Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 19 novembre 2011
Libia, catturato Saif al-Islam Gheddafi. Folla tenta linciaggio. L'Aja: "Datelo a noi"
Tripoli - (Adnkronos/Aki/Ign) - Il figlio del defunto leader libico, ultima icona del regime, è stato arrestato nel sud del Paese (VIDEO). E' ricercato per crimini contro l'umanità. Il Tribunale penale internazionale: "Consegnatecelo". Il Cnt: "Resta qui, ma avrà un giusto processo". Festeggiamenti nelle strade (Diretta Al Jazeera). Gli ultimi istanti del rais: ''Non sparate'' (VIDEO 1 - 2)
Tripoli, 19 nov. - (Adnkronos/Aki/Ign) - Saif al-Islam Gheddafi, figlio del defunto leader libico Muammar Gheddafi, e' stato catturato insieme a due collaboratori ''nella regione di al Obari'', nel sud della Libia.
Saif, stando a Mohammad al-Alaqi, esponente del Cnt citato da al-Arabiya, sarebbe stato arrestato mentre tentava la fuga verso il Niger ed è stato trasferito a Zintan. La tv libica al-Ahrar ha trasmesso le immagini di Saif al-Islam dopo la cattura. Nel video, girato con un cellulare, il figlio di Gheddafi appare vivo con la mano destra fasciata. Una folla inferocita ha tentato di assaltare l'aereo su cui Saif veniva trasportato da al Obari a Zintan.
Il figlio del colonnello è ricercato dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l'umanità. Dall'Aja il Tpi ha fatto sapere di aver ricevuto conferma dalle autorita' libiche della cattura di Saif al-Islam. ''Ci stiamo coordinando con il ministero libico della Giustizia affinche' ogni circostanza riguardo l'arresto di Saif al-Islam rispetti la legge'', ha detto un portavoce del Tpi.E dopo le polemiche internazionali per il brutale assassinio di Muammar Gheddafi da parte dei ribelli, ora il ministro della Giustizia del Cnt libico, Mohammad Alalaqi, assicura che il figlio del colonnello avrà un ''processo giusto, sulla base degli standard internazionali''. ''Ci coordineremo con il Tribunale penale internazionale per il processo'', ha detto il ministro.Il presidente del Tribunale dell'Aja, Luis Moreno Ocampo, ha detto che si rechera' a Tripoli la prossima settimana per discutere del processo di Saif al Islam. Una sua portavoce inoltre ha dichiarato che la Libia ha il dovere legale di collaborare con il Tpi e che il figlio del defunto rais libico deve essere trasferito all'Aja.Un appello è stato lanciato anche da Amnesty International, secondo cui Saif al Islam "deve essere consegnato al Tpi e la sua sicurezza e i suoi diritti devono essere garantiti". Secondo Hassiba Hadj Sahraoui, vice direttore dell'ufficio di Medio Oriente e Nord Africa, il figlio di Gheddafi deve "rispondere dei suoi crimini in un giusto processo che non preveda la pena di morte".Col diffondersi della notizia della sua cattura, i libici sono scesi in strada per festeggiare. Al-Jazeera riferisce di festeggiamenti nella citta' costiera di Misurata. Scene di giubilo e spari in aria anche a Tripoli, riporta la Bbc, con caroselli di macchine per le strade piene di libici armati di bandiere.Saif al-Islam e' l'ultimo esponente di spicco della famiglia Gheddafi a essere catturato o ucciso in Libia.
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Libia-catturato-Saif-al-Islam-Gheddafi-Tentava-di-fuggire-verso-il-Niger_312662350866.html
San Raffaele, inchiesta sulla banacarotta I voli spericolati di Don Verzè. - di Antonella Mascali
L'ex capo del San Raffaele non gradiva i check-in, venti milioni per l'aereo privato. Ieri interrogatorio fiume per Piero Daccò, il faccendiere arrestato nei giorni scorsi. Su di lui il sospetto di aver creato fondi neri per conto della dirigenza dell'ospedale milanese
Un capriccio del dominus del San Raffaele di Milano, don Luigi Verzé, avrebbe contribuito al buco da oltre un miliardo e mezzo dell’istituto ospedaliero. Almeno, è questa la chiave che usa una testimone ascoltata dai pm Luigi Orsi, Laura Pedio e Gaetano Ruta, per spiegare l’acquisto di un aereo da “quasi 20 milioni di euro”. Alessia Zacchia, racconta che nel 2007 don Verzé, conMario Cal (il vicepresidente morto suicida a luglio) presero quella decisione perché il sacerdote non voleva fare la coda ai check-in. “Convengo – dice imbarazzata – che si è trattato di un’operazione sopra le righe… Don Verzé, vista l’età, non accetta dei normali check-in quando viaggia in aereo. Convengo che non è una motivazione seria per fare una spesa così enorme”.
