C’è un paese nel cuore di quest’Europa sofferente che se la cava meglio degli altri. Il suo deficit pubblico è in netto miglioramento: era del 4,6 nel 2010, è del 3,6 nel 2011, sarà del 2,8 nel 2012. La sua crescita è superiore alla media: nel 2010 era stata del 2 per cento contro l’1,7 della zona euro, nel primo trimestre di quest’anno è stata dell’1 per cento contro lo 0,8 e il trend continua. Crolla la Grecia, trema l’Italia, persino la Francia sente franare il terreno sotto i piedi e la Germania cammina sulle uova. Ma il Belgio no, offre cifre virtuose e comportamenti diligenti. Quelli della Standard&Poor’s sono frustrati: avevano pronto il pollice verso, ma hanno dovuto rimettere la mano in tasca. Qual è il segreto del Belgio? Semplice, vien da dire: è senza governo dalla bellezza di 452 giorni. Una vacanza di potere che neanche l’Iraq dopo la guerra, che ce ne mise 289 per formare un esecutivo. Il Belgio è dunque acefalo, ma non per questo paralizzato. Nessun ictus istituzionale, nessuna paresi della macchina pubblica, nessun meccanismo fuori controllo. Le pensioni vengono regolarmente pagate, le immondizie puntualmente (quasi) raccolte, i malati normalmente curati e rimborsati, l’ordine pubblico decentemente garantito. I treni sono un po’ in ritardo, ma questo da sempre. Che il buon governo corrisponda a nessun governo?
In verità un governo c’è, guidato dal signor Yves Leterme. Sta lì dal 13 giugno del 2010, che fu giorno di elezioni politiche. Avrebbe dovuto curare gli “affari correnti” per qualche settimana in attesa di un esecutivo pienamente politico, figlio legittimo delle urne. Come si sa, la situazione s’imballò: nelle Fiandre il partito separatista fiammingo N-Va aveva sfiorato il 30 per cento, e gli altri non trovavano un punto di mediazione. Mentre Yves Leterme fungeva da “reggente”, si apriva un negoziato parallelo che dura tuttora, affidato all’intelligenza politica di Elio Di Rupo, socialista vallone di origini italiane. Sotto la sua guida, ogni tanto si ritrovano attorno ad un tavolo otto leader di partito. Senza fretta, per carità.
La settimana scorsa, per esempio, la riunione è saltata perché il verde Jean Michel Javaux, che è anche sindaco dell’amena cittadina di Amay, doveva imperativamente partecipare al consiglio comunale: si trattava di votare l’acquisto di una nuova macchina per i vigili e di un nuovo computer, mica bubbole. Di Rupo ha ancora una mesetto per concludere. Dopodiché, o partorisce un nuovo esecutivo di cui sarà il primo ministro (il primo vallone francofono da 32 anni a questa parte, e anche il primo omosessuale dichiarato al vertice di un paese europeo), oppure si torna alle urne.
Come si vede, non è che manchi il governo in senso stretto. Manca piuttosto il gioco politico dei partiti, confinato da un anno e mezzo nella stanza degli otto leader. Di conseguenza manca il conflitto parlamentare in tutta la sua gloria, che in Italia conosciamo bene. La reggenza di Yves Leterme sarà anche un vulnus per la democrazia belga, ma comporta alcuni vantaggi. Primo: le spese ministeriali sono ridotte al minimo. Secondo: il primo ministro reggente lavora al riparo dalle baruffe parlamentari tra valloni e fiamminghi, può quindi operare in base al buonsenso e non al punto minimo di mediazione. Terzo: lo stesso Leterme è esentato dall’adozione di misure di carattere elettoralistico, e ha potuto presentare una finanziaria non inquinata (per intendersi, priva di assatanati emendamenti localistici o corporativi: anche questi in Italia li conosciamo bene).
