domenica 11 dicembre 2011

Storia di G., evasore record. - di Paolo Biondani








Negli ultimi 15 anni ha dichiarato dieci euro lordi. In tutto. Inclusi i redditi della moglie. Ma possiede 200 milioni di euro (all'estero) e diversi hotel a Verona. Ora l'hanno scoperto. Ma lui è tranquillo: «Finirà tutto in niente»


Aveva una montagna di soldi, almeno 201 milioni di euro, investiti in una meravigliosa società-cassaforte lussemburghese. E' conosciuto in tutta la provincia di Verona, ma anche a Venezia, Gorizia, Treviso o nell'Est Europa, come uno dei più ricchi possidenti veneti, sempre pronto a fare affari dispensando mazzi di contanti. A Bussolengo, il paesone dove è nato e cresciuto, ha potuto costruire uno stupefacente grattacielo rosa, che porta il nome della sua famiglia e svetta, in tutta la sua psichedelica grandiosità, su chilometri di case, campi e capannoni. Eppure dal 1996 al 2008 non ha mai presentato la denuncia dei redditi. Nel 2009 si è messo una mano sulla coscienza e si è fatto vivo per la prima volta con il fisco: ha dichiarato quattro euro. Nel 2010 si è sprecato: cinque euro lui, uno la moglie. Totale dei redditi lordi denunciati negli ultimi 15 anni: dieci euro in due. E adesso che è arrivata la Guardia di Finanza a sequestrargli 52 milioni e rotti, come si sente un italiano così? Disperato? Rovinato? "Ma che rovinato... Finirà tutto in niente. Come l'altra volta. Anche Tangentopoli per me era finita in niente: prosciolto da tutte le accuse".

Giovanni Montresor
, per gli amici "Lolo", 68 anni portati grintosamente, non è tipo da farsi spaventare. La sua cascina padronale, di fianco alla statale Verona-Brescia, ha uno scenografico vialone di cipressi e magnolie che è un varco obbligato. Mezzo chilometro di sterrato di sicurezza. La figlia lo avverte per telefonino che stanno arrivando i curiosi. Ma lui resta lì, in piedi, appoggiato alla cancellata in ferro, sguardo fiero e voce forte: "Non ho niente da nascondere". E le tasse mai pagate? "Balle. I redditi li hanno sempre dichiarati le mie società. Ne ho avute tante. Ma io come persona non dovevo dichiarare niente". E di cosa è vissuto, se le sue imprese non le hanno fatto guadagnare un soldo? "Glielo spiego. Se presto soldi a una mia società che poi me li restituisce, quello è reddito? No, è il rimborso di un prestito". Finanziamento soci? "Bravo". Ma su quell'affare incriminato, la vendita di terreni per 65 milioni davanti al mare di Eraclea, non avrebbe dovuto pagare almeno l'Iva? "Ascolti qua: i terreni erano di una mia società e sono passati in un fondo che è ancora mio. Quindi non c'è stata nessuna vendita. E nessuna plusvalenza da tassare".

Plusvalenza è l'unica parola che Lolo non pronuncia in veneto stretto. Calzettoni di lana, ciabatte di gomma, maglione, mani sporche da lavoro pesante, il signor Montresor sta rubando tempo al suo hobby: alleva pecore e agnelli, da immolare in grigliate memorabili. Toccherà ai giudici, dopo tre gradi di processo, stabilire se abbia davvero commesso i reati fiscali per cui la Procura di Verona ha convinto il tribunale del riesame a etichettarlo come "evasore totale" di rara sfrontatezza. 

Che sia colpevole o innocente, comunque la sua vita insegna molto sull'Italia di oggi. Prima lezione di economia reale: in molti comuni, anche al Nord, ci sono famiglie benestanti che tra gli anni '70 e '80 sono diventate di colpo ricchissime, con una facilità sospetta. 

Di sicuro i "Loli", il soprannome che distingue la sua famiglia in una zona dove molti estranei hanno lo stesso cognome, hanno fatto i primi soldi con la carne: Giovanni lo rivendica con orgoglio. Il padre, Brunone Montresor, era proprietario dell'unico macello. "Grande uomo", lo ricorda il figlio: "Siamo arrivati a macellare 200 tori alla settimana". Tempi eroici, quelli. A vent'anni, diplomato ragioniere, Giovanni si vedeva mettere in mano rotoloni di banconote "per andare all'estero a comprare le bestie". Allora i "Loli" avevano solo un piccolo negozio a Bussolengo, ma vendevano all'ingrosso "soprattutto al Sud", ricorda un mediatore del posto. Il salto economico arriva con la speculazione edilizia. Brunone e i suoi tre figli cominciano a trasformare vecchi fabbricati, compreso il loro ex macello, in palazzoni di cemento e vetro. E a costruire alberghi di gusto assiro-babilonese.

