giovedì 5 luglio 2012

Tv, Corte europea condanna Italia a pagare 10 milioni a Di Stefano per Europa 7.

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L'imprenditore, proprietario dell'emittente, aveva ha chiesto ai giudici europei di riconoscergli un maxi indennizzo di due miliardi per non aver potuto trasmettere perché non aveva frequenze su cui farlo  sostenendo che le scelte non erano dovute a impedimenti tecnici ma politici.

La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per non avere concesso per dieci anni le frequenze all’emittente televisiva Europa 7 di Francescantonio Di Stefano. La Corte ha riconosciuto all’imprenditore 10 milioni di euro per danni materiali e morali contro una richiesta di due miliardi di euro. L’imprenditore, da anni, si batte, a suon di carte bollate, per farsi riconoscere i suoi diritti. Dopo aver vinto la gara per l’assegnazione delle frequenze ormai dieci anni fa, spendendo circa 15 milioni di euro per mettere insieme gli studi più grandi d’Europa, ma Rete 4 destinata al satellite è tuttora in onda. 
Secondo la Corte, nel non assegnare le frequenze a Europa 7 le autorità italiane non hanno rispettato “l’obbligo prescritto dalla Convenzione europea dei diritti umani di mettere in atto un quadro legislativo e amministrativo per garantire l’effettivo pluralismo dei media”. L’Italia è stata quindi condannata per aver violato il diritto alla libertà d’espressione. All’emittente televisiva è stato quindi riconosciuto il diritto a un risarcimento di 10 milioni di euro per danni morali e di 100 mila euro per le spese legali sostenute per presentare il ricorso a Strasburgo.
Arriva così al suo epilogo una storia cominciata nel luglio del 1999 quando Europa 7, in base alla legge n.249 del 1997, ottenne la licenza per trasmettere attraverso tre frequenze per la copertura dell’80% del territorio nazionale. Tuttavia l’emittente ebbe l’effettiva possibilità di iniziare a trasmettere solo nel 2009 e su una sola frequenza. Nel condannare l’Italia la Corte ha sottolineato come, avendo ottenuto la licenza, Europa 7, potesse “ragionevolmente aspettarsi” di poter trasmettere entro massimo due anni. Ma non ha potuto farlo perchè le autorità hanno interferito con i suoi legittimi diritti con la continua introduzione di leggi che hanno via via esteso il periodo in cui le televisioni che già trasmettevano potevano mantenere la titolarità di più frequenze. Di Stefano, proprietario dell’emittente, aveva ha chiesto ai giudici europei di riconoscergli il maxi indennizzo per non aver potuto trasmettere per anni perché non aveva frequenze su cui farlo. Con la sentenza i giudici hanno innanzitutto stabilito che negando le frequenze a Europa 7 le autorità italiane hanno violato il diritto alla protezione della proprietà privata e quindi causato un danno economico all’emittente.  Durante l’udienza pubblica che ha avuto luogo lo scorso ottobre i difensori dello Stato italiano avevano sottolineato che Di Stefano è stato già risarcito nel 2009, quando il Consiglio di Stato gli ha riconosciuto una compensazione di un milione di euro. Oltre alla questione strettamente economica, i giudici dovevano stabilire tra l’altro se le scelte del governo siano state dovute a reali impedimenti tecnici, oppure, come sostenuto da Di Stefano, da motivazioni politiche.
”La condanna che arriva dalla Corte europea dei diritti umani sul caso Europa 7 è solo la conferma dei danni prodotti da Berlusconi e dal suo governo” afferma in una nota il leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. L’ex presidente del Consiglio ha utilizzato a proprio uso e consumo le istituzioni, piegandole ai propri interessi e calpestando la democrazia e l’informazione. L’Italia dei Valori, che per prima ha portato avanti la battaglia per ristabilire le regole sull’attribuzione delle frequenze, continuerà a battersi affinchè nel nostro Paese venga affermato lo stato di diritto e risolto una volta per tutte il conflitto d’interessi. L’emittente televisiva Europa 7 è stata vittima di un vergognoso abuso perpetrato per anni e per questo nessun risarcimento sarà mai abbastanza”.  

