Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 16 gennaio 2013
Quote latte, blitz Gdf in sedi della Lega a Milano e Torino. Presenti Bossi e Maroni.
MILANO - La Guardia di Finanza di Milano, su ordine del pm Maurizio Ascione, ha perquisito ieri sera le sedi di Milano e Torino della Lega Nordnell'ambito dell'inchiesta per bancarotta e corruzione con al centro presunte irregolarità sulle quote latte.
Umberto Bossi e Roberto Maroni erano presenti nella sede di via Bellerio a Milano durante le perquisizioni. Con loro anche Roberto Calderoli e Roberto Cota. Su alcuni uffici i rappresentanti del Carroccio hanno sollevato la questione dell'immunità parlamentare.
L'inchiesta. Gli uomini della Guardia di Finanza di Milano ieri sera sono entrati nelle sedi del Carroccio per acquisire materiale informatico e cartaceo. L'inchiesta parte dal crack della cooperativa "La Lombarda", fallita con un buco da 80 milioni di euro. Oltre alla bancarotta, gli inquirenti ipotizzano anche la corruzione perché, da quanto si è saputo, si sospetta di presunte mazzette a funzionari pubblici e politici per interventi sia ministeriali che legislativi a favore degli agricoltori per ritardare i pagamenti sulle quote latte da versare all'Unione Europea. Il pm Maurizio Ascione ha ascoltato nel frattempo come persone informate sui fatti la segretaria amministrativa di via Bellerio, Daniela Cantamessa, e la segretaria della sede torinese, Loredana Zola. Perquisite anche le abitazioni delle due donne.
Umberto Bossi e Roberto Maroni erano presenti nella sede di via Bellerio a Milano durante le perquisizioni. Con loro anche Roberto Calderoli e Roberto Cota. Su alcuni uffici i rappresentanti del Carroccio hanno sollevato la questione dell'immunità parlamentare.
L'inchiesta. Gli uomini della Guardia di Finanza di Milano ieri sera sono entrati nelle sedi del Carroccio per acquisire materiale informatico e cartaceo. L'inchiesta parte dal crack della cooperativa "La Lombarda", fallita con un buco da 80 milioni di euro. Oltre alla bancarotta, gli inquirenti ipotizzano anche la corruzione perché, da quanto si è saputo, si sospetta di presunte mazzette a funzionari pubblici e politici per interventi sia ministeriali che legislativi a favore degli agricoltori per ritardare i pagamenti sulle quote latte da versare all'Unione Europea. Il pm Maurizio Ascione ha ascoltato nel frattempo come persone informate sui fatti la segretaria amministrativa di via Bellerio, Daniela Cantamessa, e la segretaria della sede torinese, Loredana Zola. Perquisite anche le abitazioni delle due donne.
Le mummie all'arrembaggio. Ma accanto a Beppe Grillo c'è un ragazzo che se la ride. - Sergio Di Cori Modigliani
Certamente la bella citazione di Picasso (avvalorata dal fatto che l’ha pronunciata a 84 anni, quando ha iniziato la sua produzione di disegni erotici) non può in alcun caso aderire alla definizione dell’attuale classe politica italiana.
Nell’essere testimoni del suo inevitabile declino verso un tramonto annunciato, ogni giorno, a turno, ineluttabilmente, e in maniera davvero impietosa, queste vecchie cariatidi ammuffite imperversano alla tivvù, sulla stampa mainstream, dilagando adesso anche in rete dove valenti titolari di siti on line, bloggers e disperati dell’ultima ora, raccattano qualche briciola d’euro per dire e sostenere falsi, raccontare e pubblicare menzogne, firmando con il loro consueto atteggiamento la cifra anagrafica della nazione Italia: un paese passato dalla dittatura fascista allo sfascismo democristiano, dall’autoritarismo craxiano alla buracritura comunista, per approdare infine alla gerontocrazia istituzionale, con nonno Berlusconi al comando del cabaret elettorale.
Sempre in bilico tra la tragedia e un burlesque da remota provincia dell’impero, le mummie riescono a vampirizzare chicchessia, facendo invecchiare anzitempo anche la gente più impensabile, che dopo due comizi avvizzisce e diventa esangue senza rendersene conto. Davvero triste assistere allo spettacolo offerto da Lilly Gruberberg che officiava un paio di sere fa il circo Barnum del minuetto elettorale: Ingroia e La Russa, promossi entrambi a coraggiosi arrampicatori di una impervia montagna fatta di specchi scivolosi.
Pur mantenendo alto e inossidabile il senso della mia stima e rispetto per il lavoro svolto dal dott. Ingroia in quanto magistrato, c’è da rimanere sgomenti nel vedere quanto poco tempo gli sia stato sufficiente per trasformarlo in un ennesimo clone intercambiabile, occupandosi di politica secondo un modello talmente arcaico, obsoleto e lontano da ciò che la gente vorrebbe ascoltare, da lasciare davvero sgomenti.
