lunedì 23 luglio 2012

La lettera di Scarpinato: “Caro Paolo, tempo scaduto per i sepolcri imbiancati”.

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L'intervento del pg della corte d'Appello di Caltanissetta alla commemorazione per i 20 anni dell'attentato al magistrato antimafia: "Stringe il cuore a vedere talora tra le prima file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra la negazione dei valori di giustizia e legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere".

L’intervento di Roberto Scarpinato, procuratore generale della Corte di Appello di Caltanissetta, letto alla commemorazione per i 20 anni dell’assassinio di Paolo Borsellino, con il quale ha lavorato fianco a fianco nel pool antimafia.
Caro Paolo,
oggi siamo qui a commemorarti in forma privata perché più trascorrono gli anni e più diventa imbarazzante il 23 maggio ed il 19 luglio partecipare alle cerimonie ufficiali che ricordano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà.
E come se non bastasse, Paolo, intorno a costoro si accalca una corte di anime in livrea, di piccoli e grandi maggiordomi del potere, di questuanti pronti a piegare la schiena e a barattare l’anima in cambio di promozioni in carriera o dell’accesso al mondo dorato dei facili privilegi.
Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti.
Voi che a null’altro credete se non alla religione del potere e del denaro, e voi che non siete capaci di innalzarvi mai al di sopra dei vostri piccoli interessi personali, il 19 luglio tacete, perché questo giorno è dedicato al ricordo di un uomo che sacrificò la propria vita perché parole come Stato, come Giustizia, come Legge acquistassero finalmente un significato e un valore nuovo in questo nostro povero e disgraziato paese.
Un paese nel quale per troppi secoli la legge è stata solo la voce del padrone, la voce di un potere forte con i deboli e debole con i forti. Un paese nel quale lo Stato non era considerato credibile e rispettabile perché agli occhi dei cittadini si manifestava solo con i volti impresentabili di deputati, senatori, ministri, presidenti del consiglio, prefetti, e tanti altri che con la mafia avevano scelto di convivere o, peggio, grazie alla mafia avevano costruito carriere e fortune.
Sapevi bene Paolo che questo era il problema dei problemi e non ti stancavi di ripeterlo ai ragazzi nelle scuole e nei dibattiti, come quando il 26 gennaio 1989 agli studenti di Bassano del Grappa ripetesti: Lo Stato non si presenta con la faccia pulita… Che cosa si è fatto per dare allo Stato… Una immagine credibile?… La vera soluzione sta nell’invocare, nel lavorare affinché lo Stato diventi più credibile, perché noi ci dobbiamo identificare di più in queste istituzioni”.
E a un ragazzo che ti chiedeva se ti sentivi protetto dallo Stato e se avessi fiducia nello Stato, rispondesti: No, io non mi sento protetto dallo Stato perché quando la lotta alla mafia viene delegata solo alla magistratura e alle forze dell’ordine, non si incide sulle cause di questo fenomeno criminale”. E proprio perché eri consapevole che il vero problema era restituire credibilità allo Stato, hai dedicato tutta la vita a questa missione.
Nelle cerimonie pubbliche ti ricordano soprattutto come un grande magistrato, come l’artefice insieme a Giovanni Falcone del maxiprocesso che distrusse il mito della invincibilità della mafia e riabilitò la potenza dello Stato. Ma tu e Giovanni siete stati molto di più che dei magistrati esemplari. Siete stati soprattutto straordinari creatori di senso. 
Avete compiuto la missione storica di restituire lo Stato alla gente, perché grazie a voi e a uomini come voi per la prima volta nella storia di questo paese lo Stato si presentava finalmente agli occhi dei cittadini con volti credibili nei quali era possibile identificarsi ed acquistava senso dire “ Lo Stato siamo noi”. Ci avete insegnato che per costruire insieme quel grande Noi che è lo Stato democratico di diritto, occorre che ciascuno ritrovi e coltivi la capacità di innamorarsi del destino degli altri. Nelle pubbliche cerimonie ti ricordano come esempio del senso del dovere.
 Ti sottovalutano, Paolo, perché la tua lezione umana è stata molto più grande. Ci hai insegnato che il senso del dovere è poca cosa se si riduce a distaccato adempimento burocratico dei propri compiti e a obbedienza gerarchica ai superiori. Ci hai detto chiaramente che se tu restavi al tuo posto dopo la strage di Capaci sapendo di essere condannato a morte, non era per un astratto e militaresco senso del dovere, ma per amore, per umanissimo amore.
Lo hai ripetuto la sera del 23 giugno 1992 mentre commemoravi Giovanni, Francesca,Vito SchifaniRocco Dicillo e Antonio MontinaroParlando di Giovanni dicesti: “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché mai si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! La sua vita è stata un atto di amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato”. 
Questo dicesti la sera del 23 giugno 1992, Paolo, parlando di Giovanni, ma ora sappiamo che in quel momento stavi parlando anche di te stesso e ci stavi comunicando che anche la tua scelta di non fuggire, di accettare la tremenda situazione nella quale eri precipitato, era una scelta d’amore perché ti sentivi chiamato a rispondere della speranza che tutti noi riponevamo in te dopo la morte di Giovanni.
Ti caricammo e ti caricasti di un peso troppo grande: quello di reggere da solo sulle tue spalle la credibilità di uno Stato che dopo la strage di Capaci sembrava cadere in pezzi, di uno Stato in ginocchio ed incapace di reagire.
Sentisti che quella era divenuta la tua ultima missione e te lo sentisti ripetere il 4 luglio 1992, quando pochi giorni prima di morire, i tuoi sostituti della Procura di Marsala ti scrissero: “La morte di Giovanni e di Francesca è stata per tutti noi un po’ come la morte dello Stato in questa Sicilia. Le polemiche, i dissidi, le contraddizioni che c’erano prima di questo tragico evento e che, immancabilmente, si sono ripetute anche dopo, ci fanno pensare troppo spesso che non ce la faremo, che lo Stato in Sicilia è contro lo Stato e che non puoi fidarti di nessuno. Qui il tuo compito personale, ma sai bene che non abbiamo molti altri interlocutori: sii la nostra fiducia nello Stato”.
Missione doppiamente compiuta, Paolo. Se riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso. E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità.
E dunque per tanti di noi è stato un privilegio conoscerti personalmente e apprendere da te questa straordinaria lezione che ancora oggi nutre la nostra vita e ci ha dato la forza necessaria per ricominciare quando dopo la strage di via D’Amelio sembrava – come disse Antonino Caponnetto tra le lacrime – che tutto fosse ormai finito.
Ed invece Paolo, non era affatto finita e non è finita. Come quando nel corso di una furiosa battaglia viene colpito a morte chi porta in alto il vessillo della patria, così noi per essere degni di indossare la tua stessa toga, abbiamo raccolto il vessillo che tu avevi sino ad allora portato in alto, perché non finisse nella polvere e sotto le macerie.
Sotto le macerie dove invece erano disposti a seppellirlo quanti mentre il tuo sangue non si era ancora asciugato, trattavano segretamente la resa dello Stato al potere mafioso alle nostre spalle e a nostra insaputa.
Abbiamo portato avanti la vostra costruzione di senso e la vostra forza è divenuta la nostra forza sorretta dal sostegno di migliaia di cittadini che in quei giorni tremendi riempirono le piazze, le vie, circondarono il palazzo di giustizia facendoci sentire che non eravamo soli.
E così Paolo, ci siamo spinti laddove voi eravate stati fermati e dove sareste certamente arrivati se non avessero prima smobilitato il pool antimafia, poi costretto Giovanni ad andar via da Palermo ed infine non vi avessero lasciato morire.
Abbiamo portato sul banco degli imputati e abbiamo processato gli intoccabili: presidenti del Consiglio, ministri, parlamentari nazionali e regionali, presidenti della Regione siciliana, vertici dei Servizi segreti e della Polizia, alti magistrati, avvocati di grido dalle parcelle d’oro, personaggi di vertice dell’economia e della finanza e molti altri.
Uno stuolo di sepolcri imbiancati, un popolo di colletti bianchi che hanno frequentato le nostre stesse scuole, che affollano i migliori salotti, che nelle chiese si battono il petto dopo avere partecipato a summit mafiosi. Un esercito di piccoli e grandi Don Rodrigo senza la cui protezione i Riina, i Provenzano sarebbero stati nessuno e mai avrebbero osato sfidare lo Stato, uccidere i suoi rappresentanti e questo paese si sarebbe liberato dalla mafia da tanto tempo.
Ma, caro Paolo, tutto questo nelle pubbliche cerimonie viene rimosso come se si trattasse di uno spinoso affare di famiglia di cui è sconveniente parlare in pubblico. Così ai ragazzi che non erano ancora nati nel 1992 quando voi morivate, viene raccontata la favola che la mafia è solo quella delle estorsioni e del traffico di stupefacenti.
Si racconta che la mafia è costituita solo da una piccola minoranza di criminali, da personaggi come Riina e Provenzano. Si racconta che personaggi simili, ex villici che non sanno neppure esprimersi in un italiano corretto, da soli hanno tenuto sotto scacco per un secolo e mezzo la nostra terra e che essi da soli osarono sfidare lo Stato nel 1992 e nel 1993 ideando e attuando la strategia stragista di quegli anni. Ora sappiamo che questa non è tutta la verità.
E sappiamo che fosti proprio tu il primo a capire che dietro i carnefici delle stragi, dietro i tuoi assassini si celavano forze oscure e potenti. E per questo motivo ti sentisti tradito, e per questo motivo ti si gelò il cuore e ti sembrò che lo Stato, quello Stato che nel 1985 ti aveva salvato dalla morte portandoti nel carcere dell’Asinara, questa volta non era in grado di proteggerti, o, peggio, forse non voleva proteggerti.
Per questo dicesti a tua moglie AgneseMi ucciderà la mafia, ma saranno altri che mi faranno uccidere, la mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno”. Quelle forze hanno continuato ad agire Paolo anche dopo la tua morte per cancellare le tracce della loro presenza. E per tenerci nascosta la verità, è stato fatto di tutto e di più.
Pochi minuti dopo l’esplosione in Via D’Amelio mentre tutti erano colti dal panico e il fumo oscurava la vista, hanno fatto sparire la tua agenda rossa perché sapevano che leggendo quelle pagine avremmo capito quel che tu avevi capito.
Hanno fatto sparire tutti i documenti che si trovavano nel covo di Salvatore Riina dopo la sua cattura. Hanno preferito che finissero nella mani dei mafiosi piuttosto che in quelle dei magistrati. Hanno ingannato i magistrati che indagavano sulla strage con falsi collaboratori ai quali hanno fatto dire menzogne. Ma nonostante siano ancora forti e potenti, cominciano ad avere paura.
Le loro notti si fanno sempre più insonni e angosciose, perché hanno capito che non ci fermeremo, perché sanno che è solo questione di tempo. Sanno che riusciremo a scoprire la verità. Sanno che uno di questi giorni alla porta delle loro lussuosi palazzi busserà lo Stato, il vero Stato quello al quale tu e Giovanni avete dedicato le vostre vite e la vostra morte.  
E sanno che quel giorno saranno nudi dinanzi alla verità e alla giustizia che si erano illusi di calpestare e saranno chiamati a rendere conto della loro crudeltà e della loro viltà dinanzi alla Nazione.
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Lettera di Salvatore Borsellino all’ufficiale dei Cc Giovanni Arcangioli .



