lunedì 25 giugno 2012

Goodfellas in Vaticano: quei bravi ragazzi Oltretevere fra porpore, dollari e scandali. - Francesco Peloso.




Quella che si è svolta in Vaticano negli ultimi mesi con grande clamore mediatico è solo l’ultimo capitolo di una saga classica: lo scontro di potere all’interno delle mura leonine. Ma si è trattato di una lotta senza esclusione di colpi fra due destre, due correnti conservatrici. Un punto va infatti messo bene in luce: non ci sono mai state, in tutte le recenti vicende, due differenti visioni del mondo e della Chiesa che si confrontavano. 
Sono stati gli uomini della lotta al comunismo, dell’appoggio alle dittature sudamericane, delle bustarelle che salivano e scendevano lungo le scale ampie e silenziose dei sacri palazzi, dei peccati inconfessabili insabbiati e coperti. Sono stati gli uomini discreti e potenti che hanno svolto con cura il ruolo di collaboratori di quello che è stato insieme l’ultimo Papa re e il primo Papa globale, cioè Karol Wojtyla, a volte scontrandosi fra di loro, ma in silenzio, mentre il loro potere si allargava a dismisura e forse immaginavano di essere, per varie ragioni, immortali. E così non hanno creduto alla loro fine, non si sono rassegnati a lasciare ai nuovi padroni, ai nuovi cardinali e arcivescovi, i parvenu della Curia romana, le poltrone che contano. 

Quella che si è svolta in Vaticano negli ultimi mesi con grande clamore mediatico, a suon di corvi e di documenti riservati fuoriusciti dalle stanze del Papa, è solo l’ultimo capitolo di una saga classica: lo scontro di potere all’interno delle mura leonine. Un conflitto duro, un po’ alla Dan Brown, un po’ alla Corleone, un po’, semplicemente, in stile vatican-curiale. Essenzialmente, però, si è trattato di una lotta senza esclusione di colpi fra due destre, due correnti conservatrici, che si sono contese il controllo della Chiesa universale; un punto va infatti messo bene in luce: non ci sono mai state, in questi mesi, due differenti visioni del mondo e della Chiesa che si confrontavano. 

Wojtyla con la lotta al comunismo rifonda la Chiesa integralista 

Una simile rappresentazione, è l’obiezione ricorrente nei sacri palazzi, non corrisponde al vero: è falsa, dettata da intenti anti cristiani e anticattolici, ideologica, letteraria. E certo nel corso del ‘900, tanto per restare agli ultimi decenni, fra le mura vaticane si sono mossi uomini di ogni tipo: personalità di valore, fini diplomatici, evangelizzatori e missionari coraggiosi, ma anche spie, corrotti, faccendieri, manovratori dell’ombra, esperti di traffici finanziari illeciti e via dicendo. Nel determinare però una svolta negli assetti di potere interni alla Chiesa la scelta ideologica compiuta da Giovanni Paolo II – la lotta al comunismo sovietico e ai partiti satelliti al potere nell’Europa orientale – è stata decisiva. Ogni mediazione, ogni colorazione intermedia, è scomparsa, l’adesione ideologica è diventata una fede, ogni incertezza è stata esclusa, le correnti progressive fuoriuscite dal Vaticano II cancellate. In questa cavalcata ideologica che ha avuto bisogno di una Chiesa integralista, incapace di mettersi in discussione e di misurarsi con la modernità, è maturata la crisi ancora in corso. 

I colombiani all’opera fra narcos e scomuniche

Si dice con buona ragione che fra i grandi elettori di Ratzinger, ci fossero due uomini dell’estrema destra ecclesiale latinoamericana e wojtyliana: i cardinali colombiani Alfonso Lopez Trujillo e Dario Castrillon Hoyos. Loro coordinarono, fra gli altri, la raccolta dei voti necessari all’elezione di Benedetto XVI nel conclave dell’aprile 2005. Lopez Trujillo, oggi scomparso, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, è stato il grande scomunicatore: nota la scomunica impartita a medici e familiari di una bambina violentata dal patrigno e per questo indotta ad abortire. La violenza carnale su una ragazzina non era reato da pena canonica, l’aborto naturalmente sì. Molte le perle di questo tenore inanellate da Lopez Trujillo (il cardinale voleva scomunicare anche i medici che provocavano la morte di un embrione, tanto per dirne una). Su Castrillon, invece, si potrebbe scrivere un romanzo nero. Ho anche un ricordo personale. Nel 2003 mi trovavo in Colombia, la salute di Giovanni Paolo II era ormai compromessa, nel corso di un breve ricevimento con prelati e diplomatici, ebbi modo di parlare con uno degli arcivescovi di punta del Paese. Conversando dei possibili candidati alla successione di Wojtyla, feci anche il nome di Castrillon. La risposta fu più o meno la seguente: “non credo, di lui si dice che sia legato ai soldi del narcotraffico”. Feci finta di nulla e proseguii. Castrillon è stato a lungo il prefetto della Congregazione per il clero, una sorta di ministro dei preti della Chiesa universale, posizione dalla quale ha difeso a spada tratta sia attraverso lettere riservate che con dichiarazioni pubbliche, il diritto dei vescovi a nascondere gli abusi dei preti colpevoli di abuso sessuale. 