La strategia del terrore.




A chi non viene il terrore della scampanellata del postino?
Chi non teme di essere licenziato da un momento all'altro?
Chi non ha paura di uno sfratto imminente o di un pignoramento di stipendio?
Chi non ha paura che l'assottigliamento continuo dello stipendio o della pensione non gli permetta più di ottemperare agli obblighi che aveva assunto?
Viviamo nella costante paura che ci venga a mancare il terreno sotto i piedi: la tranquillità è, ormai, una chimera .
Ci stanno distruggendo mentalmente, economicamente.
Loro sono gli unici colpevoli della crisi che ci sta massacrando, perchè non l'hanno percepita in tempo o non l'hanno voluta annunciare in tempo, non è dato saperlo, ma resta il fatto che ne sono responsabili.
Ma a pagare il prezzo delle loro manchevolezze dovute alla loro incapacità, hanno deciso che dobbiamo essere noi.
Loro sono intoccabili e, nonostante siano consci di essere degli incapaci, restano ai loro posti, saldamente attaccati alle poltrone, per portare a termine gli accordi presi con chi li
ha sostenuti e li ha assurti a organizzatori e depositari del bene comune del quale dispongono a piacimento senza averne diritto alcuno.
A noi, nel frattempo, hanno tolto tutto.
Perchè quando ad un individuo togli la speranza in un futuro, la tranquillità di un lavoro che ti dia la possibilità di vivere dignitosamente, hai tolto tutto.
Non siamo nemmeno più capaci di reagire e ribellarci, ci hanno disarmati, ci hanno definitivamente spenti all'interno.
Ormai, con la strategia del terrore che ci hanno imposto, hanno preso possesso anche delle nostre esistenze.



Cetta.

Caso Finmeccanica, perquisito il manager Moncada, “il grande burattinaio”.

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L'ad della Fata descritto dall'ex presidente dello Ior Gotti Tedeschi in una conversazione intercettata: “Non semplificarlo come un agente della Cia o un massoncello qualsiasi...”. Per i pm di Napoli potrebbe essere il vertice del "sistema" in grado di condizionare le scelte del colosso pubblico.

