giovedì 20 ottobre 2011

Borse in calo dopo vertice Sarkozy-Merkel Milano a -1,63%. Vola lo spread a 395.






Alta tensione sui titoli di stato: il differenziale tra Btp decennali e Bund tedeschi è a quota 395, dopo aver chiuso ieri a 384 punti. I titoli di Stato italiani sono di nuovo sotto pressione con il rendimento del Btp decennale che vola al 5,96%, raggiungendo i livelli di inizio agosto, ossia prima degli acquisti della Bce. Sale anche lo spread tra i titoli francesi e quelli tedeschi a 119 punti base (record storico) e quello tra i ‘bonos’ spagnoli e i bund è a 337 punti.

I listini del Vecchio Continente hanno aperto in calo, influenzati da diversi fattori: in primis i colloqui ancora in fase di stallo tra Francia e Germania per trovare delle soluzioni alla crisi, nonostante il vertice di emergenza di ieri a Francoforte. L’intento era quello di arrivare a una decisione definitiva prima del vertice Ue di domenica. La Francia chiede più potere per il fondo “salva-stati”, mentre la Germania propone prima di tutto di avviare una modifica dei trattati europei. Piazza Affari apre in netto calo: l’indice Ftse Mib cede in avvio l’1,57% a 16.036 punti e poi peggiora perdendo l’1,63%. Le perdite più decise colpiscono nelle prime battute Prysmian (-3,46%), Fiat Industrial (-2,32%) e Fiat (-2,27%) e Tenaris (-2,25%). Male il comparto bancario, in controtendenza c’è solo la Bpm che registra un progresso dello 0,79% a 1,787 euro. Sabato l’assemblea è chiamata ad approvare la nuova governance duale, mentre resta aperto il duello Bonomi-Arpe. Rimbalzano dopo il rally di ieri, Intesa Sanpaolo a 1,30 euro (-2,62%) e Unicredita 0,9445 (-1,77%). In rosso anche Ubi Banca a 3,07 (-1,92%), Mps a 0,388 (-1,87%), Banco Popolare a 1,209 (-1,63%), Bper a 6,25 (-1,50%) e Mediobanca a 6,025 (-1,31%). Tutti i titoli del paniere principale sono in calo.

Giù dell’1,4% il Dax di Francoforte e dell’1,2% il Cac 40 di ParigiMadrid perde l’1,2% eAmsterdam l’1,23%. Peril quarto giorno consecutivo, la Borsa di Atene ha aperto in ribasso, registrando un -1,45%, con l’Indice Generale a 730,18 punti. Continueranno anche per oggi, secondo Eurobank, le condizioni di instabilità in vista del voto sulle misure di austerità da parte del Parlamento in programma per questa sera. Non si esclude che l’approvazione in prima lettura del disegno di legge, avvenuta ieri sera, possa essere considerata dagli investitori come un segnale positivo.

Seduta pesante anche per i listini asiatici, dopo i decisi cali di Wall Street nella notte a seguito della cautela espressa dalla Federal Reserve per l’economia americana. Tra le blue chip dell’area, il colosso estrattivo Bhp ha lasciato il 2,5% a Sydney, seguendo il calo delle quotazioni delle principali materie prime. Newcrest Mining, maggior miniera d’oro australiana, ha lasciato sul terreno il 6,4%. L’andamento degli indici di riferimento è negativo: Tokyo -0,71%, Hong Kong -2,79% (in corso), Shanghai -1,94% (punto più basso da marzo del 2009), Taiwan -1,48%, Seul -2,70%, Sydney -1,63%, Singapore -1,20% (in corso) e Bangkok -3,09%.

Bankitalia, arriva Bini Smaghi. Il candidato che scontenta tutti.



Oggi Berlusconi indica il governatore: se il nome sarà il suo, il direttorio di via Nazionale sarà spinto alle dimissioni. Saccomanni e Visco pronti a lasciare per protesta.


La vicenda Bankitalia sta finendo nel modo più temuto: con una nomina affrettata, imposta dalle scadenze più che dalla convinzione che spaccherà l’istituto di via Nazionale. Il premier Silvio Berlusconi ha comunicato che oggi manderà al consiglio superiore della Banca d’Italia la lettera con il nome su cui chiedere il parere, così che il consiglio superiore di via Nazionale possa esprimersi lunedì. Quel nome è ancora formalmente segreto, ma ieri nei palazzi romani la certezza era quasi assoluta: Lorenzo Bini Smaghi.