Il regista dell’insabbiamento

Nella Primavera del 2010 era venuta alla luce una lettera dello stesso Castrillon risalente al 2001 e indirizzata a un vescovo francese, monsignor Pierre Pican diocesi di Bayeux, nella quale il cardinale si felicitava con lui per aver scelto di fare qualche mese di carcere piuttosto che denunciare un prete abusatore. Piccolo particolare: il sacerdote in questione, René Bissey, era stato all’epoca condannato a 18 anni di carcere per aver violentato un ragazzo e aver aggredito sessualmente 10 bambini. Castrillon, quando la storia divenne di pubblico dominio, diffuse poi altri particolari sull’episodio. Nel corso di un convegno ecclesiale tenutosi in Spagna spiegò fra l’altro: “dopo aver consultato il Papa e avergli mostrato la lettera la inviai al vescovo, congratulandomi con lui per essere stato un modello di padre che non consegna i suoi figli alla giustizia”. Secondo il cardinale fu poi lo stesso Giovanni Paolo II ad autorizzarlo a inviare “la lettera a tutti i vescovi del mondo e a metterla su internet”. 

Infine il cardinale colombiano è stato presidente della Commissione Ecclesia Dei, ovvero l’organismo della Curia che presiede ai rapporti e ai negoziati con la Fraternità di San Pio X. Sua è stata, almeno in parte, la responsabilità di aver messo nei guai Benedetto XVI con il caso del vescovo negazionista della Shoah e delle camere a gas, Richard Williamson. In sostanza Castrillon fu accusato in Vaticano di non aver avvertito il Papa delle dichiarazioni di Williamson proprio mentre si stava procedendo alla revoca della scomunica per lui e per gli altri tre vescovi. 

L’impero di Maciel e le simpatie dei cardinali per i legionari 

Dell’ex Segretario di Stato Angelo Sodano, attualmente decano del Sacro collegio cardinalizio, e dell’ex sostituto per gli affari interni Leonardo Sandri – oggi prefetto della congregazione per le chiese orientali – le cronache hanno già raccontato molto. La stima per Pinochet e la giunta militare argentina, e poi quel rapporto preferenziale con i Legionari di Cristo, la potente e reazionaria organizzazione guidata da padre Marcial Maciel. In quest’ultimo legame erano uniti al segretario personale di Wojtyla, Stanislaw Dzisiwisz, oggi cardinale a Cracovia. Le inchieste del giornalista americano Jason Berry – pubblicate a suo tempo sul National Catholic Reporter – hanno descritto scenari inquietanti di bustarelle di denaro che venivano consegnate ai piani alti del Vaticano. Maciel si comprava l’impunità interna, il dominio assoluto nella sua congregazione, la protezione e l’omertà dei superiori che anzi promuovevano le istituzioni dei Legionari in America Latina. Secondo le inchieste mai smentite di Berry, il cardinale argentino Eduardo Pironio, per diversi anni prefetto del dicastero vaticano che si occupa degli istituti di vita religiosa, riceveva i favori di Maciel e in tal modo ogni indagine sulla congregazione veniva evitata. Pironio passò poi al ministero vaticano per i laici e morì nel 1998. Nel 2006 il cardinale Camillo Ruini ha aperto la causa di beatificazione ancora in corso. 

Il caso Propaganda Fide, il patto fra cardinali e costruttori 

Altro versante degno di nota è quello di Propaganda fide, centro di consulenze per laici potenti legati ai poteri italiani e vaticani, cuore di un patrimonio edilizio immenso, dicastero delle missioni implicato nelle inchieste sulla ‘cricca’ di Guido Bertolaso, il ‘fu’ delfino del Cavaliere, e Angelo Balducci, l’ex potente Presidente del Consiglio nazionale dei lavori pubblici mitico ex gentiluomo di sua santità che in Vaticano si avvaleva anche dei favori sessuali di qualche giovanotto. Quando la Segreteria di Stato un paio di anni fa provò a scaricare ogni responsabilità dei vari scandali nei quali era coinvolta Propaganda Fide sul cardinale Crescenzio Sepe – l’ex prefetto nominato da Wojtyla – questi pubblicò una lunga lettera – un capolavoro nel suo genere, va detto – in cui indicava tutti i dicasteri vaticani, a cominciare dalla Segreteria di Stato e dal cardinale Sodano, che avevano approvato il suo operato e le sue iniziative finanziarie. Sepe oggi è arcivescovo e cardinale a Napoli dove fu mandato da un Ratzinger appena eletto al soglio di Pietro smanioso di liberarsi della corte dei miracoli wojtyliana. In questo senso uomini come il cardinale Giovanni Battista Re – a lungo anche sotto Benedetto XVI a capo della Congregazione dei vescovi – sono stati certo più discreti, non risultano coinvolti in traffici, eppure hanno cercato di mantenere a tutti i costi il potere e quando gli è stato levato non hanno mandato giù il rospo tanto facilmente. 

Dal clan sudamericano a quello genovese 

L’attuale Segretario di Stato ha operato un cambio della guardia all’interno del sistema di potere vaticano passando dal clan sudamericano a quello genovese. Molti i liguri che si sono sistemati in Curia, e tuttavia accanto agli alti prelati – una schiera di cardinali neofiti nominati dal Papa anche su suggerimento del Segretario di Stato – sono emerse figure laiche a dir poco sorprendenti. Fra queste ultime è salito agli onori delle cronache tale Marco Simeon, personaggio dalle alterne e non sempre eccelse fortune in Liguria eppure assai potente grazie al cardinale Bertone, tanto da diventare il responsabile relazioni esterne della Rai e di essere chiamato alla guida di ‘Rai Vaticano’ – scatola vuota del sistema informativo pubblico, eppure incarico di prestigio – dopo la scomparsa del vaticanista di lungo corso Giuseppe de Carli. 
Il nome di Simeon viene spesso associato a quello del manager sanitario Giuseppe Profiti, condannato in Liguria nel processo sul sistema tangentizio legato alla sanità e oggi a capo dell’ospedale vaticano Bambin Gesù di Roma, prestigiosa istituzione sanitaria di cui si dice sia però in serie difficoltà economiche. Si tratta di figure dal profilo incerto a metà fra l’uomo d’affari e l’arrampicatore sociale i cui volti un tempo sarebbero rimasti nascosti dietro le quinte; oggi invece emergono e mostrano in pubblico quei legami di potere con la politica, la finanza, l’establishment statale, ormai entrati in crisi, ma che hanno fatto parte per lunghi anni di quell’intreccio di rapporti e accordi inconfessabili fra le due sponde del Tevere. 

