Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 15 giugno 2012
Sul link http://www.beppegrillo.it/2012/06/il_monarca_della_repubblica/index.html - BeppeGrillo ha proposto un sondaggio in cui chiedeva:
"Secondo te, i poteri del presidente della Repubblica sanciti dalla Costituzione vanno ridotti, incrementati o mantenuti inalterati?"
Con la seguente premessa:
"I poteri del presidente della Repubblica sono in parte regali e in parte indefiniti, di fatto sono monarchici e discrezionali. Ogni Presidente, dal dopoguerra, li ha interpretati a modo suo. Il dibattito carsico che emerge puntuale in caso di ingovernabilità o di crisi istituzionali vorrebbe attribuire a questa figura maggiori poteri. Una ipotesi che ci consegnerebbe dritti a una potenziale dittatura."
Io ho commentato così:
Il problema non è nella "quantità" degli incarichi ma nelle qualità culturali ed etiche di chi li assume e deve applicarli. In quel posto dovrebbe poterci andare solo una persona che non abbia un'appartenenza politica, sia di indubbia onestà e morale e conosca la Costituzione. Un filosofo con una buona conoscenza delle leggi sarebbe l'ideale. Il problema è, come sempre, nelle persone che assumono l'incarico, non nel numero degli incarichi che gli vengono affidati. Inoltre, credo che la sua scelta dovrebbe essere affidata ai cittadini. La storia ci ha insegnato che non è la Costituzione a sbagliare, ma solo chi l'applica. Non sono ammissibili, infatti, le interpretazioni degli articoli della Costituzione, essi vanno applicati alla lettera, sono di una chiarezza estrema. Io aborro i Costituzionalisti che interpretano le leggi a modo proprio a seconda dell'indirizzo politico al quale appartengono.
Cetta.
Tirando le somme.
- abbiamo svenduto Alitalia, e ce ne siamo accollati i debiti;
- abbiamo perso la Fiat, anche se alcuni stabilimenti li avevamo costruiti con i nostri soldi e ci siamo sobbarcati più volte la casse integrazioni per salvarla;
- abbiamo emesso tanti titoli di stato che hanno incrementato il debito pubblico e non sono serviti ad incrementare alcuna crescita;
- abbiamo costruito autostrade, ma usandole, paghiamo il pedaggio per arricchire chi ne ha avuto la concessione;
- paghiamo le spiagge messeci a disposizione dalla natura perchè date anch'esse in concessione ad amici degli amici (scambi di voti);
- se acquistiamo una macchina dobbiamo pagare le rate, una tassa di proprietà, l'assicurazione, il bollino blu, e la revisione, oltre alla benzina ed alle accise incluse nel prezzo che rincara giornalmente;
- paghiamo una tassa sulla spazzatura per ritrovarcela sempre accumulata nelle strade;
- se compriamo una casa, oltre al mutuo caricato di interessi abnormi dalla banca, paghiamo una tassa di proprietà;
- con l'introduzione dell'euro, abbiamo subito aumenti di prezzi al consumo su tutto ciò che compriamo e che hanno superato la soglia del 100% non seguiti, però, da una adeguamento degli stipendi;
- paghiamo l'iva su tutto ciò che compriamo senza poter scaricare nulla dalla denuncia dei redditi;
- e tanto altro ancora........per ricordarle tutte ci vuole una mente serena.
Mi domando, ma dove vanno a finire tutti questi soldi?
E poi, perchè trattengono un terzo dello stipendio o della pensione se poi ci fanno pagare tutto: medicine, tiket per visite mediche, dentista, occhiali, istruzione, libri, ...tutto!
Ora leggo che vogliono vendersi anche i beni del patrimonio pubblico.
Non ci stanno lasciando più nulla! Ci hanno e ci stanno amministrando malissimo.
Questi criminali meritano di essere mandati a casa a calci nel di dietro!
.....Ma solo dopo aver restituito il maltolto!
Cetta.
Dl sviluppo in Cdm, sul tavolo anche la dismissioni di beni.