Lettera di Salvatore Borsellino all’ufficiale dei Cc Giovanni Arcangioli assolto poi dal tribunale di Caltanissetta per la sottrazione della borsa di Salvatore Borsellino dopo la strage. 

Signor Arcangioli,
spero i suoi impegni all’accademia dei carabinieri e la soddisfazione per la decisione della Cassazione le lasceranno il tempo di leggere queste poche righe vergate di prima mattina da un siciliano cresciuto laico ma con una foto di due giudici sul comodino e con la Costituzione al posto della Bibbia. Vedo e rivedo quelle immagini, la vedo e rivedo con la borsa di un giudice appena morto allontanarsi dal luogo della strage di via D’Amelio. La vedo tranquillo, soddisfatto, vittorioso. Senza il minimo turbamento per la catastrofe che la circonda. Lei non si è mai fatto processare per quella illegittima sottrazione e non ha mai dato una versione univoca e attendibile di quel gesto. Ha sempre dato varie e discordanti versioni in quanto “turbato dal vedere quei corpi”; sembra tutt’altro dalle immagini, glielo assicuro. Hanno archiviato l’indagine a suo carico per furto aggravato dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, e ora hanno respinto il ricorso della procura di Caltanissetta: gli italiani non sapranno mai la verità, non sapranno mai se lei è innocente o se lei è autore del furto di quell’agenda su cui erano scritti appunti pericolosi come armi atomiche e se lo fece per favorire cosa nostra. Voglio solo dirle che forse non sapremo mai la verità, ma che quelle immagini per noi significano molto, e vederla con quella borsa in mano per gli italiani è metà della torta. Già, non sappiamo per conto di chi e perchè lei fece quel gesto inconsulto, ma lo fece, e noi abbiamo le prove. Nessuno potrà scagionarla di averci privato di una parte di verità che ci spetta come italiani e come siciliani. Fino a quando lei continuerà a tacere rimarrà colui che fino a prova contraria ha sottratto la borsa del giudice. Perché? Lei ha il dovere morale di dire il perché di quelle oscure manovre quando il corpo del giudice Borsellino era ancora caldo e quando la Sicilia era sgomenta. Signor Arcangioli, io non so se la sua coscienza le lasci tregua, la nostra memoria di certo non lo farà mai. Parli, finché è in tempo, e non ci privi di un nostro diritto.