Secondo le indagini della procura e della polizia giudiziaria della Finanza, però, nell’acquisto di quell’aereo è coinvolta anche una società riconducibile a Piero Daccò, consulente del San Raffaele, senza incarichi ufficiali, vicino a Cl, amico di Roberto Formigoni. I PM riportano la nota delle fiamme gialle del 24 ottobre scorso nella quale “viene analizzato quanto la Fondazione ha speso per l’operazione Assion, circa 20 milioni di euro” e ricostruisce che dietro la società Assion, che ha acquistato “un aereo Bombardier modello Challenger 604”, c’è la “Norconsulting”, società riconducibile a Daccò.
E’ lui l’uomo sospettato di costituire fondi neri, forse anche per finanziare politici per conto dei vertici del San Raffaele. Oggi il gip, Vincenzo Tutinelli, si pronuncerà sul suo fermo, avvenuto martedì per pericolo di fuga. Ieri, interrogato per oltre 7 ore nel carcere di Opera, Daccò ha respinto l’accusa di volersi rifugiare in Israele e ha fornito la sua versione sulle 4 operazioni contestate da 4 milioni e 300 mila euro. I pm, coordinati dal procuratore aggiunto, Francesco Greco, ritengono che Daccò fosse un finto consulente. Una parte dei soldi che ha preso, li avrebbe distribuiti per conto del San Raffaele. E sul tragitto della montagna di soldi in contanti, sia il provvedimento di fermo che la richiesta di convalida, contengono molti omissis. Qualcosa, però, emerge. Il 4 novembre, come riportato dal Corriere della Sera, Pierino Zammarchi (titolare con il figlio di Diodoro-Metodo), intercettato, confida a un amico quanto detto dal figlio Gianluca: “Io vado là e gli racconto tutto. Che il Mario (Cal, ndr) diceva che dava dei soldi ai politici”, attraverso Daccò. Zammarchi padre, però, fa notare al figlio che si tratta di un racconto de relato: “Non hai le prove, porco cane!”.
Anche Valsecchi, indagato per concorso in bancarotta e false fatturazioni, ammette il metodo delle fatture gonfiate con rientri in nero. Racconta di aver visto gli Zammarchi dare denaro a Cal e che Cal gli aveva detto che era per Daccò. Ma è Stefania Galli, segretaria di Cal, a entrare nel dettaglio: “Le consegne delle buste da parte di Pierino Zammarchi al dottor Cal sono iniziate orientativamente nel 2005…”. Poi descrive le buste: “Erano dell’altezza di 3-4 centimetri e contenevano banconote da 500 euro”. Rivela che era lei a conservarle in una “cassaforte” della vice presidenza e poi, nella cassaforte “dell’albergo Rafael”. Secondo Galli, se non c’era Cal, le mazzette erano affidate a Valsecchi. Nelle mani dei pm c’è anche il notebook di Cal con 20 mila e-mail intestate fittiziamente alla segretaria. E soprattutto, scrivono, sono stati estratti “alcuni file particolarmente significativi” in riferimento a società riconducibili a Daccò. L’inchiesta sul quasi crac del San Raffaele, inevitabilmente, ha avuto ripercussioni in Regione Lombardia che garantisce all’ospedale 450 milioni di euro all’anno di rimborsi pubblici. Sel ha proposto una commissione d’inchiesta con l’accordo di Pd e Udc. Ma Formigoni non la vuole: intralcerebbe il lavoro della procura. Prende anche le distanze da Daccò: “Non aveva nessun rapporto con la Regione Lombardia. Può darsi che esponenti della Regione lo abbiano incontrato”, se lo ha mandato in rappresentanza il San Raffaele. Il governatore parla di Daccò come se fosse uno sconosciuto. Eppure, è stato anche ospite su uno degli Yaught dell’uomo d ’ affari.
Secondo le indagini della procura e della polizia giudiziaria della Finanza, però, nell’acquisto di quell’aereo è coinvolta anche una società riconducibile a Piero Daccò, consulente del San Raffaele, senza incarichi ufficiali, vicino a Cl, amico di Roberto Formigoni. I PM riportano la nota delle fiamme gialle del 24 ottobre scorso nella quale “viene analizzato quanto la Fondazione ha speso per l’operazione Assion, circa 20 milioni di euro” e ricostruisce che dietro la società Assion, che ha acquistato “un aereo Bombardier modello Challenger 604”, c’è la “Norconsulting”, società riconducibile a Daccò.
