sabato 28 gennaio 2012

Formigoni, il cerchio si stringe. - di Paolo Biondani


Ecco i dossier in arrivo dalla Svizzera sugli uomini del presidente della Lombardia. Che smistavano mazzette nel segno di Comunione e Liberazione. Mentre, fra cosche e tangenti, gli arresti mettono in ginocchio la giunta regionale.



Massimo Ponzoni, consigliere e sottosegretario regionale Pdl, straordinario collettore di voti per "il grande capo Formigoni" in Brianza, già assessore lombardo all'Ambiente e alla Protezione civile: arrestato dai magistrati di Monza per una valanga di tangenti urbanistiche e per due bancarotte immobiliari, con imprese svuotate per finanziare le campagne elettorali. Franco Nicoli Cristiani, ras del Pdl a Brescia, consigliere regionale e assessore all'Ecologia nelle prime giunte Formigoni: incarcerato dai giudici di Brescia e Milano subito dopo aver intascato una mazzetta di 100 mila euro (e ne aspettava altri 100 mila) per autorizzare una discarica fuorilegge di scorie d'amianto. Pierangelo Daccò, imprenditore-faccendiere internazionale di stretta osservanza ciellina, proprietario dello yacht di una delle tante vacanze gratuite del governatore lombardo: arrestato da altri magistrati milanesi per traffici milionari di fondi neri, prelevati dalle casse dell'indebitatissimo ospedale San Raffaele. 

Tre nomi, tre inchieste che marcano solo alcuni dei passaggi più recenti delle tempeste giudiziarie che da mesi scuotono i vertici della Regione Lombardia. Imbullonato dal 1995 alla poltrona di presidente, Roberto Formigoni da Lecco, 64 anni, oggi è un politico assediato dagli scandali. Se n'è accorto anche Umberto Bossi ("Ormai ne arrestano uno al giorno") che ha rumorosamente minacciato di togliere l'appoggio della Lega e far crollare la giunta. A rischio di scatenare un regolamento di conti nel centrodestra in tutto il Nord. Forte del potere garantito dalla poderosa macchina del consenso targata Comunione e liberazione, il "celeste" governatore resta trincerato in cima al grattacielo più alto della metropoli (si è fatto costruire un apposito Pirellone-bis, naturalmente con soldi pubblici), ma mostra tutto il suo nervosismo gridando al complotto di inesistenti giudici comunisti, gli stessi che avevano chiesto il carcere per il suo sfidante di sinistra Filippo Penati. E per la prima volta dichiara che potrebbe non ripresentarsi nel 2015, con la malcelata speranza di ricompattare la sua base, superare la bufera e puntare su Roma. Gli scandali però si moltiplicano. Dalla sanità alle grandi opere, dai rifiuti alla mafia. Gli sviluppi delle tante inchieste aperte restano imprevedibili. E un colpo di scena inatteso, che "l'Espresso" è in grado di rivelare, arriva dalla Svizzera. 

Pochi giorni fa i giudici elvetici hanno trasmesso ai pm milanesi nuovi documenti bancari, che sembrano quasi la fotografia di un peccato originale. Un sistema di conti esteri che per almeno un decennio, quello dell'ascesa e consacrazione del governatore lombardo, ha nascosto e custodito un fiume sotterraneo di finanziamenti che irrorava una specie di cupola di Cl. Soldi versati segretamente da aziende del gruppo Finmeccanica, compresa l'ormai famosa Selex (già Alenia), e dai petrolieri italiani coinvolti nello scandalo Oil for food 

Ora le carte documentano che il conto più importante era gestito da due tesorieri ciellini. Almeno uno di loro, negli stessi anni, viveva vicino a Formigoni. Molto vicino. Praticamente sotto lo stesso tetto.