Da mesi, in via Nazionale, al Quirinale, al ministero dell’Economia, si voleva evitare il vicolo in cui si è infilato il governo. A Francoforte, ieri, si è celebrato l’addio a Jean-Claude Trichet che dopo otto anni lascia la presidenza della Banca centrale europea a Mario Draghi. Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha dovuto incassare l’umiliazione diplomatica di vedere ancora due italiani sulle poltrone più alte, Draghi a ricevere da Trichet la campanella rituale che apre le riunioni, e Bini Smaghi ancora membro del direttivo della Bce. Nonostante una telefonata con l’Eliseo a giugno, nonostante le promesse di Berlusconi a Parigi, Bini Smaghi non ha ancora lasciato spazio a un francese, così da rispettare gli equilibri di nazionalità al vertice dell’istituto di Francoforte. Non è obbligato, ma i rapporti di forza tra Paesi lo richiedono. Ed è ormai unanime convinzione che – ancora una volta – il banchiere fiorentino stia cercando di capitalizzare al meglio l’imbarazzo che può causare al governo per conquistarsi una poltrona all’altezza di quella che dovrà lasciare.

Se il nome di Bini Smaghi sarà quello nella lettera di Berlusconi alla Banca d’Italia, molte delle tensioni di questi mesi esploderanno. Soprattutto dentro via Nazionale. La struttura della Banca d’Italia non ha gradito il protagonismo di Bini Smaghi che, prima dell’estate, aveva quasi messo in discussione la promozione di Draghi alla Bce, per la quale in Bankitalia c’era un tifo unanime e convinto, visto che sancisce l’autorevolezza e il prestigio europeo dell’istituzione, oltre che quella personale del governatore . Ora Bini Smaghi è riuscito a fare di peggio, anche nel remoto caso in cui non dovesse essere nominato: ha trasformato la carica di governatore in una merce nel suk della politica, una casella la cui funzione fondamentale è liberarne un’altra.

Certo, parte della responsabilità è anche del ministro Giulio Tremonti che ha insistito fino all’ultimo per il suo candidato, il direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli (che ieri era a Bruxelles, ormai fuori dai giochi). E in parte anche di Mario Draghi, che ha fatto una campagna di sostegno forse troppo palese per il suo braccio destro, il direttore generale di Bankitalia Fabrizio Saccomanni. Ma Bini Smaghi ha fatto molto da solo: si è addirittura paragonato a san Tommaso Moro, giustiziato per la propria indipendenza da Enrico VIII, eccesso retorico culmine di una stagione di presenzialismo mediatico lontano dallo stile riservato della Banca d’Italia, dove pure Bini Smaghi ha lavorato prima di passare al ministero del Tesoro e alla Bce.

Se Bini Smaghi oggi sarà il candidato governatore, in via Nazionale le cose cambieranno in modo traumatico. L’attuale numero due, Saccomanni, si dimetterà all’istante. Il vicedirettore generale,Ignazio Visco, aspetterà un poco soltanto per rispetto istituzionale verso il Quirinale che firma il decreto di nomina. Potrebbero lasciare anche gli altri due membri della prima linea, Giovanni Carosio e Anna Maria Tarantola, seguiti da altri dirigenti apicali. L’arrivo di Bini Smaghi, di cui nessuno contesta le competenze ma tutti lo stile, rischia di quindi di chiudere la parentesi di quiete inaugurata da Mario Draghi nel 2006, pacificatore dopo il trauma più grave nella storia dell’istituto, la fine ingloriosa di Antonio Fazio in seguito all’estate delle scalate bancarie nel 2005.

C’è solo un dettaglio che può spiegare perché, a poche ore dall’invio della lettera, ancora non ci fosse certezza. I leader dell’opposizione, Pier Luigi Bersani (Pd) e Pier Ferdinando Casini(Udc) hanno chiesto ieri “rispetto dell’autonomia” di Bankitalia e “valorizzazione delle competenze interne”, cioè la nomina di Saccomanni o Visco. E’ un messaggio al Quirinale che, prima di dare il via libera, deve tener conto del consenso attorno al nome. E sapendo che la legislatura è ormai morente, avallare una successione osteggiata da chi potrebbe stare al governo tra pochi mesi non è proprio il massimo.