E’ lui l’uomo sospettato di costituire fondi neri, forse anche per finanziare politici per conto dei vertici del San Raffaele. Oggi il gip, Vincenzo Tutinelli, si pronuncerà sul suo fermo, avvenuto martedì per pericolo di fuga. Ieri, interrogato per oltre 7 ore nel carcere di Opera, Daccò ha respinto l’accusa di volersi rifugiare in Israele e ha fornito la sua versione sulle 4 operazioni contestate da 4 milioni e 300 mila euro. I pm, coordinati dal procuratore aggiunto, Francesco Greco, ritengono che Daccò fosse un finto consulente. Una parte dei soldi che ha preso, li avrebbe distribuiti per conto del San Raffaele. E sul tragitto della montagna di soldi in contanti, sia il provvedimento di fermo che la richiesta di convalida, contengono molti omissis. Qualcosa, però, emerge. Il 4 novembre, come riportato dal Corriere della Sera, Pierino Zammarchi (titolare con il figlio di Diodoro-Metodo), intercettato, confida a un amico quanto detto dal figlio Gianluca: “Io vado là e gli racconto tutto. Che il Mario (Cal, ndr) diceva che dava dei soldi ai politici”, attraverso Daccò. Zammarchi padre, però, fa notare al figlio che si tratta di un racconto de relato: “Non hai le prove, porco cane!”.
Anche Valsecchi, indagato per concorso in bancarotta e false fatturazioni, ammette il metodo delle fatture gonfiate con rientri in nero. Racconta di aver visto gli Zammarchi dare denaro a Cal e che Cal gli aveva detto che era per Daccò. Ma è Stefania Galli, segretaria di Cal, a entrare nel dettaglio: “Le consegne delle buste da parte di Pierino Zammarchi al dottor Cal sono iniziate orientativamente nel 2005…”. Poi descrive le buste: “Erano dell’altezza di 3-4 centimetri e contenevano banconote da 500 euro”. Rivela che era lei a conservarle in una “cassaforte” della vice presidenza e poi, nella cassaforte “dell’albergo Rafael”. Secondo Galli, se non c’era Cal, le mazzette erano affidate a Valsecchi. Nelle mani dei pm c’è anche il notebook di Cal con 20 mila e-mail intestate fittiziamente alla segretaria. E soprattutto, scrivono, sono stati estratti “alcuni file particolarmente significativi” in riferimento a società riconducibili a Daccò. L’inchiesta sul quasi crac del San Raffaele, inevitabilmente, ha avuto ripercussioni in Regione Lombardia che garantisce all’ospedale 450 milioni di euro all’anno di rimborsi pubblici. Sel ha proposto una commissione d’inchiesta con l’accordo di Pd e Udc. Ma Formigoni non la vuole: intralcerebbe il lavoro della procura. Prende anche le distanze da Daccò: “Non aveva nessun rapporto con la Regione Lombardia. Può darsi che esponenti della Regione lo abbiano incontrato”, se lo ha mandato in rappresentanza il San Raffaele. Il governatore parla di Daccò come se fosse uno sconosciuto. Eppure, è stato anche ospite su uno degli Yaught dell’uomo d ’ affari.
Enav, perquisizioni e arresti. Nel mirino anche la Selex della moglie di Guarguaglini
Ai domiciliari finisce l'ad Guido Pugliesi. E' accusato di finanziamento illecito ai partiti in realzione a una presunta tangente di 200mila euro. Coinvolta anche la società della moglie di Guarguaglini.
A Roma il sabato di cronaca inizia molto presto. L’inchiesta sugli appalti Enav, l’Ente nazionale di assistenza al volo, è arrivata a una svolta. In queste ore, infatti, Finanza e carabinieri del Ros stanno eseguendo perquisizioni e arresti. Nel mirino degli inquirenti c’è l’amministratore delegato Guido Pugliesi. L’ultima accelerazione riguarda anche gli appalti dati alla Selex guidata dall’ingegner Marina Grossi, moglie del presidente di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini. Lo stesso Pugliesi è finito ai domiciliari. Per lui l’accusa è quella di finanziamento illecito ai partiti per una presunta tangente da 200mila euro. In carcere, invece, il commercialista Marco Iannilli e Manlio Fiore, di Selex. Entrambi indagati per frode fiscale. Sul registro degli indagati finisce anche Lorenzo Borgogni, responsabile delle Relazioni esterne di Finmeccanica, dimissionario. Per lui era stato richiesto l’arresto, ma il gip non l’ha concesso. Le perquisizioni in corso riguardano gli uffici dell’Enav e le abitazioni di alcuni dirigenti dell’Ente. Il sospetto di chi indaga è che i destinatari di questi accertamenti abbiano preso denaro in modo illecito nella gestione di alcuni appalti.