ROMA - Arriva in consiglio dei ministri il decreto sviluppo. Il provvedimento, volto a creare "crescita sostenibile" e "occupazione di qualità", dovrebbe entrare in discussione in cdm anche con le misure su trasporti e infrastrutture, quelle cioé per cui si è cercata in questi giorni la copertura finanziaria, e che, secondo le bozze circolate finora, prevedono tra le altre cose l'aumento del bonus fiscale per le ristrutturazioni e l'esenzione dall'Imu delle case in vendita per meno di 200.000 euro. "Non c'é mai stato dubbio sul dl. - ha ribadito il ministro dello Sviluppo Corrado Passera - Ora si tratta solo di ottimizzare le coperture. Certe cose si possono fare subito, altre con la spending review e le dismissioni". La dismissione dei beni pubblici annunciata ieri dal premier è infatti "una delle tre leve di sviluppo", insieme a taglio della spesa pubblica e lotta all'evasione. Ecco alcune misure previste nel decreto.
ADDIO A 43 INCENTIVI, ARRIVA FONDO CRESCITA - Il dl cancella 43 sussidi considerati ormai obsoleti per far convogliare tutte le risorse in un unico fondo destinato a creare "crescita sostenibile" e "occupazione di qualità".
BONUS PER ASSUNZIONI DI ALTO PROFILO - Per favorire le assunzioni di giovani laureati altamente qualificati - ingegneri, biologi, fisici, matematici, farmacisti ecc - il provvedimento introduce un credito di imposta del 35%.
MINI-BOND PER PMI - Per consentire l'accesso delle pmi al mercato del debito saranno introdotte cambiali finanziarie e obbligazioni per le società non quotate di piccole e medie dimensioni.
A PALAZZO CHIGI OK FINALE INFRASTRUTTURE ENERGIA - La decisione definitiva sulla realizzazione di infrastrutture energetiche già approvate con la procedura Via, ma sulle quali le amministrazioni regionali mostrano "inerzia", spetterà alla Presidenza del Consiglio. L'obiettivo è sbloccare gli investimenti privati che ammontano potenzialmente a 10 mld.
POSSIBILE DEROGA 7 MIGLIA RICERCA IDROCARBURI - Il limite delle 12 miglia dal perimetro delle aree marine e costiere protette viene confermato, ma le bozze circolate prevedono che il limite possa essere "ridotto, sino a non meno di 7 miglia, per le attività individuate d'intesa fra i ministri di Sviluppo economico e Ambiente".
RINVIO SISTRI A DICEMBRE 2013 - L'entrata in vigore del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti viene prorogata al 31 dicembre 2013 per consentire la prosecuzione delle verifiche del funzionamento del sistema.
PROCESSI, MASSIMO 6 ANNI - Per essere di "ragionevole durata" un processo deve concludersi con la sentenza definitiva entro sei anni: non più di tre anni per il primo grado, due per l'appello e uno per il giudizio in Cassazione.
CHAPTER 11 ANTIFALLIMENTO - Il pacchetto messo a punto dal ministero della Giustizia e da inserire nel decreto prevede che le aziende colpite dalla crisi, ma che hanno prospettive di ripresa, non siano obbligate a dichiarare il fallimento ma possano ricorrere direttamente al concordato preventivo.
FONDO PER ALIMENTARI AI POVERI - Il dl istituisce un 'fondo per la distribuzione di derrate alimentari agli indigenti'. Il cibo sarà distribuito dalle organizzazioni caritatevoli.
BONUS RISTRUTTURAZIONI - Le detrazioni Irpef per la ristrutturazione salgono dal 36 al 50%, fino ad un ammontare complessivo delle spese non superiore ai 96.000 euro.
Trattativa Stato-mafia, indagini chiuse: 12 avvisi da Dell’Utri a Mannino. - Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
Dopo l’omicidio Lima diventa interlocutore dei vertici di Cosa nostra come mediatore dei benefici richiesti dalla mafia, agevola la prosecuzione della trattativa dopo l’arresto di Vito Ciancimino e Totò Riina, e alla fine favorisce la ricezione della minaccia mafiosa da parte di Silvio Berlusconi, “dopo il suo insediamento come capo del Governo”: Marcello Dell’Utri è “l’uomo cerniera” tra Stato e mafia, l’anello di congiunzione tra la vecchia e la nuova Repubblica sorta nel ’92 a suon di bombe. Insieme a lui boss e ministri, gregari mafiosi e ufficiali dei carabinieri e, se fossero vivi, anche il capo della polizia Vincenzo Parisi e il vice capo del Dap Francesco Di Maggio: ecco i protagonisti del “ricatto allo Stato”, raccontato da un’indagine durata due anni e che è giunta alla sua conclusione con l’invio ieri pomeriggio delle notifiche dell’avviso di conclusione delle indagini ai 12 indagati dell’inchiesta sulla trattativa tra “mafia e Stato”, condotta, secondo la procura di Palermo, da uomini dello Stato e uomini di Cosa nostra.