In questo senso la Rai è specchio dei tempi. Si pensi a personalità come quella di Lorenza Lei, accreditata dai media di un bertonismo tutto d’un pezzo e di una fedeltà vaticana non discutibile; oggi è caduta in semi-disgrazia e comunque si trova in uscita dalla plancia di comando dell’azienda. Ancora della squadra fa parte quell’Antonio Preziosi, giornalista dal passato non molto noto, poi assurto ai vertici del giornali radio e di Radio Uno; di Preziosi non si ricordano grandi momenti di giornalismo, ma almeno tre interviste di riguardo: una al cardinale Angelo Bagnasco e altre due al cardinale Tarcisio Bertone, trasmesse con tutti gli onori dalla testata giornalistica. Non sarà un caso che Preziosi sia stato di recente nominato consultore del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali – un dicastero vaticano – insieme a Gian Maria Vian che però dirige l’Osservatore romano. Senza contare che ha insegnato alla Pontificia università salesiana di Roma. 

Infine, rimbalzando di nuovo dalla Rai alla sanità, è emersa un’altra figura solo in apparenza minore. Quella dell’arcivescovo polacco Zygmunt Zimowski, presidente del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari. Di recente sono state avviate indagini della magistratura sull’ex tesoriere della Lega Francesco Belsito che hanno portato alla luce un legame inaspettato fra lo stesso Belsito, il suo amico e compagno d’affari, l’imprenditore e faccendiere Stefano Bonet, e il Vaticano, cioè il ministero della sanità d’Oltretevere guidato dall’arcivescovo Zimowski. Oggetto delle indagini il presunto tentativo di Belsito-Bonet di ottenere dai sacri palazzi l’appalto per un’opera di tutto rispetto: la messa a punto di un sistema di monitoraggio di tutte le strutture sanitarie del mondo, un sistema di circa 140mila enti messi oggi a dura prova dalla crisi e pieni di debiti. 



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Il fantasma d'autunno nel Paese del Vuoto. - Ilvo Diamanti




SI PARLA troppo di elezioni anticipate, in autunno, per non prenderle sul serio. Anche e tanto più se  -  nell'attuale maggioranza  -  nessuno afferma di volerle davvero. Bersani, nei giorni scorsi, ha allontanato l'ipotesi come una iattura. Una prospettiva a cui penserebbe Berlusconi, per non venire emarginato dal suo stesso partito  -  che ormai non c'è più. Questa soluzione, però, non risolverebbe nulla. Anzi: aggraverebbe la crisi italiana, di fronte all'Europa, all'euro e ai mercati internazionali. Eppure se si parla di possibili elezioni in autunno il rischio c'è. Perché, comunque, nessuno è in grado di garantire la tenuta e la stabilità della maggioranza parlamentare che sostiene l'attuale governo.

1. L'attuale governo, anzitutto, designato dal Presidente nello scorso novembre e accolto con soddisfazione dai cittadini, da qualche mese ha perduto consensi. Il premier, Mario Monti, dispone ancora del sostegno di oltre il 45% dei cittadini (dati Ipsos). È il più accreditato fra i leader. Ma è in calo sensibile, rispetto agli scorsi mesi. In marzo superava il 60%. In aprile: al di là del 50%. D'altronde, è difficile governare con una maggioranza parlamentare di "emergenza". Che riassume forze e personalità politiche da sempre ostili, reciprocamente. È difficile fare riforme, assumere decisioni che la maggioranza precedente non era stata in grado di affrontare. Senza generare insoddisfazione. Politica e sociale. Tanto più se la posizione italiana, in ambito europeo e internazionale, resta debole. Perché, allora, tanti sacrifici? Perché "morire per l'euro"? Sono le voci, insistenti, che agitano la scena politica. E trovano ascolto crescente anche fra i cittadini.


2. È difficile, d'altronde, affidare all'attuale maggioranza il compito di sostenere il governo e la legislatura fino in fondo. Perché, semplicemente, è una maggioranza fittizia, matematica, parlamentare. Politicamente divisa e, anzi, attraversata da fratture irresolubili, su molte questioni politiche essenziali. Giustizia, informazione, televisione. I partiti: condizionati dal malessere degli elettori sulle principali riforme: pensioni, lavoro, fisco. 

3. Per contro, non si vede come potrebbe emergere una nuova, solida maggioranza, da nuove elezioni. Proviamo a fare un po' di conti, in base alle stime dei sondaggi condotti dai principali istituti demoscopici. Il centrodestra non c'è più. Pdl e Lega sono divisi. Ma anche se tornassero insieme non andrebbero oltre il 23-24%. Circa il 17-18% il Pdl e il 4-6% la Lega. Forza Italia, da sola, faceva di più. Il centrosinistra, però, non pare in grado di offrire un'alternativa valida. Perché fra il Pd e l'Idv (sempre più all'opposizione di Monti) il solco è divenuto un abisso, di mese in mese. Perché i tre volti di Vasto, Pd, Idv e Sel, insieme non raggiungerebbero il 40%. Mentre il Terzo polo appartiene al passato, liquidato da Casini. Ma l'Udc non va oltre il 7-8%. E i suoi elettori sembrano riluttanti ad allearsi con uno dei due poli. 