Ma il vero business è la variante urbanistica, che in Italia è l'anello di congiunzione tra affari e politica: si comprano terreni agricoli, si convince il comune a renderli edificabili e a quel punto si vende. Incassando da 10 a 100 volte di più. "I capannoni qui attorno li ho fatti fare tutti io", rivendica, indicando la sterminata distesa di centri commerciali e magazzini che circondano la sua tenuta. "Noi siamo il primo gradino: vendiamo il lotto di terra".
Quel primo gradino, però, si sale solo se accompagnati dai politici. Infatti nei primi anni '90, quando anche a Verona scoppia Tangentopoli, Montresor sente arrivare la bufera. E così, appena il procuratore Guido Papalia fa arrestare un assessore-chiave, lui annuncia in piazza: "Se vengono a prendermi, sfianco tre cancellieri". Detto, fatto. Dopo una confessione-fiume durata due giorni, Lolo è già a casa. A quel punto l'ex sottosegretario Psi Angelo Cresco, tuttora in circolazione, ricorda di aver intascato una mazzetta di 200 milioni di lire, risarcisce e patteggia. Mentre un ex parlamentare della Dc ne rimborsa altri 300. 

I verbali di Montresor inguaiano decine di faccendieri, che per lo più patteggiano. Lui no. E i processi all'italiana gli danno ragione. Il guaio più grosso è l'accusa di aver costruito la Montresor Tower, cioè il grattacielo rosa con un hotel ora intestato ai nipoti, comprando con le tangenti perfino 4,6 miliardi di lire di contributi statali per gli alberghi dei Mondiali di Italia '90. Imputato di corruzione, truffa e abuso, saluta tutti con un verdetto trionfale: amnistia e prescrizione. Anche questa è una lezione: spesso la giustizia non riesce a condannare neppure quelli che hanno confessato.

Dopo Tangentopoli, Lolo cambia vita. Liquida le imprese più indebitate. Dal '96 smette di presentare la dichiarazione dei redditi. E intanto trasferisce società all'estero. La prima tappa è la Gran Bretagna. Dal 2000 passa a Madeira, il paradiso fiscale portoghese. E nel 2005 approda in Lussemburgo. Dove, secondo la Finanza, possiede una società anonima, chiamata Kempinsky, che nel 2008 custodisce 201 milioni di euro. Non male, per un nullatenente. Quella scatola lussemburghese è proprietaria di un'intera laguna nel verde a Eraclea, vicino a Venezia: 180 ettari di terreni in teoria protetti, ma in pratica trasformati in una super area edificabile. Il progetto, approvato da una giunta targata Lega e Pdl (che si spacca), autorizza una cascata di cemento: 480 mila metri cubi di villette con 1.500 posti barca. Un affare da mezzo miliardo, votato dai politici senza che i cittadini potessero sapere neppure chi fossero i veri beneficiari. 

A far cadere il segreto è la Guardia di Finanza di Venezia. La proprietà estera è tanto oscura che il colonnello Renzo Nisi affida l'indagine alla sezione antimafia. Usando le norme anti-riciclaggio i militari scoprono che il 20 maggio 2008 la Kempinsky si è scissa in due casseforti: la prima, con lo stesso nome, gestisce un patrimonio di 140 milioni, la seconda si chiama Essential e controlla immobili valutati 46 milioni. Sono i terreni di Eraclea, che dopo appena nove giorni vengono trasferiti, ma per 65 milioni, in un "fondo immobiliare chiuso di diritto italiano". Altra magia: nella stessa data un quinto delle quote cambia padrone. L'operazione, volutamente complicata, secondo l'accusa nasconde una furbata: il fondo somiglia a uno scudo, perché permette di pagare le tasse solo se e quando si venderanno le quote; però è italiano, per cui non desta sospetti. Geniale anche il tempismo: i terreni vengono "italianizzati" poco prima della stretta di Giulio Tremonti contro le società di comodo "estero-vestite".