Ignazio Moncada, amministratore della Fata (gruppo Finmeccanica) ha ricevuto la visita degli investigatori che hanno perquisito la sua abitazione e la sede della società. L’ordinanza è partita dai pm di Napoli Francesco Curcio, Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock, che stanno cercando di verificare se esista o meno un “sistema”, in grado di condizionare “le scelte aziendali del gruppo Finmeccanica da adottarsi in conseguenza delle indagini in corso”. I giudici, inoltre, vogliono capire se sia esistito un gruppo di persone influenti “che potrebbe aver svolto un ruolo nella gestione di provviste illecite formatesi all’estero” e che fanno capo alla holding. All’interno di queste ipotesi investigative Moncada è stato descritto come “grandissimo burattinaio”. Oltre al gruppo Finmeccanica è coinvolto anche l’Istituto per le opere di religione (Ior) o meglio il suo ex presidente Ettore Gotti Tedeschi e vengono ventilati rapporti con la Massoneria e la Cia
La perquisizione di oggi infatti è stata disposta in seguito ad una intercettazione tra il presidente di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, e l’ex presidente dello Ior Gotti Tedeschi. Il ”sistema è in tuo favore e ti difenderà”, rassicura Gotti Tedeschi, rivolgendosi a Orsi, in un colloquio intercettato dalla procura di Napoli mentre i due si incontrano in un locale romano. Il nome di Moncada spunta subito dopo. Gotti Tedeschi spiega di aver parlato con Moncada: questi avrebbe detto di aver discusso il caso Orsi con “persone importantissime”, le quali avrebbero a loro volta affermato che il presidente di Finmeccanica “è una persona che va difesa e supportata”. Sarebbe quindi proprio Moncada a permettere a Gotti Tedeschi di rinfrancare Orsi, e da qui gli verrebbe affibbiato, dallo stesso Gotti Tedeschi, il nomignolo di “grandissimo burattinaio”.
Le intercettazioni complete. Il colloquio avviene il 23 maggio scorso in un ristorante romano ed è stato intercettato dalle microspie fatte piazzare dai pm di Napoli che indagano su presunti appalti e tangenti da parte della holding. Tedeschi: ”Oggi sei l’unica persona che può stare lì! E loro lo sanno…”. L’ex presidente dello Ior spiega ad Orsi di aver incontrato poco prima Moncada. “Lo conosco da molti anni ed ho un’opinione precisa di Moncada”. E aggiunge: “Prima, gli ho detto quello che penso e poi gli ho detto cosa pensi tu! Lui ha un’enorme stima di te, lui dice Orsi è la persona giusta! Che va difesa e va supportata. Quindi sappi che Moncada…m’ha persino detto con quali persone ieri si è discusso il caso Orsi, e tutti, anche persone importantissime, hanno dettoOrsi è una persona che va difesa e va supportata! Sappilo…”.
Il sistema è a tuo favore e ti difenderà! (T): ”Adesso per quanto tempo, se è per mille anni o per preparare una.. un qualcosa questo nessuno lo può sapere, però oggi sei l’unica persona che può stare lì! E loro lo sanno… Intanto io scherzando gli ho detto ma gli togli la presidenza, beh se viene tolta la presidenza faccio io il presidente! Non togliamo un cazzo resta amministratore delegato e presidente!”. Poi i due fanno riferimento a altri personaggi.. Orsi chiede “a che ora hai visto tu il gobbo?” e aggiunge “…Pansa (direttore generale di Finmeccanica ndr) ha preso una sberla bestiale!”. (T): “Tu hai detto…secondo te era pro-Pansa?”. (O): “Assolutamente! Lui ha sempre..” (T): “Ma chi te l’ha detto?”. (O): “Ha sempre cincischiato con Pansa, sempre nel suo ufficio! E sempre… Pansa dice che lui c’ha tutto il supporto di Moncada.. Moncada in qualche modo è parte di una lo…(loggia, ndr)di una…”.(T): “No!”. (O): “Dai Moncada è un..un cagnolino? Sì dai”. (T): “No, molto di più”. I due si soffermano ancora sulla figura di Moncada. (T): “Non semplificarlo come un agente della Cia o un massoncello qualsiasi..”. (O): “No un massoncello eh”. (T): “No, questo no..stai semplificando”. (O): “Ah ok”. (T): “No no! è..veramente un grande burattinaio!”.
Poco più tardi Gotti spiega: “Lo conosco da 15 anni forse….diciamo 12 13 anni.. lo conoscevo dal ’99-2000, se io ti di..uno come me, rigoroso come sono, moralista anche un po’, ti dico che con me è stato sempre di una lealtà, non mi ha mai mentito, non mi ha mai chiesto niente in cambio e poteva chiederlo mille volte! E’ stato sempre di una lealtà di una onestà intellettuale assoluta! Per cui io guardo i risultati e non mi ha mai mentito, mai mentito! Certo fa i suoi giochi, i suoi giochi grossi, li farà anche lui, e tieni conto che lui sta nel gruppo Finmeccnica non fa un cazzo, aspè non fa un cazzo, non ha mai fatto niente…”.

Vai avanti tu, che a me mi viene da ridere ... - Claudia Petrazzuolo



Un anno luce...
I giornali, i tele notiziari, le news che tutti noi subiamo andando in una edicola, accendendo la televisione o ascoltando, magari distrattamente, la radio hanno, in questi giorni, un tormentone che gira intorno ad un canovaccio noto: 
la figura istituzionale del pdr Napolitano, 
la diatriba tra i due presidenti di camera e senato, 
la nuova legge elettorale, 
i tagli alla spesa, 
chi vuole allearsi con chi, 
chi non ammette alleanze con, 
chi l’alleanza non si fa senza 
o ed ancora e purtroppo e , temo, per sempre Berlusconi ci sarà o non ci sarà … . 
Da quando gli uomini veri, i politici per eccellenza e scienza, sono nell’andar del tempo tutti spariti per sopravvenuta scadenza biologica, degli OGM della politica, che già definire politicanti è un innalzarli ad un rango di cui non sono degni, non fanno altro che ammorbarci l’aria di ogni santo giorno con le loro astruse chiacchiere il cui unico scopo è quello di INSTUPIDIRCI per acquetare la nostra capacità di raziocinio ben sapendo che il “ sonno della ragione genera mostri ” di cui tutti loro, nessuno escluso, nemmeno i nuovi ed i nuovissimi, sono la massima espressione vivente.
In ogni paese la Carta Costituzionale, lì dove essa è presente, è considerata come una sorta di Bibbia da seguire e prendere alla lettera nei suoi principi e dettami. Si riconosce ad ogni Costituzione quella importanza e quella sacralità derivante dal suo nascere condiviso tra relatori saggi e di idee differenti tra loro; si rispetta perché espressione di regole generali validate da tutti e quindi da ognuno condivise. 