4. Così è cresciuto e cresce ancora il quarto polo. Il partito di coloro che ce l'hanno con i partiti. Con il governo Monti, appoggiato dai partiti. Con le oligarchie dei partiti. Il partito di coloro che ce l'hanno con l'Europa dell'euro (marco). Interpretato, oggi, dal Movimento 5 stelle, ispirato da Beppe Grillo. Alle recenti amministrative ha ottenuto un grande successo, che ha diverse spiegazioni. Locali e no. Ma è cresciuto a dismisura, nel corso delle ultime settimane, trainato dall'insoddisfazione degli elettori. Di sinistra, ma anche e sempre più di centrodestra. In primo luogo, della Lega. Il M5s, attualmente, è accreditato di oltre il 20%. Secondo partito, dopo il Pd. In Veneto, tradizionale laboratorio del cambiamento politico 
nazionale, il M5s è divenuto il partito che dispone della maggior base di "fiducia" fra gli elettori il 26%. A causa della "sfiducia" nei confronti di tutti gli altri, in crollo di credibilità, negli ultimi mesi (Dati dell'Osservatorio Nordest per il Gazzettino, maggio 2012). D'altronde, un larga maggioranza degli elettori (il 43% in ambito nazionale, sondaggio Demos, maggio 2012), vedono nel M5s un mezzo per esprimere "la protesta contro tutti i partiti". Il problema del sistema politico italiano, dunque, è il "vuoto" che si è aperto al suo interno. Perché non ci sono partiti e tanto meno coalizioni in grado di aggregare una solida maggioranza di consensi. Tale da garantire non solo la vittoria alle elezioni, ma anche e soprattutto legittimazione, capacità di governare. 

5. In questa fase, però, non ci sono neppure santi e protettori, in grado di offrire ai cittadini un riferimento, una luce, una sponda. O almeno un appiglio a cui aggrapparsi. Negli ultimi anni, questo ruolo è stato svolto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Che ha guidato il Paese, in tempi tanto duri, affidandone il governo a Monti e ai tecnici. Aristocrazia democratica di una democrazia rappresentativa sempre meno rappresentativa. Ora, però, neppure Monti riesce più a garantire il consenso popolare, intorno a sé. E Napolitano, il suo sponsor principale, ne risente, come mostrano gli indici di fiducia nei suoi, confronti. In calo significativo. 

6. Il Vuoto. È la sensazione che provano i cittadini, in questa fase. Di fronte alle vicende dell'economia e dei Mercati. Difficili da comprendere e, quindi, da affrontare. Perché non è chiaro come difendersi  -  né chi ti può difendere  -  da minacce sconosciute. Fitch, Standard & Poors, Moody's e per primo il famigerato spread. L'euro e la Germania. Così tutto e tutti perdono fiducia. Tutte le istituzioni, non solo i partiti. L'Unione europea, lo Stato, il Parlamento. Ma anche la magistratura, la Chiesa, i sindacati. Così cresce il "Vuoto intorno a noi". La sensazione di essere soli. Contro tutti. E, insieme, cresce la tentazione di affidarsi a chi è in grado di gridare al mondo la nostra insofferenza e la nostra rabbia. Poi, si vedrà.

7. Per questo le elezioni in autunno sono possibili, se non probabili. E, comunque, le elezioni alla loro scadenza naturale, nella primavera del 2013, non sono una soluzione. Semmai, una deroga, una pausa ulteriore, prima della resa dei conti. Nell'attesa che qualcun altro, oltre a Grillo, si proponga e ci proponga di colmare il Vuoto politico intorno a noi. Perché, echeggiando Aristotele, in politica, ancor più che in natura, il vuoto non può esistere.

Per questo non dobbiamo chiederci se e quando si voterà. Ma per quali partiti  -  vecchi e nuovi  -  e per quali leader  -  vecchi e nuovi. Con quale legge elettorale. Chi ha qualcosa da dire, al proposito, è meglio che lo faccia subito... Se il Vuoto incombe, la colpa non è di Beppe Grillo.

Trattativa. Ezio Cartotto si accorda con B. - Monica Centofante


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E ai magistrati ricorda i misteri sulla nascita della Fininvest.

