nel 2007, con la compagnia di fatto agonizzante, si inizia a parlare sempre più insistentemente del possibile interessamento di Air France che nel marzo dell’anno successivo presenterà la sua offerta: 1,7 miliardi di euro per acquisire l’intera compagnia e i suoi debiti. Nell’estate del 2007, intanto, è scoppiata la rivolta dell’allora opposizione. Berlusconi invoca l’intervento dell’imprenditoria italiana. Detto fatto. Le ipotesi di cordata si materializzano da lì a poco. Antonio Baldassarre, ex presidente della Corte Costituzionale, si fa promotore dell’operazione diffondendo notizie in proposito a partire dall’agosto del 2007. Notizie, rivelatesi “false e concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione dei valori del titolo Alitalia quotato sui mercati finanziari” diranno i giudici del tribunale di Roma che nel febbraio di quest’anno rinviano a giudizio per aggiotaggio lo stesso Baldassarre, già sanzionato dalla Consob con una multa da 400 mila euro . Nel dicembre 2007 la cordata è svanita e la compagnia si prepara ad entrare in amministrazione controllata. Poi nel 2008 il centrodestra rivince le elezioni. E lì prende forma il capolavoro.

“Merci Silvio” titolerà il giornale francese Les Echos nel gennaio 2009, e non è difficile comprendere il perché. Air France ha appena acquisito il 25% delle quote di Alitalia spendendo appena 300 milioni di euro. In termini relativi è già un affare, ma il bello viene dalla qualità degli assets. E già, perché l’azienda nel frattempo è cambiata. Ai francesi finisce un pezzo di compagnia sana e senza debiti visto che tutto il marcio è stato convogliato in una bad company (all’origine di un disastro per i piccoli azionisti) beneficiaria a sua volta di un prestito ponte da 300 milioni di euro. Da chi viene il prestito? Dallo Stato, ovviamente, vale a dire dai contribuenti. Ma è solo la punta dell’iceberg visto che tra prestiti, ammortizzatori sociali e debiti scaricati sul Ministero dell’Economia, il conto finale di Alitalia si colloca tra i 4 e i 5 miliardi di euro. “Un’operazione politica, sbagliata e costosa” scriverà l’Economist.

Insomma, la parte malsana, quella preponderante cioè, è stata scaricata sullo Stato e quindi sui cittadini, quella buona, minoritaria, è stata data in pasto al mercato. Solo che le cifre adesso sono note. E se la matematica non è un’opinione il 25% pagato 300 da Parigi identifica un valore complessivo dell’azienda pari 1,2 miliardi. Il che è meno di quanto aveva offerto a suo tempo Air France ma anche qualcosa, e non poco, in più rispetto a quei 1.056 milioni versati dai Colaninno boys per la rinnovata Cai. Nel frattempo la compagnia ha assunto il monopolio della preziosa trattaRoma-Milano grazie all’acquisizione di AirOne privandosi del fardello di 7.000 dipendenti in esubero. La possibile (probabile?) fusione rappresenterebbe la logica conclusione di un processo di ristrutturazione economicamente disastroso per tutti, tranne che per i diretti interessati. E se l’operazione andrà in porto i fortunati azionisti avranno modo e motivo di brindare copiosamente. Spumante o Champagne non fa davvero differenza.



LA CARICA DEI 28 MILIONI!




Prescrizione breve subito in Senato se passa il sì al quesito sulla giustizia. - di LIANA MILELLA



La "vendetta" del Pdl in caso di abrogazione del legittimo impedimento: a rischio 15mila processi. Messaggio a Napolitano: sarebbe l'ultima delle leggi "ad personam".


ROMA - Se tra domenica e lunedì si raggiunge il quorum e vincono i sì per cancellare definitivamente anche l'ultimo brandello del legittimo impedimento, i berlusconiani hanno già pronta la contromossa. L'hanno studiata, facendo i calcoli perfino sui giorni, gli esperti giustizia del Cavaliere. Tra di loro lo chiamano "il risarcimento". Consiste nell'approvare subito al Senato, senza l'ombra di modifiche, la prescrizione breve per gli incensurati.