Il governo si taglia i tagli: ministri e sottosegretari rimborsati dal Fisco.




Un decreto dell'anno scorso decurtava gli stipendi pubblici superiori a 90 mila euro, a partire da gennaio 2011. Ma ora, rivela "Italia Oggi", una circolare del dicastero dell'Economia spiega che i membri dell'esecutivo sono esclusi, in quanto "non dipendenti". Le trattenute saranno quindi restituite "con la mensilità di novembre"
A sentirla pare una notizia inventata dall’ufficio propaganda degli indignati: in piena crisi, tra manovre lacrime e sangue e in attesa del decreto sviluppo, lo Stato restituisce soldi ai membri del governo. A raccontarlo, e a documentarlo, è invece Italia OggiIl quotidiano economico riporta una circolare del ministero dell’Economia, che dispone, appunto, la restituzione di quanto è stato trattenuto dalle “paghe” di ministri e sottosegretari in base ai tagli decisi l’anno scorso suglio stipendi pubblici più alti.

Il decreto legge 78 del 2010, che conteneva misure di “stabilizzazione finanziaria”, prevedeva che dal primo gennaio 2011 al 31 dicembre 2013 le retribuzioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni superiori a 90.000 euro lordi annui fossero ridotti del 5 per cento per la parte oltre il “tetto”, e del 10 per cento per la parte superiore ai 150 mila euro.

La riduzione è quindi entrata in vigore e ha pesato sugli stipendi degli statali dall’inizio dell’anno a oggi, ministri, viceministri e sottosegretari compresi. Ma ora, rivela Italia Oggi, la circolare numero 150 del l’11 ottobre 2011, diramata dalla direzione centrale dei sistemi informativi e dell’innovazione del Ministero dell’economia, spiega che chi siede al governo “ricopre una carica politica e non è titolare di un rapporto di lavoro dipendente”. Quindi a ministri e sottosegretari va restituito tutto quello che il fisco ha trattenuto quest’anno. Il rimborso arriverà a stretto giro di posta: “Sulla mensilità di novembre 2011”, promette la circolare, “si darà corso al rimborso di quanto trattenuto”.

E’ lo stesso quotidiano a bollare la vicenda come “un inghippo legale, ma scandaloso”. E infatti l’indignazione monta in Rete, a mano a mano che la notizia viene ripresa dai siti e blog. Data l’aria che tira, checché dicano le norme, è difficile mandare giù il paradosso che a essere rimborsati siano proprio quelli che decidono i tagli, e tutti gli altri paghino. Qualcuno si rifugia nell’ironia: se i ministri non sono dipendenti, significa che sono “precari”.

Il ministero dell’Economia, interpellato da ilfattoquotidiano.it, fa sapere che sta “procedendo alle verifiche”.

Sublime!

mercoledì 19 ottobre 2011

Cacciate Berlusconi dal governo.



Silvio Berlusconi non è solo una catastrofe per l’Italia, ma sta diventando anche un serio pericolo per l’euro.