Spuntano le intercettazioni tra Ezio Cartotto e la segreteria di Silvio Berlusconi nell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia. Una serie di telefonate effettuate per fissare appuntamenti tra l’ex premier e il suo ex consulente politico, tra i fondatori di Forza Italia, prima e dopo gli interrogatori dei pm di Palermo e di Firenze che avevano convocato più volte Cartotto per sentirlo come persona informata dei fatti.
E’ il 4 dicembre scorso quando Marina Brambilla, segretaria del Cavaliere, chiama il consulente per annunciargli che Berlusconi non sarebbe stato disponibile per un incontro evidentemente richiesto dallo stesso Cartotto. Ma la ragione di quella esigenza avrebbe fatto presto cambiare idea all’ex premier.
Va bene, risponde il politologo alla Brambilla, annunciandole che avrebbe nel frattempo inviato via fax “una convocazione che mi è stata fatta dall’autorità giudiziaria di Palermo (il 25 novembre 2011, ndr.)... e che riguarda quel famoso problema degli accordi tra la mafia...”. La segretaria è turbata: “Oh Madonna!” esclama e il suo interlocutore rassicura: “Sì, sì, sì... e come testimone naturalmente... credo che riguardino sempre quel famoso problema degli accordi tra la mafia eh... ecco, io non riesco a capire perché questi signori si ostinino a chiedere a me cose che io non sono assolutamente in grado di sapere...”. “Né in un senso, né in un altro”. All’interrogatorio, comunque, non ha intenzione di andare: “Sono caduto recentemente e mi sono fatto un enorme ematoma profondo tre centimetri e largo trenta... la vita non è facile per una persona malata come me... e allora sicuramente il 5 dicembre si sognano che io vada giù e, probabilmente, anche il 5 gennaio, anche il 5 febbraio, anche il 5 marzo, perché... gli manderò una regolare.... marea di certificati medici...”. E aggiunge: “Però volevo che lui fosse informato di questo...”.
Il giorno successivo, alle 19.09, il cellulare del politologo squilla. La chiamata arriva da Palazzo Grazioli, all’altro capo del filo, la signora Claudia: “Lei mi ha chiesto un appuntamento con il Presidente, è vero? ...Fissiamo per domani ad Arcore... Alle ore 17,30 va bene?”. “Per me va benissimo, grazie”.
E’ evidente, annota la Dia, che esiste “un interesse particolare da parte di Berlusconi nei confronti della vicenda che riguarda Cartotto”. Niente di più facile considerato che fu proprio lui l’uomo a cui Dell’Utri si rivolse per creare Forza Italia, interrogato dai magistrati per riferire quanto a sua conoscenza sulla nascita del partito che fu poi appoggiato dagli uomini di Cosa Nostra nel periodo che seguì la stagione delle stragi del ’92 e ’93. E gli inquietanti accordi tra lo Stato e la mafia.
Cartotto, nonostante l’iniziale intenzione di non recarsi dai pm, viene sentito il 10 dicembre successivo e, tra le altre cose, ai magistrati di Palermo racconta che subito dopo l’omicidio Lima, quando si incontrò con Dell’Utri, questi gli disse che a suo modo di vedere il politico era stato assassinato perché ritenuto inaffidabile. Sottolineando, in via confidenziale, la necessità di non disperdere i voti siciliani formando un nuovo partito politico.
Finito l’interrogatorio chiama un cellulare e lascia un messaggio in segreteria chiedendo di essere richiamato con urgenza per fissare, come precedentemente concordato, un appuntamento “prima del periodo natalizio”. Chi chiama Cartotto? Il 31 gennaio del 2012 l’ex consulente viene nuovamente interrogato a Palermo e il 2 febbraio riceve una telefonata dalla segretaria di Berlusconi che conferma un appuntamento fissato al 6 febbraio ad Arcore. E posticipato poi al giorno successivo.
Nascita di un impero. I fantasmi del passato.
Cosa abbiano concordato e di cosa abbiano discusso i due interlocutori non è dato sapere.
Certo è che a colloquio con i magistrati Cartotto è tornato sui misteri del Cavaliere e sulla nascita del suo impero. Su “Berlusconi e la mafia” il politologo ha detto di non sapere nulla “a parte alcuni strani rapporti con il finanziere Filippo Alberto Rapisarda”. Poi, in riferimento alla Edilnord, l’azienda con la quale Berlusconi costruì Milano2, ha dichiarato di essere in possesso di compromettenti carte “conservate nel baule di una zia”. “Berlusconi – si legge nel verbale pubblicato da Repubblica - era il socio accomandatario, mentre l’accomandante era una domestica svizzera. Lui voleva trasformare tale società in accomandita semplice in una società di capitali, ma se l’avesse fatto attraverso i soliti giri poteva richiamare l’attenzione. Allora era proibito mandare i capitali all’estero”. Fu lo stesso Cartotto a trovare una soluzione al problema: “Il favore glielo fece l’avvocato Ferruccio Ferrari, amministratore della finanziaria Cefin, proprietaria di un pacchetto azionario della Banca Italo Israeliana. Attraverso questa banca abbiamo fornito in Svizzera a Berlusconi il denaro per fare l’aumento di capitale. Il denaro ricevuto in Svizzera fu poi restituito in Italia”. “Non so cosa ci abbia guadagnato Ferrari. Non era il tipo da fare gratis queste cose”. Certo però, ha concluso Cartotto, non è “un’operazione che dà una bella immagine di Berlusconi”.
Poi, in risposta i pm, ha raccontato che “Il rapporto con Berlusconi è proseguito in modo conflittuale”: “L’anno scorso, gli avevo rappresentato la mia grave situazione finanziaria. Allora è intervenuto sulla Mondadori, ho scritto un libro sui personaggi che fondarono la repubblica. Poi, gli ho detto: ‘Io devo vivere tutti i giorni’, ma non c’era ricatto, perché, altrimenti, o sarei morto ammazzato, o sarei ricchissimo”. Comunque sia, il politologo ha alla fine ammesso di ricevere da Berlusconi “una rimessa di denaro, mensile”.
E la storia di certo non finisce qui.