Lo sconto che, senza sottoporre il premier allo stress delle udienze a Milano e a quello di una possibile condanna per corruzione di un testimone, cancella d'un colpo il processo Mills. E con esso il rischio di una condanna, anche se solo in primo grado, per corruzione. Brutta figura, per un premier, in Italia e all'estero. Prescrizione prevista a febbraio. Sconto di sette mesi. Dibattimento chiuso in autunno.

Il "risarcimento" dunque. Portare a casa una norma ad personam molto contestata perché, come sempre in questi casi (vedi la blocca processi o il processo breve vecchia versione), essa non chiude solo "un" processo, quello di Berlusconi addosso al quale è stata confezionata, ma fulmina pure tutti gli altri che si trovano nelle stesse condizioni. Quindicimila processi all'aria è la stima del Csm e dell'Anm, tra cui alcuni sensibili (s'è parlato della strage ferroviaria di Viareggio). Un dato che il Guardasigilli Angelino Alfano ha smentito e nettamente ridimensionato. Ma che
ha preoccupato il Quirinale. Tant'è che proprio il capo del governo avrebbe voluto spedire il suo ministro, trattenuto poi dallo stesso presidente, poco incline a trattative sulla giustizia che abbiano come oggetto le leggi per il Cavaliere.

Ma con un referendum perso alle spalle, e la prospettiva di interpretarlo come la definitiva bocciatura di una politica della giustizia tutta imperniata sulla vendetta di Berlusconi contro le toghe per via dei suoi processi, scatterebbe per il premier la linea dell'ultimo favore, dell'ultima volta, dell'ultima legge per se stesso. Per la quale chiedere anche a Napolitano una sorta di lasciapassare del tutto speciale. Tant'è che il vice capogruppo al Senato Gaetano Quagliariello ha fatto il primo passo e ha chiesto al presidente Renato Schifani di mettere il calendario la prescrizione breve. Un passo ufficiale, con toni soft com'è nello stile dell'uomo, ma con l'esplicito riferimento a un voto che determini l'entrata in vigore immediata della norma già sottoposta a due passaggi parlamentari.

Sarebbe l'ultima legge ad personam. Questo gli ambasciatori con il Colle sono stati incaricati di far sapere a Napolitano. L'ultimo salvacondotto rispetto alla "fabbrica" delle norme "salva Silvio" che tenevano banco fino a un mese prima delle elezioni amministrative. Processo e prescrizione breve, dibattimento lungo (più potere agli avvocati e divieto di usare le sentenze definitive), il comma blocca Ruby (sospensione obbligatoria in caso di conflitto d'attribuzioni, proprio come per l'ultimo processo milanese). Cui si aggiunge la riforma della giustizia, considerata sempre come una lezione per indebolire e ridurre al silenzio le toghe.

Ma adesso il clima è cambiato. La sconfitta alle amministrative viene vista anche come la bocciatura della politica contro i magistrati. Il futuro sarà diverso e la legge sulla prescrizione sarebbe destinata a mettere un sigillo su una stagione che va in soffitta. Ma sull'operazione, studiata nei dettagli, aleggia da ieri la brutta sortita della maggioranza nel voto al Senato sul ddl anti-corruzione. Timori e preoccupazioni per un malessere serpeggiante che potrebbe aggravarsi, soprattutto tra le truppe leghiste, di fronte a un nuovo intervento legislativo per chiudere un processo del Cavaliere. Ma, a ieri sera, l'orientamento era quello di un rischio da correre.



Viaggi nucleari lungo le strade del Piemonte. Ma la gente non ne sa nulla. - di Gaetano Pecoraro


Da Vercelli a La Hague, Normandia. Questo il viaggio delle scorie nucleari italiane che in Francia saranno riprocessate. Da qui torneranno in Italia per essere stoccate. I carichi atomici viaggiano senza che le popolazioni locali vengano avvertite come prevede una direttiva europea

Vercelli-La Hague (Francia), andata e ritorno. Questo prevede l’accordo italo-francese siglato nel 2006 ed entrato in vigore nel gennaio 2007. Un accordo che ha per oggetto il “trattamento di 235 tonnellate di combustibile nucleare italiano”. Si tratta degli scarti accumulati nel nostro paese durante la stagione del nucleare terminata nel 1987 dopo l’esito del referendum popolare. In calce, accanto alla firma della parte transalpina, c’è quella di Pier Luigi Bersani, ai tempi, ministro per lo Sviluppo economico italiano. Poco più di tre pagine da cui si evince che “entro e non oltre il 31 dicembre 2025” gli scarti debbano tonare da dove son partiti. La Sogin (Società gestione impianti nucleari) si sta già attrezzando, autorizzando la gara d’appalto per la costruzione di un deposito per rifiuti radioattivi (D2), nella zona Ex Eurex di Saluggia.