Il palazzo che ospitava i Memores Domini di Cl a MilanoVia Dino Villani è una strada a gomito tra il centro e la periferia nord di Milano, a cinque minuti di macchina dalla Regione. 
L'immobile con le finiture più ricche è un palazzo a forma di "L", protetto da un alto muro di cinta che lascia intravedere solo il parco e i comignoli dei camini. "C'era anche una piscina", racconta un vicino. Ma chi è il proprietario? E chi ci vive? A rispondere è un ex custode: "Era di Ligresti. Poi è diventato la villa del presidente Formigoni, che ha abitato qui per molti anni. Ora l'immobile è stato ristrutturato e diviso in appartamenti messi in vendita". 

Le visure catastali documentano che il palazzo era ed è tuttora di proprietà dell'Immobiliare Costruzioni (Im.co), la scatola edilizia della famiglia Ligresti. La ristrutturazione, stando ai ricordi dei vicini, sarebbe partita poco dopo i primi articoli di stampa sul ruolo di tre amici di Formigoni nello scandalo Oil for food.

Finora si sapeva che gli assessori ciellini all'urbanistica milanese, da Maurizio Lupi in poi, facevano il possibile per aiutare i maxi-progetti del costruttore siciliano, che da re del mattone è nel frattempo diventato imperatore dei debiti. Ma si ignorava che negli stessi anni Formigoni in persona fosse, nella migliore delle ipotesi, inquilino di Ligresti. Visti gli autorevoli precedenti di Scajola e Tremonti, però, non si può escludere che lo fosse a sua insaputa. Anche perché quel palazzo non ospitava solo lui: almeno fino all'autunno 2006, quella era una casa-comunità dei Memores Domini, l'associazione che organizza i ciellini più devoti, quelli che convivono in gruppi chiusi che ricordano i "numerari" dell'Opus Dei o i "sigilli" di don Verzè.

Insieme a Formigoni, allo stesso indirizzo di via Villani 4 ha vissuto per anni Alberto Perego, un fiscalista milanese degli studi Sciumè e Interfield. Lo dichiara lui stesso, il 13 ottobre 2006, deponendo in procura come testimone nell'inchiesta Oil for food. Il pm gli chiede se per caso è lui a essersi intestato, per conto dei Memores, un deposito svizzero chiamato Paiolo: è il forziere dove tra il 1994 e il 2004 sono finiti, tra l'altro, 829 mila dollari versati dalle industrie militari del gruppo Finmeccanica. 

Perego conferma di far parte dei Memores, spiega che nella casa-comunità di Formigoni viveva anche il suo segretario Fabrizio Rota, ma smentisce qualsiasi pasticcio elvetico: "Non ho mai avuto conti esteri né alcun rapporto con Finmeccanica". Il pm Alfredo Robledo, sulla base di altri documenti e testimonianze, lo indaga per falsa testimonianza. Ora sta per aprirsi il processo. E la Svizzera, il 12 gennaio scorso, ha finalmente trasmesso il documento ufficiale con i nomi dei beneficiari del conto Paiolo, aperto nel lontano 1991, prima di Tangentopoli, alla Bsi di Chiasso. 

Il primo titolare è proprio Alberto Perego. Ma la vera sorpresa è che il conto Paiolo, quello che ha custodito fino al 2004 i soldi di Finmeccanica poi travasati verso ignote destinazioni, ha anche un secondo contitolare. Un altro tesoriere occulto di Cl, secondo l'accusa. Che almeno per ora resta senza identità: le autorità svizzere hanno cancellato il suo nome dalle carte. E la procura di Milano non ha fatto una piega, perché rientra nelle regole del gioco: è il segno che si tratta di una persona che finora non è mai emersa nelle indagini italiane. Per cui ha diritto di restare protetta dal segreto bancario svizzero. Morale: nella saga dei conti esteri dell'aristocrazia ciellina, spunta un nuovo mister X delle tangenti bianche.
Sul governatore assediato, però, incombono emergenze giudiziarie più gravi del processo all'amico Perego, destinato a quasi sicura prescrizione. 