P.S.: il mistero dell’Agenda Rossa. Eccolo. L’ufficiale venne ripreso, intorno alle 17.30 del 19 luglio, mentre si allontana velocemente dall’auto della vittima con in mano l’inseparabile valigetta di cuoio del giudice. La borsa ricomparve nella macchina successivamente, circa un’ora dopo; venne sequestrata e repertata: dentro, però, l’agenda non c’era. Cosa accadde tra le 17.30 e la redazione del verbale di sequestro dei reperti che non fa cenno al documento? Il nodo è tutto qui. Arcangioli ha sempre sostenuto di non avere aperto l’agenda e di averla mostrata a Giuseppe Ayala, ex collega di Borsellino, nel ’92 deputato, tra i primi ad accorrere in via D’Amelio. Ma la versione del militare non ha convinto i magistrati che inizialmente l’hanno indagato per false informazioni. Ayala ha negato di avere ricevuto la borsa dal capitano e ha sostenuto di averla vista nell’auto, di averne parlato con l’ufficiale e di averla consegnata a un altro carabiniere. Di certo c’è che quando la borsa vuota fu ritrovata nella blindata di Borsellino presentava bruciature che prima non c’erano. Nel frattempo la macchina aveva preso fuoco: ciò confermerebbe che la valigia era stata tolta e poi rimessa dentro. Inoltre, nelle immagini si vedeva Arcangioli allontanarsi velocemente dal luogo della strage con la borsa, in una direzione, che secondo gli inquirenti che, su sollecitazione del gip ne chiesero il rinvio a giudizio, non sarebbe giustificata nè dalla presenza di soggetti istituzionali, nè da motivi investigativi. Ma la sentenza di proscioglimento, confermata dalla Cassazione, ha escluso il coinvolgimento dell’ufficiale.



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La triste realtà.



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Lo Stato è "Cosa nostra". - Ferdinando Imposimato