Questa verità mondiale ha delle eccezioni: di solito si tratta di paesi sotto sviluppati o preda di dittature, militari e non, o di paesi che sono agli albori della loro storia e quindi possono essere considerati come “ work in progress “
Verso queste eccezioni si può avere una propensione all’aiuto, un atteggiamento di condanna, una paziente attesa del risultato finale; ma, quando tra le eccezioni si riscontrano stati con una cultura millenaria, quando in un paese la costituzione diventa una pastoia della quali liberarsi o sulla quale agire affinché si possano giustificare e legalizzare abusi e soprusi e atteggiamenti prevaricatori o liberticidi, a quale linea di comportamento ci si deve attenere? E’ consentito ad un popolo disconoscere rinnegare e destituire una sua intera classe politica? C’è bisogno per forza di sangue e di morti per pretendere il semplice rispetto di un documento condiviso?.
Dalle menti di questi cantastorie dai mille programmi mai realizzati, dalle bocche di questi signori dalle mille utopie escono, come sempre del resto, vaneggiamenti del tipo “ … allunghiamo il settennato presidenziale … “, “ il lavoro non è un diritto, ma bisogna conquistarselo … “, “ il posto fisso è una noia mortale … “, “ allunghiamo l’età lavorativa, ma esodiamoli prima … “, “ tagliamo le spese alla sanità ed alla pubblica amministrazione … “, “ salviamo l’Italia e chi se ne sbatte degli italiani … “ ed il tutto in funzione di quella prerogativa conseguente ad una espressione di voto vecchia di 5 anni. 

Subito detto che questo governo in carica è già di per sé una forzatura costituzionale, aggiunto che quello precedente già dalla fuori uscita dei finiani non aveva più una maggioranza e aveva stuprato ogni ragione abusando di una premio di maggioranza a cui non aveva più diritto, sottolineato che le ultime amministrative hanno gridato al mondo lo scollamento esistente tra il paese reale e questo immondo spettacolo recitato da nani, ballerine, prostitute, mestieranti senza arte né parte, esaltati, delinquenti, vecchiacci senza patria né Dio, ex di qua ed ex di là, preso atto che non esiste una opposizione credibile capace di un’alternanza seria e finalmente costruttiva, io mi chiedo e vi chiedo, quand’è che ci decideremo a prenderli a calci in culo e chiedo scusa per l’uso della parola calci?
Questi protagonisti del niente, questi attori del “ volevamo stupirvi con effetti speciali, ma siamo degli imbelli dediti solo al proprio portafogli e voi fottetevi branco di scimmie urlanti senza dignità ed onore al punto che continuate a permettere la nostra ignobile esistenza “, questi grassatori dello stipendio mensile rubato secondo dopo secondo alle nostre tasche, continuano una vita da sogno lasciando in preda agli incubi più terrificanti e avvilenti coloro stessi che li hanno eletti …
9.460.800.000.000 sono i Km che la luce attraversa dal primo di gennaio al 31 dicembre di un qualsiasi anno della storia umana, ma se la distanza da compiere fosse quella intercorrente tra i politici italiani ed il popolo italiano, alla luce non basterebbero mille anni … 
POVERACCI … ! ( NOI O LORO?, ndr).



https://www.facebook.com/notes/claudia-petrazzuolo/vai-avanti-tu-che-a-me-mi-viene-da-ridere-/336380249774921

mercoledì 4 luglio 2012

Se la politica è ostile ai movimenti. - Stefano Rodotà




Il “principio di realtà” sembra irrompere nella politica solo quando si fanno più drammatiche le questioni dell’economia, alle quali tuttavia si guarda troppo spesso come se in esse si manifestasse una ineludibile legge “naturale”. I mercati “votano”, si attendono le “reazioni” dei mercati. Soggetti onnipresenti e impersonali, alle cui pretese la politica si piega, e palesa le sue impotenze, smarrisce ogni filo razionale, sembra rassegnata alle dimissioni. 

