lunedì 2 aprile 2012

E’ in Asia il modello per riformare l’economia Ma al posto del Pil mette la felicità. - di Andrea Pira



L'Onu parla per due giorni del fenomeno del Bhutan, il piccolo regno buddista incastonato tra le due potenze emergenti, Cina e India. La svolta del sovrano (che ha 32 anni). Tra i criteri qualità dell'aria, salute dei cittadini, istruzione, ricchezza dei rapporti sociali, rispetto della natura.


Il giovane sovrano del Bhutan Jigme Khesar Namgyel
Le Nazioni Unite guardano all’Asia per riformare l’economia mondiale. Gli occhi non sono però sulle due locomotive cinese e indiana, ma sul lento e felice Bhutan. Non più crescita e prodotto interno lordo; per due giorni al Palazzo di Vetro a New York, leader mondiali ed economisti discuteranno del “paradigma economico” di cui il piccolo regno buddista incastonato tra le due potenze emergenti è diventato il portabandiera: la felicità.

“Dobbiamo ripensare questo modello basato esclusivamente sulla crescita e capire come possiamo prosperare in armonia con la natura. Non possiamo accettare come irreversibili la distruzione della natura e il collasso finanziario” ha spiegato Jigmi Thinley, primo ministro del Paese himalayano che ha invitato i capi di Stato e di governo nella capitale Thimphu per discutere di come riformare il sistema finanziario internazionale e di nuovi modelli con cui determinare il progresso di una nazione.

Già dal quattro anni il Bhutan adotta come indicatore per calcolare il benessere della popolazione il cosiddetto indice di Felicità interna lorda. La svolta decisa dal trentaduenne monarca, Jigme Khesar Namgyel, fu in realtà teorizzata negli anni Settanta del secolo scorso dal nonno. I criteri presi in considerazione sono la qualità dell’aria, la salute dei cittadini, l’istruzione, la ricchezza dei rapporti sociali. Secondo i dati della Banca Mondiale, il Paese è uno dei più poveri dell’Asia, con un Pil pro capite di 1,800 dollari. Tuttavia, secondo un sondaggio della rivista Businessweek, è anche la nazione più felice del continente e l’ottava al mondo.

Ad agosto del 2011 il modello bhutanese fu fatto proprio dall’Assemblea generale dell’Onu con una risoluzione che riconosceva il raggiungimento della felicità come un traguardo fondamentale dell’uomo ed esortava gli Stati membri a sviluppare metodi più efficaci del Pil per misurare il benessere dei propri cittadini.

Il video-messaggio del principe Carlo d’Inghilterra e la presenza agli incontri di economisti quali Joe Stiglitz e Jeffrey Sachs, oltre che del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon mostrano come queste considerazioni stiano facendo breccia nella comunità internazionale. I leader occidentali guardano a questi cambiamenti con pragmatismo. Come ha spiegato all’agenzia France Presse, l’inviato britannico Gus O’Donnell, le future decisioni di Londra saranno prese valutando anche costi e benefici in termini di benessere dei cittadini. Lo stesso vale per la strategia comunicativa. Per esempio nella campagna contro l’evasione fiscale, in cui si enfatizzano i servizi di cui la comunità potrà godere con il pagamento delle imposte. Anche in Australia per molti anni il governo ha preso in considerazione “le opportunità e le libertà” che i cittadini potevano guadagnare o perdere dall’approvazione di una determinata legge.

Gli ideatori dell’indice di Felicità lorda interna non vogliono però passare per anti-tecnologici e anti-materialisti. “Non c’è nessun ritorno alla vita semplice”, si legge nel documento di presentazione di una conferenza sul tema tenuta lo scorso agosto a Thimphu. “Nel mondo vivono sette miliardi di persone. Questo comporta tremende difficoltà nel soddisfare i bisogni di tutti ed essere capaci di agire in società complesse. Ogni tentativo di riportare indietro le lancette dello sviluppo tecnologico porterebbe soltanto disastri”.

Il loro programma punta a migliorare l’istruzione, la protezione dell’ecosistema e a permettere lo sviluppo delle comunità locali. Traguardi che in parte corrispondono agli Obiettivi del Millennio da raggiungere entro il 2015 stabiliti dall’Onu dodici anni fa. Come scrive Stewart Patrick del Council on Foreign Relations, alcuni dei punti dell’agenda della felicità possono però far discutere. Su tutti quello che auspica un “controllo dei media”, sebbene non per limitare la libertà di espressione, ma per evitare che si inducano le persone ad avere bisogni artificiali.

Sulla felicità del governo di Thimphu pesa infine un ulteriore ostacolo. Si tratta della sorte degli oltre 90mila bhutanesi di etnia nepali e religione indù, esiliati dal precedente sovrano per preservare l’omogeneità buddista del regno. Nonostante il passaggio dalla monarchia assoluta alla monarchia costituzionale tre anni fa e le riforme avviate dal giovane re, sono ancora costretti nei campi profughi nepalesi.

