Il gamal in aramaico, la lingua del Nuovo testamento, è una corda spessa che si usava per ormeggiare le navi alla banchina. Ma, secondo molti studiosi è anche una parola polisemica e può significare pure cammello, dunque a un traduttore non troppo esperto potrebbe essere accaduto di interpretare male. Oppure è stato San Girolamo a sbagliare la sua traduzione dal greco al latino confondendokamelos, ovvero cammello con kamilos ovvero gomena. Non è certo l’unico fra gli errori di traduzione che si sono susseguiti nel tempo e che hanno creato buona parte della dottrina della chiesa, anzi diciamo che a parte la bizzaria del cammello questo qui pro quo è davvero veniale, non cambia il significato della celebre frase: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco vada in paradiso. Difficile, anzi impossibile, che una gomena da nave possa entrare nella cruna di un ago.
Ma certo gli evangelisti Matteo e Luca non potevano pensare che duemila anni dopo, in Italia, un piccolo lestofante della scrittura, riducesse una gomena a un filo e quindi aprisse le porte di Pietro al suo corrotto padrone e ai suoi adoratori. No, un canapo, una gomena non entra nella cruna dell’ago, così come Guzzanti che difende i ricchi e calpesta i poveri, può entrare solo nel miserabile orticello dei vecchi ignoranti e un po’ rimbambiti che pur di avere ancora addosso un po’ di attenzione sono disposti a dire qualsiasi cosa, anche a ricostruire la storia come se fosse la commissione Mitrokhin.
Dunque per Guzzanti padre, qualsiasi patrimoniale è un’offesa alla ricchezza che invece è un segno della benevolenza divina. Perciò il povero dovrebbe vergognarsi della sua condizione piuttosto che contestare al ricco. E per avallare queste teorie da guerra dei trent’anni, per compiacere il suo principe e dare attuazione alle celebre risoluzione del trattato di Augusta, cuius regio eius religio, non si perita di farci sapere che conosce il nome di Max Weber, ma anche di non averne letto nulla o peggio ancora di non averci capito un’amata gomena. Perciò lo cita a sostegno della sua tesi non arrivando a capire che Weber era lontanissimo dalle formulazioni arcaiche e fanatiche di Calvino e che semplicemente ipotizzava come lo spirito lo spirito del capitalismo possa avere qualcosa a che con un’etica di un lavoro che è premio a stesso. Infatti la caratteristica del capitalista è quella non di essere ricco, ma di investire ciò che guadagna nella sua impresa. Solo in questo senso il profitto ha un significato economico e anche etico.
Esattamente il contrario di quanto fanno e pensano i ricchi italiani che avrebbero dei grandi problemi sia col Vangelo che con Calvino e ne hanno pochissimi invece con la Guardia di finanza. Ma a parte questo, Weber e il concetto di beruf non hanno niente a che vedere con le tassazioni che sono invece il contributo che ognuno deve alla società della quale fa parte e che infatti lo stesso Calvino non si sognò minimamente di contestare. Per il resto nessuno, come invece balbetta Guzzanti, a cui il caldo e se stesso fanno decisamente male, pretende che non spenda i soldi come vuole. O forse questa sparata sulle tasse e sui ricchi ha qualcosa a che vedere con le recenti vicende familiari?
Ora i pensieri espressi da Guzzanti dovrebbero fargli venire un dubbio se malauguratamente non fosse Guzzanti: com’è che un giornalista di cui ancora si rammemora la cialtroneria, un politico che si è prestato alla buffonata Mitrokin e che ora naviga assieme a Scilipoti, uno che spaccia stronzate come se piovesse non si sa per superficialità, malafede o ignoranza, ma probabilmente per tutte e tre le cose, è nel novero di quella esigua parte di italiani che guadagnano più di 400 mila euro? E’ un errore della benevolenza di Dio? Oppure Guzzanti è la piaga che dobbiamo sopportare per non aver saputo riconoscere la fatua imbecillità di chi abbiamo eletto?
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