LA TANGENTE AL TESORIERE DELL’UDC
Pugliesi è accusato di illecito finanziamento in relazione a una presunta tangente da 200 mila euro versata dall’imprenditore Tommaso Di Lernia, titolare della Print System, al segretario amministrativo dell’Udc Giuseppe Naro. Quest’ultimo, a sua volta, è indagato dalla Procura di Roma per illecito finanziamento. Pugliesi avrebbe accompagnamento Di Lernia nell’ufficio di Naro in via Due Macelli, a Roma. Per la Procura le prove dell’incontro sono dimostrate dal fatto che il telefono cellulare di Di Lernia risultava agganciato alla cella di via Due Macelli e dal passaggio della sua auto nella zona a traffico limitato (Ztl). Non solo, Di Lernia, che con le sue rivelazioni ha consentito di aprire uno squarcio nel meccanismo degli appalti dell’Enav, avrebbe riconosciuto Naro durante un interrogatorio attraverso una fotografia.
APPALTI NEL MIRINO
Dalle carte dell’inchiesta emergono almeno dieci appalti assegnati senza gara pubblica da Enav a Selex Sistemi. In particolare, al vaglio del pm Paolo Ielo sono finiti lavori, sia tecnici sia di opere civili, riguardanti gli aeroporti di Napoli e Palermo. Secondo l’accusa i lavori assegnati a Selex e subappaltati alle società Print System, Arc Trade, Techno Sky e altre hanno determinato una sovrafatturazione dei costi e la creazione di un surplus, poi redistribuito tra i soggetti coinvolti, compresi esponenti dell’Enav. Il tutto in un arco di tempo che va dal 2005 al 2010. Uno dei capitoli di questa indagine ha coinvolto il deputato del Pdl Marco Milanese, in relazione alla compravendita di uno yacht pagato una somma superiore a quella di mercato. Per la Procura tale maggiore valutazione dell’imbarcazione costituisce una forma di finanziamento illecito di un singolo deputato. Milanese, ex collaboratore dell’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti, è già stato citato in giudizio.
LO YACHT DI MILANESE
Per questa vicenda risulta indagato lo stesso Borgogni. Il responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica, infatti, è indagato per le presunte irregolarità che hanno caratterizzato la compravendita dell’imbarcarcazione del parlamentare Pdl da parte della società Eurotec diMassimo De Cesare. Stando al capo di imputazione contenuto nell’ordinanza firmata dal gipAnna Maria Fattori, “De Cesare, previo concerto con l’imprenditore Tommaso Di Lernia (che di Eurotec è considerato il ‘dominus’, ndr) e con la mediazione di Fabrizio Testa (ex consigliere Enav, ndr) e in accordo con il commercialista Lorenzo Cola, che agiva assieme a Borgogni, erogava al deputato del Pdl, già consigliere politico dell’ex ministro dell’economia, con riferimento alla cessione dell’imbarcazione Mochi Craft, una utilità non inferiore a 224mila euro, pari al valore della sopravvalutazione del natante”. La vicenda, che si è sviluppata tra il 2009 e il 2010, è già stata oggetto di accertamento da parte del pm Paolo Ielo che ha ottenuto il processo per Milanese davanti al tribunale monocratico.
LA FRODE FISCALE
Per Fiore e Iannilli l’ordinanza contesta il reato di frode fiscale. Fiore, si legge nel documento firmato dal giudice, “nella sua qualità di organo apicale di Selex Sistemi Integrati, anche al fine di consentire l’evasione delle imposte dirette e indirette a Selex SI, concorreva con Tommaso Di Lernia, legale rappresentante di Print Sistem, nell’emissione di tre fatture” pari a un milione e 200mila euro circa. Il reato è aggravato “per essere stato commesso anche al fine di realizzare le provviste per l’erogazione di utilità a pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, per il compimento di atti contrari ai doveri del loro ufficio”. Stessa accusa è rivolta a Marco Iannilli che, nella veste di dominus di Arc Trade, “al fine di consentire l’evasione delle imposte dirette e indirette” alla societa’, “concorreva con Sabastiano Giallongo, legale rappresentante di Suiconsulting srl”, a emettere nel 2010 tre fatture per operazioni inesistenti recanti un importo pari a quasi 850mila euro.
venerdì 18 novembre 2011
“Salvezza nazionale”, ma per tutti. - di Paolo Flores d’Arcais
Che sia davvero un governo di “salvezza nazionale”, la salvezza di tutti e in primo luogo del “terzo Stato”, non dei privilegiati d’establishment e delle cricche: è questo che chiede la schiacciante maggioranza dei cittadini che all’80%, secondo i primi sondaggi, appoggia il nascente governo Monti. Salvezza dal default, ovviamente, tecnicismo che significa in concreto, per chiunque possieda titoli di Stato (milioni e milioni di italiani), perdere in un colpo solo la metà o i due terzi dei risparmi di una vita. Ma “salvezza nazionale” significa anche, altrettanto essenzialmente, liberare il Paese dalla melma onnipervasiva del crimine impunito e della menzogna catodica, autentiche sabbie mobili che lo stavano inghiottendo.