Non a caso Formigoni, mentre è costretto a contare i suoi ex assessori arrestati (compreso Piergianni Prosperini, già condannato), ora ammette addirittura che forse fu "un errore" ricandidare Nicoli Cristiani, un berlusconiano sceso a patti con Cl senza farne parte, o Ponzoni, che però faceva comodo come recordman delle preferenze, tanto da riconquistare un posto in lista nel 2010, quando era già notoriamente indagato (oltre che intercettato con i suoi amici imprenditori della 'ndrangheta). Il governatore però non parla mai di mariuoli, mele marce o traditori. E non solo perché sa che molti degli attuali detenuti politici erano generosi anche con lui. 

Come dimostrano le foto, scoperte da "l'Espresso", di Formigoni in costume da bagno sullo yacht di Daccò. O la testimonianza dell'imprenditore pentito che, per comprare "al presidente" un regalo da 12 mila euro, giura di essersi fatto accompagnare in gioielleria dal suo portaborse, in compagnia di Ponzoni.

Il problema più grave, come osserva Bossi con il consueto garbo, è che la lista degli indagati e arrestati continua ad allungarsi. E oltre ai personaggi più in vista comprende molti altri nomi di sicura obbedienza ciellina. 

Qualche esempio? Antonino Brambilla, nominato assessore della Provincia di Monza nonostante la condanna definitiva di Tangentopoli (mazzette sui rifiuti ai tempi dell'emergenza discariche a Milano), è stato appena riarrestato come presunto complice di Ponzoni. Il vicedirettore dell'Arpa, l'agenzia regionale deputata a difendere i lombardi dagli inquinatori, dopo le manette sta vuotando il sacco sulle tangenti all'amianto di Nicoli Cristiani. Antonio Chiriaco, manager calabrese di cliniche lombarde, promosso direttore sanitario della ricchissima Asl di Pavia con nomina "fiduciaria" della giunta Formigoni, è in galera dal 2010 non per concorso esterno, ma come mafioso organico della 'ndrangheta. Rosanna Gariboldi, assessore del Pdl pavese fino al giorno dell'arresto e moglie del parlamentare Giancarlo Abelli, uno dei più potenti alleati del governatore, è stata già condannata a due anni di reclusione: riciclava sul suo conto a Montecarlo i fondi neri di Giuseppe Grossi, il re degli inceneritori targati centrodestra, scomparso per malattia mentre era indagato per colossali disinquinamenti-fantasma, con frodi fiscali e corruzioni da Milano a Sesto.

Ognuna di queste inchieste potrebbe far partire un effetto-valanga. E a questo punto molti altri imprenditori agganciati alla Compagnia delle Opere, il carro economico di Cl, ora temono le manette per tangenti ambientali o edilizie. Costruttori, disinquinatori e asfaltatori sono terrorizzati dalla scoperta che nelle inchieste sull'urbanistica regionale c'è almeno un pentito con i verbali coperti da "omissis". Mentre i fornitori sanitari sono impressionati dal vortice di fatture false, fondi neri e spese pazze emerso sullo sfondo delle rovine del San Raffaele, l'ospedale che per Formigoni era "il fiore all'occhiello della sanità lombarda". E che in realtà ha accumulato un passivo - scoperto solo dopo il suicidio del manager Mario Cal - di un miliardo e mezzo di euro. Anche se incassava la bellezza di 600 milioni all'anno di rimborsi sanitari pubblici, per tre quarti garantiti dagli amici ciellini della Regione Lombardia.

Va sottolineato che Formigoni in passato è sempre stato assolto e allo stato non risulta neppure indagato. Il suo nome però continua a ripetersi anche nelle indagini più spinose. Un esempio? Pierluca Locatelli, l'imprenditore che ha corrotto Nicoli Cristiani, nel novembre scorso cercava una raccomandazione per i primi maxi-appalti dell'Expo 2015. Intercettato, ne parla con un funzionario corrotto. Che gli riferisce di aver interessato "Paolo Alli", il sottosegretario ciellino che sta diventando il braccio destro di Formigoni. E com'è andata? "Il presidente ha dato l'ok", assicura il funzionario corrotto dell'Arpa. Per adesso sono soltanto parole. Intercettazioni che attendono riscontri. Ma in Regione Lombardia, dopo vent'anni di affari in libertà, con la crisi sembrano tornati i tempi di Mani Pulite.

