69. Un bel numero. Simmetrico, elegante, anche un po’ osé con il suo riferimento ad uno dei tanti modi con i quali le persone possono dimostrarsi affetto.
Eppure, qualcosa mi dice che all’11 novembre 2001, la data entro la quale secondo il Sole 24 Ore, statisticamente l’Italia dovrebbe dichiarare default, non ci si arriverà.
Stamattina le pagine dei giornali sono inondate dall’ennesimo scandalo nel quale è coinvolto Silvio Berlusconi. Nel corso della mia vita mi sono imbattuto spesso in situazioni nelle quali mi sono chiesto: ma come fanno queste persone a vivere così? La risposta è: si fa l’abitudine a tutto.
Noi, per strano che possa sembrare, ci siamo abituati ad avere un presidente del consiglio coinvolto nello sfruttamento della prostituzione (come utilizzatore finale, intendiamoci), nelle estorsioni (come estorto), nella corruzione dei testi (ma è solo colpa di Mills che si è fatto corrompere), nelle società segrete (P2,P3,P4; Pn. Ci siamo abituati agli attacchi del Fatto Quotidiano, ai sermoni di Saviano, alle difese di Sallusti, alle menzogne di Minzolini.
Ecco, in questo quadro, la maniera dilettantesca, picaresca e strapasticciata con la quale si sta affrontando la crisi è, paradossalmente il male minore.
Alla peggio, per novembre (o prima), saremo in default. Abbiamo già raccontato su queste pagine cosa vuol dire andare in default per una nazione. Si rimane senza soldi, senza servizi, senza opportunità, ma vivi. L’Islanda insegna che non necessariamente il fallimento equivale alla morte.
Invece, il problema più grosso e che si arriva al default con la predisposizione alla tolleranza per questo modo di vivere, con l’abitudine alla puzza di merda, non si potrà mai ripartire seriamente, ma solo rimanere in un lunghissimo stato di coma profondo.
Negli ultimi giorni, su queste pagine, si è variamente vagheggiata la catarsi. Provocazione? No, nessuna provocazione, solo la serena consapevolezza che un nuovo paese può nascere solo se non ci sarà più abitudine ad un certo genere di cose.
Forse, fra un certo numero di generazioni, gli italiani saranno così educati dal punto di vista civico, che non sarà più il terrore di essere puniti severamente a farne dei bravi cittadini, ma la consapevolezza che una società stabile e serena è un investimento vantaggioso per tutti.
Fino ad allora, però, quando serve la severità della pena deve rappresentare il baluardo che obbliga a non oltrepassare certi limiti.
Questo vale per tutti: per questa classe politica che va completamente estirpata dalla storia di questa nazione, per i giornalisti e gli intellettuali che hanno servito per decenni un sistema degenerato, per gli “imprenditori” che hanno munto la vacca fino a farne sanguinare le mammelle, per “i comuni cittadini” che hanno evaso le tasse, lucrato sulle pieghe del sistema e approfittato della fiducia che, ingenuamente, gli era stata concessa.
Niente chiacchiere, quindi, ma una vera e propria guerra civile tra chi vuole una nazione da costruire e chi vuole solo una tavola a cui sedersi per mangiare. O gli uni o gli altri. In questo mondo non c’è spazio per tutte e due le categorie.
Abbiamo poco tempo per deciderci. Poco tempo per arrotolarci le maniche e iniziare a rimettere in riga il paese e chi, dopo aver lucrato, vorrà cambiare e collaborare. Chi vuole continuare a mungere deve andarsene. Se rimane qui avrà diritto al suo spazio. Una cella di tre metri per tre se non sono io a decidere, ma se toccasse a me ho un’idea che riduce gli spazi necessari e sfrutta anche il sottosuolo.
Aspettare per vedere.
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