Perciò, se sotto il profilo economico e sociale, l’equità dei sacrifici non può che cominciare dallo scandalo dello scudo fiscale, 107 miliardi tassati al 5% anziché al 30% (esigere quel 25% di differenza dovrebbe essere moralmente l’abc), e proseguire con la patrimoniale e draconiane leggi anti-evasione (altrimenti pagano solo i ricchi ufficiali, e quelli veri continuano a rapinare), Monti e Napolitano non possono dimenticare che il (quasi) ventennio di melma e macerie in cui il regime ha precipitato il paese poggiava e ancora poggia da una parte sulle picconate inferte ai magistrati fedeli alla “legge eguale per tutti” (e sulla ragnatela di quelli leali alle P3 e P4 in spergiuro della Costituzione) e dall’altra sul monopolio orwelliano del sistema televisivo. “Questione morale” che interessa solo le anime belle, replicheranno troppe sponde “moderate”, incapaci ormai di pensare con categorie diverse da quelle di Giuliano Ferrara. Eppure è solo per il combinato disposto dell’illegalità/impunità e della televisione/menzogna se un metro di autostrada o metropolitana costa in Italia tre o quattro volte più che nel resto d’Europa. La corruzione impunita impone un costo economico altissimo, oltre a devastanti effetti sociali e infine antropologici.
Restituire l’etere televisivo al giornalismo-giornalismo, dove i fatti sono sovrani, realizzando imparzialità e pluralismo, e ripulire politica e istituzioni dalla pletora di leggi ad personam, autentiche leggi-canaglia che strangolano la vita civile, sono due banchi di prova su cui i cittadini giudicheranno il governo Monti, e su cui Monti giocherà la propria credibilità non meno che sullo “spread”. Indulgere su questi temi, anche in dosi omeopatiche, alla continuità e alle “garanzie” che Berlusconi pretende, significherebbe insultare gli italiani onesti.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/salvezza-nazionale-ma-per-tutti/
Governo Monti, l'occasione perduta della politica. - di Mauro Barberis
Chi mi legge sa cosa ho sempre pensato di Silvio Berlusconi e del suo governo; bene, ora ce ne siamo liberati, ma a che prezzo? Il discredito internazionale dell’Italia e la possibile rovina del paese: troppo, anche per un antiberlusconiano della prima ora.
Avevano un bel dire Rosy Bindi e Susanna Camusso, invitate a Ballarò, che il governo è caduto per un voto parlamentare. Non è vero: è caduto perché era divenuto impresentabile per i nostri partner europei, costretti a finanziare il nostro debito pubblico, e soprattutto per i mercati finanziari, che attaccavano noi, e non altri, perché da anni il Cavaliere non governava più. Ma fosse stato per la politica, ce lo saremmo tenuti sino al 2013, se non oltre.
L’unica via di uscita onorevole è stata indicata subito da Giorgio Napolitano: un accordo politico alto fra i maggiori partiti, la formazione di un governo politico di salvezza nazionale, con dentro i leader dei partiti maggiori, benché presieduto da un tecnico autorevole e gradito ai mercati. È bastata l’indicazione di un nuovo Presidente del Consiglio, diffusa irritualmente dal Presidente della Repubblica nominando senatore a vita Mario Monti, per fare calare di cento punti lo spread con i titoli tedeschi e farci risparmiare miliardi di debito. Ma fra l’indicazione lungimirante di Napolitano e il governo tecnico che sembra profilarsi, l’unica cosa comune sembra il nome di Monti.
Se si fosse formato un esecutivo con gli esponenti più autorevoli dei due schieramenti – e ce ne sono ancora, in entrambi – ci saremmo presentati all’Europa con un volto infinitamente più credibile. Invece, questa prospettiva è stata sabotata anzitutto dalla destra: da Berlusconi, interessato solo ad avere garanzie per sé e per le sue aziende, e da Umberto Bossi, pronto a gettarsi nelle praterie dell’antipolitica e della secessione. Ma la sinistra non è stata da meno, quanto a disinteresse; sin dal primo momento ha fatto pesare che tutti i sondaggi la danno in testa di almeno dieci punti, e che rinunciando alle elezioni rinunciava a una sicura vittoria elettorale: come se questo non fosse un suo preciso dovere, di fronte alla possibile rovina del paese.