Ferdinando Imposimato

Molti anni fa una giornalista americana, Judith Harris, del Reader's Digest, mi chiese quale fosse la differenza tra Brigate rosse e mafia. Senza pensarci due volte risposi: le Br sono contro lo Stato, la mafia e' con lo Stato. E spiegai che la capacita' della mafia e' di intessere legami stretti con le istituzioni - politica, magistratura, servizi segreti - a tutti i livelli. Con le buone o le cattive maniere. Chi resiste, come Boris Giuliano, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, viene eliminato, senza pieta'. Collante tra mafia e Stato e' da sempre la massoneria. Questo sistema di legami, che risale alla strage di Portella delle Ginestre, non si e' mai interrotto nel corso degli anni, anzi si e' rafforzato ed e' diventato piu' sofisticato. Ma molti hanno fatto finta che non esistesse. Complice la stampa manovrata da potenti lobbies economiche.
Da qualche tempo e' affiorato, nelle indagini sulle stragi mafiose del 1992, il tema della possibile trattativa avviata da Cosa Nostra tra lo stato e la mafia dopo la strage di Capaci, per indurre le istituzioni ad accettare le richieste mafiose: questo sarebbe il movente della uccisione di Borsellino. Non ho dubbi che le cose siano andate proprio in questo modo. Ma per capire quello che si e' verificato ai primi anni ‘90, occorre uno sguardo verso il passato. Partendo dall'assassinio di Aldo Moro e da cio' che lo precedette e lo segui'.
Con la riforma del 1977, che istitui' il Sismi ed il Sisde, i primi atti del presidente del consiglio Giulio Andreotti e del ministro dell'interno Francesco Cossiga furono la nomina ai vertici dei servizi segreti di Giuseppe Santovito e Giulio Grassini, due generali affiliati alla P2 di Licio Gelli: che gia' allora era legato a Toto' Riina, il capo di Cosa Nostra. Furono diversi mafiosi a rivelare questo collegamento tra Gelli e Riina. 
I servizi segreti di quel tempo non persero tempo: strinsero patti scellerati con Pippo Calo' e la banda della Magliana, contro la quale, senza rendermene conto, fin dal 1975 avevo cominciato ad indagare, assieme al pm Vittorio Occorsio: con lui trattavo alcuni processi per sequestri di persona, tra cui quelli di Amedeo Ortolani, figlio di Umberto, uno dei capi della P2, di Gianni Bulgari e di Angelina Ziaco; sequestri che vedevano coinvolti esponenti della Magliana, della P2 e del terrorismo nero. Tra gli affiliati alla loggia di Gelli c'era un noto avvocato penalista, riciclatore del denaro dei sequestri, che poi venne stranamente assolto dopo che Occorsio aveva dato parere contrario alla sua scarcerazione. Di quella banda facevano parte uomini come Danilo Abbruciati, legati alla mafia ed ai servizi segreti. Occorsio, che aveva scoperto l'intreccio tra la strage di Piazza Fontana, l'eversione nera e la massoneria, venne assassinato l'11 luglio 1976. Per l'attentato fu condannato Pier Luigi Concutelli, che risulto' iscritto alla loggia Camea di Palermo, perquisita da Falcone.
La mia condanna a morte fu pronunciata, probabilmente dalla stessa associazione massonica, subito dopo che fui incaricato di istruire il caso Moro, in cui apparvero uomini della mafia guidati da Calo', i capi dei servizi manovrati dalla banda della Magliana e politici amici di Gelli. A raccontarlo al giudice Otello Lupacchini fu il mafioso Antonio Mancini; costui disse che verso la fine del 1979 o i primi del 1980, avendo fruito di una licenza dalla Casa di lavoro di Soriano del Cimino, non vi aveva fatto rientro; in occasione di un incontro conviviale in un ristorante di Trastevere, l'Antica Pesa o Checco il carrettiere, cui aveva partecipato assieme ad Abbruciati, a Edoardo Toscano, ai fratelli Pellegrinetti, a Maurizio Andreucci e a Claudio Vannicola, mentre si discuteva del controllo del territorio del Tufello per il traffico di stupefacenti, si parlo' «di un attentato alla vita del giudice Ferdinando Imposimato». «Dal discorso si capiva che non si trattava di un'idea estemporanea: era evidente che erano stati effettuati dei pedinamenti nei confronti del magistrato e della moglie; che erano stati verificati i luoghi nei quali l'attentato non avrebbe potuto essere eseguito con successo; si era stabilito che comunque non si trattava di un obiettivo impossibile, per carenze della sua difesa nella fase degli spostamenti in auto: il luogo in cui l'attentato poteva essere realizzato era in prossimita' del carcere di Rebibbia dove la strada di accesso all'istituto si restringeva e non vi erano presidi militari di alcun genere». Proseguiva Mancini: «Quando sentimmo il discorso che si fece a tavola, io e Toscano pensammo che l'attentato dovesse essere una sorta di vendetta per l'impegno profuso dal magistrato nei processi per sequestri di persona da lui istruiti e che avevano visto coinvolti i commensali, i quali parlavano del giudice Imposimato definendolo “quel cornuto che ci ha portato al processo”. Successivamente, parlando dell'attentato ai danni del giudice Imposimato, Abbruciati mi spiego' che, al di la' delle ragioni personali che pure aveva, aveva ricevuto una richiesta in tal senso “da personaggi legati alla massoneria”, dei quali il giudice Imposimato aveva toccato gli interessi».
In seguito, durante le indagini su Andreotti per l'omicidio di Mino Pecorelli, il procuratore della Repubblica di Perugia accerto' che alla riunione, nel corso della quale si parlo' dell'attentato alla mia persona, avevano partecipato due uomini dei servizi segreti militari italiani di cui Mancini fece i nomi: essi furono incriminati e rinviati a giudizio per favoreggiamento. In seguito i due mi avvicinarono dicendomi che loro «non c'entravano niente con quella riunione» e che «evidentemente c'era stato uno scambio di persone da parte di Mancini, altri due uomini del servizio erano coloro che avevano preso parte a quell'incontro in cui venne annunciata la condanna a morte». Ovviamente non fui in grado di stabilire chi fossero i due agenti dei servizi. Restava il fatto che c'era stato un summit tra agenti segreti e mafiosi per decidere di eliminare, per ordine della massoneria, un giudice che istruiva due processi “scottanti”: quello sulla banda della Magliana e il processo per la strage di via Fani, il sequestro e l'assassinio di Moro. Ne' io potevo occuparmi di una vicenda che mi riguardava in prima persona come obiettivo da colpire. 
Ma nessuno - tranne Falcone, che seppe, mi sembra da Antonino Giuffre', che Riina aveva avallato l'assassinio di mio fratello - si preoccupo' di stabilire chi dei servizi avesse partecipato al summit in cui era stato annunciato l'imminente assassinio del giudice che in quel momento si stava occupando del caso Moro. Processo in cui, trenta anni dopo, venne alla luce il ruolo determinante della massoneria, della mafia e della politica. 
In quel periodo non mi occupavo solo di sequestri di persona, ma anche del falso sequestro di Michele Sindona, altro uomo della P2, e dell'assassinio di Vittorio Bachelet, dei giudici Girolamo Tartaglione e Riccardo Palma e, naturalmente, del caso Moro; ed avrei accertato, dopo anni, che della gestione del sequestro Moro si erano occupati, nei 55 giorni della prigionia, i vertici dei servizi segreti affiliati alla P2 e legati alla banda della Magliana. Ma tutto questo all'epoca non lo sapevo: la scoperta delle liste di Gelli avvenne nella primavera del 1981. Cio' che e' certo e' che il capo del Sismi, Santovito, piduista, era nelle mani di uomini della Magliana, articolazione della mafia a Roma. E dunque il racconto di Mancini era vero in tutto e per tutto. Qualcuno voleva evitare che la mia istruttoria su Moro e quella sulla banda della Magliana mi portassero a scoprire il complotto politico-massonico che, con la strumentalizzazione di sanguinari ed ottusi brigatisti, aveva decretato l'assassinio di Moro per fini che nulla avevano a che vedere con la linea della fermezza. 
Il disegno di costringermi a lasciare il processo sulla Magliana e quello sulla strage di via Fani riusci', ma non secondo il piano dei congiurati. La mia uccisione non ebbe luogo per le precauzioni che riuscii a mettere in atto, ma nel 1983, nel pieno delle indagini su Moro, venne ucciso mio fratello Franco da uomini della mafia manovrati da Calo': gli stessi che avevano eseguito la vergognosa messinscena del 18 aprile 1978, ossia la morte di Moro nel lago della Duchessa. Era evidente come il Sismi, che si era servito del mafioso Antonio Chichiarelli per preparare il falso comunicato, erano tutt'uno con la mafia, della quale si servivano per compiere operazioni sporche di ogni genere, compresa quella del lago della Duchessa, che provoco' una reazione violenta delle Br contro Moro, divenuto “pericoloso”. 
A distanza di 30 anni dal processo Moro e di 26 anni dall'assassinio di mio fratello Franco - assassinio che mi costrinse a lasciare la magistratura e tutte le mie inchieste - ho avuto la possibilita' di scoprire quali fossero le ragioni del progetto criminale contro di me: impedirmi di conoscere il complotto contro Moro. Non era una trattativa tra Stato e mafia, ma un vero e proprio accordo tra servizi, mafia e massoneria, che, con la benedizione dei politici, sanci' prima la eliminazione di Moro e poi la mia esecuzione: la quale falli', ma si ritorse contro mio fratello Franco, il quale prima di morire, mi chiese di non abbandonare le indagini. Il risultato fu che dopo quel barbaro assassinio fui costretto ad abbandonare tutte le inchieste sulla mafia e sui legami tra mafia, massoneria e stragismo. E nel 1986 dovetti rifugiarmi alle Nazioni Unite.
Durante le indagini che io conducevo a Roma sul falso sequestro Sindona, Falcone a Palermo per associazione mafiosa, e Turone e Colombo a Milano per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli, venne fuori a Castiglion Fibocchi, nella villa di Gelli, l'elenco degli iscritti alla P2. Enorme fu la sorpresa degli inquirenti: comprendeva i capi dei servizi segreti italiani e del Cesis, l'organismo che coordinava i servizi, e di quelli che facevano parte del Comitato di crisi del Viminale. Quel comitato che era stato istituito da Cossiga con l'avallo di Andreotti. Dopo la scoperta, venne decisa dal ministro Virginio Rognoni l'epurazione degli uomini di Gelli dai servizi e dal ministero dell'interno; ma di fatto non fu cosi'. La Loggia del Venerabile mantenne il controllo sui servizi segreti, come ebbe modo di accertare la Commissione parlamentare sulla P2; e le deviazioni continuarono, con la complicita' dei vari governi che si susseguirono. La corruzione dei politici di governo, le intercettazioni abusive su avversari politici, giornalisti e magistrati, i ricatti fondati su notizie personali sono stati una costante della vita dei servizi (la vicenda Pollari-Pompa docet) senza che mai i responsabili abbiano pagato per le loro colpe. 
Oggi e' riesplosa sulla stampa, per pochi giorni, la storia legata alla morte di Borsellino, subito silenziata dai mass media. La magistratura di Caltanissetta ha riaperto un vecchio processo che collega la sua tragica morte a moventi inconfessabili legati a menti raffinate delle stesse istituzioni. L'ipotesi investigativa prospetta la possibilita' che Borsellino sia rimasto schiacciato nell'ingranaggio micidiale messo in moto da Cosa Nostra e da una parte dello Stato in sintonia con la mafia, allo scopo di trattare la fine della violenta stagione stragista in cambio di concessioni ai mafiosi responsabili di crimini efferati come la strage di Capaci. Si trattava di una vergogna, un'offesa alla memoria di Falcone ed ai cinque poliziotti coraggiosi morti per proteggerlo. Salvatore Borsellino dice che le prove di questa ricostruzione erano nell'agenda rossa sparita del fratello Paolo, il quale, informato di questa infame proposta, probabilmente ha reagito con sdegno e rabbia: sapeva che lo Stato voleva scendere a patti con gli assassini. Di qui la decisione di accelerare la sua fine. 
Ricordo che in quel tragico luglio del 1992, poco prima della strage di via D'Amelio, ero alla Camera dei deputati dove le forze contigue alla mafia erano ancora prevalenti e rifiutavano di approvare la norma voluta da Falcone, da me e da molti altri magistrati antimafia: la legge sui pentiti e il 41 bis. Nonostante la morte di Falcone, non c'era la maggioranza. Fu necessaria la morte di Borsellino per il suo varo. E oggi la si vuole abrogare.
L'aspetto piu' inquietante riguarda il ruolo di un ufficio situato a Palermo nei locali del Castello Utveggio, riconducibile ad attivita' sotto copertura del Sisde, entrato nelle indagini per la stage di via D'Amelio dopo la rivelazione della sua esistenza avvenuta durante il processo di Caltanissetta ad opera di Gioacchino Genchi. Al numero di quell'ufficio dei servizi giunse la telefonata partita dal cellulare di Gaetano Scotto, uno degli esecutori materiali della strage di via D'Amelio. Mi pare ce ne sia abbastanza per ritenere certo il coinvolgimento di apparati dello Stato.