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Ordine dei giornalisti denuncia una web tv L’accusa: “Abuso della professione”. - di Eleonora Bianchini



L'esposto alla Procura di Pordenone nei confronti di una piattaforma online, che non è testata registrata, in cui gli utenti possono caricare video che riguardano anche fatti di politica e cronaca. Iacopino: "Chi dà notizie è un canale informativo. E come tale svolge attività giornalistica".


Nell’era degli smartphone e dei social network, i cittadini possono utilizzare la tecnologia per fare informazione e documentare fatti e notizie. Con una foto o un video amatoriale direttamente postati online, anche senza un tesserino dell’albo professionale. Eppure chi lo fa potrebbe rischiare una denuncia da parte dell’ordine dei giornalisti per esercizio abusivo della professione e, quindi, fino a sei mesi di carcere.

Il caso nasce a seguito di un esposto dell’ordine dei giornalisti del Friuli Venezia Giulia che ha denunciato una web tv di Pordenone. Si chiama PnBox, non è una testata registrata e mette a disposizione una piattaforma in cui gli utenti possono caricare video autoprodotti che vengono trasmessi gratuitamente, e che includono anche notizie di cronaca e politica, oltre ad appuntamenti di musica, arte e cultura in città.

L’accusa più grave per cui è imputato l’amministratore delegato Francesco Vanin, è quella di avere diffuso “gratuitamente notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale specie riguardo ad avvenimenti di attualità, politica e spettacolo”. In pratica, quello che centinaia di blog e cittadini fanno abitualmente quando postano video e foto sui social network. Inoltre, in quanto responsabile delle trasmissioni sulla webtv, secondo l’ordine avrebbe svolto “attività giornalistica non occasionale diffondendo gratuitamente notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale specie riguardo ad avvenimenti di attualità politica e spettacolo relativi soprattutto alla provincia di Pordenone”. Vanin, però, non ha mai svolto attività giornalistica. Ha solo messo a disposizione una piattaforma. L’odg pare quindi sostenere che soltanto chi è munito di tesserino può fare informazione e diffondere notizie. Nonostante la sentenza 1907/10 della Cassazione, secondo cui le pubblicazioni online di una testata non registrata non sono soggette alla legge sulla stampa.

“Mi aspettavo la denuncia – spiega Vanin – come tutte le corporazioni, anche l’Ordine dei giornalisti cerca di mantenere le sue rendite di posizione. Già il fatto che esista ancora è un’anomalia tutta italiana, nonché un retaggio dell’era fascista”. Ma quel che secondo l’amministratore della webTv è più grave è che “in base ai capi di accusa che mi sono stati imputati, anche chi scrive su Facebook può essere denunciato”. In pratica, “se mio figlio posta un video su YouTube rischia sei mesi di carcere”. E aggiunge che la registrazione come testata non è obbligatoria per chi “rinuncia alle provvidenze statali”. Una scelta, quella di non ricevere contributi pubblici, ” per continuare a essere liberi e indipendenti”.

Per Enzo Iacopino, presidente dell’odg nazionale, “essere testata giornalistica è soltanto un adempimento formale. Non conosco la questione specifica – puntualizza –  ma se una piattaforma web trasmette notizie di politica e attualità con regolarità, allora si configura come canale informativo. Del resto che cosa fanno i giornalisti?”. Posizione peraltro condivisa da Pietro Villotta, presidente dell’ordine del Friuli che ha presentato l’esposto alla procura di Pordenone. “Non abbiamo nulla di personale contro Vanin e la sua tv – osserva – ma riteniamo che qualsiasi sito che si presenti ‘nella sostanza’ come informazione giornalistica debba rispettare la legge sulla stampa”. Una ‘sostanza’, però, senza confini e criteri chiari di definizione. “Esiste una zona grigia tra l’articolo 21 della Costituzione e la legge sulla stampa, dentro la quale rientrano blog e piattaforme online. Anche chi pubblica i video su YouTube fa divulgazione”. E se lo fa regolarmente, secondo l’ordine, è passibile di segnalazione, anche se tratta di “questioni aperte su cui deciderà il legislatore”. Per Villotta “tutto dipende dalla periodicità. Il nostro esposto è a tutela della categoria e dell’ordine. Se viene a meno la garanzia della legge sulla stampa siamo nella giungla”. Il citizen journalism è la ‘concorrenza sleale’ da condannare? “No. Ma se le piattaforme online, dalle web tv ai blog, fanno informazione continuativa, allora noi tuteliamo la categoria”.

"Siete delle merde, ci state uccidendo!"



Tratto da "servizio pubblico", puntata del 29 marzo 2012



sabato 31 marzo 2012

Vittorio Corradino - Giornalista



Conosco Vittorio da una vita, di lui mi fido ciecamente.



E Mediaset disse a Fede: “Bocca cucita su B.”



Il Biscione propose all'ex direttore del Tg4 un accordo di buonauscita che non è andato a buon fine: silenzio sulle vicende dell'ex presidente del Consiglio. Bunga bunga compreso.


