I big dell’opposizione, da Casini a Di Pietro, da Vendola a Bersani, s’interrogano sulla destrezza del Cav nello schivare le trappole della democrazia parlamentare - ha affrontato cinquantuno voti di fiducia ed ha subito ben 91 bocciature su altrettanti provvedimenti proposti dal governo - ed è rimasto a galla, irridendo gli avversari per la loro pochezza.
Trovare la risposta ai successi, pur effimeri, del premier non è facile, perché si tratta di moventi multipli, è il caso perciò di esplorare le condizioni peculiari del contesto politico, che rendono inattaccabile, o quasi, in Parlamento, Silvio Berlusconi.
Alla longevità politica del Cav non si può rispondere solo con un’analisi tradizionale sugli equilibri di potere, il bipolarismo imperfetto, i lasciti della Prima Repubblica. Forse non c’entrano niente il governo, la coalizione, il centrodestra, il Pdl e l’alleato fedele leghista, e nemmeno le “seduzioni” di Denis Verdini che riesce a corrispondere ai desideri degli incerti con indubbia bravura.
Silvio Berlusconi non può andarsene come un qualunque uomo politico. Egli assume decisioni o le rinvia sulla base di elementi che sfuggono alla logica cui siamo abituati: non giudica il presente ed il futuro del partito che capeggia, non analizza la salute della coalizione cui appartiene, non è interessato alla sorte della destra o centrodestra. La sua controparte è l’avversario che può spogliarlo dei suoi averi e della sua libertà.
Silvio Berlusconi non può fare alcun passo indietro fino a che il passo indietro significa perdere gli uni o l’altra o entrambi. Chi è sul ciglio dell’abisso e viene invitato ad arretrare di un passo, sapendo che esso segnerà la sua fine, resta incollato al terreno e non si smuove. Anzi, fa di tutto per evitare quel passo. I mezzi, gli strumenti, le iniziative saranno tutti valide; ogni iniziativa diverrà praticabile, ogni azione, spregiudicata o scorretta che sia, verrà presa in considerazione pur di non arretrare.
Fino a quando potrà restare in bilico, ad un passo dall’abisso?
Fino al momento in cui gli sarà dato di trovare un’alternativa, di contrattare l’uscita, di conoscere dove lo condurrebbe il viale del tramonto. Potrebbe “lasciare” o accomodarsi “di lato”, come suggerisce Roberto Maroni, se ci fosse un impegno che lo tuteli dai pericoli che incombono.
L’exit strategy passa dunque attraverso garanzie politiche e giudiziarie. Con le prime egli intende salvare il suo impero economico, la Fininvest, dagli agguati dei suoi successori; con le seconde, intende avere la sicurezza di risolvere i suoi rapporti con la magistratura inquirente e con la magistratura giudicante. Sono in piedi indagini, inchieste e processi. Ci sono filoni d’indagine e procedimenti che potrebbero condurlo alle porte del carcere.
Ma chi mai potrebbe dargli queste garanzie? E’ accaduto che il premier contrattasse con l’opposizione il conflitto d’interesse o la tutela del suo network, ma allora c’era ben poco in ballo, sarebbe bastato accordarsi con il capo dell’opposizione, il più influente e rappresentativo. Ora non è più possibile.
Quanto alle vicende giudiziarie, le Procure coinvolte nelle inchieste e nei processi sono tante, troppe, perché si possa usare la moral suasion.
Occorrerebbe una sorta di impunità ad personam. L’impossibile.
La condizione straordinaria di Silvio Berlusconi non è l’unica ragione dell’empasse. L’altra, legata ancora una volta al premier, ma “estranea” a lui, perché regolata da norme, riguarda il rapporto fra i parlamentari e i capipartito. Silvio Berlusconi, al pari dei leaders degli altri partiti, grazie ad una legge elettorale indecente, può ottenere ciò che vuole dal deputato o il senatore in carica. Lo ha scelto e fatto eleggere. Una nomina, che potrà essere ripetuta a condizione che il nominato abbia dimostrato una fedeltà assoluta.
Silvio Berlusconi, dunque, una potenza di fuoco immensa: controlla un impero economico (assicurazioni, banche, informazione, cinema, settore immobiliare ecc), l’esecutivo e la maggioranza del Parlamento. Tutto questo non basta per governare il Paese, ma basta per proteggere se stesso e i suoi capitali da qualunque agguato, legislativo o giudiziario con un esercito di avvocati-parlamentari.
Se cambiano gli equilibri e la fase di transizione non può essere controllata, direttamente o attraverso persone di assoluta fiducia, può crollare tutto, come un castello di carta.
L’empasse sta proprio qui: il passo indietro può avvenire solo se si realizzano condizioni che, sulla carta, sono impossibili da ottenere.