Quel che rischia di uscirne, così, è un governo non politico ma tecnico, tecnicissimo, formato quasi esclusivamente di professori universitari e di alti funzionari dello Stato: un esecutivo figlio di nessuno che, per programma e durata, dipenderà mani e piedi dagli umori e dai veti incrociati degli opposti schieramenti, ugualmente refrattari a prendersi le proprie responsabilità e a pagarne il prezzo elettorale. Ma non si dica, se questa sarà la soluzione, che la democrazia e i politici italiani sono stati commissariati dall’Europa: si sono commissariati da soli, perdendo l’ultima occasione per riscattarsi.
Contro i professionisti della delusione. - di Cinzia Sciuto
Il governo Monti va valutato senza mai dimenticare il ventennio che l’ha preceduto e avendo ben presenti i suoi obiettivi e i suoi limiti strutturali. In questa prospettiva, ha già dato forti segni di discontinuità.
La prima, sulla riorganizzazione dei dicasteri: non dovendo fare i conti con il bilancino della (cattiva) politica, non è stato necessario scorporare e inventarsi deleghe per moltipliare le poltrone, per cui a ogni ministero corrisponde un oggetto reale. Alcuni segnali forti: scompare il ministero delle Riforme per il federalismo, mentre c’è quello per la Coesione territoriale. Dalla strisciante secessione alla ritrovata unità nazionale. Non mi pare poco. Scompare l’inutile ministero per l’Attuazione del programma (?), quello della Gioventù, quello della Semplificazione normativa, quello della Pubblica amministrazione e con loro i vari Rotondi, Calderoli, Brunetta e Bossi (e pure la Meloni, alla quale in quanto ‘ggiovane’ era stato affidato il ministero dei ‘ggiovani’, che nessuno si filava). Nasce invece un ministero importantissimo, quello della Cooperazione internazionale e dell’integrazione: un nome che, tenendo insieme cooperazione internazionale e integrazione, esprime una vocazione cosmopolita del nuovo governo che ci fa prendere una boccata d’ossigeno, dopo anni di becero provincialismo. È scomparso anche il ministero delle Pari opportunità, correttamente reintegrate in quello del Lavoro e delle politiche sociali (perché di politiche sociali si tratta).
La seconda riguarda la presenza delle donne. A dispetto dei numeri, è un governo molto più femminile del precedente, che contava ben 6 ministre, di cui però 4 senza portofoglio. La sensazione netta è che nel governo Berlusconi alle donne fossero assegnate deleghe del tutto secondarie, non tanto perché lo fossero in sé ma perché tali erano ritenute dai ‘boss’ del governo. Al femminismo della bella presenza e dei numeri è di gran lunga da preferire il femminismo delle competenze e della sostanza. Tre ministre di grandissimo peso: l’Interno, la Giustizia e il Lavoro. Le donne vincono quando giungono a ruoli di alto livello non in quanto donne, ma per le loro competenze e capacità.
Adesso ovviamente attenderemo il governo alla prova dei fatti. Avendo però ben presente l’obiettivo di questo esecutivo: acchiapparci per i capelli per evitare di cadere nel baratro apparecchiato per noi dalla crisi economico-finanziaria e iniziare a rimettere insieme i cocci di quelle macerie. Il tutto, non dimentiachiamolo, con il sostegno parlamentare fondamentale e inevitabile di chi quelle macerie le ha prodotte. Inutile quindi aspettarsi chissà quale rivoluzione. Ma i professionisti della delusione, se vogliono, possono ricominciare a illudersi.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/contro-i-professionisti-della-delusione/
I Verdi perdono il loro quotidiano. Terra chiude i battenti. - di Thomas Mackinson
Il foglio ecologista, nonostante i tre milioni di finanziamento pubblico, cessa le pubblicazioni. Sullo sfondo una dura battaglia fra i redattori, da mesi senza stipendio, e il direttore. Il partito solidarizza coi cronisti e promette iniziative legali per recidere il contratto di gestione.
Nella corsa per la costituente ecologista, i Verdiraccolgono un simbolo nuovo ma perdono per strada il loro organo di stampa. Un giornalesenza più direttore, senza redazione e soprattutto senza soldi nonostante i tre milioni di euro di provvidenze a disposizione.
Terra, il primo quotidiano ecologista d’Italia, ha chiuso i battenti dopo tre anni di pubblicazioni e una guerra senza esclusione di colpi tra comitato di redazione, direzione e azienda. Con tanto di accuse di comportamento antisindacale da parte dei lavoratori e querela per diffamazione da parte del direttore.