Sono Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Antonino Cinà, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, gli ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, gli esponenti politici Calogero Mannino e Marcello Dell’Utri (la cui condanna in appello per concorso esterno in associazione mafiosa è stata recentemente annullata dalla Cassazione). Devono rispondere dell’art. 338 del codice penale: violenza o minaccia a corpi politici dello Stato, aggravata dall’art. 7 per avere avvantaggiato l’associazione mafiosa armata Cosa nostra e “consistita nel prospettare l’organizzazione e l’esecuzione di stragi, omicidi e altri gravi delitti (alcuni dei quali commessi e realizzati) ai danni di esponenti politici e delle istituzioni a rappresentanti di detto corpo politico per impedirne o comunque turbarne l’attività”. Insieme a loro presto riceveranno una richiesta di rinvio a giudizio anche l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino per falsa testimonianza e il figlio di don Vito, Massimo Ciancimino per concorso esterno alla mafia e per calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni De Gennaro.
In un’indagine parallela, sono indagati per false dichiarazioni al pm, l’ex ministro Giovanni Conso, e altri ancora sconosciuti: per loro l’accusa ipotizzata (articolo 371 bis) prevede la sospensione del procedimento fino alla definizione, con sentenza di primo grado o con archiviazione, dell’inchiesta principale. Si chiude oggi una stagione tra le più impegnative per la Procura di Palermo, per la sua capacità di scandagliare la cattiva coscienza della classe politica italiana. I pm chiedono in sostanza di processare i protagonisti di una stagione segnata, secondo l’accusa, dalla svendita dei valori dello Stato da parte di alcuni uomini delle istituzioni in cambio della salvezza della vita di alcuni, identificati, uomini politici.
Il racconto dell’indagine è la narrazione oscura, rimasta sempre in ombra , delle radici della Seconda Repubblica, fondata, come dice il pm Antonio Ingroia, sul sangue dei servitori dello Stato. Ad avviare la trattativa sarebbe stato Calogero Mannino, esponente della sinistra dc, nel mirino delle cosche, accusato di avere contattato “a cominciare dai primi mesi del ’92” investigatori, in particolare dei carabinieri, “per far cessare la strategia stragista”. Scendono in campo, a questo punto, Subranni, Mori e De Donno, che su incarico “di esponenti politici e di governo” aprono un “canale di comunicazione con i capi” di Cosa nostra per far cessare la strategia stragista. Ed in seguito favoriscono lo sviluppo della trattativa rinunciando, insieme e reciprocamente, con i boss, “all’esercizio dei poteri repressivi dello Stato”. Come? Assicurando, per esempio, “il protrarsi della latitanza di Provenzano, principale referente della trattativa”. Che si continua a snodare sul terreno politico: nel frattempo Mannino, infatti, avrebbe esercitato “indebite pressioni per condizionare l’applicazione del 41 bis ai detenuti mafiosi”.
Ma a parlare con i mafiosi, in quel periodo, sono in tanti. Prima di lui, infatti, sulla scena era apparso Marcello Dell’Utri, che dopo l’omicidio di Salvo Lima si pone come interlocutore di Totò Riina “per le questioni connesse all’ottenimento dei benefici”, per poi continuare a dialogare con Provenzano, dopo l’arresto di Vito Ciancimino e Riina. La cattura dei capi dei capi, e l’arrivo dei governi tecnici del ’93 inducono i boss a puntare sul “cavallo” considerato vincente: e per il tramite dello stalliere Vittorio Mangano e di Marcello Dell’Utri, Bagarella e Brusca portano ad Arcore le richieste di Cosa nostra. Tre in particolare: una legislazione penale e processuale più morbida, un condizionamento dei processi in corso e un trattamento penitenziario più leggero. Condizioni “ineludibili” per porre fine allo stragismo. A capo del governo si è appena insediato Berlusconi: e Dell’Utri deve oggi rispondere di avere favorito la ricezione della minaccia mafiosa da parte di Silvio Berlusconi dopo il suo arrivo a Palazzo Chigi. È il 1994, l’inizio della Seconda Repubblica.