L'ex direttore del Tg4 Emilio Fede
C’era pure una clausola di riservatezza tutta particolare nell’accordo saltato tra Mediaset ed Emilio Fede. L’ormai ex direttore del Tg4 avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa non solo sui particolari dell’organizzazione e dei bilanci del gruppo del Biscione. Ma anche su informazioni di “qualsiasi altro genere” riguardanti gli azionisti della società. Berlusconi compreso, quindi. Il segreto più assoluto sarebbe calato persino sulle serate di Arcore a base di bunga bunga. Quelle al centro dei due processi Ruby che hanno come imputati – in dibattimenti distinti – sia il Cavaliere che il giornalista. Vicende giudiziarie che si aggiungono all’inchiesta in cui Fede è indagato per concorso in bancarotta fraudolenta dalla Procura di Milano, che proprio ieri gli ha inoltrato un invito a comparire: i magistrati lunedì cercheranno di capire se il suo presunto viaggio a Lugano è stato fatto per depositare denaro sottratto alla LM Management, la società di Lele Mora dichiarata fallita.

L’ACCORDO tra Fede e RTI, società del gruppo Mediaset, era quasi pronto. Per la buonuscita si è parlato di cifre tra i 5 e i 10 milioni di euro. Somme non confermate, che non erano ancora state inserite nella bozza d’intesa di cui il Fatto Quotidiano è venuto in possesso. Nel documento, che risale a metà febbraio, a parte i soldi, sono già chiari tutti gli altri aspetti. La data di cessazione del rapporto di lavoro: quel 30 giugno 2012 messo nero su bianco, mentre Fede avrebbe voluto spostarla più in là. E la clausola di riservatezza: “Il giornalista non divulgherà né rivelerà ad alcuno qualunque rilevante informazione produttiva, organizzativa, finanziaria, fiscale o economica relativa al datore di lavoro”. E fin qui niente di strano. Segue però l’impegno a non divulgare “ogni altra informazione riservata o privata relativa agli affari o alle attività giornalistiche, editoriali o di qualsiasi altro genere” riguardante il gruppo Mediaset. E i suoi “azionisti”, tra cui c’è pure il Cavaliere. Tre parole (“qualsiasi altro genere”) per blindare ogni “segreto”: così vengono definiti nella bozza dati e informazioni da non diffondere. Chissà se Fede ne avrebbe tenuto conto davanti ai pm che lo accusano di favoreggiamento e induzione alla prostituzione per le feste a villa San Martino. Del resto, da imputato, non rischia conseguenze penali se non dice la verità.

Anche alle vicende giudiziarie si faceva riferimento nell’accordo: il giornalista “si impegna espressamente a non trattare personalmente in video sino alla data di cessazione nel corso del Tg4 vicende connesse a procedimenti penali che lo riguardino direttamente o indirettamente”. E connesse “a vicende personali comunque collegate o collegabili con società del gruppo Mediaset o relativi rappresentanti”. Davanti alle telecamere del Tg4, quindi, nessuna parola sui guai giudiziari del Cavaliere. Ne avevano facoltà solo gli altri giornalisti del tg. Sbigottiti per la cacciata. Ieri, con una nota, hanno giudicato negativamente la chiusura della rubrica di spettacolo Sipario, la prima decisione del loro nuovo direttore Giovanni Toti. Che ha mandato via la conduttrice, la favorita di Fede, Raffaella Zardo.

QUELLO VECCHIO l’hanno mandato via prima che firmasse l’accordo, con una nota che ha fatto riferimento alla trattativa “non approdata a buon fine”. È finita diversamente da quanto previsto: la notizia della risoluzione del rapporto di lavoro, secondo la bozza d’intesa, doveva essere data con un comunicato stampa concordato tra le parti. Blindatissime le informazioni da divulgare sulla trattativa: ogni ulteriore dichiarazione avrebbe dovuto essere coerente con il comunicato stampa e le parti si sarebbero impegnate a “precisare o smentire ogni diversa ricostruzione che dovesse essere diffusa da qualsiasi mezzo o fonte”. L’accordo hanno provato a farglielo firmare qualche giorno prima che la storia della valigetta con i 2,5 milioni di euro facesse precipitare la situazione, fino al licenziamento. Era già definito anche il futuro ruolo che Fede avrebbe avuto all’interno del gruppo: direttore editoriale informazione a partire dall’ 1 luglio 2012 per tre anni, più un’opzione a favore di Rti per il rinnovo di altri due. E, in più, “la conduzione di un programma di approfondimento giornalistico, simile e analogo a Password”.

Ma Fede ha tirato troppo la corda. In passato appassionato di gioco d’azzardo, ha rilanciato un’altra volta. “Sono stato capriccioso, testardo”, ha ammesso. Consapevole che ora gli resta un’ultima trattativa da affrontare, perché la sua uscita da Mediaset sia davvero un arrivederci e non un addio. Anche per questo, forse, ha preso tempo con i pm. Fede ha chiesto di essere ascoltato e si presenterà dai magistrati lunedì. I pm erano pronti a interrogarlo già ieri, ma i suoi legali hanno chiesto un rinvio. L’ex direttore avrà ancora un weekend. Per giocare tutte le sue carte.