https://www.facebook.com/notes/ferdinando-imposimato/lo-stato-%C3%A8-cosa-nostra/129695809386

domenica 22 luglio 2012

Programma di Depopolazione Mondiale.

    
Rockefeller, Kissinger e Gates, il padrone del mondo ed i suoi aiutanti.


NWO AGENDA: DEPOPOLAZIONE MONDIALE. ''La qualità dello sperma è diminuità in tutto il mondo. La diminuzione più marcata riguarda le regioni altamente civilizzate.
Dal 1989 al 2004 la quantità di spermatozoi presenti in un campione è passata da 53 milioni a 32 milioni, ...la motilità è calata dal 35% al 24 %, la quantità degli spermatozoi sani è diminuti dall' 11 % al 5 %.
*LA GUERRA COTRO LE DONNE: Memorandum Kissinger: - Abbiamo tassi di crescita senza precedenti - I Paesi Sottosviluppati crescono più rapidamente - Le importazione necessarie agli Stati Uniti potrebbero essere minacciate - Rischio di destabilizzazione globale - Misure urgenti ed immediate debbono essere intraprese al fine di ridurre la fertilità. www.mednat.org/guerra_contro_donne.htm

*STERILITA' MASCHILE:ATTENZIONE ALLA COCA COLA ''Gli studiosi sono stati in grado di dimostrare scientificamente che un uso eccessivo della bevanda provoca sterilità: è stato analizzato, difatti, un campione pari a 2500 giovani uomini. Ebbene, coloro che bevevano grandi quantità di Coca-Cola al giorni avevano una drastica riduzione degli spermatozoi.'' www.affaritaliani.it/cronache/tropp...ilita60410.html

*BILL GATES:CON I NUOVI VACCINI DIMINUIRO' LA POPOLAZIONE MONDIALE: '' Sarà il decennio dei vaccini. Il mondo oggi ha 6,8 miliardi di persone. La cifra va verso i 9 miliardi. Se faremo un buon lavoro con i nuovi vaccini, la sanità e i servizi medico-sanitari riproduttivi, potremmo ridurre [quei nove milioni] forse del 10 o del 15 per cento.''Bill Gates http://progettomayhem.blog.tiscali.it/2010...zione-mondiale/

*La SOIA OGM E' CORRELATA ALLA MORTALITA' E STERILITA' DELLE CAVIE: ''la maggioranza dei criceti nutriti con soia OGM ha perso la capacità di riprodursi, ha mostrato una crescita più lenta ed un più alto tasso di mortalità fra i piccoli nati. Se questo non bastasse a sconvolgervi, alcuni criceti della terza generazione hanno mostrato anche peli che crescevano all'interno della bocca - fenomeno visto raramente - e decisamente più diffuso fra i criceti nutriti con dieta contenente soia OGM.''http://wwwblogdicristian.blogspot.com/2010...-sterilita.html

*SOSTANZE CHIMICHE E INFERTILITA' ''Lo scorso annoe la British Fertility Society, al congresso di Liverpool ha lanciato un preciso monito: in poco più di un decennio la concentrazione degli spermatozoi è diminuita di circa il 30%. In Italia risultati anologhi erano già stati osservati dalla Scuola pisana di Andrologia, diretta dal prof Meschini Fabbris'' www.clicmedicina.it/pagine%20n%2018/inquinanti.htm

*LA DEPOPOLAZIONE PER EDITTO GOVERNATIVO: Oliver Wendell Holmes Jr: "E' meglio per tutto il mondo se, invece di attendere di vedere la messa in atto della degenerazione della prole con crimini o lasciarli morire di fame per la loro imbecillita, la società può evitare a quelli che sono palesemente inadatti di continuare la loro specie. Il principio che sostiene la vaccinazione obbligatoria è ampio abbastanza da comprendere il taglio delle tube di Falloppio. Tre generazioni di imbecilli sono abbastanza'' http://nwo-truthresearch.blogspot.com/2010...nnaio-2010.html

DAVID ICKE E I VACCINI ''Il corpo è un organismo elettro-chimico ed ha un equilibrio elettro-chimico ottimale che chiamiamo salute. Quando viene sbilanciato, tramite l'introduzione di sostanze chimiche e sorgenti elettromagnetiche, allora lo sposti dall'ottimale e non funziona più correttamente emozionalmente,mentalmente o fisicamente''



http://losai.forumfree.it/?t=49657095

Vedi e leggi anche:
http://www.youtube.com/watch?v=xGCSLrGL-JI
http://www.mednat.org/guerra_contro_donne.htm
http://www.youtube.com/watch?v=ud8JkvsgDCw
http://rense.com/general64/pordc.htm
http://www.youtube.com/watch?v=8wzYnqaFI-w&feature=related
http://nwo-truthresearch.blogspot.it/2010/09/vaccinare-il-mondo-gates-rockefeller.html

INQIETANTE!