Per essere riprocessate le scorie nucleari devono attraversare più di mille chilometri. Questa è la distanza che separa Vercelli da La Hague, Normandia. Dal gennaio 2007 a oggi materiale altamente tossico passa sugli stessi binari in cui viaggiano persone e merci. Dal Vercellese il treno passa per Torino, attraversa la Valsusa, e da Modane passa al territorio francese. Ma del viaggio delle scorie la gente del posto non sa nulla (Leggi l’articolo). A nessuno di loro viene data la possibilità di mettersi al sicuro. Sebbene il pericolo esista. La dimostrazione è data dal piano di emergenza stilato dalle prefetture piemontesi, un piano che prevede fino a tre livelli di rischio(Leggi il documento).

A sancire il diritto della popolazione a essere informata è la direttiva della Commissione europea dell’energia atomica sui trasporti nucleari – la 618 del 1989. La norma prevede che gli stati vigilino “affinché la popolazione che rischia di essere interessata dall’emergenza radioattiva sia informata sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili, nonché sul comportamento che deve adottare in caso di emergenza radioattiva”. Con diverso idioma la legge della Regione Piemonte n° 5 del 18 febbraio 2010 recita: “La Regione e i comuni interessati, senza che i cittadini debbano fare richiesta, assicurano preventivamente a tutti i gruppi di popolazione per i quali è stato stabilito un piano di emergenza radiologica, l’informazione sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili nei vari casi di emergenza prevedibili, nonché sul comportamento da adottare in tali occasioni”.

Nonostante questo, il piano di emergenza prefettizio e il decreto della presidenza del consiglio dei Ministri n. 44 del 2006, la delibera regionale 25 – 1404 del 19 gennaio 2011 della giunta diRoberto Cota non prevedono nessuno di questi indirizzi. Mentre il piano d’emergenze prefettizio sancisce che la popolazione venga messa al corrente solo in caso di incidente.

Davanti al silenzio delle istituzioni i cittadini non ci stanno e protestano. “E’ assurdo che un sindaco non sappia la data precisa in cui passano i treni”, afferma Emilio Chiaberto, primo cittadino di Villar Fioccardo, comune che insieme al Movimento 5 Stelle e alla federazione nazionale Pro Natura ha fatto ricorso al Tribunale del Piemonte. “Come posso avvertire i cittadini di questo pericolo”, aggiunge . “Noi non ci opponiamo al transito dei treni con le scorie nucleari”, precisaDavide Bono – consigliere regionale del Moviemento 5 stelle – noi vogliamo che venga fatto nel rispetto delle leggi”. Intanto il 14 maggio scorso i giudici hanno stabilito che la competenza spetta al Tar del Lazio. E in attesa della decisione, i convogli con le scorie continueranno a passare.



Tremonti a Silvio: “Mi hai fatto spiare dai servizi segreti”.


Libero parla di un litigio tra il premier e il ministro dell’Economia. Con frasi incredibili.

Qualche giorno fa Giulio Tremonti aveva smentito l’articolo di Franco Bechis su Libero nel quale si parlava di un generale accordo sul taglio delle tasse tra lui e Silvio Berlusconi. E oggi, probabilmente, arriverà la seconda smentita. Perché su Libero, sempre a firma dell’ex MF, viene fornito il resoconto dell’ennesimo litigio tra il ministro dell’Economia e il presidente del Consiglio, stavolta condito da una frase davvero incredibile:


Lo scontro è avvenuto in un faccia a faccia, lunedì all’ora di pranzo ad Arcore. In quel momento nella residenza del premier c’era anche Umberto Bossi, ma non era nella stanza in cui solo Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti per pochi minuti si sono guardati negli occhi. È stato il ministro dell’Economia ad avere uno scatto di nervi come mai è avvenuto in 17 anni di rapporto fra i due. È stato uno scatto violento, che ha scosso Berlusconi e che ancora 24 ore dopo faceva sentire i suoi effetti. Martedì il Cavaliere lo ha raccontato ad almeno tre interlocutori incontrati in giornata. Da loro abbiamo raccolto la versione che collima in ogni particolare su quel che sarebbe accaduto in quella stanza. «Tu mi hai fatto spiare!», ha sibilato il ministro dell’Econo – mia davanti a un Berlusconi esterrefatto. «Hai messo i servizi segreti alle mie calcagna! », ha proseguito Tremonti.