La vergogna dello Stato. - Giorgio Bongiovanni


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Ormai è sufficientemente provato: la trattativa c’è stata. Parti dello Stato italiano si sono vendute a Cosa Nostra, hanno negoziato, hanno sacrificato la vita di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in perfetta linea di continuità con una gestione del potere che dalla strage di Portella della Ginestra in poi non è mai cambiata. E dopo settant’anni che il nostro Stato scende a patti con la mafia sarebbe ora di dire: basta!
Non sembrano averne intenzione i rappresentanti delle nostre Istituzioni, se solo ieri, di fronte ai rivoltanti sviluppi dell’indagine sulla stessa trattativa e sul ruolo del Quirinale, il presidente del Senato Renato Schifani ha avuto il coraggio di dichiarare che “attaccare Napolitano significa danneggiare il nostro Paese”. Dichiarandosi onorato di aver potuto collaborare con il presidente della Repubblica, un uomo caratterizzato da “un grandissimo senso dello Stato, una grandissima trasparenza, correttezza e saggezza”. “Valori” che “sono un patrimonio del Paese”.
Come mantenere la calma di fronte a simili, squallide dichiarazioni da parte del senatore Renato Schifani, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa?
Come non vedere la grande ipocrisia che si nasconde dietro quella facciata perbenista che tanto ricorda gli scribi e i farisei del biblico sinedrio?
E come non domandarsi cosa ci sia di vero in questa sbandierata trasparenza del presidente Napolitano?
Con tutto il rispetto per l’istituzione, che tengo ogni volta a ribadire, non posso costringermi a non guardare in faccia la realtà. E a chiedermi quale correttezza e rigore morale possano esserci in un uomo che riveste la prima carica dello Stato mentre esalta la figura di un latitante come Bettino Craxi (deceduto), un criminale condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione. In un Presidente della Repubblica che interferisce pesantemente nel lavoro della magistratura per soddisfare le richieste private di soggetti della portata di Mancino, indagato in una delle più gravi inchieste che la nostra storia ricordi.
Dall’altra parte della barricata, a subire quelle pressioni, i coraggiosi eredi di Falcone e Borsellino che tentano faticosamente di fare luce sulle stragi che nei primi anni Novanta hanno insanguinato il nostro Paese. E che un’Istituzione sana, Napolitano in primis anche in quanto Presidente del Csm,  dovrebbe appoggiare in ogni modo: proteggendoli e mettendo a loro disposizione uomini e mezzi.
Invece no, ancora una volta. In nome di una fantomatica ragion di Stato che obbliga a coprire, insabbiare, depistare cedendo il passo ad un pericoloso clima di isolamento istituzionale che rischia di essere preludio di nuove tragedie.
“Mantenere gli equilibri” è la cosa più importante, in particolare ora che il nostro Paese ha estremo bisogno di una stabilità, poggiata sulla figura di Monti, “creatura” dello stesso Napolitano. Ed ecco che il potere, compreso quello dell’informazione di regime, si stringe intorno al Quirinale e si ripresentano le stesse dinamiche già vissute nella metà degli anni Novanta quando per “amor di patria” si fermò il lavoro della procura di Palermo capitanata da Giancarlo Caselli, che con la delicatissima inchiesta sui sistemi criminali stava puntando dritta al cuore dei rapporti tra mafia, politica, imprenditoria e poteri occulti.
Eliminato l’ostacolo l’Italia rientrò tranquillamente nei parametri di Maastricht e successivamente fece il suo ingresso trionfante nell’Euro. Ma a quale prezzo? Al  prezzo della verità che oggi si decide di schiacciare di nuovo sotto il peso delle scelte politiche perché il nostro Paese possa rimanerci nell’Euro o perché non debba seguire il triste destino della Grecia o della Spagna.
E’ giusto? Io dico: no e mille volte no! Non sono disposto a negoziare ancora la verità con l’illusione di una crescita che non vedremo mai. E in ogni caso preferirei vivere in un Paese capace di resuscitare con onestà e trasparenza da una qualsiasi crisi democratica o economica piuttosto che proseguire su questa strada, tentando di evitare scelte estreme, ma tenendo chiusi nell’armadio tanti, troppi scheletri.
I magistrati impegnati oggi a scoprire quelle scomode verità sono in tutto una ventina, una decina dei quali ufficialmente titolari di quelle indagini, ostacolati dalle istituzioni, dal loro massimo rappresentante, dall’interno della stessa magistratura in buona parte prigioniera delle logiche correntizie e più propensa a soddisfare interessi di parte che al raggiungimento della verità.
Fuori dalle aule di Giustizia, dai Palazzi, il popolo, schiacciato da un’informazione per la maggior parte malata e asservita al potere, non ha gli elementi per valutare, vittima della confusione generale creata ad arte per soffocare sul nascere ogni pensiero critico, ogni protesta di massa.
È il clima ideale per una nuova strage. I magistrati messi all’indice, pubblicamente insultati sono un chiaro segnale per Cosa Nostra, come per certi ambienti nei quali convergono gli interessi della politica, dell’alta finanza, dei servizi segreti deviati, della massoneria. Fermare quelle indagini che stanno arrivando alla meta è il gioco che vale la candela e se contraccolpi ci saranno a pagare il prezzo sarà soltanto la manovalanza criminale che, come sempre, è l’unica a cui viene presentato il conto.
E’ questo che sta accadendo oggi sotto i nostri occhi mentre il Presidente Napolitano tenta di confondere le carte, proteggendo i traditori dello Stato. La domanda è: perché lo fa? Cosa veramente vuole nascondere? E qual era la sua posizione negli anni bui delle stragi quando ricopriva la carica di presidente della Camera?
Forse, o senza forse, lui sa nulla o poco di quella trattativa, ma lo stesso non vale per molti dei personaggi che ha al suo fianco. D’Ambrosio, per esempio. Non abbiamo diritto, noi cittadini, di sapere chi sia davvero questo signore che interferisce, per conto del Capo dello Stato, su una delle inchieste giudiziarie più gravi degli ultimi 50 anni? A quale corrente di potere appartiene?
Mi associo per questo a Salvatore Borsellino e al presidente della Commissione europea antimafia Sonia Alfano nel chiedere l’impeachment di Napolitano o, ancora meglio, le sue dimissioni. Per dare un segnale forte al Paese, per prendere le distanze da questa faccenda sporca della trattativa, per far sentire il suo sostegno ai magistrati che indagano su quelle vicende e che rischiano di diventare i protagonisti di una drammatica storia che troppo spesso si ripete.