A rovinare il capolavoro sono le perquisizioni della Finanza. L'estate scorsa, nella sede della società di gestione del fondo, che deve rispettare le norme anti-riciclaggio, salta fuori il nome del "titolare effettivo" del tesoro lussemburghese: Giovanni Montresor, il nullatenente. In ottobre la procura di Verona sequestra l'80 per cento delle quote "italianizzate", pari a 52,5 milioni. La difesa ribatte esibendo l'immancabile scudo fiscale e alcune denunce dei redditi delle società estere. Queste però risultano aver dichiarato "solo 52 mila euro". Mentre la sanatoria si ferma al 2002. Quindi il tribunale conferma il sequestro. In attesa della Cassazione.

Nel frattempo si scopre che Montresor era già nella lista dei 552 italiani con i conti all'estero sequestrata nel 2009 all'avvocato svizzero Fabrizio Pessina. Qui Lolo risultava titolare di altri 8,3 milioni. Lui giura che è un errore: "Se qualcuno mi trova un conto estero, glielo intesto". Se ha ragione la Finanza, significa che ce l'aveva, ma l'ha svuotato. Quindi, super-multa. Ma le tasse bisogna anche riscuoterle. E prima che si scoprisse la cassaforte lussemburghese, cosa avrebbe potuto spremere, il fisco italiano, da un nullatenente?

Oggi, mentre attende sereno la giustizia fiscale, Montresor sta lasciando l'immobiliare: "La crisi durerà vent'anni". E in cosa investe adesso, uno come lei? "Fotovoltaico. Ho già i permessi per 42 megawatt". Dove? "Qui davanti a casa". Investimento previsto? "Cento milioni di euro. Sto cercando soci esteri, anche cinesi, meglio tedeschi". Tanto ottimismo è sorretto dall'ultima lezione di vita italiana. A conti fatti, se Montresor dovesse pagare tutte le multe fiscali con gli attuali sconti di legge, rischierebbe di sborsare circa 60 milioni. E nella cassaforte estera gliene resterebbero altri 141. Lavati e ripuliti.



Le proprietà del maxievasore


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/storia-di-g-evasore-record/2168201//0

Professoressa choc a Caserta: ''Tu non sei come gli altri, sei nera''. E le abbassa il voto.


sanniopress.it

Caserta - (Adnkronos) - La vicenda, riportata dal 'Corriere del Mezzogiorno' è avvenuta alla scuola media statale 'Pietro Giannone' di Caserta. Dopo la denuncia dei genitori della piccola, è intervenuta la dirigente scolastica denunciando a sua volta l'insegnante agli organi competenti. La docente, attualmente in malattia, non ha più fatto rientro a scuola.


Caserta, 11 dic. (Adnkronos) - La prof di Geografia le abbassa il voto e, alla sua richiesta di spiegazioni, le risponde: ''Tu non sei come gli altri, sei nera''. A raccontare la vicenda, avvenuta alla scuola media statale 'Pietro Giannone' di Caserta, è il 'Corriere del Mezzogiorno', che spiega come quanto accaduto sia stato regolarmente denunciato agli organi superiori dalla dirigente scolastica, Maria Bianco, che quella professoressa seguiva con attenzione già da qualche anno dopo i primi problemi avuti con gli studenti di alcune classi e, di riflesso, con i loro genitori.
Dopo essere stata informata dell'accaduto dalla mamma della 12enne, la dirigente scolastica ha chiesto ai compagni di classe della bambina conferma del racconto e, ottenutala, ha chiamato a colloquio la professoressa, che ora è in malattia.
Insomma al momento c'è una prof sott'accusa, e che da alcuni giorni non ha fatto più rientro a scuola, e un carteggio tra l'istituto dove la docente è di ruolo e l'Ufficio scolastico provinciale, quello regionale e forse già anche con il ministero della Pubblica istruzione.


http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Professoressa-choc-a-Caserta-Tu-non-sei-come-gli-altri-sei-nera-E-le-abbassa-il-voto_312737082069.html

Pensioni, no contanti per over 500. Scoppia polemica, "verso ricorso"



(Adnkronos)


Roma - (Adnkronos) - Fa discutere la norma contenuta nella manovra targata Monti. Il Partito dei Pensionati all'Adnkronos: "E' vergognosa. Appena licenziata dal Parlamento, la impugneremo". Il presidente emerito della Corte costituzionale Mirabelli: "Un limite che potrebbe presentare profili di incostituzionalità". E aggunge: "C'è da chiedersi se non ci siano strumenti più efficaciDini: governo riveda soglia, portandola almeno ai 1.000 euro validi per tutte le transazioni". Mussari (Abi): banche disponibili su c/c zero spese per pensioni minime.