Un litigio che ha fatto rimanere di sasso i presenti:

Una sorpresa, perché se sono mille e poi mille i testimoni degli sfoghi del premier su Tremonti e del ministro dell’Economia su Berlusconi, i due non si sono mai affrontati a muso duro una volta messi di fronte. Anzi, è sempre stato un “Giulio sei un campione!”, seguito “ma Silvio, figurati!”. Riferiscono collaboratori e amici che Tremonti da qualche settimana fosse assai più nervoso del solito, ed è effettivamente è sbottato in sfuriate a cui non erano abituati interlocutori di lungo corso. Il nervosismo era giustificato dalla delicatezza del momento politico ed economico e anche dagli evidenti contrasti con il premier, accompagnati per la prima volta da una certa freddezza fra i vecchi amici della Lega Nord.

E, secondo Bechis, nello scontro potrebbe prima o poi avere un ruolo anche Napolitano:

Lo scontro resta, e la tensione fra presidente del Consiglio e ministro dell’Economia (che pubblicamente ancora viene negata come sempre è accaduto), questa volta è assai seria. Qualche preoccupazione ieri è venuta quando senza avere preannunciato l’iniziativa, Tremonti è salito al Quirinale per fare il punto con Giorgio Napolitano. Ufficialmente ha spiegato al Capo dello Stato l’impianto della manovra (il suo) e il clima internazionale che l’accompagna. Ma nessuno può escludere che sia stato riferito anche qualcosa del terribile scontro di lunedì.



‘Ndrangheta, maxi operazione in Piemonte 142 arresti. Nelle carte anche i nomi di politici. - di Elena Ciccarello


L'operazione "Minotauro" ha fatto emergere contatti tra le cosche e la politica. Centottantadue indagati, per un'inchiesta resa possibile anche grazie alle dichiarazioni rese negli ultimi anni da due collaboratori di giustizia, Rocco Varacalli e Rocco Marando. Circa 70 milioni di euro il valore dei beni sequestrati

Si è appena conclusa una lunga notte per la ‘ndrangheta in Piemonte. Una notte che ha fatto emergere, anche in questa regione, contatti tra le cosche e la politica. Non era ancora mattina quando nomi noti e astri nascenti della criminalità organizzata calabrese sono finiti uno alla volta nella rete di più di mille agenti. L’operazione “Minotauro” – che ha impegnato più di mille carabinieri – ha portato a 142 arresti, disposti dal gip Silvia Salvadori tra Torino, Milano, Modena e Reggio, tra le circa 150 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse. Centottantadue indagati, per un’inchiesta resa possibile anche grazie alle dichiarazioni rese negli ultimi anni da due collaboratori di giustizia, Rocco Varacalli e Rocco Marando. Circa 70 milioni di euro il valore dei beni sequestrati, 20mila in contanti solo a Modena. Tra questi anche dieci società, circa 127 tra ville e appartamenti, più di 200 conti correnti, diverse cassette di sicurezza, appezzamenti di terreni edificabili e automezzi per il trasporto merci. Con il maxi blitz di questa notte la Procura di Torino, che ha coordinato le indagini del Reparto investigativo Carabinieri di Torino e delle Compagnie di Ivrea e Venaria, ha colpito e decapitato i clan calabresi attivi all’ombra della Mole, “un’organizzazione imponente con centinaia di affiliati – scrivono i pm – tenacemente e capillarmente radicata nel territorio”. Con diramazione anche in altre parti d’Italia, come a Modena, dove sono stare arrestate cinque persone: tra cui anche un cittadino albanese e due marocchini, residenti a Carpi, Savignano sul Panaro e Vignola. Ma ad essere citati nelle carte, anche se non indagati, sono pezzi grossi della politica piemontese: sette nomi di amministratori locali, tra cui due assessori regionali, Porchietto e Ferrero.





