L’interminabile agonia politica del suo governo è già costata a Silvio Berlusconi più di un miliardo di euro. A tanto ammonta la perdita di valore in Borsa delle quote azionarie del premier in Mediaset e Mondadori negli ultimi nove mesi. Cioè da quando, il 14 dicembre scorso, il governo riuscì a salvarsi in Parlamento grazie ai voti di Scilipoti e compagnia. Da allora intercettazioni a luci rosse, scandali sessuali, processi e manovre finanziarie a vanvera hanno fatto precipitare la già scarsa credibilità del premier-imprenditore tra gli investitori internazionali.
In questi giorni la fiducia, misurata con il termometro del mercato azionario è precipitata al minimo storico. Da quando è sbarcata in Borsa, nell’ormai lontano luglio del 1996, la quotazione di Mediaset non era mai caduta così in basso. Ai bei tempi tra il 2005 e il 2006, quando la bolla finanziaria assicurava grassi profitti a tutti, i titoli viaggiavano tra i 9 e i 10 euro.
Ieri invece le azioni del gruppo televisivo hanno chiuso la seduta borsistica con un ribasso del 6,9 per cento a 2,18 euro (e questa mattina Mediaset perde ancora). Significa che la quota di proprietà di Berlusconi, pari al 40 per cento circa del capitale di Mediaset, vale ormai poco meno di un miliardo, per l’esattezza 995 milioni. Il giorno del fatidico sì di Scilipoti quella medesima quota aveva fatto segnare un prezzo di 2,1 miliardi. Poi c’è Mondadori che nello stesso arco di tempo si è ristretta del 40 per cento. Un ribasso che si traduce in una perdita (per ora solo teorica) di 140 milioni nei bilanci della holding Fininvest.
Brutta storia di sicuro per il Cavaliere, che però, nonostante il crollo delle quotazioni, continua a navigare nell’oro e a comandare nelle aziende di famiglia. La musica è diversa per i risparmiatori che hanno avuto la sfortunata idea di puntare i loro soldi sulle società berlusconiane. Negli ultimi 12 mesi il titolo Mediaset ha perso quasi il 60 per cento. In altre parole, 10 mila euro investiti a settembre del 2010 adesso sono diventati poco più di 4 mila. È vero, nel frattempo tutto il mercato azionario si è ristretto. E di molto. Nell’ultimo anno però l’indice di Borsa è arretrato solo (si fa per dire) del 34 per cento contro il 60 per cento di Mediaset.
Il fatto è che gli investitori sono sempre più pessimisti. Temono che la debolezza del governo Berlusconi e la sua eventuale prossima caduta si traducano in un colpo pesante per gli affari del premier. E così il fattore B adesso è diventato un boomerang. Il conflitto d’interessi che in passato aveva garantito il successo delle aziende targate Fininvest ora le condanna a una spirale di ribassi in Borsa. Lo scenario futuro, in effetti, appare tutt’altro che rassicurante. Con il Pdl all’opposizione niente più leggi ad azienda come la famigerata Gasparri, giusto per ricordare il caso più clamoroso. Ma per fare un altro esempio si può citare la norma, varata un anno fa, che ha consentito a Mondadori di estinguere una sua vertenza fiscale pagando solo il 5 per cento di quanto preteso dall’Erario. Un obolo di soli 8,6 milioni, come denuncia il senatore del Pd, Giuliano Barbolini, contro i 173 milioni pretesi dall’Agenzia delle Entrate.
Mediaset, in effetti, non se la passa granché bene già per i fatti suoi. La crisi economica frena gli investimenti pubblicitari, che sono la benzina delle televisioni. E allora ricavi e profitti non corrono più come una volta. L’ultima semestrale di Mediaset ha deluso gli analisti e le prospettive per quest’anno non sono esaltanti. Discorsi simili, però, valgono anche per gli altri grandi gruppi del settore media, come la Rcs Corriere della Sera o L’Espresso. E infatti entrambi i titoli hanno perso molto terreno in Borsa. Per loro, però, il ribasso nell’arco di un anno è compreso tra il 30 per cento (Espresso) e il 41 (Rcs). Mediaset invece è crollata del 60 per cento. A fare la differenza è il fattore B.