Il Dalai Lama in Emilia visita i terremotati: "Siate forti".




"Dovete essere determinati, lavorare duro, non perdere la speranza, solo questo vi aiuterà a costruire una nuova casa e a tornare a guardare al futuro". Così il Dalai Lama ha esortato la folla che lo ha accolto nella sua visita a Mirandola, uno dei centri più colpiti dal sisma in Emilia.

"Ho visto case e industrie distrutte arrivando qui. E' un disastro. Ho pregato per voi da quando ho saputo del terremoto e mi trovavo a Udine", ha poi detto rivolgendosi agli sfollati del 'campo Friuli'. "Appena ho avuto l'occasione sono venuto qui. Vedendo questa distruzione - ha aggiunto - ho provato profondo dispiacere. In passato ho visitato altri posti dove ci sono stati disastri naturali e ho sempre convinto le persone a pensare al futuro". 
"Non è giusto venire a mani vuote in un posto colpito da questo disastro. Per questo motivo donerò altri 50.000 dollari a queste popolazioni" ha detto ancora il Dalai Lama.
Già al momento dell'annuncio della visita a Mirandola, lo staff del Dalai Lama aveva reso nota una prima donazione di 50.000 dollari alla Croce Rossa dell'Emilia-Romagna per le operazioni di soccorso.

Il Dalai Lama, nel corso della sua visita in Italia, sarà a Milano il 26 e 27 giugno. Nell'occasione interverrà nel Consiglio comunale del capoluogo lombardo, ma non riceverà la cittadinanza onoraria. La votazione sull'onorificenza è infatti saltata dopo le proteste della Cina, che ha fatto sapere che avrebbe interpretato l'iniziativa del Comune come un gesto di inimicizia nei confronti del popolo cinese. 



http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2012/06/24/dalai_lama_visita_popolazioni_colpite_sisma_emilia_mirandola.html

"Preferisco non dare difficoltà alle istituzioni, per me non è un problema": così, a Matera, dove poco fa ha cominciato la sua visita in Basilicata, il Dalai Lama ha risposto alle domande dei cronisti sul rinvio della cittadinanza onoraria di Milano.
Il sindaco di Matera, Salvatore Adduce, ha poi ufficialmente invitato il Dalai Lama alla riunione ufficiale del Consiglio comunale della Città dei Sassi per conferirgli la cittadinanza onoraria che ieri è stata votata all'unanimità dall'assemblea municipale: "La invitiamo ufficialmente - ha specificato - a seconda dei suoi impegni. Noi siamo disponibili comunque a raggiungerla - si è rivolto il sindaco al Dalai Lama - in qualsiasi parte del mondo per consegnarle l'onorificenza".
All'incontro ha partecipato anche il Premio Nobel per la Pace del 1976, Betty Williams, che accompagna il Dalai Lama nella visita in Basilicata: domani a Scanzano Jonico (Matera) visiteranno la Città della Pace. (ansa)

I poliziotti condannati insultano la madre di Aldrovandi su Facebook. - Marco Zavagli




"Se avesse saputo fare la madre non avrebbe allevato un cucciolo di maiale", e ancora "faccia da culo (...) speriamo non si goda i risarcimenti dello stato". Paolo Forlani, fresco di condanna in Cassazione (tre anni e mezzo), si scatena sul social network nella pagina di Prima Difesa, contro Patrizia Moretti. E lei lo querela.