Di questo contagio la politica è vittima consapevole. Prigioniera della sola dimensione economica, perde la capacità di misurarsi con le grandi questioni della società, di elaborare strategie di più largo respiro e di più lunga durata. E si priva così degli strumenti che possono consentirle di ricominciare a pensare lo stesso mercato come una creazione sociale, non come una entità naturale, alle cui leggi si è costretti ad obbedire.

Nella realtà vi sono più cose da vedere, analizzare, comprendere. A questa ricchezza la politica deve attingere. Non è una impresa impossibile, a condizione che si voglia davvero uscire dall’autoreferenzialità e dalle logiche oligarchiche che si sono impadronite dei partiti. I punti di riferimento non mancano. Questa sembrava l’indicazione venuta dal segretario del Pd quando, lanciando la sua candidatura verso primarie aperte, l’associava con una dichiarata attenzione per le nuove dinamiche sociali, per le richieste di partecipazione, per i diritti civili, per il tema centrale del lavoro, dando la sensazione che si volesse così dar vita ad una agenda politica finalmente espressiva di contenuti concreti, abbandonando le abitudini che hanno trasformato l’azione del partito in una eterna schermaglia tra persone. Solo in questo modo si può evitare che le primarie si trasformino in un’altra tappa verso quell’estrema personalizzazione della politica che è all’origine di infinite distorsioni istituzionali.

Il principio di realtà dovrebbe portare verso una riflessione sulle effettive dinamiche degli ultimi tempi. Tutto quello che usciva fuori dai canali della politica ufficiale è stato sbrigativamente etichettato come antipolitica. Questo non è stato solo un errore analitico. Si è rivelato come un modo per sottrarsi ad un confronto scomodo, non con l’antipolitica, ma con l’altra politica che si è presentata in modo incisivo sulla scena italiana, suscitando nei partiti una reazione di fastidio e di sufficienza, quasi che si trattasse di inutili iniziative “movimentiste” e protestatarie.

Le cose non sono andate così. Tra il 2010 e il 2011 si sono svolte grandi manifestazioni di donne e lavoratori, studenti e mondo della cultura. A questa iniziativa diffusa si deve la reazione che ha bloccato la “legge bavaglio” sulle intercettazioni, fino a quel momento contrastata blandamente dall’opposizione parlamentare. Quel variegato movimento ha contribuito grandemente ai successi nelle elezioni amministrative dell’anno scorso, non a caso vinte, in città chiave come Milano e Napoli, da candidati scelti fuori dalle indicazioni dei partiti. In quelle campagne elettorali, come ha ricordato Ilvo Diamanti, vi fu una straordinaria e spontanea presenza dei cittadini. Punto di approdo di tutta quella fase fu il voto referendario del 13 giugno dell’anno scorso, quando ventisette milioni di cittadini dissero no alla privatizzazione dell’acqua, al nucleare, alle leggi ad personam.
Altro che movimentismo sterile, del quale disinteressarsi. Quelle sono state tutte iniziative vincenti, che avrebbero dovuto sollecitare la massima attenzione della politica “ufficiale”, rimasta invece sorda, lontana, ostile. Ora proprio a quel mondo si dice di voler rivolgere l’attenzione. Ma questo non è affare di parole.

