Il fatto è che i grandi investitori internazionali vendono Italia a piene mani e se la prendono con le banche perché queste concentrano al massimo grado tutte le debolezze del nostro sistema. A cominciare dalla fortissima esposizione ai titoli di Stato, di cui le banche hanno fatto incetta negli ultimi due anni per garantirsi facili guadagni. Nei bilanci degli istituti, in base agli ultimi dati disponibili, sono parcheggiati qualcosa come 200 miliardi di Btp le cui quotazioni sono scese molto negli ultimi mesi. Di conseguenza gli stock di titoli in portafoglio alle banche si svalutano. Inoltre i banchieri vedono crescere i costi della raccolta, perché devono offrire ai risparmiatori che comprano le loro obbligazioni rendimenti competitivi con quelli dei titoli di Stato.
In prospettiva quindi i margini di guadagno degli istituti di credito italiani, già inferiori a quelli di buona parte dei maggiori concorrenti internazionali, sembrano destinati a scendere ancora. E un primo segnale concreto potrebbe arrivare già nei prossimi giorni, quando verranno resi noti i conti semestrali delle banche quotate. Gli analisti si attendono risultati stabili nella migliore delle ipotesi e comunque non proprio esaltanti.
Poi c’è il problema delle sofferenze, cioé i crediti difficili da recuperare. Alla fine del 2010 questa voce pesava per 85 miliardi nei bilanci dei primi cinque gruppi bancari (Unicredit, Intesa, Monte Paschi, Ubi, Banco Popolare), ovvero ben oltre il doppio rispetto alla fine del 2007, quando l’economia reale è entrata in crisi.
E’ vero che di recente il trend di aumento delle sofferenze ha rallentato il passo. E anche i prestiti alla clientela hanno ripreso ad aumentare. Tutto questo però non basta ancora, soprattutto se la ripresa economica resta debole come negli ultimi mesi. Di conseguenza le banche saranno costrette ad accantonare ancora somme importanti a copertura dei crediti a rischio, penalizzando così il conto economico.
Se si sommano tutti questi fattori negativi, Btp, sofferenze, bilanci deludenti, il minimo che può succedere in Borsa è il tiro a segno sugli istituti con targa italiana. E il ribasso è amplificato dai programmi computerizzati di trading che vendono in automatico titoli, oppure strumenti derivati con azioni come sottostante, sulla base di complessi algoritmi. Una batosta tira l’altra e le quotazioni si stanno pericolosamente avvicinando ai record negativi fatti segnare nel marzo 2009, nel pieno della bufera finanziaria globale. Anzi, a ben guardare, il Monte Paschi ha già superato, al ribasso, quella soglia.
Le grandi banche italiane, come Unicredit e Intesa, ormai valgono in Borsa meno della metà dei loro mezzi propri. Per il Banco Popolare questo rapporto è addirittura arrivato al 20 per cento, per il Monte dei Paschi si aggira intorno al 30 per cento. Valori lontani da quelli dei maggiori concorrenti internazionali tedeschi, francesi, britannici che in media vantano mezzi propri pari o di poco superiori alla capitalizzazione borsistica. E allora, se le banche italiane sono così penalizzate la colpa non può essere solo delle scommesse al ribasso degli speculatori. Il problema è che gli investitori temono che i banchieri tricolori si siano infilati in un tunnel di guai da cui faticheranno molto a uscire.