Il palazzo che ospitava i Memores Domini di Cl a Milano
Il palazzo che ospitava i Memores Domini di Cl a Milano


“Stefano Cucchi fu picchiato a morte”. - di Silvia D’Onghia



I medici legali della famiglia del ragazzo scomparso il 22 ottobre 2009 depongono a processo. Se “non fosse stato percorso, non sarebbe morto”. La sorella Ilaria: “Alla Corte è arrivata la verità”. Ma la procura di Roma continua a negare.


Stefano Cucchi non è caduto dalle scale, come invece lui stesso riferì – per paura? – ai medici che lo visitarono dopo l’udienza di convalida del suo arresto. Stefano Cucchi è stato picchiato.

Quella frattura alla terza vertebra lombare sarebbe stata all’origine di un susseguirsi di eventi che, il 22 ottobre 2009, portarono alla morte del geometra romano, detenuto nel reparto protetto dell’ospedale Pertini. Il decesso sarebbe poi avvenuto per edema polmonare, esito che non si sarebbe verificato se il ragazzo fosse stato adeguatamente curato. Ma il nodo del processo è proprio quello: il “trauma”, come lo hanno definito Vittorio Fineschi, Giuseppe Guglielmi, Cristoforo Pomara, Luigi Vendemmiale e Gaetano Serviddio, periti della famiglia Cucchi.

Un’udienza importante, quella di ieri, in cui – per sei ore e con 150 slide – i medici legali hanno tentato di dimostrare alla Corte quella che a loro giudizio è una verità scientifica inoppugnabile: se Stefano non fosse stato percosso, non sarebbe morto. “In corrispondenza della frattura lombare – ha sostenuto Pomara – all’interno c’era sangue: questo significa che era una frattura recente”.

Una “verità” che però la Procura di Roma nega, in un crescendo di tensione con la famiglia sempre più evidente: secondo i periti dell’accusa, infatti, quella frattura sarebbe antecedente all’arresto di Cucchi. Che però, hanno riscontrato ancora i medici di parte civile, era pieno di lesioni e fratture: “Sul corpo c’erano escoriazioni agli arti superiori” ha spiegato Pomara, prova – secondo la letteratura medico-legale – di colluttazione e ripetitività traumatica, mentre quelle sulle mani (ne sono state contate ben 14) “anche indice di difesa”.

Stefano Cucchi è stato giudicato magro ma sportivo e, se non fosse incorso quel “trauma” e in quell’abbandono (i nove medici del Pertini a giudizio sono accusati, tra l’altro, di abbandono di incapace), non sarebbe mai morto. I traumi riscontrati “non sono compatibili con una caduta – ha concluso Fineschi -, ma hanno una genesi traumatica di tipo contundente, violenta. Non è possibile che un soggetto così giovane possa aver avuto quello che abbiamo visto dopo una caduta”.

In udienza, a dare sostegno alla famiglia Cucchi, c’erano anche Patrizia Aldrovandi e Lucia Uva, madre e sorella di Federico e Pino, altri due ragazzi morti mentre erano nelle mani dello Stato. “Finalmente alla Corte è arrivata la verità – ha commentato Ilaria, la sorella di Stefano, al termine dell’udienza – in maniera scientifica e molto comprensibile. Mi auguro che questo pesi sul giudizio finale”.

Molto soddisfatto è anche l’avvocato dei Cucchi (e anche degli Aldrovandi e degli Uva), Fabio Anselmo, che annuncia persino di voler chiedere il cambio di imputazione nei confronti dei tre agenti della polizia penitenziaria alla sbarra: “Oggi in aula abbiamo sentito parlare di traumi che per me significano botte, pugni, calci; insomma, un pestaggio. Stentiamo a credere che siano sotto processo per lesioni dolose lievi; per noi devono rispondere di omicidio preterintenzionale”.


venerdì 27 gennaio 2012

Berlusconi ricusa i giudici.