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La ex Sicilcassa vende gli immobili all'asta ville, palazzi e appartamenti. - Antonella Romano
Il palazzo di vetro di piazza Castelnuovo
Oltre 700 lotti per un valore di 300 milioni di euro: dall'attico ai Parioli al palazzo di vetro di piazza Castelnuovo.
Il Fondo pensioni ex Sicilcassa mette in vendita all'asta tutti i suoi gioielli non più in un unico blocco, come nel 2010 quando la vendita fece flop, ma singolarmente. Si tratta di 52 cespiti con 762 unità immobiliari, tra appartamenti, locali commerciali, palazzi e ville storiche, tra la Sicilia e Roma, per un valore globale di 300 milioni di euro. Si va da un attico ai Parioli (via Antonelli) di oltre 300 metri quadrati e valutato 3 milioni di euro, al palazzo di vetro di piazza Castelnuovo dal valore di 15 milioni sede di uffici, all'immobile di via Cordova che ospita la Procura generale della Corte di conti e il call center Alicos (65 milioni) alla sede del Monte dei Pegni di via Calvi (36 milioni).
TABELLA / Tutti i beni in vendita
E ci sono poi 52 appartamenti residenziali in via Notarbartolo 4, 20 appartamenti in via Crispi, 130 in via Giovanni Dotto, una villa del Settecento, palazzo Pezzano, in via Etnea a Catania, sede dell'ex Standa (sfitto da quando un incendio devastò i locali). Alcuni sono complessi immobiliari acquistati negli anni Ottanta come quello in via Giovanni Dotto, con 30 appartamenti, in corso Pisani, in largo S e in zona Zisa. In via Cesalpino, zona Università e ospedale Civico, è in vendita un'intera palazzina con singoli appartamenti e negozi. A Roma ci sono ancora appartamenti, posti auto e uffici in vendita via Gargano, in zona semi centrale. A Cefalù c'è un immobile commerciale. A Milazzo c'è l'affare di un intero complesso immobiliare a pochi metri dal porto.
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La decisione di passare alla frazionata è stata presa all'unanimità dal cda del fondo pensioni, che nella delibera ha inserito i prezzi di mercato dei beni immobili che saranno venduti all'incanto. Le valutazioni, la nuova e quella del precedente bando del 2010, sono state effettuate dal Real estate advisor group (Reag). "Rispetto a due anni fa, per la crisi del settore immobiliare, il costo è stato abbattuto per gli appartamenti del 15 per cento, per il commerciale, fiore all'occhiello del fondo pensioni, del 20 per cento - spiega Girolamo Guicciardi, membro del cda - se sono immobili affittati a enti come la Corte dei conti o a supermercati, è un vantaggio per chi compra. Se si tratta di un appartamento affittato, l'acquirente lo compra a un prezzo più basso perché non immediatamente disponibile".
LEGGI / Crac Sicilcassa, chiesti 150 anni di carcere
L'asta si dovrebbe svolgere tra ottobre e novembre e sarà curata - sul modello delle aste giudiziarie - dalle associazioni notarili delle varie sedi. I bandi saranno resi pubblici a settembre. I beni non frazionati andranno all'asta indivisi. "E' l'operazione immobiliare più grossa immaginata anche in Sicilia. La prima che tentammo fallì, dopo trattative avviate e poi interrotte misteriosamente. Alcune, che apparivano interessanti, non sono arrivate mai a conclusione", racconta il presidente del cda del fondo Marcello Critelli. Tra gli interessati, cordate di imprenditori cinesi e domande giunte dal Lussemburgo, dall'Inghilterra e dalla Svizzera ma sempre senza nessuna cauzione depositata.
Sulle stranezze della gara del 2010, che ha visto Mediobanca come advisor, è stato presentato il 7 settembre 2011 un esposto alla Procura della Repubblica di Palermo da parte di un consigliere di amministrazione del fondo pensioni. Ne ha dato notizia di recente il ministro Fornero rispondendo a una interrogazione del senatore di Idv Elio Lannutti. La decisione di cambiare le modalità della gara, dopo le difficoltà registrate, è maturata quando a ottobre è cambiato il consiglio d'amministrazione.
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