In questi giorni la fiducia, misurata con il termometro del mercato azionario è precipitata al minimo storico. Da quando è sbarcata in Borsa, nell’ormai lontano luglio del 1996, la quotazione di Mediaset non era mai caduta così in basso. Ai bei tempi tra il 2005 e il 2006, quando la bolla finanziaria assicurava grassi profitti a tutti, i titoli viaggiavano tra i 9 e i 10 euro.
Ieri invece le azioni del gruppo televisivo hanno chiuso la seduta borsistica con un ribasso del 6,9 per cento a 2,18 euro (e questa mattina Mediaset perde ancora). Significa che la quota di proprietà di Berlusconi, pari al 40 per cento circa del capitale di Mediaset, vale ormai poco meno di un miliardo, per l’esattezza 995 milioni. Il giorno del fatidico sì di Scilipoti quella medesima quota aveva fatto segnare un prezzo di 2,1 miliardi. Poi c’è Mondadori che nello stesso arco di tempo si è ristretta del 40 per cento. Un ribasso che si traduce in una perdita (per ora solo teorica) di 140 milioni nei bilanci della holding Fininvest.
Brutta storia di sicuro per il Cavaliere, che però, nonostante il crollo delle quotazioni, continua a navigare nell’oro e a comandare nelle aziende di famiglia. La musica è diversa per i risparmiatori che hanno avuto la sfortunata idea di puntare i loro soldi sulle società berlusconiane. Negli ultimi 12 mesi il titolo Mediaset ha perso quasi il 60 per cento. In altre parole, 10 mila euro investiti a settembre del 2010 adesso sono diventati poco più di 4 mila. È vero, nel frattempo tutto il mercato azionario si è ristretto. E di molto. Nell’ultimo anno però l’indice di Borsa è arretrato solo (si fa per dire) del 34 per cento contro il 60 per cento di Mediaset.
Il fatto è che gli investitori sono sempre più pessimisti. Temono che la debolezza del governo Berlusconi e la sua eventuale prossima caduta si traducano in un colpo pesante per gli affari del premier. E così il fattore B adesso è diventato un boomerang. Il conflitto d’interessi che in passato aveva garantito il successo delle aziende targate Fininvest ora le condanna a una spirale di ribassi in Borsa. Lo scenario futuro, in effetti, appare tutt’altro che rassicurante. Con il Pdl all’opposizione niente più leggi ad azienda come la famigerata Gasparri, giusto per ricordare il caso più clamoroso. Ma per fare un altro esempio si può citare la norma, varata un anno fa, che ha consentito a Mondadori di estinguere una sua vertenza fiscale pagando solo il 5 per cento di quanto preteso dall’Erario. Un obolo di soli 8,6 milioni, come denuncia il senatore del Pd, Giuliano Barbolini, contro i 173 milioni pretesi dall’Agenzia delle Entrate.
Mediaset, in effetti, non se la passa granché bene già per i fatti suoi. La crisi economica frena gli investimenti pubblicitari, che sono la benzina delle televisioni. E allora ricavi e profitti non corrono più come una volta. L’ultima semestrale di Mediaset ha deluso gli analisti e le prospettive per quest’anno non sono esaltanti. Discorsi simili, però, valgono anche per gli altri grandi gruppi del settore media, come la Rcs Corriere della Sera o L’Espresso. E infatti entrambi i titoli hanno perso molto terreno in Borsa. Per loro, però, il ribasso nell’arco di un anno è compreso tra il 30 per cento (Espresso) e il 41 (Rcs). Mediaset invece è crollata del 60 per cento. A fare la differenza è il fattore B.