DROGA, GIOCO, ESTORSIONI - Gli inquirenti rilevano che in Piemonte la ‘ndrangheta si dedica a diverse attività illecite tra cui traffico di stupefacenti, estorsioni e gioco d’azzardo. L’organizzazione è profondamente infiltrata in alcuni settori dell’economia come l’edilizia e gode di un efficace ed efficiente controllo del territorio. È in particolare nella zona a nord di Torino, lungo l’asse che dalla cittadina di Borgaro (To) giunge fino a Cuorgné (To), che la mala è palpabile già nell’aria. Il canavese e il cuorgnese, residenze storiche di famiglie della ‘ndrangheta, si confermano con questa indagine province della calabria peggiore. Sul territorio piemontese risultano presenti almeno nove “locali”, ognuno con circa 50 affiliati. Nell’ordine: il locale di Natile di Careri a Torino, Courgné, Volpiano, Rivoli (chiuso), San Giusto Canavese, Siderno a Torino, Chivasso, Moncalieri, Nichelino. A questi si aggiunge il “Crimine”, gruppo deputato alle azioni violente, e la cosidetta “bastarda”, articolazione distaccata a Salassa (To) e non autorizzata.

IL LIVELLO POLITICO - Ogni locale ha un “referente” in Calabria e l’intero hinterland torinese farebbe riferimento a Giuseppe Catalano, indicato come “responsabile provinciale”. Boss e sodali ramificano i loro affari in un clima di omertà. Anche in Piemonte, come in Lombardia, le denunce “sono pochissime e ancor meno sono le denunce spontanee”, mentre la capacità di intervento degli ‘ndranghetisti è riconosciuta da “parte della popolazione” che si rivolge a loro per chiedere “piccoli favori, intermediazioni, suggerimenti” e risolvere problemi imminenti. Ma se da una parte fa paura, dall’altra la ‘ndrangheta in Piemonte intrattiene rapporti con la politica locale anche ai più alti livelli. È il solito do ut des: la ‘ndrangheta mette sul piatto i voti e ne riceve in cambio promesse e favori. I candidati entrano in contatto con i membri della consorteria nei periodi immediatamente precedenti alle consultazioni elettorali per richiederne l’intervento, consapevoli – scrivono i pm – “dell’influenza che gli affiliati sono in grado di svolgere.. nella ‘rete dei calabresi’”.

Sono almeno sette i nomi di esponenti politici locali che, pur non figurando nell’elenco degli indagati, vengono infatti riportati nell’inchiesta. Tra questi, particolarmente rumoroso quello diClaudia Porchietto, assessore al Lavoro (in quota Pdl ) della giunta regionale di Cota. L’assessore regionale Porchietto (Pdl) è stata fotografata in via Vegli a Torino, nei pressi del Bar Italia di Giuseppe Catalano, nel periodo immediatamente precedente le elezioni provinciali del giugno 2009, mentre era candidata alla poltrona di Presidente della provincia. Nel bar, in altre occasioni utilizzato dalla ‘ndrangheta per le sue riunioni e di proprietà di Giuseppe Catalano (responsabile provinciale per Torino) Claudia Porchietto incontra, oltre al proprietario, anche Franco D’Onofrio, indicato come padrino del “Crimine” di Torino.

L’altro nome è quello di Caterina Ferrero, assessore alla Sanità della giunta Cota, sempre in quota Pdl, che solo qualche giorno fa ha rimesso le delege perché raggiunta da un avviso di garanzia per turbativa d’asta. Il nome della Ferrero emerge in riferimento ad un episodio relativo alle elezioni Regionali del 2005, in occasione delle quali l’architetto Vittorio Bartesaghi, indagato per concorso in tentata estorsione, si sarebbe fatto promotore della elezione della Ferrero in consiglio regionale presso Adolfo Crea (pluripregiudicato e indicato come responsabile del “Crimine” di Torino) promettendogli cospicui guadagni su lavori pubblici. Le carte riportano inoltre i nomi, non oggetto di indagine, di Paolo Mascheroni, sindaco di Castellamonte, che sarebbe stato eletto anche grazie al sostegno del sodalizio criminale; di Antonio Mungo, candidato al consiglio comunale di Borgaro (To) durante le consultazioni del 2009 e sostenuto secondo l’indagine da Benvenuto Praticò, indicato come appartenente al “Crimine”; e infine Fabrizio Bertot, candidato nel 2009 al Parlamento europeo e attualmente sindaco di Rivarolo Canavese, che avrebbe partecipato ad un incontro al Bar Veglia di Giuseppe Catalano con alcuni calabresi, indicati dagli inquirenti come esponenti della ‘ndrangheta, al fine di raccoglierne i consensi elettorali.