Roma, 11 dic. - (Adnkronos) - Stop alle pensioni in contanti quando superano i 500 euro. E' quanto prevede una norma contenuta nella manovra targata Monti. Norma che sta suscitando polemiche.
"Non credo che i pensionati possano essere confusi con i potenziali evasori e quindi inviterei il governo a rivedere la norma della manovra relativa al divieto di pagare in contanti le pensioni superiori a 500 euro". Lo dice all'ADNKRONOS il presidente della commissione Esteri del Senato Lamberto Dini, che auspica "un ripensamento da parte dell'esecutivo". "Così come è congegnata - prosegue l'esponente Pdl - la norma rischia di creare problemi di consenso per il governo in una popolazione anziana, già colpita dalla crisi, e che si vedrebbe costretta ad aprire dei conti correnti per ottenere quanto le spetta, pagando oneri, magari limitati, ma comunque ulteriori rispetto a pensioni già esigue".
Per il presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli "è un provvedimento costrittivo che potrebbe presentare profili di incostituzionalità se fosse accertata la non ragionevolezza del limite, tenuto conto della geografia del Paese e delle difficoltà in cui si potrebbero trovare molte categorie di persone". "Oltre ai costi di natura economica, che potrebbero essere superati, vanno analizzati anche i problemi di natura culturale e organizzativa - sottolinea Mirabelli all'Adnkronos - Chi vive ad esempio in zone di campagna, lontano dagli uffici postali, potrebbe trovarsi in difficoltà. Bisogna verificare dunque se questo provvedimento risponde a un criterio di ragionevolezza". "C'è da chiedersi - aggiunge - se in linea complessiva non ci siano strumenti più efficaci, rispetto ai controlli minuti, per portare all'emersione dell'evasione fiscale".
Dal canto suo il Partito dei Pensionati annuncia battaglia contro la norma giudicata "vergognosa": "Abbiamo già dato mandato al nostro ufficio legale di impugnare questa norma appena sarà licenziata dal Parlamento", dice all'ADNKRONOS Luigi Ferone, vicesegretario del Partito dei Pensionati. "I pensionati non meritano questo trattamento - prosegue Ferone - Anziché colpire i grandi evasori, in questo modo il governo colpisce chi le tasse non le ha mai evase. E poi non capiamo perché la tracciabilità per un cittadino normale si applica sopra i mille euro e per i pensionati invece, che hanno redditi fissi e tracciabili, il limite viene fissato a 500 euro: è estremamente penalizzante". "Molti pensionati fanno la fila alle poste la mattina proprio perché non hanno la possibilità economica di aprirsi un conto corrente - aggiunge Ferone - Si stenta a credere che il pensionato, che non arriva neanche a fine mese, possa essere il potenziale evasore di massa".
Sul fronte conto corrente interviene il presidente dell'Abi Giuseppe Mussari: "Le banche italiane sono disponibili a ragionare su un conto corrente a zero spese per i pensionati al minimo". Aggiungendo anche una disponibilità in merito ai "costi delle carte di credito alla luce delle misure del governo". Tuttavia, Mussari ha precisato che non c'è la disponibilità a "dare gratuitamente servizi che costano alle imprese bancarie".

Lotta all’evasione, ecco come. - di Bruno Tinti





Cosa funziona nelle misure del presidente del Consiglio Mario Monti: carcere se si mente al Fisco, accertamenti più efficaci e meno burocratici. Ma per capire se le cose possono funzionare bisogna leggere l'articolo undici della manovra.


La lotta all’evasione. Chi è favorevole e chi è contrario? Con buona approssimazione: i lavoratori dipendenti e i pensionati sono favorevoli e il popolo dell’Iva è contrario. Qual è il risultato di una lotta all’evasione ben fatta? I lavoratori dipendenti e i pensionati continuano a pagare le imposte che pagavano prima (con qualche eccezione per quelli – per esempio gli operai in cassa integrazione – che lavorano in nero come imbianchini e arrotondano con 500 euro al mese). Il popolo dell’Iva è costretto a pagare di più. Molto di più.

Se dunque il governo Monti facesse una seria lotta all’evasione, l’accusa di fare cassa ai danni dei poveracci, lasciando ai riccastri i loro privilegi, dovrebbe cadere. A meno di non pensare che i ricchi vadano fucilati per legge, una volta che gli si faccia pagare tutto il dovuto, magari con aliquote più elevate delle attuali (se si elimina l’evasione, l’incremento delle aliquote diventa effettivo, non una grida manzoniana cui corrisponde un aumento dell’evasione), l’art. 53 della Costituzione sarebbe pienamente attuato: anche loro concorrerebbero alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Quindi tutto sta a vedere se Monti la lotta all’evasione intende farla o no. Per saperlo, bisogna leggersi bene l’art. 11 della manovra che, zeppo di richiami ad altre leggi com’è, richiede un po’ di impegno.