La farsa del bloccanomine. Via libera agli inquisiti.












PALAZZO-DEI-NORMANNI-ARS1-470x314 21 luglio 2012 -



 Il disegno di legge bloccanomine, quello sbandierato dai partiti politici come un “presidio” contro la carica dei consulenti, è passato all’Ars ieri sera. Tre sedute d’aula, dopo un blitz in commissione orchestrato dal presidente della prima commissione Affari istituzionali dell’assemblea, Riccardo Minardo del Mpa, per partorire una legge che di fatto non blocca le nomine di consulenti né le promozioni di dirigenti nemmeno nei 180 giorni precedenti la scadenza del mandato elettorale, offre la possibilità alla nuova amministrazione di confermare gli incarichi nei primi 60 giorni del mandato. E di fatto cristallizza, normativamente, il principio dello spoil system. Come se i politici avessero bisogno del via libera del parlamento regionale.
Eppure tutti hanno mostrato una generale soddisfazione rispetto all’approvazione. Unica voce fuori dal coro quella di Fli, con il capogruppo Livio Marrocco che invoca l’incostituzionalità della legge e dopo col giudizio senza appello di Fabio Granata: “Il voto dell’Ars, all’indomani del ventennale della strage di via D’Amelio, rappresenta il punto più basso di questa già discutibile legislatura e da’ all’opinione pubblica un segnale devastante. Una maggioranza vile, opaca e collusa che nel segreto ha manifestato la propria arrogante indole e ha nuovamente macchiato la reputazione dell’Assemblea Regionale siciliana e dell’Autonomia, dando fiato e argomenti a chi ne vuole la fine. Vergogna “.
Ma se è possibile,  c’è una farsa nella farsa nell’approvazione di questo disegno di legge che – è evidente – passa in versione edulcorata non certo per un favore al governatore uscente Raffaele Lombardo che potrà continuare a nominare, promuovere e incaricare quanto per garantire al governo che verrà e al successivo di continuare nella logica del clientelismo e delle prebende che tanti risultati in termini elettorali portano. E le elezioni, regionali ma anche politiche sono alle porte e di voti c’è bisogno. L’altra farsa, dicevamo, è la bocciatura dell’emendamento presentato, a prima firma, dal presidente della commissione regionale antimafia, Calogero Speziale sostenuto dai “colleghi” Antonello Cracolici e Giuseppe Lupo. Una modifica al testo di legge così come è stato poi approvato che prevedeva le cosiddette “cause ostative al conferimento di incarichi, norme e decadenze”. Ovvero poneva un veto impedendo l’affidamento di incarichi nelle amministrazioni regionali (enti controllati e anche Province), a tutti coloro che sono stati rinviati a giudizio per reati che vanno dalla corruzione alla concussione, dall’associazione a delinquere a quella mafiosa. Introducendo il paletto del rinvio a giudizio, la norma serviva per evitare le accuse di giustizialismo nei confronti dei “semplici” indagati e metteva nero su bianco una questione di mera opportunità. A prescindere dal risultato finale dei procedimenti giudiziari, che possono anche salvare gli inquisiti, ma che comunque dovrebbero obbligare la pubblica amministrazione alla severità nella scelta dei propri “incaricati”.
L’Ars non la pensa così. Le motivazioni rappresentate nel dibattito sono state fantasiose e articolate: si sono sentiti deputati che contestavano l’esclusione dei reati di pedofilia e altri che consideravano ininfluente l’associazione a delinquere per rissa fra le cause ostative ad un incarico.
Il risultato finale, al di là delle sbandierate moralità, è che l’emendamento è stato bocciato offrendo il via libera a qualsiasi genere di carico pendente nei curricula dei potenziali consulenti della pubblica amministrazione.
Eppure non c’è da stupirsi. L’assemblea regionale siciliana, d’altro canto, è popolata da inquilini non sempre trasparenti. Più di una ventina sono gli inquisiti a vario titoli e gli arrestati si sprecano. Fatto salvo il doveroso principio di non colpevolezza fino all’ultimo grado di giudizio, resta il dato inoppugnabile. A promulgare le leggi della Regione siciliana ci sono anche inquisiti.
Il Sud di luglio, in trenta pagine di servizio dedicato all’ultimo scorcio di una legislatura controversa e difficile, mette a nudo i profili politici e a volte poco istituzionali dei parlamentari. E non nasconde, mai, gli aspetti più ambigui dei nostri deputati.
Vi proponiamo qui le schede biografiche di alcuni deputati. Interessati a vario titolo e con vari gradi di coinvolgimento in inchieste giudiziarie che speriamo, comunque, chiariscano. Per il bene dell’istituzione parlamentare in cui siedono:

Il voto anticipato può battere lo spread? - Eugenio Scalfari



La giornata di venerdì non è stata la più felice sui mercati europei. In particolare non lo è stata per la Spagna e per l'Italia, ma - almeno per noi - nulla che somigliasse a un'ondata di panico. Quella mattina il governo ha lavorato tranquillamente esaminando una serie di provvedimenti in gestazione. Monti ha dichiarato che "il contagio era da tempo un problema con il quale ci si deve misurare" e che "l'Italia i suoi compiti li ha già fatti e altre manovre restrittive non sono e non saranno all'ordine del giorno". Il giorno prima si era recato al Quirinale.

L'incontro è stato messo in relazione - da alcune voci interessate a diffondere nervosismo e incertezza - con il ribasso delle Borse e con il "contagio", come se il premier l'avesse scoperto solo allora; i ribassisti sono specializzati nel manipolare i fatti per rendere più profittevoli le loro iniziative. Sta di fatto che il colloquio con il Quirinale aveva tutt'altro tema; un tema che Monti sta rimuginando da tempo e che al punto in cui siamo riteneva indispensabile sottoporre al capo dello Stato: l'eventuale anticipo delle elezioni entro il prossimo ottobre anziché attendere l'aprile del 2013 come finora si pensava e come i tre partiti della "strana maggioranza" si erano impegnati a garantire. Non crisi pilotata, dunque, ma scioglimento delle Camere e nuove elezioni.
Un capovolgimento così imprevisto deriva evidentemente da un accurato esame della situazione politica ed economica.

E Monti lo spiega così: a partire dalla ripresa settembrina i partiti entreranno di fatto in campagna elettorale; le distanze e le crepe all'interno della strana maggioranza aumenteranno per ovvie ragioni elettorali e le forze d'opposizione a loro volta accresceranno i toni per convogliare i voti dei ceti che sopportano i maggiori sacrifici della politica di rigore. Insomma, l'atmosfera peggiorerà e l'azione di governo rischierà di risultare paralizzata, come in parte sta già avvenendo.