Non si può dire di voler prendere sul serio i segnali che arrivano dalla società e poi contribuire a una strategia che vuole sostanzialmente cancellare i risultati del referendum sull’acqua. Sta accadendo proprio questo con una rottura della legalità costituzionale che giustifica un appello al Presidente della Repubblica. Migliaia di cittadini si organizzano in una campagna di “obbedienza civile”, pagando le bollette dell’acqua in base a quel che essi stessi hanno deciso con il referendum. Una convincente nuova politica non può eludere questo terreno, che i cittadini hanno pacificamente occupato non con iniziative sgangherate, ma con il loro voto. Quale credito può recuperare un partito che ignora la voce di ventisette milioni di persone?
Vi è una lezione generale da trarre da questa storia recente. Tutti quei movimenti non hanno mai scelto la strada non solo antipolitica, ma antistituzionale, che altri hanno imboccato o vogliono imboccare. Al contrario. I loro interlocutori sono stati i parlamentari al tempo della legge bavaglio. Gli strumenti adoperati sono quelli della democrazia quando si sceglie di partecipare convintamente alle elezioni amministrative e quando si raccolgono le firme e si vincono i referendum. Se davvero si vuole rafforzare la partecipazione, la via da seguire è nitidamente segnata.

Tutto questo, infatti, è avvenuto all’insegna della Costituzione, salvata nel giugno del 2006, da sedici milioni di cittadini che, dicendo no alla riforma costituzionale approvata dal governo Berlusconi, indicavano pure una strada da seguire. Se oggi si vuol discutere seriamente di riforma costituzionale, bisogna tenere nel giusto conto le indicazioni venute in questi anni da milioni (insisto, milioni) di cittadini, non dalle intemperanze di gruppetti o dalle pretese di professori (anche se un po’ di attenzione per la grammatica costituzionale non guasterebbe). 

Queste indicazioni sono chiarissime. Il rifiuto dell’accentramento del potere e di una più intensa personalizzazione dovrebbe essere ancor più tenuto in considerazione oggi, di fronte alla minaccia di pericolose derive populiste. L’attenzione per la partecipazione dei cittadini non può essere ridotta a una giaculatoria. Ma nelle proposte di riforma costituzionale non vi è nulla (insisto, nulla) che vada in questa direzione, anzi si va verso accentramenti e smantellamento di equilibri e garanzie. E questa è una linea autolesionista, al limite del suicidio, perché la stessa democrazia rappresentativa può essere salvata solo da una sua intelligente integrazione con forme di partecipazione dei cittadini. Dall’Europa ci vengono indicazioni che consentono, ad esempio, di rafforzare l’iniziativa legislativa popolare, come vado dicendo da anni.

Ma l’altra politica manifesta pure una fortissima richiesta di diritti, che non può essere sacrificata all’economia con il trucco della politica dei due tempi, come ha benissimo ricordato Chiara Saraceno, né può essere affidata a documenti come quello predisposto dal Pd, elusivo su troppe questioni. I diritti del lavoro sono emblematici del legame scindibile tra economia e diritti, come dimostrano alcuni opportuni interventi dei giudici, resi possibili anche da indicazioni provenienti dall’Europa che, anch’essa, deve essere considerata nella dimensione dei diritti.

Sono molte, dunque, le possibilità concrete di riprendere il filo del rapporto spezzato tra partiti e cittadini. Ma questa, evidentemente, non è una operazione a costo zero. Esige l’abbandono di pessime abitudini e qualche segnale immediato. Torno alla questione dell’acqua come bene comune e ricordo che in Parlamento, su vari temi, giacciono proposte di legge di iniziativa popolare o regionale. Perché non metterle all’ordine del giorno, cominciare a discuterle? I cittadini capirebbero. 