Silvio Berlusconi non è solo una catastrofe per l’Italia, ma sta diventando anche un serio pericolo per l’euro. A questo punto la Germania e la Francia dovrebbero costringerlo a dimissioni immediate.
Dobbiamo cacciare via Silvio Berlusconi dal potere, e subito.
Berlusconi è stato un danno per l’Italia sin dall’inizio. È entrato in politica soprattutto per tutelare se stesso e i suoi fedelissimi dai processi legali. Si è ritagliato leggi su misura per proteggere gli interessi delle sue imprese. Si è lasciato sfuggire l’occasione di modernizzare economicamente il paese. E continua a danneggiare la reputazione dell’Italia con le sue scappatelle sessuali e le sue imbarazzanti barzellette.
Più lento ed imprevedibile
Questi due decenni, in cui il panorama politico italiano è stato dominato da Berlusconi, sono stati quindi anni persi per il paese. L’economia italiana è molto meno dinamica oggi che nel 1992. Il sistema giuridico è ancora più lento e imprevedibile. La disoccupazione giovanile è aumentata nuovamente. Il nord e il sud sono ancora più distanti. La Mafia, la Camorra e la ‘Ndrangheta sono sempre più potenti. Nemmeno le tasse sono diminuite in maniera apprezzabile per l’italiano medio.
Berlusconi è stato quindi sin dall’inizio una catastrofe per il suo paese. La situazione durante questi ultimi anni è talmente peggiorata, che la sua ulteriore permanenza ora causerebbe danni immediati ed irreparabili. Poiché negli ultimi mesi l’Italia è caduta in una profonda crisi economica. Senza un governo determinato, che con mano saggia eviti una bancarotta, Roma tra poco diventerà la nuova Atene – e trasformerà l’euro in carta straccia, dato che nemmeno il fondo di stabilità europeo con tutti gli ulteriori finanziamenti concessi fino a ieri, sarebbe in grado di sostenere una bancarotta italiana.
Proprio durante questi mesi critici, Berlusconi si è permesso di nuovo il lusso di trovarsi al centro di clamorosi scandali sessuali, invischiato in difficoltà con la giustizia e in fondamentale contrasto con la sua coalizione al governo. A titolo di esempio: nelle stesse settimane, in cui Standard & Poor’s declassava la solvibilità dell’Italia, è stato reso noto che, Berlusconi si vantava, di dedicarsi al suo mandato politico solo nel tempo libero – cioé in quelle poche ore, in cui non era impegnato con le sue “pupe”. Nessuna meraviglia se poi i mercati finanziari si fidano poco di lui. Se gli astuti artisti della finanza oggi scommettono che l’Italia finirà presto indebitata fino al collo, questo dipende solo dal fatto che al potere continua ad esserci Berlusconi.
La Merkel e Sarkozy dovrebbero costringere Berlusconi a rassegnare le dimissioni
L’unica speranza per l’Italia e per l’euro perciò è una rapida sostituzione di Berlusconi con un Presidente del Consiglio al di sopra delle parti. Qualcuno come Mario Draghi, il governatore della Banca d’Italia, che sia capace e propenso a rischiare i passi necessari per l’abbattimento del debito pubblico e per la ripresa economica.
Ma Berlusconi, del cui operato frattanto neanche un quarto degli italiani si dichiara soddisfatto, non si dimetterà di sua iniziativa. E siccome il suo partito è diventato un’associazione elettorale capeggiata da un dittatore da quattro soldi – e molti deputati eletti percepiscono un doppio stipendio in quanto assunti proprio nei quotidiani e nelle imprese di Berlusconi – l’impulso per un suo abbandono dell’incarico dovrà venire per forza dall’esterno.
Per fortuna si prevede uno scenario semplice. Per il momento l’Italia può farsi prestare denaro solo in caso di necessità, poiché la BCE acquista titoli di stato italiani per miliardi di euro. Per cacciare Berlusconi dal potere, tutti i capi di governo degli altri paesi dell’eurozona dovrebbero solo chiedere pubblicamente le sue dimissioni. In alternativa, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy dovrebbero costringere gli altri partner europei a rifiutarsi di acquistare altri titoli di stato italiani.
Berlusconi è una bomba ad orologeria
Ma questa intromissione, ammettiamolo, drastica non solo è giustificata in quanto un bene per l’Italia, ma non sarebbe che la logica conseguenza di ciò che adesso è nell’interesse immediato dei singoli paesi della zona euro, ossia tagliar fuori dalla scena politica Berlusconi nel più breve tempo possibile.
Finora sono stati gli elettori italiani a doversi vergognare per aver tollerato così a lungo Berlusconi. Ma se non ci diamo da fare in fretta, a breve avremo anche noi seri motivi per vergognarci, ma soprattutto dovremo pagarne le conseguenze, poiché Berlusconi è una bomba ad orologeria per l’euro e uno sgretolamento dell’euro sarebbe fatale anche per l’economia tedesca.
[Articolo originale "Jagt Berlusconi aus dem Amt" di Yascha Mounk]

Il passo indietro è impossibile. Il Cav perderebbe tutto: governo, parlamento, Fininvest. E magari finirebbe in galera.

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I big dell’opposizione, da Casini a Di Pietro, da Vendola a Bersani, s’interrogano sulla destrezza del Cav nello schivare le trappole della democrazia parlamentare - ha affrontato cinquantuno voti di fiducia ed ha subito ben 91 bocciature su altrettanti provvedimenti proposti dal governo - ed è rimasto a galla, irridendo gli avversari per la loro pochezza.