I mercati ne approfitteranno spargendo sul fuoco politico il loro olio ribassista. Continuare in queste condizioni fino all'aprile senza sapere come andranno le elezioni, chi verrà dopo Monti e con quale programma, è un rischio enorme che spiega fin d'ora almeno una parte del nervosismo che deprime i listini e accentua lo sbilanciamento degli "spread".

Per stroncare queste aspettative della speculazione e dei mestatori d'ogni risma e colore non sarebbe meglio interrompere subito la legislatura aprendone un'altra? Con una maggioranza non più "strana" ma questa volta politica che abbia come programma di proseguire la linea montiana in un quadro europeo dove il mantenimento del rigore sia finalmente affiancato da un vero sviluppo e da una tangibile equità sociale? Questo è stato l'argomento principale dell'incontro al Quirinale.

Venerdì Monti ha preso il treno per Milano alle 17 per passare finalmente un weekend in santa pace con la moglie sul Lago Maggiore. Evidentemente non era affatto sconvolto dal panico. Sapeva che il collocamento dei titoli alle aste in scadenza non presenta difficoltà, confidava (e confida) che sia l'Olanda sia la Finlandia ritireranno i loro veti all'operazione del fondo "salva Stati" sugli "spread" da lui patrocinata; aveva avuto un colloquio importante e rassicurante con Draghi.

Ora aspetta che Napolitano rifletta sull'ipotesi di elezioni anticipate per poi decidere il da farsi dopo le necessarie consultazioni informali con i partiti che sostengono il governo.
* * *
Che cosa pensi Napolitano su quest'argomento è impossibile dirlo, ma un punto è chiaro: il calendario è strettissimo. Se si decidesse di votare entro la fine di ottobre bisognerebbe sciogliere le Camere nella seconda metà di settembre. Prima di allora occorre che il Parlamento approvi una nuova legge elettorale perché andare a votare con questa è escluso: darebbe legittimamente fiato alle trombe dell'antipolitica con esiti probabilmente catastrofici per la democrazia italiana. Lo sfascismo si rifletterebbe moltiplicato per cento sui mercati. Insomma una vera tragedia non solo per l'Italia ma per l'Europa.

Le conseguenze sul calendario rendono strettissimo il margine di tempo per approvare la legge elettorale: dev'essere approvata entro la prima metà di settembre. Tenendo conto che le Camere lavoreranno fino al 10 agosto e riprenderanno alla fine del mese ci sono venti giorni a partire da domani e quindici giorni in settembre. Il tempo c'è purché ci sia un accordo e l'accordo è in teoria raggiungibile: una legge con criteri proporzionali ma con un premio di governabilità per il partito che raggiunga la maggioranza relativa, restituendo agli elettori la possibilità di scegliere i candidati attraverso collegi uninominali e/o voti di preferenza alle liste, oppure un mix tra questi due sistemi, con soglie per evitare un eccessivo frazionamento. Infine, possibilità di coalizioni e nessun nome di leader sulle schede elettorali.

Questi sono i problemi sul tappeto, derivanti in parte dal calendario in parte dalla capacità dei partiti di varare in tempo utile una legge elettorale decente, più o meno di questo tipo.

La decisione naturalmente spetta al presidente della Repubblica al quale la Costituzione conferisce il potere di scioglimento anticipato della legislatura. Dice esattamente così la Costituzione e non mette alcun paletto a questa prerogativa presidenziale. Naturalmente non sarebbe certo uno scioglimento determinato dal cattivo esito della politica di Monti. Al contrario: proverrebbe da una valutazione positiva dell'operato del governo e dai suoi dieci mesi di attività. Di qui la necessità di proseguire quella politica non più affidandola ad un governo tecnico ma con la diretta partecipazione di esponenti politici, come del resto Monti avrebbe voluto che avvenisse anche nel governo attuale. Ma quale maggioranza verrà fuori dalle elezioni? E quale sarà la posizione di Monti nel nuovo governo?
* * *
Sarebbe molto interessante poter entrare nella testa di Giorgio Napolitano ma è escluso che si possa entrare nella testa e nei pensieri di chicchessia, visto che è difficilissimo perfino entrare nella propria. Una cosa però è certa: anche Napolitano starà riflettendo sulle questioni fin qui indicate perché è a lui che tocca decidere ed è molto grande la responsabilità che gli incombe.

Riflettiamo anche noi. È possibile che un partito come il Pd proponga ai suoi elettori un'alleanza politica che attui il programma economico montiano ed abbia come alleato il partito di Berlusconi?

La risposta è sicuramente no. Il Pd è attualmente collocato tra il 25 e il 30 per cento dei voti con un bacino potenziale di oltre il 40 per cento, in presenza di un astensionismo del 35 e d'uno strato di indecisi del 15 per cento. Una parte notevole dei votanti per il Pd e del bacino potenziale ha la fisionomia di quella che un tempo si chiamava sinistra democratica. La sinistra democratica può essere disponibile ad allearsi con partiti d'ispirazione liberale, non certo con il partito proprietario berlusconiano. In esso i veri liberali non mancano. Si facciano avanti. 

Se non ora quando?

Pensare che il Pd - auspicabilmente partito di maggioranza relativa - si allei non dico con Berlusconi ma con Cicchitto, Gasparri, La Russa "et similia", sembra da escludere. Nasca una vera destra repubblicana e si alterni in futuro con la sinistra democratica e liberale, ma queste sono ipotesi desiderabili e futuribili. Il tema di oggi è un altro e si risolve con un'alleanza della sinistra democratica con un centro liberale per proseguire il montismo dando spazio allo sviluppo e all'equità, naturalmente nel quadro europeo. 

Facile dirlo, ma che cosa significa esattamente "il quadro europeo"?

* * *
Avviso i lettori che hanno avuto la cortesia di seguirmi fin qui che ora il tema diventa più complesso, entrano in gioco altri personaggi e altre forze. Cercherò di essere il più chiaro possibile.

Il quadro europeo ha come obiettivo finale la nascita di uno Stato federale al quale gli Stati nazionali cedano una parte della loro sovranità, soprattutto per quanto riguarda la politica di bilancio e quindi il fisco, la spesa, la politica dell'immigrazione, le grandi opere infrastrutturali europee, i diritti e i doveri di cittadinanza.
In questo quadro, la Germania ha un ruolo di grande rilievo ma insieme con lei ce l'hanno tutti gli altri Paesi dell'eurozona ed anche alcuni che sono al di fuori di essa. Ruoli altrettanto importanti di quello tedesco ce l'hanno la Francia, l'Italia, la Spagna.