http://temi.repubblica.it/micromega-online/se-la-politica-e-ostile-ai-movimenti/

Firme false, Podestà stizzito: “False? Giudizio mediatico”. - Franz Baraggino




“Non posso dire se quelle firme siano vere o false, ce lo dirà la sentenza alla fine del processo”. 
Nel giorno in cui il pm Alfredo Robledo ha chiesto il rinvio a giudizio del presidente della Provincia di Milano Guido Podestà con l’accusa di falso ideologico in merito alla vicenda delle firme false raccolte dal Pdl per le ultime regionali, l’interessato suggerisce di aspettare che la giustizia faccia il suo corso. Ma nella vicenda che riguarda le due liste a sostegno della candidatura di Roberto Formigoni, una cosa è certa: 926 firme tra quelle raccolte e autenticate sono state falsificate. Un dato che non scompone il presidente della Provincia, che rinnova l’invito alla prudenza: “Non si possono avallare giudizi mediatici, solo una sentenza potrà dirci se quelle firme sono false”. Il nome di Podestà, che all’inizio del 2010 era coordinatore lombardo per il Pdl e responsabile politico della campagna elettorale per le amministrative, è saltato fuori nel corso dell’interrogatorio di Clotilde Strada, una delle responsabili operative della campagna. Secondo la Strada, infatti, sarebbe stato Podestà a suggerire di utilizzare i certificati elettorali per autenticare le firme false, quando la scadenza del termine per la presentazione delle liste era ormai prossima. Podestà smentisce: “Quella sera arrivai nella sede del Pdl”, conferma, “ma mi dissero che tutto procedeva per il meglio”. E ancora: “Guardando bene le carte”, continua Podestà, “si capirà che la Strada ha anche cambiato versione”. L’udienza preliminare è fissata per il 12 ottobre prossimo. Nel frattempo arriva la solidarietà del presidente della Regione Formigoni: “Io non c’entro niente e spero che il presidente Podestà potrà presto vedere affermata la sua estraneità”.

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Concorso esterno a Cosa nostra, chiesti otto anni per l’ex ministro Romano. - Giuseppe Pipitone

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Rito abbreviato a Palermo per il politico del Pid chiamato al governo da Silvio Berlusconi. Secondo i pm Di Matteo e De Francisci tutta la sua carriera è stata favorita dalla mafia, "ramo" Provenzano, e legata a quella di Totò Cuffaro. Tra i suoi accusatori il collaboratore Angelo Siino. Sentenza il 17 luglio.