Trovare la risposta ai successi, pur effimeri, del premier non è facile, perché si tratta di moventi multipli, è il caso perciò di esplorare le condizioni peculiari del contesto politico, che rendono inattaccabile, o quasi, in Parlamento, Silvio Berlusconi.

Alla longevità politica del Cav non si può rispondere solo con un’analisi tradizionale sugli equilibri di potere, il bipolarismo imperfetto, i lasciti della Prima Repubblica. Forse non c’entrano niente il governo, la coalizione, il centrodestra, il Pdl e l’alleato fedele leghista, e nemmeno le “seduzioni” di Denis Verdini che riesce a corrispondere ai desideri degli incerti con indubbia bravura.



Silvio Berlusconi non può andarsene come un qualunque uomo politico. Egli assume decisioni o le rinvia sulla base di elementi che sfuggono alla logica cui siamo abituati: non giudica il presente ed il futuro del partito che capeggia, non analizza la salute della coalizione cui appartiene, non è interessato alla sorte della destra o centrodestra. La sua controparte è l’avversario che può spogliarlo dei suoi averi e della sua libertà.

Silvio Berlusconi non può fare alcun passo indietro fino a che il passo indietro significa perdere gli uni o l’altra o entrambi. Chi è sul ciglio dell’abisso e viene invitato ad arretrare di un passo, sapendo che esso segnerà la sua fine, resta incollato al terreno e non si smuove. Anzi, fa di tutto per evitare quel passo. I mezzi, gli strumenti, le iniziative saranno tutti valide; ogni iniziativa diverrà praticabile, ogni azione, spregiudicata o scorretta che sia, verrà presa in considerazione pur di non arretrare.

Fino a quando potrà restare in bilico, ad un passo dall’abisso?

Fino al momento in cui gli sarà dato di trovare un’alternativa, di contrattare l’uscita, di conoscere dove lo condurrebbe il viale del tramonto. Potrebbe “lasciare” o accomodarsi “di lato”, come suggerisce Roberto Maroni, se ci fosse un impegno che lo tuteli dai pericoli che incombono.

L’exit strategy passa dunque attraverso garanzie politiche e giudiziarie. Con le prime egli intende salvare il suo impero economico, la Fininvest, dagli agguati dei suoi successori; con le seconde, intende avere la sicurezza di risolvere i suoi rapporti con la magistratura inquirente e con la magistratura giudicante. Sono in piedi indagini, inchieste e processi. Ci sono filoni d’indagine e procedimenti che potrebbero condurlo alle porte del carcere.

Ma chi mai potrebbe dargli queste garanzie? E’ accaduto che il premier contrattasse con l’opposizione il conflitto d’interesse o la tutela del suo network, ma allora c’era ben poco in ballo, sarebbe bastato accordarsi con il capo dell’opposizione, il più influente e rappresentativo. Ora non è più possibile.
Quanto alle vicende giudiziarie, le Procure coinvolte nelle inchieste e nei processi sono tante, troppe, perché si possa usare la moral suasion.

Occorrerebbe una sorta di impunità ad personam. L’impossibile.

La condizione straordinaria di Silvio Berlusconi non è l’unica ragione dell’empasse. L’altra, legata ancora una volta al premier, ma “estranea” a lui, perché regolata da norme, riguarda il rapporto fra i parlamentari e i capipartito. Silvio Berlusconi, al pari dei leaders degli altri partiti, grazie ad una legge elettorale indecente, può ottenere ciò che vuole dal deputato o il senatore in carica. Lo ha scelto e fatto eleggere. Una nomina, che potrà essere ripetuta a condizione che il nominato abbia dimostrato una fedeltà assoluta.


Silvio Berlusconi, dunque, una potenza di fuoco immensa: controlla un impero economico (assicurazioni, banche, informazione, cinema, settore immobiliare ecc), l’esecutivo e la maggioranza del Parlamento. Tutto questo non basta per governare il Paese, ma basta per proteggere se stesso e i suoi capitali da qualunque agguato, legislativo o giudiziario con un esercito di avvocati-parlamentari.

Se cambiano gli equilibri e la fase di transizione non può essere controllata, direttamente o attraverso persone di assoluta fiducia, può crollare tutto, come un castello di carta.

L’empasse sta proprio qui: il passo indietro può avvenire solo se si realizzano condizioni che, sulla carta, sono impossibili da ottenere.

 

MAURIZIO CROZZA - Ballarò 18/10/2011 - La lettera B