Una sola cosa cruccia i membri delle famiglie di ‘ndrangheta in Piemonte, che per il resto godono di buoni affari, buoni interlocutori e sono saldamente insediati sul territorio. L’assenza in questa regione di una “camera di controllo” tra “locali” come esiste in Lombardia e Liguria. Un coordinamento che eviterebbe gli attriti tra famiglie, creando maggiore sinergia tra i gruppi e conferendo loro maggiore autonomia rispetto alla Calabria. Gli affiliati ne parlano spesso, intercettati, e ne discutono anche i boss Giuseppe Catalano e Giuseppe Comisso. Catalano: “.. perché a Torino non gli spetta?.. che ce l’hanno la Lombardia e la Liguria, giusto? Siamo nove locali..”, risponde Comisso: “.. è una cosa che si deve fare”. Al luglio 2009, data a cui risalgono le ultime intercettazioni in cui viene affrontato l’argomento testimoniano che in quella data la “camera” non esiste ancora.



‘Ndrangheta in Piemonte, l’assessore regionale Pdl minaccia di querelare Il Fatto. - di Davide Milosa


Claudia Porchietto: "Esiste un limite invalicabile tra il diritto di cronaca e lo sciacallaggio mediatico". Il politico se la prende con il nostro sito. Pubblichiamo allora il suo comunicato stampa. E buona parte del capitolo, contenuto nella richiesta d'arresto, dedicato all'assessore che non risulta indagato

L'assessore Porchietto mentre entra nel bar assieme a Luca Catalano

La ‘ndrangheta alla conquista del Piemonte. Lo racconta l’inchiesta Minotauro coordinata dalla Dda di Torino che oggi ha portato in carcere 142 presunti affiliati. Nelle carte dell’indagine spuntano anche i rapporti con la politica. Tra i vari si cita quello di Claudia Porchietto, assessore al Lavoro (in quota Pdl ) della giunta regionale diCota. La signora, pur citata più volte, non risulta indagata. Particolare importante cheilfattoquotidiano.it nell’articolo di questa mattina ha sottolineato. Nonostante questo, l’assessore regionale, in un comunicato stampa, minaccia querele.

Ecco cosa si legge: “Esiste un limite invalicabile tra il diritto di cronaca e lo sciacallaggio mediatico: a seguito delle notizie che ho appreso leggendo i giornali ho dato mandato ai miei legali di sporgere querela nei confronti dei giornalisti del Fatto Quotidiano e dello Spiffero per diffamazione a mezzo stampa. I fatti che riportano i due giornali, che peraltro dovrebbero essere secretati visto che non ho ricevuto alcun riscontro dalla Procura – spiega Porchietto –, riguardano la mia campagna elettorale quale candidata presidente della Provincia di Torino. Vorrei chiarire sin da subito che qualsiasi incontro elettorale, durante la citata campagna elettorale peraltro ne ho fatti a centinaia, è stato organizzato da amministratori locali, simpatizzanti o semplici elettori. È impossibile per qualsiasi candidato quindi conoscere chi incontrerà e soprattutto sapere se taluna di queste persone è soggetta ad indagine. Resto a disposizione della magistratura per tutti i chiarimenti del caso. Certamente però non accetterò mai l’utilizzo sprezzante della cronaca giudiziaria a meri fini politici, scandalistici e diffamatori”.

Vediamo, invece, cosa si legge a pagina 1694 della richiesta d’arresto firmata dai magistrati di Torino e depositata agli atti dell’inchiesta Minotauro. Il capitolo 11.4 è intitolato “La vicenda Porchietto”. Poi l’incipit: “Altamente rappresentativo dell’influenza che la ‘ndrangheta assume nella vita democratica (e in particolare del legame esistente con esponenti politici) è quanto documentato dalla polizia giudiziaria in occasione delle consultazioni previste per il 6 e 7 giugno 2009 volte all’elezione del Consiglio Provinciale e del Presidente della Provincia di Torino”. E così “a partire dal 17 maggio 2009, vengono registrate una serie di conversazioni dalle quali si comprendeva che Luca Catalano, nipote di Giuseppe Catalano, stava organizzando un incontro tra “una donna” e lo stesso Catalano Giuseppe, al quale doveva assolutamente partecipare ancheFrancesco D’Onofrio“. Chi sono questi signori? Giuseppe Catalano è considerato dai magistrati “esponente provinciale della ‘ndrangheta a Torino”. Luca Catalano è suo nipote. E’ un politico locale e non risulta indagato. Infine, Francesco D’Onofrio è ritenuto esponente di vertice del Crimine in Piemonte.