“La “madre” se avesse saputo fare la madre, non avrebbe allevato un “cucciolo di maiale”, ma un uomo!”.  Sono le parole che si leggono su Facebook. Le firma tale Sergio Bandoli sulla bacheca di Prima Difesa Due, l’account dell’omonima associazione che si prefigge la difesa a oltranza delle forze dell’ordine. Nel processo Aldrovandi era presente sia in Appello che in Cassazione, dove ha portato addirittura il legale di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini, a perorare la causa dei quattro poliziotti condannati con sentenza definitiva per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi.
Prima difesa tutela gratuitamente per cause di servizio tutti gli appartenenti alle Forze dell’Ordine e Forze Armate, noi tuteliamo i primi difensori” scrive nella presentazione la presidente Simona Cenni, che in un post di commento alla sentenza della Cassazione del 21 giugno “grida” in maiuscolo il proprio disappunto – qui usiamo noi un eufemismo – per l’intervista di Patrizia Moretti, la madre del ragazzo ucciso nel settembre del 2005 a Ferrara: “Avete sentito la mamma di Aldrovandi… fermate questo scempio per dio… vuole che i 4 poliziotti vadano in carcere… io sono una bestiaaaaa”.
L’amo è lanciato. Il primo ad abboccare è questo iscritto al gruppo, Sergio Bandoli. Avatar con foto e cappello di alpino con penna nera. Ma la penna che gli fa paragonare Federico a un “cucciolo di maiale” riesce a gelare le vene ai polsi. I commentatori continuano sulla stessa lunghezza d’onda, fino a uno dei poliziotti condannati, Paolo Forlani, che interviene direttamente.
“Che faccia da culo che aveva sul tg – così descrive la madre orfana del figlio su cui lui e i suoi colleghi hanno rotto due manganelli -… una falsa e ipocrita… spero che i soldi che ha avuto ingiustamente (il risarcimento da parte dello Stato, ndr) possa non goderseli come vorrebbe… adesso non sto più zitto dico quello che penso e scarico la rabbia di sette anni di ingiustizie…”.
Forlani fortunatamente premette di avere “massimo rispetto per Federico”, ma sui suoi genitori usa il pugno duro. Come ha fatto d’altronde con loro figlio: “non vi auguro nulla di simile – scrive sulla pagina di Prima Difesa – ma vi posso dire che siamo stati calpestati nei nostri diritti e ripeto prima di parlare dovete leggere gli atti e non i giornali […], io sfido chiunque a leggere gli atti e trovare un verbale dove dice che Federico e morto per le lesioni che ha subito… […] noi paghiamo per le colpe di una famiglia che pur sapendo dei problemi del proprio figlio non hanno fatto niente per aiutarlo e stiamo pagando per gli errori dei genitori”.
Quanto agli atti, forse bastano le sentenze per rispondere all’agente. In quella di primo grado il giudice Caruso parlò di “grossolanità, incontrollato e abnorme uso della violenza fisica da parte degli agenti, dissociata da effettive necessità”; “un furioso corpo a corpo tra gli agenti di polizia e Federico, durante il quale vennero rotti due manganelli, con i quali colpirono l’Aldrovandi in varie parti del corpo, continuando dopo che lo stesso era stato costretto a terra e qui immobilizzato al suolo, nonostante i verosimili ma impari tentativi del ragazzo di sottrarsi alla pesante azione di contenimento che ne limitava il respiro e la circolazione”.
Stesso discorso per gli atti del secondo grado: i giudici della Corte d’Appello sottolinearono la “manovra di arresto, contenimento e immobilizzazione” attuata “con estrema violenza e con modalità scorrette e lesive, quasi volessero ‘punire’ Aldrovandi”.
Ora si aprirà inevitabilmente un altro capitolo della vicenda, con la querela per diffamazione che la Moretti ha depositato oggi pomeriggio davanti ai carabinieri di Ferrara. Destinatari Forlani, Bandoli e Cenni.

“Grandi banche tornano a speculare. Rischio per i derivati”: l’allarme della Bri.




BASILEA, 24 GIU – Le grandi banche mondiali sembrano tornate alle “vecchie maniere”: la maggior parte degli utili deriva dalla negoziazione sui mercati finanziari, si indebitano sempre più e confidano sui salvataggi pubblici. Secondo il rapporto annuale della Bri, c’è un forte rischio per le ”enormi posizioni in derivati” e serve una stretta sulle regole. Insomma i rischi sono di nuovi quelli di prima dell’esplosione di Lehman Brothers che nemmeno tutte le misure straordinarie delle banche centrali, su cui si appuntano aspettative ”irrealistiche” per il sostegno all’economia, potranno risolvere.
La Bri, la Banca dei regolamenti internazionali che funge da banca centrale delle banche centrali, attacca duramente le reticenze del sistema finanziario (ma anche l’incapacità dei governi) di porre fine alle rischiose pratiche sul mercato e i derivati di cui le maxi perdite subite da Jp Morgan sono solo un assaggio. Ai banchieri centrali di mezzo mondo convenuti nella citta’ svizzera per l’assemblea di bilancio in un momento in cui su di loro si moltiplicano le richieste di fare piu’ sforzi per far ripartire l’economia, il direttore generale della Bri Jaime Caruana rileva come gli istituti centrali possono comprare tempo per evitare il tracollo ma non senza rischio.
Piuttosto nel rapporto della Bri si evidenzia come dagli istituti di credito non sia stata fatta pulizia di bilancio e ricapitalizzato a dovere confidando sempre sull’aiuto di stato e per questo invocano una ”sana azione pubblica” che faccia dimagrire il settore, imponga regole su controllo dei rischi e dei bonus dei vertici oltre che una partecipazione di azionisti e obbligazionisti alle perdite e non piu’ sui contribuenti.
Sistemare il settore bancario (anche a costo di un possesso temporaneo dello stato che imponga il cambiamento in alcuni gruppi, sembra suggerire in alcune parti il rapporto) e’ il primo passo per rompere i circoli viziosi creati fra banche, famiglie e imprese e governi ”dove i problemi e i tentativi di soluzione di uno di questi gruppi peggiora la posizione degli altri due”.
Circoli che costringono le banche centrali a tenere bassi i tassi di interesse e iniettare liquidita’ nel sistema e che a lungo andare rischiano di far ripartire l’inflazione. Ma soprattutto le misure delle banche centrali non sono gli strumenti adatti ma ”palliativi e con limiti” sebbene la pressione del mercato, della politica e del’opinione pubblica (e anche all’interno di qualche autorita’ centrale) e’ sempre piu’ forte con aspettative irrealistiche.
Per questo, dopo aver sistemato il settore finanziario, andranno portate avanti le tappe successive, ossia il risanamento dei conti pubblici e la riduzione dell’indebitamento nei settori non finanziari dell’economia. Solo una volta ripristinata la solidita’ dei bilanci di tutti i settori, potremo sperare di ritornare su un sentiero di crescita equilibrata.
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