Un patto politico elettorale mafioso avrebbe garantito l’ascesa di Saverio Romano, deputato del Pid ed ex ministro delle politiche agricole del premier Silvio Berlusconi. È quanto sostenuto nella lunga requisitoria del pm Nino Di Matteo, che ha chiesto la condanna dell’esponente del Pid a otto anni di carcere. Romano è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e ha scelto di essere processato con il rito abbreviato. Davanti al gup Ferdinando Sistito l’accusa – rappresentata in aula oltre che da Di Matteo anche dal procuratore aggiunto Ignazio De Francisci – ha passato in rassegna tutte gli elementi probatori che dimostrerebbero un patto politico elettorale siglato tra Romano e la  parte predominante di Cosa Nostra, quella che faceva capo al boss Bernardo Provenzano. Il pm Di Matteo ha paragonato a più riprese la condotta di Romano a quella di Salvatore Cuffaro, l’ex governatore della Sicilia attualmente detenuto nel carcere di Rebibbia, dove sta scontando sette anni di carcere per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra.
“Cuffaro e Romano – ha spiegato Di Matteo- hanno condiviso le stesse clientele mafiose. Esiste un patto tra politica e mafia, un patto già accertato dalle sentenze definitive che condannano Cuffaro; un patto a cui ha partecipato anche attivamente lo stesso Romano”. Quel patto politico mafioso avrebbe avuto la sua origine nel 1991 quando l’allora ventisettenne Saverio Romano si recò insieme a Cuffaro  a casa di Angelo Siino, pilota amatoriale di rally e “ministro dei lavori pubblici” di Cosa Nostra, fautore dell’infiltrazione mafiosa nel sistema degli appalti regionali. “Romano e Cuffaro – ha detto il pm – sapevano benissimo che peso avesse Siino dentro Cosa Nostra: in un primo momento Romano volle incontrarlo per chiedergli di tenere in considerazione nel sistema degli appalti anche gli imprenditori di Belmonte Mezzagno, suo paese d’origine. Poi all’incontro partecipò anche Cuffaro e l’oggetto del colloquio diventò quindi la richiesta di sostegno elettorale per le consultazioni regionali del 1991, in cui lo stesso Cuffaro era candidato”. A sostegno della sua tesi il pm ha citato più volte le dichiarazioni dello stesso Siino, che oggi è un collaboratore di giustizia.  
Il patto con Cosa Nostra, secondo la ricostruzione della procura, sarebbe poi continuato negli anni successivi raggiungendo il suo apice nel 2001, anno in cui Romano venne eletto per la prima volta alla Camera dei deputati e Cuffaro stravinse le consultazioni regionali diventando presidente della Sicilia. Un exploit che sarebbe dovuto soprattutto al sostegno massiccio offerto da Cosa Nostra ai due politici cresciuti alla corte di Calogero Mannino. E che sarebbe dimostrato dalla scelta di candidare a quelle elezioni regionali soggetti che facevano riferimento diretto a boss di Cosa Nostra: Domenico Miceli e Giuseppe Acanto. “La candidatura di Miceli e di Acanto – ha rivelato Di Matteo – è una delle rate che Romano e Cuffaro devono pagare per mantenere i patti con Cosa Nostra. Miceli infatti rappresenta gli interessi del boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro, uno che già all’epoca era stato condannato per mafia. La candidatura di Acanto viene invece chiesta dalla famiglia mafiosa di Villabate e dal boss Nino Mandalà: del resto sappiamo che quando Acanto arrivò all’Assemblea regionale una parte del suo stipendio da deputato regionale finiva a Mandalà, come riconoscimento per l’aiuto elettorale ricevuto”. Il medico Domenico Miceli, ex assessore alla sanità del comune di Palermo, era considerato il delfino di Cuffaro, prima che la sua voce finisse registrata dalle microspie nascoste a casa di Guttadauro. 
Una parte importante della requisitoria dell’accusa è stata dedicata alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Primo tra tutti Francesco Campanella, già presidente del consiglio comunale di Villabate poi condannato per mafia. Campanella, esponente dell’Udeur di Clemente Mastella, ha raccontato ai magistrati di un pranzo avvenuto a Roma a Campo de’ Fiori nel 2001, in compagnia di  Franco Bruno, allora capo di gabinetto del sottosegretario alla giustizia Marianna Li Calzi, di Cuffaro e dello stesso Romano. “Franco Bruno – si legge nel verbale di Campanella -   conosceva perfettamente il mio cattivo rapporto con l’onorevole Romano, e scherzando a tavola disse: Saverio, tu sei candidato nel collegio di Bagheria dove c’è anche Villabate, ma lo sai che Francesco non ti vota, perché voterà per il centrosinistra? Stizzito  Romano si alzò e pronunciò una frase che mi resterà sempre impressa: No, Francesco mi vota, perché siamo della stessa famiglia. E poi girato verso di me aggiunse: scinni a Villabate e t’informi. Franco Bruno poi mi disse: è un pazzo che dice ‘ste cose con un magistrato in giro. Tornato poi a Villabate affrontai l’argomento, proprio come lui mi aveva chiesto in quella battuta, con Mandalà, il quale mi confermò che Saverio Romano era stato indicato dalla famiglia mafiosa di Belmonte Mezzagno”.
Per l’accusa le dichiarazioni di Campanella troverebbero pieno riscontro in quelle dell’altro pentito Stefano Lo Verso, per anni vivandiere di Provenzano. “Nicola Mandalà – ha raccontato ai magistrati Lo Verso – mi disse che per la politica non avevamo problemi: abbiamo l’amico e socio di mio padre, Renato Schifani, abbiamo nelle mani Dell’Utri e al centro abbiamo Cuffaro e il paesano di mio padrino Ciccio (il boss di Belmonte Mezzagno Pastoia nda), Saverio Romano”. E nei verbali del pentito Giacomo Greco, pure lui originario di Belmonte Mezzagno, si legge che lo stesso Provenzano “aveva interesse” nell’elezione di Romano. 
L’ex ministro ha ascoltato impassibile tutta la requisitoria dell’accusa e alla fine dell’udienza è andato via senza voler rilasciare alcuna dichiarazione. Adesso la palla passa ai suoi legali, gli avvocati Raffaele Bonsignore e Franco Inzerillo, che inizieranno l’arringa difensiva il 6 luglio. Per il 17 è invece attesa la sentenza del gup.