Tutta la verità, nient’altro che la verità

Comma 1: quando il Fisco chiede qualche informazione bisogna dirgli la verità; se no, si è puniti con la reclusione fino a 2 anni. E prima? L’art.76delDpr445/2000 puniva le false dichiarazioni rese a pubblico ufficiale; ma, guarda che cosa curiosa, non quelle rese al Fisco. Non siamo ai livelli raccontati dal mio collega Davigo che si sentì dire dal direttore del carcere di Pasadena: “Qui ci sono gli evasori fiscali”. “Ma davvero?” – disse Davigo (da noi nemmeno uno è in prigione). “Eh – disse il direttore – hanno mentito al popolo americano”. Però comunque è un buon segnale.

Comma  2: gli operatori finanziari (banche, intermediari, fondi ecc.) devono (dal 1/1/2012) comunicare periodicamente all’anagrafe tributaria le movimentazioni che hanno interessato i rapporti dei loro clienti, di cui debbono fornire anche i dati identificativi. In pratica all’anagrafe arriveranno gli estratti conto (qui, va detto, si deve ancora vedere come andrà a finire perché, fermo restando l’obbligo di comunicazione, sarà l’Agenzia delle entrate a stabilire la soglia della movimentazione da comunicare; per esempio 5.000 euro no, ma 10.000 sì). Ma si fa anche adesso! Lo dice l’art. 7 del Dpr 605/73. Manco per sogno. Fino ad ora la cosa funzionava così: gli intermediari finanziari comunicavano all’anagrafe l’esistenza dei rapporti. Sicché il Fisco, se per qualche motivo (studi di settore, verifica della Gdf, ecc.), decideva di fare un accertamento (poche volte, il 10% delle dichiarazioni presentate) a Bianco che più bianco non si può, poteva interrogare l’anagrafe e scoprire quanti conti Bianco ecc. aveva. Poi doveva munirsi di una serie di autorizzazioni burocratiche da fargliene passare la voglia e, a questopunto,potevachiederealle banche gli estratti conto. Da lì il lavoro diventava facile: come va che hai una dichiarazione da 20.000 euro e hai movimentato 500.000 euro? Spiegami. Insomma i conti correnti venivano esaminati dopo che il Fisco aveva deciso di fare l’accertamento: servivano come prova dell’evasione.

Per stanare i “giri” sospetti

Con la manovra Monti la situazione è invertita. Le banche comunicano all’anagrafe gli estratti conto, quindi movimentazioni e saldi. Resta solo da paragonarli con le dichiarazioni dei redditi e si sa subito chi pinzare. Poi lo si chiama e gli si chiedono spiegazioni. Non solo; si può anche fare una scala di priorità: Biancoecc.ha una forbice tra il dichiarato e quanto depositato in conto pari a X; Grigio pari a Y; la forbice di X è > di quella di Y; controlliamo Y. Perché non ci siano dubbi sul fatto che proprio in questo modo il Fisco dovrà procedere, l’art. 11 comma 4 della manovra specifica chiaramente che le informazioni fornite dalle banche debbono essere utilizzate dall’Agenzia delle entrate per l’individuazione dei contribuenti a maggior rischio di evasione da sottoporre a controllo. Non male. Si fa sul serio.

I critici: ma il nero non si fa sui conti ufficiali; si fa su quelli intestati alla nonna, alla zia, all’autista, all’amante. Vero. Ma anche questi conti saranno comunicati al Fisco;e la nonna, la zia ecc.,che magari hanno una delle famigerate pensioni da 500 euro, si troveranno a dover spiegare come mai sono titolari di un conto dove girano 200.000 euro. “Eh, me lo ha chiesto mio nipote; poverino, è tanto bravo, mi porta sempre i dolciladomenica”.EBiancoeccè “fatto”.