Nel contempo il premier può svolgere senza patemi i compiti di competenza del governo federale, reggente o meno che sia: ha presieduto l’Unione europea nel secondo semestre dell’anno scorso, e ha anche spedito qualche F-16 in Libia con l’approvazione unanime del parlamento.Esteri e difesa, infatti, come la sicurezza sociale, il 95 per cento della fiscalità, gli indirizzi economici, le telecomunicazioni, insomma tutto ciò che tocca l’“interesse nazionale”, è di competenza del governo centrale. Il resto, è bene sapere, è affidato ad altri cinque governi, regionali e comunitari. È il federalismo che tiene in piedi il corpaccione belga, o quantomeno che gli assicura un’agevole sopravvivenza da 452 giorni. Non lo mette al riparo, invece, da una possibile evaporazione statuale e politica di tipo jugoslavo, pur in assenza di conflitto armato. Evitarlo sarebbe compito delle forze politiche, per ora in naftalina. Ma questa è un’altra storia, né amministrativa né contabile.
In verità un governo c’è, guidato dal signor Yves Leterme. Sta lì dal 13 giugno del 2010, che fu giorno di elezioni politiche. Avrebbe dovuto curare gli “affari correnti” per qualche settimana in attesa di un esecutivo pienamente politico, figlio legittimo delle urne. Come si sa, la situazione s’imballò: nelle Fiandre il partito separatista fiammingo N-Va aveva sfiorato il 30 per cento, e gli altri non trovavano un punto di mediazione. Mentre Yves Leterme fungeva da “reggente”, si apriva un negoziato parallelo che dura tuttora, affidato all’intelligenza politica di Elio Di Rupo, socialista vallone di origini italiane. Sotto la sua guida, ogni tanto si ritrovano attorno ad un tavolo otto leader di partito. Senza fretta, per carità.
La settimana scorsa, per esempio, la riunione è saltata perché il verde Jean Michel Javaux, che è anche sindaco dell’amena cittadina di Amay, doveva imperativamente partecipare al consiglio comunale: si trattava di votare l’acquisto di una nuova macchina per i vigili e di un nuovo computer, mica bubbole. Di Rupo ha ancora una mesetto per concludere. Dopodiché, o partorisce un nuovo esecutivo di cui sarà il primo ministro (il primo vallone francofono da 32 anni a questa parte, e anche il primo omosessuale dichiarato al vertice di un paese europeo), oppure si torna alle urne.
Come si vede, non è che manchi il governo in senso stretto. Manca piuttosto il gioco politico dei partiti, confinato da un anno e mezzo nella stanza degli otto leader. Di conseguenza manca il conflitto parlamentare in tutta la sua gloria, che in Italia conosciamo bene. La reggenza di Yves Leterme sarà anche un vulnus per la democrazia belga, ma comporta alcuni vantaggi. Primo: le spese ministeriali sono ridotte al minimo. Secondo: il primo ministro reggente lavora al riparo dalle baruffe parlamentari tra valloni e fiamminghi, può quindi operare in base al buonsenso e non al punto minimo di mediazione. Terzo: lo stesso Leterme è esentato dall’adozione di misure di carattere elettoralistico, e ha potuto presentare una finanziaria non inquinata (per intendersi, priva di assatanati emendamenti localistici o corporativi: anche questi in Italia li conosciamo bene).
Nel contempo il premier può svolgere senza patemi i compiti di competenza del governo federale, reggente o meno che sia: ha presieduto l’Unione europea nel secondo semestre dell’anno scorso, e ha anche spedito qualche F-16 in Libia con l’approvazione unanime del parlamento.Esteri e difesa, infatti, come la sicurezza sociale, il 95 per cento della fiscalità, gli indirizzi economici, le telecomunicazioni, insomma tutto ciò che tocca l’“interesse nazionale”, è di competenza del governo centrale. Il resto, è bene sapere, è affidato ad altri cinque governi, regionali e comunitari. È il federalismo che tiene in piedi il corpaccione belga, o quantomeno che gli assicura un’agevole sopravvivenza da 452 giorni. Non lo mette al riparo, invece, da una possibile evaporazione statuale e politica di tipo jugoslavo, pur in assenza di conflitto armato. Evitarlo sarebbe compito delle forze politiche, per ora in naftalina. Ma questa è un’altra storia, né amministrativa né contabile.