Gli avvocati Niccolo' Ghedini e Piero Longo, difensori del l'ex presidente del Consiglio
Gli avvocati Niccolo' Ghedini e Piero Longo, 
difensori del l'ex presidente del Consiglio

Al centro dell'istanza i contrasti con i giudici sul calendario delle udienze.


MILANO - I difensori di Silvio Berlusconi hanno da poco depositato alla Corte d'Appello di Milano l'istanza di ricusazione nei confronti dei giudici del processo Mills. Al centro dell'istanza c'é la convinzione della difesa che la prescrizione scada prima della data fissata dal collegio per la sentenza, l'11 febbraio
Gli avvocati  , dopo aver abbandonato l'aula del processo Ruby a carico sempre di Berlusconi avendo lamentato anche per quel dibattimento questioni sul calendario delle udienze, stanno preparando l'istanza di ricusazione contro il collegio della decima sezione penale di Milano, presieduto da Francesca Vitale, che sta celebrando il processo Mills, dove l'ex premier è imputato per corruzione in atti giudiziari. Proprio ieri, i giudici dopo una lunga camera di consiglio erano usciti con una ordinanza che aveva tagliato tre testimoni alla difesa di Berlusconi e aveva fissato l'udienza per l'esame dell'ex presidente del Consiglio per il 31 gennaio, anche se i difensori sostenevano che si dovesse fare dopo la conclusione dell'esame testimoniale dell'avvocato inglese (che prosegue il prossimo 3 febbraio).
Da quanto si è saputo, quindi, i difensori di Berlusconi stanno scrivendo un'istanza di ricusazione, richiesta che si fa nei casi in cui si sostiene che i giudici non sono del tutto imparziali e non possano quindi prendere una decisione nel processo. L'istanza dovrebbe essere affidata alla quinta sezione della Corte d'appello di Milano, che poi dovrà decidere sulla richiesta della difesa. In questi casi, di regola, la decisione della Corte d'appello avviene in tempi rapidi e, stando alla giurisprudenza maggioritaria, il processo non si blocca in attesa della decisione sulla ricusazione. Sempre stando alla giurisprudenza, i giudici, se non è ancora arrivata la decisione sulla ricusazione, devono però fermare il processo prima della sentenza, cioé prima di entrare in camera di consiglio.

Orrore Shoah, mondo ricorda.



L'interno di un dormitorio del campo di concentramento di Buchenwald. Vi si ammassavano centinaia di deportati denutriti.
L'interno di un dormitorio del campo di concentramento di Buchenwald. 
Vi si ammassavano centinaia di deportati denutriti.



 Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche dell'Armata Rossa, arrivando nella città polacca di Auschwitz, aprirono i cancelli del campo di sterminio svelando al mondo gli orrori che vi erano stati consumati.
Nel 2000 il Parlamento italiano istituì il 27 gennaio il Giorno della Memoria, in "ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti".

Il 27 gennaio il ricordo della Shoah, lo sterminio del popolo ebreo, è celebrato anche dall'ONU, in seguito alla risoluzione del 1 novembre 2005.

L'idiota in politica. - di Alessandro Gilioli.

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A Sesto Calende il sindaco leghista Marco Colombo ha fatto eliminare dalla biblioteca comunale della sua città un libro sgradito:
, perché parlava male della Lega.

L’ho letto qui , in coda a un pezzo che non c’entrava niente, ma non ci credevo. Mi pareva troppo grossa, far fuori dei libri. Lo facevano Hitler, Stalin, Pinochet.
Allora ho fatto un paio di telefonate e ho scoperto che il sindaco in giro si vanta della sua trovata: appena il libro è arrivato alla biblioteca comunale, uno di loro (anzi una, pare: l’assessore alla cultura Silvia Fantino Cardani) se l’è preso, formalmente in prestito. Ce l’ha da quattro mesi. Fra un po’ lo restituirà, andando in biblioteca con un altro leghista, che lo riprenderà subito dopo.
E così via, all’infinito: perché nessun cittadino di Sesto Calende possa sapere quanto è idiota l’idiota in politica.