Il punto d'arrivo di questo processo è condiviso da tutti i protagonisti a cominciare dalla cancelliera Angela Merkel, quindi si procede compatti verso l'obiettivo finale anche se in tutti i Paesi esistono falchi che si oppongono e interessi che reclamano tutela. Ma c'è un però: anche se la squadra degli esperti sta lavorando intensamente sui dossier del futuro Stato federale, quanto tempo ci vorrà? Gli ottimisti dicono cinque anni, i pessimisti dicono dieci. Ebbene, non si può aspettare tanto, è necessario che nel frattempo accada qualcosa di efficace e di importante.

Efficace e importante è l'unione bancaria, un'assicurazione che garantisca i depositi e la vigilanza sugli istituti di credito demandata alla Bce. Anche su questi obiettivi tutti i protagonisti sono d'accordo ed anche qui esistono falchi e interessi conservatori. Ma quanto tempo ci vorrà? Gli ottimisti dicono un anno, i pessimisti due. Si va avanti a tutta forza ma non basta. A questo punto entra necessariamente in scena Mario Draghi.

* * *
Draghi ha accordato un'intervista a Le Monde che oggi pubblica anche il nostro giornale. L'intervista è importante ed è anche una novità perché il presidente della Bce non ama parlare con i giornali. Questa volta l'ha fatto e l'ha fatto bene. Segno che era il momento giusto.

Enumera anzitutto quali sono i poteri e lo "status" della Banca centrale da lui guidata. Anzitutto la sua indipendenza dai governi, poi le cose che può fare e quelle che non può fare. Non può intervenire a sostegno dei debiti sovrani, cioè non può partecipare alle aste di quei titoli. Deve vegliare sulla stabilità della moneta e dei prezzi. Deve vigilare sulla stabilità finanziaria. Può intervenire per rassicurare quelle due stabilità, ma, ha aggiunto, che per ora non c'è alcuna minaccia né alla moneta né alla finanza, per ora dunque non c'è bisogno d'intervenire.

Ma se quel bisogno ci fosse? "Allora si vedrà" ha risposto. Poi, sollecitato ulteriormente: "Probabilmente qualche cosa faremo".

Qual è esattamente l'intervento che potrebbe effettuare oltre a quello "non convenzionale" che fece nel dicembre e nel gennaio scorsi prestando a tre anni e all'1 per cento di interesse mille miliardi al sistema bancario europeo? 
Può intervenire sul mercato secondario dei titoli per calmierare lo "spread". L'ha già fatto ampiamente nell'autunno del 2011 acquistando titoli italiani e spagnoli ma anche francesi e austriaci, forse perfino tedeschi.

Questo dovrebbe fare adesso. È necessario? Sì, caro Mario Draghi, è necessario e nessuno lo sa meglio di te. Basterebbe l'annuncio e un inizio d'intervento per spuntare le unghie della speculazione che vuole disarticolare il sistema euro.

Questo tipo d'intervento consentirebbe di arrivare in buone condizioni alla nascita dell'unione bancaria, darebbe tranquillità ai governi che potrebbero procedere al taglio delle spese non necessarie e all'abbattimento di alcune imposte sul lavoro e sugli investimenti. 

Draghi è il guardiano della stabilità del sistema, i poteri li ha. E anche qui diciamo: se non ora quando?

* * *
C'è un ultimo tema che merita qualche riflessione. Apparentemente non ha alcun collegamento con gli argomenti trattati fin qui, ma non è così, il collegamento c'è: l'attacco in corso contro il presidente della Repubblica persegue un fine di destabilizzazione al tempo stesso istituzionale e politico. Vuole colpire Napolitano e indebolire Monti. Non a caso è portato avanti da gruppi e persone che mettono sotto accusa sia Napolitano sia Monti: Grillo, Di Pietro, i giornali berlusconiani, "il Fatto Quotidiano". L'accusa a Monti è la solita: ha imposto sacrifici insopportabili ai soliti noti. Tralascio di confutarlo visto che lo faccio da quando questo governo si è insediato.

L'accusa contro Napolitano è di voler impedire l'accertamento della verità nella trattativa tra lo Stato e la mafia. Risale, quella trattativa, agli anni 1992-93. Napolitano non era al Quirinale, c'è arrivato nel 2006, tredici anni dopo e si è sempre battuto affinché quella verità fosse accertata. L'ha ricordata nel suo messaggio di tre giorni fa nella ricorrenza della morte di Borsellino e della sua scorta, indirizzato a tre destinatari: il Consiglio superiore della magistratura, la Procura di Palermo e la moglie e il figlio del magistrato ucciso in via D'Amelio a Palermo.
Ha ricordato le sue battaglie contro la mafia, ha indicato le date e i nomi dei caduti, dei sindacalisti, dei magistrati, dei politici di sinistra, a partire della strage di Portella della Ginestra.

Ha confermato che le indagini della Procura di Palermo possono e debbono proseguire, che raggiungere la verità è un impegno che lo vede parte attiva e partecipe. Ha ripetuto che quell'accertamento deve avvenire nel rispetto della normativa evitando sovrapposizioni ed errori e poi ha ribadito il suo diritto-dovere di chiedere alla Corte costituzionale il chiarimento sulle prerogative del Quirinale sulla base dell'articolo 90 della Costituzione.

Qual è dunque l'accusa? Non c'è, è inventata, è una manipolazione di marca eversiva. Il tema è di capire se il ricorso - necessario - di Napolitano alla Corte impedisca l'accertamento della verità sulla morte di Borsellino. Un accertamento che non ha e non può avere come obiettivo la cosiddetta verità storica, ma la verità che riguarda i reati, quali reati e commessi da chi. Finora e da vent'anni questa verità non è stata accertata o lo è stata in modo drammaticamente sbagliato. Speriamo che in futuro lo sia. Di questo si tratta e non di altro.

E' forse utile ricordare a chi finge di non saperlo che questo giornale ha fatto della lotta contro la mafia uno dei suoi compiti principali nel quale si sono impegnati i nostri migliori giornalisti da Giorgio Bocca a Giuseppe D'Avanzo a tutta la redazione di Palermo. Mafia siciliana, mafia calabrese e camorra. Grillo a quell'epoca faceva un altro mestiere e Travaglio aveva i calzoni corti.

La Procura di Palermo farà ciò che deve e aspetti, solo per quanto riguarda il tema delle attribuzioni, la sentenza della Corte col rispetto che le è dovuto. E ricordi che le Procure cercano indizi e prove ma chi poi accerta i fatti è il giudice e non il titolare dell'accusa. La mia laurea in Legge mi consente di ricordare questo aspetto elementare che molti ignorano ed alcuni fingono di dimenticare.



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