Tutto questo è una rivoluzione. Fermo restando che sarebbe bene riformare l’intero sistema tributario (ne ho scritto altre volte), con questa semplice (!) procedura si può davvero stanare gli evasori. Il che significa far pagare i riccastrie,quandoavremounpo’ di fieno in cascina, diminuire l’imposizione sui lavoratori dipendenti e i pensionati. Secondo voi, perché quelli di prima una cosa così non l’hanno mai fatta?

sabato 10 dicembre 2011

"Ospedali sempre meno efficienti Tredici miliardi di sprechi l'anno"




Lo rivela il rapporto "Ospedali e Salute 2011", che mette a confronto il valore delle singole prestazioni erogate con i reali costi che hanno per lo Stato. E gli sperperi riguardano anche le regioni del Nord.


di VALERIA PINI

Tredici miliardi di euro svaniti nel nulla, sprecati per l'inefficienza ospedali pubblici del nostro paese. La rete delle strutture sanitarie italiane riceve un finanziamento molto più alto delle prestazioni che eroga, disperdendo una quota del 29%. Centinaia di milioni di euro che, se risparmiati, potrebbero contribuire ad uscire dalla crisi economica. Lo rivela il IX Rapporto "Ospedali e Salute 2011"  dell'Aiop 1, l'associazione italiana ospedalità privata,  appena presentato alla Camera dei deputati, a Roma. L'analisi dei dati rivela inoltre che, probabilmente per la crisi economica, aumentano gli utenti che scelgono i centri pubblici rispetto a quelli privati (l'82,3%  in più rispetto al 79,3% del 2010)

Sprecano anche le regioni del Nord. Lo studio ha confrontato i finanziamenti pubblici per la gestione ordinaria ricevuti dalle aziende ospedaliere con la stima del valore economico delle prestazioni erogate. Si è scoperto che l'inefficienza varia da Regione a Regione, con alcune sorprese. Infatti nonostante si confermi un Mezzogiorno più "sprecone" rispetto al Nord, cresce rispetto allo scorso anno il margine di spreco del Nord (21,8% rispetto al 20,5%). La Calabria è maglia nera con il 46,4% di tasso d'inefficienza.  Sempre nel Nord, la Lombardia perde il primato di regione più virtuosa (19,3% contro il 16,9 % dello scorso anno), superata dal Veneto (17,2%). Emilia Romagna e Lombardia sono le regioni che attraggono più pazienti dal resto d'Italia. Progressi invece per il Centro che guadagna un punto percentuale (passa dal 33,4% al 32,8%). A migliorare, seppur leggermente, sono  due delle regioni sotto commissariamento: la Campania, che passa da 42,4% al 41,7%, e il Lazio che da 43% passa a 41,3 %. Al centro il Lazio è la regione che in termini assoluti spreca più soldi con 1.900 milioni di euro bruciati. Critica anche la situazione delle regioni a Statuto Speciale, dove la media dell'inefficienza tocca il 36,1%, con punte del 41,8% in Sardegna. 

Ci si cura di più. Sarà forse colpa di una popolazione che invecchia sempre di più, ma il rapporto segnala che in Italia aumenta la richiesta di cure. Nell'ultimo anno un cittadino italiano su tre (29,5%) ha usufruito dei servizi ospedalieri, pubblici o privati. Un dato in aumento se paragonato con il 23,8% del 2010. Rispetto allo scorso anno è cresciuta la preferenza per l'ospedale pubblico (82,3% contro il 79,3% del 2010), anche per l'aumento (+2,6%) del ricorso alle strutture di pronto soccorso. In lieve flessione, di conseguenza, i numeri del privato, sia per le strutture accreditate (17,8% contro 19,6%), sia per le cliniche (4,6% contro 5,1%).

I cittadini e i servizi. L'indagine sui cittadini ha inoltre evidenziato una positiva percezione dei servizi ospedalieri. Ha infatti espresso un giudizio "molto" o "abbastanza soddisfatto" il 95,3% dei pazienti del privato accreditato e l'87,8% di chi ha usufruito delle strutture pubbliche e il 96,6% di chi si è rivolto alle cliniche private. L'indagine mette in fine in evidenza che le percentuali dei giudizi "molto soddisfatti" sono decisamente più elevate per il privato accreditato (50,7%) rispetto al pubblico (29,0%) e alle cliniche private (46,7%).



http://www.repubblica.it/salute/medicina/2011/12/01/news/ospedali_pubblici_inefficienti_tredici_milioni_di_sprechi_l_anno-25917735/?ref=HRLV-3

Giacigli di piante aromatiche in Sud Africa i primi 'materassi'.




