venerdì 20 aprile 2012

Assenteismo al Comune di Roma



Parla Monica Cirinnà. Sotto di lei, seduto, Alfredo Ferrari. Scranno centrale il presidente del consiglio comunale Marco Pomarici

Si discute una manovra da 730 milioni, vendono l'acqua pubblica, tagliano i fondi all'assistenza sociale e cultura, ma i consiglieri non ci sono.


ROMA - Comincia l'iter per l'approvazione del bilancio del Comune di Roma. Quando l'Assessore competente, Carmine Lamanda, illustra la relazione l'aula è vuota. La maggioranza non c'è, e neppure il Sindaco Alemanno. L'opposizione decide di sedersi fra il pubblico. Sembra che la cosa non interessi a nessuno eppure le cifre non sono rassicuranti e i consiglieri comunali, che rappresentano i cittadini romani, intascano di diaria circa 1500 euro al mese, e il loro gettone di presenza è comunque salvo perché la seduta era iniziata al mattino e all'appello hanno risposto in più di 30. Hanno chiamato la pausa per avere il tempo di leggere la relazione tecnica. Ma poi si sono dati alla fuga.
L'assessore Lamanda espone la relazione al bilancio: manca tutta la maggioranza
L'assessore Lamanda espone la relazione al bilancio: manca tutta la maggioranza
LA MANOVRA - Secondo quanto dice Lamanda Roma dovrà affrontare una manovra d'aula di circa 730 milioni di euro a causa dei minori trasferimenti statali e regionali. E allora il comune punta a far cassa con le tasse, l'Imu su tutte, che si stima porterà 165,5 milioni dalla prima casa e 448,5 milioni dagli altri immobili. Ma non finisce qui: Lamanda parla di stipendi a rischio e difficoltà di cassa già a partire da settembre. E se gli stipendi non si possono pagare, allora, tutto è lecito, anche vendere un pezzo di Acea. Poi ci sono i tagli: 66,63 milioni in meno per i servizi, di cui 21 milioni in meno per il sociale e assistenza abitativa; 6,37 milioni in meno alla cultura, 1,38 per lo sviluppo economico. Cifre e strategie che meriterebbero una profonda discussione. Ma a Roma oggi, durante la discussione, c'è il sole.


Marco Travaglio: i rimborsi economici ai partiti - puntata 20 - Servizio Pubblico.

giovedì 19 aprile 2012

Vittorio Corradino - Candidato al Consiglio Comunale di Palermo - amministrative 2012