Fissati i protagonisti, riprendiamo la ricostruzione dei magistrati. “Dopo le prime telefonate, in data 22.05.09 alle ore 10.58, Luca Catalano chiama Giuseppe Catalano confermando che “lei” passerà per conoscere quest’ultimo e Franco D’Onofrio”.

“L’incontro si svolge effettivamente il 23.5.2009 dalle ore 13.54 alle ore 14.01 presso il Bar Italia di Catalano sito di Torino, via Veglia n. 59, come documentato dal servizio di videosorveglianza installato nei pressi del predetto esercizio pubblico. I partecipanti vengono identificati in Giuseppe Catalano, Franco D’Onofrio, Luca Catalano e Claudia Porchietto (candidata del partito PDL alla presidenza della Provincia di Torino). Quest’ultima viene osservata arrivare alle ore 13.54 a bordo di un’automobile Fiat Brava di colore blu, condotta da Luca Catalano”. Quindi si sottolinea: “Appare pertanto certa l’identificazione della donna non nominata nei dialoghi precedenti con la candidata Porchietto Claudia”

A pagina 1696 si legge: “A maggior conferma, alle ore 13.54 veniva captato il dialogo intercorso sulla soglia del bar tra Giuseppe Catalano e la donna, che si presentava con il cognome Porchietto”. Ecco lo stralcio dell’intercettazione:

Catalano: Luca!

Donna: Buongiorno…

Catalano: buongiorno…

Donna: Buongiorno…piacere Porchietto…buongiorno…

Catalano: piacere Porchietto…le belle donne si fanno attendere…eh..

Donna: no, e che guardi…

Catalano: eh…(ride)

Donna: stiamo girando da stamattina…

Catalano: si…

Donna: …ero all’Ospedale di Venaria con il direttore sanitario e non potevo fermarmi dieci minuti…

Catalano: Luca…vuoi pranzare qualcosa…

Donna: no io…prendiamo…

Luca: un crodino veloce…

Donna: devo essere due e mezza…di nuovo in piazza San Carlo…(incomprensibile)…è un macello …come si suol dire…

A incontro terminato lo zio Giuseppe parla con il nipote Luca Catalano. nella conversazione intercettata “vengono affrontati temi riconducibili alle prossime elezioni e al’implicazione nella vicenda della citata candidata, appena incontrata”. Ecco allora il riassunto fatto dagli investigatori e contenuto nella richiesta d’arresto: “Giuseppe Catalano chiede se possono votare anche loro che sono residenti a Volvera; Catalano Luca risponde affermativamente dal momento che si tratta delle elezioni provinciali. Catalano Giuseppe afferma che vorrebbe sentire “Claudia” e chiede al’interlocutore di fissare un nuovo incontro con lei; Catalano Luca risponde che la donna ha l’agenda piena di impegni e che in quel momento è impegnata con l’onorevole Umberto Bossi a Torino. Catalanoe replica che “è interesse della donna e non suo partecipare ad un nuovo incontro”, aggiungendo che lui oggi avrebbe potuto far venire più di quaranta persone. Catalano Luca cerca di spiegare che gli impegni della donna sono molteplici e che a causa di essi avevano trascorso la mattinata a Nichelino, ma Catalano Giuseppe lo interrompe dicendo che la tappa di Nichelino era stata inutile, in quanto “a Nichelino conosce tutti Franco” (ovvero Franco D’Onofrio).

A pagina 1697 la conclusione della magistratura: “È evidente che l’incontro narrato e i commenti al medesimo dimostrano la capacità della ‘ndrangheta di influenzare la vita istituzionale del paese, andando a incidere fortemente nelle attività e nelle rappresentanze politiche locali”. Certo Claudia Porchietto molto probabilmente non sapeva chi fossero i suoi interlocutori.