Il giornale non è nelle edicole da tempo indefinito. Il direttore-amministratore Luca Bonaccorsi, socio di maggioranza della società che edita il quotidiano (Undicidue Srl) ha rassegnato le dimissioni giusto una settimana fa. Grande imbarazzo nel partito il cui segretario, Angelo Bonelli, titolare del finanziamento pubblico, ha espresso solidarietà ai redattori e promette di andare fino in fondo per capire che fine hanno fatto i fondi e perché si sia arrivati alla serrata.
Dalla sua il direttore dimissionario, proprio sull’ultimo numero, spiega le dimissioni come una risposta obbligata alle ingerenze sempre più pressanti del partito per fare di Terra un mezzo di propaganda. “Lo scontro si è fatto insostenibile – spiega Bonaccorsi – le mie resistenze a trasformare Terra in una Pravda verde hanno scatenato attacchi ripetuti che hanno ormai il fine di far chiudere il giornale”.
Sullo sfondo, le tensioni in vista della costituente che si terrà il 26 e 27 novembre. Tensioni che si scaricano con la massima durezza sui lavoratori, gli unici per ora a pagare il prezzo della ragion politica. Sono banditi dalla redazione, anche se per oltre cinque mesi hanno lavorato senza ricevere stipendio pur di stare in edicola e garantire continuità alla pubblicazione. Mercoledì scorso hanno fatto un picchetto davanti alla redazione blindata con striscioni di questo tenore: “Dove sono i milioni del finanziamento pubblico?” e ancora “Bonaccorsi, gli accordi sindacali si rispettano”, e poi “6 mesi senza stipendio”.
I problemi sono iniziati quasi subito, quando Terra è andato in edicola nell’aprile 2009, ma appena sei mesi dopo i lavoratori si sono ritrovati dentro un’azienda in crisi e sono scattati i contratti di solidarietà. Stipendi in ritardo, lavoro extra rispetto agli accordi sindacali in fatto di orari e giorni di riposo. Le cose peggiorano a giugno con la fine degli ammortizzatori che ha fatto partire una estenuante trattativa terminata ad agosto con un accordo che prevedeva le proroghe assistitedi tutti i contratti fino a dicembre. Un patto che non sarà onorato e dopo inutili tentativi la Undicidue Srl fa balenare l’interesse di un terzo socio a entrare in società in virtù del quale chiede due settimane di tempo. Si tira avanti e si arriva al 12 ottobre, quando viene firmato un accordo che prevede la stabilizzazione delle otto persone chieste dal sindacato e di altre quattro proposte dall’azienda. I contratti dovevano essere firmati il 31 ottobre. Ma ad oggi sono state assunte solo due persone. Gli altri, niente. All’ultimo incontro l’azienda non si presenta e i sindacati la denunciano insieme al direttore per comportamento antisindacale, esposto alla presidenza del Consiglio per ottenere il sequestro cautelativo del finanziamento pubblico, ed esposto all’Ordine dei giornalisti della Toscana per violazione della clausola di solidarietà. Bonaccorsi, per parte sua, ritiene che “sia stato responsabile da parte dell’azienda non assumere dodici persone vista la crisi”.
Quanto al finanziamento per l’editoria che spetta alla società editrice di Terra – circa 6 milioni di euro in due anni - risponde: “Che significa che fine hanno fatto? Ci sono i bilanci a certificare. Sostenere un giornale costa meno di due milioni di euro all’anno?”. Ora però i conti bisognerà farli per davvero. Terra vendeva mediamente 2-3mila copie ma assorbiva due milioni. Anche perché la redazione contava 15 persone e il grosso degli investimenti, a detta dei sindacati, andava nelle cariche dei direttori, vicedirettori e condirettori, collaboratori e promozione.
I Verdi – ha annunciato Bonelli nel corso del picchettaggio – hanno incaricato i loro legali di adottare tutte le iniziative possibili per la rescissione del contratto di gestione, a suo tempo firmato da altro gruppo dirigente del partito. Il Comitato di redazione, che aveva già indetto e realizzato sette giorni di sciopero impedendo l’uscita del giornale, è intenzionato a proseguire l’agitazione, e ha dato atto a Bonelli delle iniziative avviate contro Undicidue e della concreta solidarietà espressa ai giornalisti. Per tutta risposta, il direttore uscente lascia la scrivania querelandone uno per aver messo in dubbio il suo operato e aver indicato anche nell’atteggiamento della direzione una delle ragioni del fallimento.