L’altro Vaticano: truffe, furti nelle ville pontificie e fatture contraffatte. - di Marco Lillo






In una lettera inedita al cardinal Bertone, monsignor Viganò accusa alti prelati e giornalisti. Una vera e propria lista nera: Marco Simeon, dirigente Rai "molto vicino al segretario di Stato", monsignor Nicolini reo di "comportamenti amministrativi riprovevoli". E poi le "calunnie" ordite a suo danno, secondo il prelato, dal Giornale di Sallusti


Furti nelle ville pontificie coperti dal direttore dei Musei Vaticani, monsignor Paolo Nicolini. E poi fatture contraffatte all’Università Lateranense a conoscenza addirittura dell’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per l’evangelizzazione. E ancora: interessi del monsignore in una società che fa affari con il Vaticano ed è inadempiente per 2,2 milioni di euro. Ammanchi per centinaia di migliaia di euro all’Apsa – rivelati dal suo stesso presidente – e frodi all’Osservatore, rivelate da don Elio Torregiani, ex direttore generale del giornale. C’è tutto questo nella lettera che Il Fatto pubblica oggi. I toni e i contenuti sono sconvolgenti per i credenti che hanno apprezzato gli appelli del Papa. “Maria ci dia il coraggio di dire no alla corruzione, ai guadagni disonesti e all’egoismo” aveva detto nel giorno dell’Immacolata del 2006 Ratzinger.

EPPURE il Papa non ha esitato a sacrificare l’uomo che aveva preso alla lettera quelle parole: Carlo Maria Viganò, l’arcivescovo ingenuo ma onesto, approdato alla guida dell’ente che controlla le gare e gli appalti del Vaticano. La lettera di Viganò è diretta a “Sua Eminenza Reverendissima il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato della Città del Vaticano”, praticamente al primo ministro del Vaticano. Quando scrive a Bertone è l’8 maggio del 2011, Viganò è ancora il segretario generale del Governatorato. Ed è proprio dopo questa lettera inedita, e non dopo quella del 27 marzo già mostrata in tv da Gli intoccabili, che Viganò viene fatto fuori. La7 si è occupata mercoledì scorso della lotta di potere che ha portato alla promozione-rimozione di Viganò a Nunzio apostolico negli Usa. L’arcivescovo-rinnovatore aveva trovato nel 2009 una perdita di 8 milioni di euro e aveva lasciato al Governatorato nel 2010 un guadagno di 22 milioni (34 milioni secondo altri calcoli). Nonostante ciò è stato fatto fuori da Bertone grazie all’appoggio del Papa e del Giornale di Berlusconi. A questa faida vaticana è stata dedicata buona parte della trasmissione condotta da Gianluigi Nuzzi che, nonostante lo scoop, si è fermata al 3, 4 % di ascolto. In due ore sono sfilati anche il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, un uomo del Vaticano in Rai, Marco Simeon e il vice di Viganò al Governatorato, monsignor Corbellini. Sono state poste molte domande sulle lettere scritte prima e dopo ma non su quella dell’ 8 maggio che è sfuggita agli Intoccabili. Peccato perché proprio in questa lettera si trovano storie inedite che coinvolgono nella parte di testimoni o vittime di accuse anche diffamanti, gli ospiti di Nuzzi.
E PECCATO anche perché nella lettera ci sono molte risposte (di Viganò ovviamente) ai quesiti posti da Nuzzi. Tipo: chi è la fonte del Giornale che ha scatenato la polemica tra Viganò e i suoi detrattori? Oppure: perché Viganò è stato cacciato? Probabilmente dopo la lettera che pubblichiamo sotto era impossibile per il Papa mantenere Viganò al suo posto. Il segretario del Governatorato non scriveva solo di false fatture e ammanchi milionari. Non lanciava solo accuse diffamatorie sulle tendenze sessuali dei suoi nemici ma soprattutto metteva nero su bianco i risultati di una vera e propria inchiesta di controspionaggio dentro le mura leonine. E non solo spiattellava i risultati, (tipo: la fonte del Giornale è monsignore Nicolini che vuole prendere il mio posto. O peggio: Monsignor Nicolini ha contraffatto fatture e defraudato il Vaticano) ma sosteneva che le sue fonti erano personaggi di primissimo livello come don Torregiani, monsignor Fisichella e monsignor Calcagno.