Perché lo stato deve finanziare i partiti. - Nadia Urbinati



La corruzione dei partiti, soprattutto quando sembra un fiume in piena che si ingrossa giorno dopo giorno, ha effetti devastanti. Non soltanto, come è ovvio, sulla stabilità dell’ordine democratico e la credibilità delle sue istituzioni. Ma anche sulla mentalità politica generale. Poiché induce i cittadini a pensare che se lo Stato mettesse i partiti a pane e acqua questi non avrebbero più i mezzi sufficienti per essere disonesti.
Togliere il finanziamento pubblico ai partiti può apparire come la ricetta vincente per costringere all’onestà secondo il detto popolare che l’occasione fa l’uomo ladro. Sull’onda degli scandali giudiziari e in un tempo come questo in cui il governo e il Parlamento impongono ai cittadini enormi sacrifici, questa tesi si fa via via più convincente.
Ma c’è da dubitare che sia la via migliore per impedire la corruzione. Basta ripercorrere brevemente la storia del finanziamento pubblico ai partiti per rendersene conto.
La legge sul finanziamento pubblico dei partiti, introdotta nel 1974 per sostenere le strutture dei partiti presenti in Parlamento, fu voluta e approvata sull’onda di scandali. Attraverso il sostentamento diretto dello Stato, si disse, i partiti non avrebbero avuto bisogno di collusione con i grandi interessi economici. Ma si trattò di una pia illusione perché gli scandali non si fermarono come mostrano le vicende Lockheed e Sindona. Evidentemente, la ragione della corruzione non sta nella sorgente del finanziamento. Che sia pubblicoo privato, la corruzione resta. Quindi, pensare di rendere virtuosi i politici facendoli questuanti di soldi privati è illusorio. Non solo non vale a togliere la piaga della corruzione, ma ne produrrebbe una peggiore. Aggiungerebbe alla corruzione classica, quella cioè dello scambio – favori politici in cambio di denaro- un’altra cheè ancora più devastante per la democrazia: la diseguaglianza politica. Infatti, lasciando che siano i privati a finanziare i partiti si darebbe alle differenze economiche la diretta possibilità di tradursi in differenze di potere di influenza politica. Quindi alla corruzione della legalità si aggiungerebbe la corruzione della legittimità democratica. È questa la ragione per la quale il modello statunitense è pessimo.
In questi giorni di malaffare dilagante, che tocca addirittura il partito che si è consolidato gridando agli scandali altrui, si sente proporre il modello americano, magari corretto. Contro quel modello da anni si battono giuristi, opinionisti e teorici politici americani (da John Rawls a Ronald Dworkin tanto per menzionare i nomi più prestigiosi). Gli Stati Uniti sono la prova evidente di quanto sbagliato sia per la democrazia avere partiti privatizzati.
Per un democratico, proteggere le istituzioni politiche dalla corruzione significa proteggere l’eguaglianza politica dall’infiltrazione della diseguaglianza economica. La democrazia accetta le differenze economichee crede che sia possibile impedire che trasmigrino nella sfera politica. Essa quindi si avvale di istituzioni, procedure e norme che bloccano il travaso di influenza economica in influenza politica.
Peri critici di destrae di sinistra questa è una illusione. Perché non sia un’illusione occorrono buone leggi. Ora, le controversie americane sulla questione dei finanziamenti delle campagne elettorali vertono tutte su questo tema. La lotta tra il potere legislativo (il Congresso americano ha proposto e passato leggi che regolano e limitano il finanziamento privato) e il potere giudiziario (la Corte Suprema ha in casi importanti bloccato l’azione del legislatore) verte proprio sull’interpretazione della libertà, se solo un diritto dell’individuo (indifferente all’eguaglianza di condizione) o invece un diritto del cittadino (attento all’eguaglianza di opportunità politica). Il giudici sono schierati con la seconda interpretazione.
Il loro punto di riferimento è il Primo emendamento alla costituzione, il quale tutela la libertà di espressione dall’interferenza dello Stato.
Come bruciare la bandiera è stato definito, in una sentenza memorabile, un segno di libertà di opinione quindi un diritto intoccabile, così è per le donazioni private ai partitio ai candidati. Bloccarle significa, dicono i giudici, bloccare la libertà di espressione. Nella sentenza del 2010 (che riprendeva sentenze precedenti molto importanti) conosciuta come Citizens United versus Federal Election Commision, la Corte Suprema a maggioranza liberista-conservatrice ha sì riconosciuto che “l’influenza del denaro delle corporazioni” esiste ed è “corrosiva” perché causa di corruzione in quanto facilita una “influenza impropria” ovvero una ineguale “presenza politica” nel foro politico. Nonostante ciò, la Corte ha concluso che nonè comunque provabile che le compagnie private perseguano piani espliciti quando finanziano le campagne elettorali. Non si può provare che il loro denaro si traduce in decisione politica. Quindi non si può impedire la libertà di donazione. Tuttavia l’uso dell’espressione “influenza impropria” è significativo perché suggerisce che la base della democrazia è l’eguaglianza politica dei cittadini, ovvero la loro eguale opportunità di influire sull’agenda politica dei partiti, non solo attraverso il voto. Allora, quando c’è corruzione? C’è corruzione solo quando un politico è colluso? Non c’è corruzione anche quando si dà ad alcuni cittadini più opportunità di voce che ad altri? Se per la virtù repubblicana la prima solo è corruzione, per i democratici la seconda è anche e forse più grande corruzione. Perché lede il fondamento della libertà politica eguale. Ecco dunque che la questione di come finanziare i partiti rinvia a una concezione della libertà: se solo del privato individuo che vuole dare i soldi a chi desidera, o invece del cittadino che deve godere di una eguale libertà rispetto agli altri cittadini e non avere meno opportunità di altri di far sentire la propria voce. Nella democrazia rappresentantiva ancor più che in quella diretta, l’esclusione politica può facilmente prendere la forma del non essere ascoltati perché la propria voce è debole, non ha mezzi per giungere alle istituzioni.E il denaro è un mezzo potentissimo.
È questa la ragione per la quale è importante avere il finanziamento pubblico dei partiti. Certo, si può intervenire sulla quantità, le forme, le condizioni; si possono inasprire le pene per chi viola la legge. Ma è sbagliato pensare di combattere la corruzione e il malaffare di cui i politici e i partiti si macchiano eliminando il finanziamento pubblico. Privatizzare i partiti (già ora troppo aziendalie familistici) significherebbe indebolire ancora più gravemente l’eguaglianza politica.

Formigoni e i capodanni extralusso alle Antille in resort da 45mila euro la settimana


La notizia viene pubblicata dal sito dell'Espresso. Il settimanale online sostiene che il governatore della Regione Lombardia è andato in vacanza per tre anni consecutivi. Con lui gli imprenditori ciellini in affari con la Regione. tra questi anche il faccendiere arrestato Pierangelo Daccò.