Risalgono a 77mila anni fa e sono stati ritrovati nel sito di Sibudu. E' un'importante indicazione sulla cultura dei primi uomini moderni nell'Africa meridionale. Erano insetto-repellenti, venivano cambiati di frequente e servivano anche da piano di lavoro.


di ALESSIA MANFREDI

GIOIE e benefici di un buon riposo notturno non erano ignote ai nostri antenati. Che già 77mila anni fa addolcivano il loro sonno usando 'materassi', o più esattamente comodi giacigli preparati con soffici piante locali, alcune delle quali con proprietà insetto-repellenti

È un team internazionale di archeologi a descriverne su Science 1 la scoperta. Ad oggi risultano i più antichi e sono stati ritrovati nel riparo roccioso di Sibudu - nella provincia di KwaZulu-Natal - sito che negli ultimi anni si è rivelato prezioso per la ricchezza e l'importanza dei reperti che ha restituito, fondamentali per fare luce sulla cultura dei primi uomini moderni nell'Africa meridionale: qui sono state individuate tracce di punte di freccia in osso e monili a base di conchiglie fra i più antichi mai ritrovati, nonché la prima testimonianza di colla, composta da resina e ocra.   

Il nuovo tassello aggiunto ora dalla professoressa Lyn Wadley, dell'università di Witwatersrand 2 a Johannesburg, in collaborazione con altri colleghi in Sud Africa, Germania e Stati Uniti - fra cui anche l'italiano Francesco Berna, della Boston University 3 - è di circa 50mila anni antecedente ad esemplari simili finora noti e dà indicazioni rilevanti sul modo in cui gli abitanti organizzavano il loro ambiente quotidiano in tempi così remoti. 

I giacigli rinvenuti nel sito, dove la professoressa Wadley scava dal 1998, sono composti da resti di fusti e foglie di piante acquatiche come falasco e giunco, erbacee e cespugliose come la Cryptocarya woodii. Le stesse che la popolazione locale utilizza ancora oggi per intrecciare stuoie. 
 
"Si tratta di una sequenza di strati spessi qualche centimetro, composti a loro volta da strati ancora più sottili di resti vegetali. La frequenza, almeno 15, e la loro estensione, qualche metro quadrato, nel riparo di Sibudu sembra spiegarsi solo con la loro introduzione nel sito da parte dell'uomo", racconta il professor Berna del dipartimento di archeologia all'università di Boston, co-autore dello studio. I più antichi, particolarmente ben conservati, risalgono a 77mila anni fa; contemporanei quindi ad altre manifestazioni di un comportamento 'moderno' dei nostri progenitori, rinvenute sempre in Sud Africa.

I diversi strati sono sovrapposti gli uni sugli altri all'interno dei sedimenti e l'intera sequenza copre un periodo temporale da 77mila a 38mila anni, e testimonia almeno due fasi di occupazione distinte. "In quella più antica, fra i 77 ed i 73mila anni, i materiali usati sono soprattutto foglie di Cryptocarya woodii, pianta dalle proprietà aromatiche, medicinali ed insetto-repellenti", chiarisce Berna. "Intorno a 58mila anni fa, invece", continua il professore, "si usavano piante acquatiche, come giunco e falasco".

I ricercatori ipotizzano che questo cambio di strategia rispecchi un succedersi di popolazioni diverse, che potrebbe coincidere con un cambiamento demografico: intorno a 50mila anni fa, l'uomo moderno iniziò a migrare dall'Africa per poi rimpiazzare, col tempo, altre forme umane più arcaiche in Eurasia, come il Neandertal.

I giacigli venivano usati non solo per dormire ma anche come superfici per lavorare. L'analisi al microscopio ha rivelato che gli abitanti li sostituivano periodicamente nel corso della loro occupazione. E che li bruciavano con regolarità a partire da 73mila anni fa, probabilmente per rimuovere insetti e preparare il sito per una futura occupazione. 

Chi abitava questa zona, già in tempi così lontani, aveva quindi una conoscenza approfondita delle piante locali e dei loro usi medici. "L'utilizzo di piante repellenti per gli insetti aggiunge una nuova dimensione alla nostra comprensione del comportamento dell'uomo 77mila anni fa", spiega la professoressa Wadley. E "indica che conoscenze botanico-mediche e tecnologiche hanno origini più antiche rispetto a quanto ipotizzato in precedenza, basandosi sulle culture del paleolitico superiore dell'Europa e Medio Oriente, più o meno di 35mila anni fa", conclude il professor Berna. 
Il fatto, poi, che il loro uso continui tutt'ora nella zona intorno a Sibudu rafforza l'ipotesi che certe conoscenze e comportamenti dell'uomo moderno abbiano origini antichissime.  