Infine minacciava: “I comportamenti di Nicolini oltre a rappresentare una grave violazione della giustizia e della carità sono perseguibili come reati, sia nell’ordinamento canonico che civile, qualora nei suoi confronti non si dovesse procedere per via amministrativa, riterrò mio dovere procedere per via giudiziale”. Una minaccia ancora valida nonostante l’oceano separi l’arcivescovo dalla Procura. Anche perché il telefonino di Viganò continua a squillare a vuoto.

Financial Times incorona Monti «Europa si poggia su sue spalle»



mario monti rai tre


L'Italia è tornata. «Dopo un'assenza durata un paio di decenni, l'Italia è tornata ad essere protagonista sulla scena europea e il destino di 'Mister Monti' potrebbe coincidere con quello dell'Europa intera», scrive oggi Philip Stephens nel suo commento sul Financial Times. «La tedesca Angela Merkel è al vertice del potere europeo. Il francese Nicolas Sarkozy può considerarsi il più energico dei leader europei. Mario Monti è il più interessante. Dopo un'assenza durata circa 20 anni l'Italia è tornata in scena».

Questo ritorno sul palco ha un forte sostenitore: gli Stati Uniti. Dal recente annuncio della Casa Bianca dell'imminente visita di Mario Monti a Washington trapela un inusitato entusiasmo verso il nuovo capo del governo italiano, tanto da poter essere letto come segue: «Obama sostiene Monti su tutta la linea, incluso quando mette pressione su Merkel». «La grande questione - scrive il FT - è se l'Europa è in grado di competere in un mondo nel quale l'Occidente non è più dominante. Per questo quello che Monti sta facendo in Italia è veramente importante». «C'è stato un tempo - spiega il FT - in cui l'Italia aveva qualcosa da dire in Europa». «L'era di Silvio Berlusconi ha messo fine a questa influenza». «Mr Berlusconi - prosegue il FT - prendeva in giro l'aspetto della signora Merkel. Mr Monti parla con lei di economia». «Monti conta perchè è in Italia che le prospettive a lungo termine dell'euro saranno decise». 

«L'era di Silvio Berlusconi ha messo fine all'influenza italiana» sulla politica europea, dato che il Cavaliere era «schivato dai suoi colleghi europei, e considerato, a seconda dei casi, come una fonte di irritazione o imbarazzo». Al contrario, il suo successore «è diverso, su ogni livello». 

Mario Monti «ha un paio di carte da giocare», si legge sul Ft: la prima riguarda la debolezza dell'elite politica italiana, talmente malridotta da lasciargli, quasi certamente, almeno un anno di tempo per portare a termine le sue riforme. La seconda carta nelle sue mani «è che lui si può permettere di parlare chiaro alla Germania», dall'alto dell'indiscutibile professionalità dimostrata quando era commissario europeo. E Obama lo sostiene quando Monti dice a Merkel che «un'austerity senza limiti potrebbe trasformare il fiscal pact in un patto suicida». 

Ma il vero test che Monti deve superare è quello di liberalizzare l'economia. E lo stesso vale per l'Europa che si trova di fronte a una sfida: adattarsi ad un mondo in cui non è più lei a dettare le regole degli scambi e della produzione. «Per questa ragione, ciò che Monti sta facendo in Italia, è davvero fondamentale» per tutta l'Europa. L'altra carta è che «Monti può parlare con sincerità al potere tedesco», perchè la sua storia di «riformatore liberale nella commissione Ue è indisputabile» e il suo comportamento «sfida tutti gli stereotipi dell'inefficiente europeo del sud».



http://www.unita.it/mondo/financial-times-incorona-monti-br-europa-si-poggia-sulle-sue-spalle-1.375977