L'Altamer Resort di Anguilla (foto tratta dal sito internet de l'Espresso)
Un villaggio da sogno per chi ha stipendi da sogno. E’ l’Altamer Resort di Anguilla, nelle Piccole Antille, dove per tre anni consecutivi il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, ha festeggiato il capodanno. E’ quanto scrive l’Espresso, in edicola domani, in un articolo in cui si parla di un costo settimanale di oltre 45 mila euro in alta stagione per una delle tre ville del resort extra lusso, famoso anche per aver ‘ospitato’ star come Denzel Washington e Brad Pitt.

Il settimanale ha raccontato come il volo per Parigi del 27 dicembre 2008 che Pietro Daccò, il consulente arrestato con l’accusa di aver dirottato fondi neri dal San Raffaele e dalla fondazione Maugeri, avrebbe pagato a Formigoni e al fratello sarebbe solo la prima tappa del volo per i Caraibi. D’altronde, Giancarlo Grenci, il custode dei conti svizzeri di Daccò, ai magistrati ha parlato di vacanze di Daccò (e dell’ex assessore Antonio Simone, anche lui arrestato) con Formigoni a Saint Martin, cioè “l’aeroporto caraibico – sottolinea il settimanale – da cui si raggiunge Anguilla”. “Cifre simili – prosegue l’articolo – non si saldano in contanti: se il governatore ha pagato la sua quota, non avrà problemi a scegliere la linea della trasparenza e dimostrarlo ai cittadini”.



Grenci ha detto che Daccò “risolveva problemi relativi a rimborsi e finanziamenti per enti che facevano fatica ad ottenerli dalla Regione” e ha aggiunto che questo “più che su competenze specifiche si fondava su relazioni personali e professionali che Daccò aveva in Regione“. Nell’ordine di custodia cautelare di Daccò viene contestata una consulenza da 2 milioni 950 mila euro alla Maugeri. E l’Espresso sottolinea che il giorno dopo quel volo del 2007 è entrata in vigore una legge regionale che stanziava “fiumi di denaro pubblico per migliorare le strutture private”, una legge che, secondo l’Espresso, i tecnici regionali chiamavano legge Daccò e che permise alla Maugeri di ottenere 30 milioni di euro. “Il pool di pm coordinati da Francesco Greco adesso dovrà fare luce sulla destinazione finale dell’enorme provvista estera creata da Daccò e Simone. Nelle procure di Milano, Monza e Brescia – conclude l’Espresso – ci sono nuovi provvedimenti che a breve potrebbero dare altre scosse al Pirellone”.

Il solito Vauro...


http://vauro.globalist.it/Detail_News_Display?ID=10055&typeb=0

Montecitorio come un supermarket: la spesa esce di nascosto dalla Camera.



Questa sera in onda il servizio delle Iene che documenta un misterioso viavai di derrate alimentari dal retro del Parlamento.

Un misterioso “giro” di derrate alimentari dentro e fuori Montecitorio. A documentarlo sono state Le Iene che questa sera alle 21.10 su Italia1 manderanno in onda il servizio di Filippo Roma registrato mercoledì scorso, in cui due uomini in camice bianco escono dal retro della Camera, a piazza del Parlamento 24, con alcune buste che contengono viveri della spesa e su cui campeggia la scritta ‘Camera dei Deputati’. Come se Montecitorio fosse un supermarket.

La Iena e il suo cameraman sono lì per girare un servizio sul finanziamento ai partiti quando intravedono uscire  due uomini col camice. Uno in borghese, l’altro in divisa da banconista della buvette. Hanno chiesto loro dove andavano, se quello che portavano fosse per qualcuno e pagato coi soldi pubblici, ma loro erano imbarazzati. Uno dei due afferma vagamente che “sono per qualcuno”, mentre l’altro si limita a ripetere più volte: “Io non so niente”. Poi si rifugiano in un bar. Fino a che, dopo una telefonata, rientrano alla Camera.



“Io una scena del genere non l’ho mai vista in vita mia”, afferma nel servizio il giornalista del Corriere Sergio Rizzo dopo aver visto il filmato. L’inviato gli chiede se si possa “portar fuori dalla Camera il cibo di proprietà della Camera?” ma Rizzo lo esclude “nel modo più tassativo. Mi pare che la Camera dei Deputati non sia un supermercato”. Nel servizio che verrà trasmesso stasera l’inviato avvicina le due persone riprese per raccogliere la loro versione dei fatti: una afferma vagamente che “sono per qualcuno”, mentre l’altro si limita a ripetere più volte: “Io non so niente”.