http://www.repubblica.it/scienze/2011/12/09/news/sud_africa_giacigli_pi_antichi-26242553/?ref=HREC2-15

La Volpe colpisce ancora. - di Marco Travaglio







Sostiene Massimo D’Alema, intervistato da La Stampa, che il governo Monti è stato un trionfo della politica, ma soprattutto del Pd, ma soprattutto di D’Alema, perché un mese fa “l’alternativa non era tra governo tecnico o elezioni, ma tra governo tecnico o permanenza di Berlusconi. Se non si fosse concretizzata l’ipotesi di Monti, la maggioranza di centrodestra non si sarebbe sfarinata e noi avremmo ancora il Cavaliere a Palazzo Chigi. Altro che politica morta… Si è trattato, al contrario, di una positiva operazione politica”. Strano: noi pensavamo che B. si fosse dimesso perché le azioni del suo gruppo erano precipitate in Borsa del 12 % in un solo giorno; ma soprattutto perché alla Camera era sceso a 308 deputati, 8 in meno della maggioranza, dunque sarebbe caduto al primo voto di sfiducia.
Avevamo anche letto da qualche parte che a portargli via l’ultima decina di “traditori”(Carlucci & C.) era stato Paolo Cirino Pomicino, usato da Casini come sherpa per traghettarli nell’Udc: ma evidentemente la Volpe del Tavoliere vuol farci capire che c’era il suo sulfureo zampino anche dietro l’Operazione Cirino. I suoi elettori superstiti, che già stravedono per Monti, ne saranno entusiasti e orgogliosi.

D’Alema spiega poi che andare alle elezioni non conveniva: si rischiava di vincerle (“non le abbiamo chieste nonostante i sondaggi a noi favorevoli”). Molto meglio il governo dei banchieri, perché “una classe dirigente seria sa sfidare anche l’impopolarità per riparare i guasti provocati dalla destra”. Il Molto Intelligente previene la domanda che sorge spontanea: ma sei fuori come un balcone? E replica: “Due mesi di campagna elettorale avrebbero fatto precipitare l’Italia nella condizione della Grecia”.
Sarà, ma due mesi di campagna elettorale han salvato la Spagna, che pareva sull’orlo del baratro e ora sta meglio di noi: di fronte alla prospettiva di un governo legittimato dagli elettori (peraltro al posto di Zapatero, non dei nostri banditi), i mercati han dato agli spagnoli il tempo necessario di votarlo. E non si vede perché non avrebbero dovuto farlo anche con noi. Si dirà: perché la nostra legge elettorale non garantisce la maggioranza nei due rami del Parlamento. Vero: ma, in nome dell’emergenza, il centrosinistra avrebbe potuto presentarsi agli elettori col Terzo polo e Monti candidato premier di un governo a tempo, due anni non di più, che facesse le riforme più urgenti e poi riportasse l’Italia alle urne, con una legge elettorale decente, destra e sinistra di nuovo su fronti contrapposti. Prevedibilmente quello schieramento avrebbe stravinto, avrebbe raso al suolo B., e all’inizio dell’anno avremmo avuto ugualmente un governo Monti. Ma non piovuto dal cielo o dal Colle o dal caveau di qualche banca: consacrato dal consenso degli elettori, dunque politicamente responsabile e non più ricattato da B. e da nessun altro.

Cioè in grado di far pagare il giusto agli evasori, a Mediaset, alla Chiesa e forse persino alla Casta. Cosa che oggi non può fare, anche se quel mattacchione di D’Alema riesce a dire che Monti “fa pagare pure i ricchi”. Chissà quali ricchi ha in mente. Forse il banchiere Geronzi, che ieri ha raccontato al Corriere del suo “ottimo rapporto con D’Alema e Fassino”? O forse Finmeccanica di Guarguaglini e Borgogni, che foraggiava la fondazione dalemiana Italianieuropei sebbene la legge proibisca alle società pubbliche di finanziare la politica? Sull’Ici alla Chiesa, Max spiega che “bisogna studiare una soluzione, esentando gli edifici adibiti al culto e quelli utilizzati per fini sociali”. Ecco, bravo: mentre lui studia, sapete chi è stato a esentare gli edifici religiosi all’Ici se esercitano “finalità non esclusivamente commerciale”, aggirando i paletti imposti dalla Cassazione? Un decreto del 2006 firmato dall’allora ministro dello Sviluppo economico. Che non era il cardinal Ruini, e nemmeno Bertone. Era Pier Luigi Bersani.



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