Terra, il primo quotidiano ecologista d’Italia, ha chiuso i battenti dopo tre anni di pubblicazioni e una guerra senza esclusione di colpi tra comitato di redazione, direzione e azienda. Con tanto di accuse di comportamento antisindacale da parte dei lavoratori e querela per diffamazione da parte del direttore.
Il giornale non è nelle edicole da tempo indefinito. Il direttore-amministratore Luca Bonaccorsi, socio di maggioranza della società che edita il quotidiano (Undicidue Srl) ha rassegnato le dimissioni giusto una settimana fa. Grande imbarazzo nel partito il cui segretario, Angelo Bonelli, titolare del finanziamento pubblico, ha espresso solidarietà ai redattori e promette di andare fino in fondo per capire che fine hanno fatto i fondi e perché si sia arrivati alla serrata.
Dalla sua il direttore dimissionario, proprio sull’ultimo numero, spiega le dimissioni come una risposta obbligata alle ingerenze sempre più pressanti del partito per fare di Terra un mezzo di propaganda. “Lo scontro si è fatto insostenibile – spiega Bonaccorsi – le mie resistenze a trasformare Terra in una Pravda verde hanno scatenato attacchi ripetuti che hanno ormai il fine di far chiudere il giornale”.
Sullo sfondo, le tensioni in vista della costituente che si terrà il 26 e 27 novembre. Tensioni che si scaricano con la massima durezza sui lavoratori, gli unici per ora a pagare il prezzo della ragion politica. Sono banditi dalla redazione, anche se per oltre cinque mesi hanno lavorato senza ricevere stipendio pur di stare in edicola e garantire continuità alla pubblicazione. Mercoledì scorso hanno fatto un picchetto davanti alla redazione blindata con striscioni di questo tenore: “Dove sono i milioni del finanziamento pubblico?” e ancora “Bonaccorsi, gli accordi sindacali si rispettano”, e poi “6 mesi senza stipendio”.
I problemi sono iniziati quasi subito, quando Terra è andato in edicola nell’aprile 2009, ma appena sei mesi dopo i lavoratori si sono ritrovati dentro un’azienda in crisi e sono scattati i contratti di solidarietà. Stipendi in ritardo, lavoro extra rispetto agli accordi sindacali in fatto di orari e giorni di riposo. Le cose peggiorano a giugno con la fine degli ammortizzatori che ha fatto partire una estenuante trattativa terminata ad agosto con un accordo che prevedeva le proroghe assistitedi tutti i contratti fino a dicembre. Un patto che non sarà onorato e dopo inutili tentativi la Undicidue Srl fa balenare l’interesse di un terzo socio a entrare in società in virtù del quale chiede due settimane di tempo. Si tira avanti e si arriva al 12 ottobre, quando viene firmato un accordo che prevede la stabilizzazione delle otto persone chieste dal sindacato e di altre quattro proposte dall’azienda. I contratti dovevano essere firmati il 31 ottobre. Ma ad oggi sono state assunte solo due persone. Gli altri, niente. All’ultimo incontro l’azienda non si presenta e i sindacati la denunciano insieme al direttore per comportamento antisindacale, esposto alla presidenza del Consiglio per ottenere il sequestro cautelativo del finanziamento pubblico, ed esposto all’Ordine dei giornalisti della Toscana per violazione della clausola di solidarietà. Bonaccorsi, per parte sua, ritiene che “sia stato responsabile da parte dell’azienda non assumere dodici persone vista la crisi”.
Quanto al finanziamento per l’editoria che spetta alla società editrice di Terra – circa 6 milioni di euro in due anni - risponde: “Che significa che fine hanno fatto? Ci sono i bilanci a certificare. Sostenere un giornale costa meno di due milioni di euro all’anno?”. Ora però i conti bisognerà farli per davvero. Terra vendeva mediamente 2-3mila copie ma assorbiva due milioni. Anche perché la redazione contava 15 persone e il grosso degli investimenti, a detta dei sindacati, andava nelle cariche dei direttori, vicedirettori e condirettori, collaboratori e promozione.
I Verdi – ha annunciato Bonelli nel corso del picchettaggio – hanno incaricato i loro legali di adottare tutte le iniziative possibili per la rescissione del contratto di gestione, a suo tempo firmato da altro gruppo dirigente del partito. Il Comitato di redazione, che aveva già indetto e realizzato sette giorni di sciopero impedendo l’uscita del giornale, è intenzionato a proseguire l’agitazione, e ha dato atto a Bonelli delle iniziative avviate contro Undicidue e della concreta solidarietà espressa ai giornalisti. Per tutta risposta, il direttore uscente lascia la scrivania querelandone uno per aver messo in dubbio il suo operato e aver indicato anche nell’atteggiamento della direzione una delle ragioni del fallimento.
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