Guida una compagine politica che sostiene di volere “la rivoluzione civile” e si avvale della collaborazione di avanzi nostalgici di un passato comunista ed ex candidati che da cinque anni scalpitano per rientrare in parlamento, dato che finora non avevano trovato nessuno che li candidasse.
Ho comunque fiducia nella stoffa di Ingroia, spero di essere smentito. Intanto già mi piace come sta reagendo alla richiesta di “patto di desistenza” arrivata dal PD.
Viviamo in un paese ammalato di Alzheimer sociale e il prode Oscar Giannino ci ha pure raccontato che sia il PDL che Monti che il PD sono andati da lui con identica proposta: “ti diamo la tua elezione garantita più altri quattro deputati amici tuoi se ritiri la tua lista” e il Berlusconi del rinnovamento candida Cosentino, Papa, Milanese, Dell’Utri, Farina e compagnia bella.
Questo tanto per rinfrescare la memoria.
In questa palestra degli orrori e degli errori c’è anche qualche giovanotto.
Un ragazzo terribile, spensierato adolescente, e come tale poco incline ai giochi di bottega -per via dell’età si intende- il quale scalpita, si dà da fare, promuove il suo politico prediletto sostenendolo e si diverte, anche perché non è candidato: non gli interessa.
Non è una novità, perché la sua scelta era già nota da parecchio tempo.
Eppure, la notizia c’è.
Si tratta di Dario Fo, il nostro premio Nobel per la letteratura, uno che va verso i 90, e che davvero può permettersi il lusso di poter dire ai quattro venti, come suggerito da Picasso “io ce l’ho fatta a diventare finalmente giovane”. L’Espresso ci racconta che Dario Fo sta scrivendo un libro con Grillo e Casaleggio. Così scrive il settimanale:
“... Un libro con Grillo? Casaleggio? Che testo è, un dibattito, uno scambio di lettere? «Un libro. Ci stiamo lavorando. Lo pubblica Chiarelettere». E chi ha avuto l'idea? «Sono venuti loro a offrirmelo. Poi per due interi giorni abbiamo imbastito qui da me un dialogo a tre sull'abbandono della cultura in Italia, il misconoscimento della storia, il travisamento dell'economia, Monti e il gioco delle banche e delle tasse, i media e il modo in cui fanno di tutto per stroncare il loro movimento...». Lui e Grillo si conoscono da quarant'anni, «ha una forza incredibile, una grande voglia di apprendere, è uno che si documenta, difficilmente lo prendi in castagna. Abbiamo fatto spettacoli insieme, cinque anni fa, in piazza a sostenere un movimento, una battaglia, come a Forlì dove volevano distruggere una valle col pretesto di produrre energia, centomila persone erano lì a vederci». E Casaleggio? «Lui l'ho conosciuto adesso. Bella testa. Colto. Preparato. E nell'organizzazione, nell'inventare meccanismi di mercato è una macchina da guerra».
Sì, i due gli piacciono davvero.
Dario Fo s'immagina un centinaio di 5 Stelle che entrano in Parlamento e mandano tutto all'aria.
Nega che siano senza un programma, e comunque «quando scopri che nelle liste Pd ci sono trenta o quaranta figuri degni di galera ti chiedi: ma è tale ormai il distacco dei vertici dalla loro base che nessuno li avverte?».
Difende Grillo anche sui dissidenti, Scelsi & Co. cacciati a calci nel sedere da un movimento che si vuole iperdemocratico: «Ma è un tormentone caricato in modo grottesco dai giornali! Se una viene pregata di non mettersi di mezzo in tv perché non ne ha né la facoltà né l'esperienza e ci va lo stesso allo sbaraglio, in qualunque organizzazione chi ha la responsabilità della gestione ha il diritto di espellerla».
Grillo e Casaleggio insieme al nostro premio Nobel, tra i rari esempi di intellettuale italiano dall’impeccabile biografia.
E invece nulla.
Non ne parlano, né in rete si trovano opinioni e confronti su questo curioso terzetto.
Neppure sui social networks, dove di solito ci si sbrana a colpi di striscette per un nonnulla. Intendiamoci, sono ragazzi, quindi è comprensibile che i vecchi marpioni non vogliano perdere tempo con i giovanotti che ignorano la realtà dei veri teatri per adulti.
Comunque, in un momento come questo, il fatto che il più autorevole rappresentante della cultura italiana, riconosciuto e riverito in tutto il mondo, scelga di scrivere un libro insieme al duo più chiacchierato, avrebbe meritato una enorme attenzione.
Dario Fo non è certo persona che ha bisogno di audience, ne ha avuta sempre, tutta quella che voleva e, avendo corollato la sua ambizione con il prestigio di un Nobel, non lo si può certo accusare di star cercando una scorciatoia per mettersi in mostra.
L’articolo su L’Espresso descrive la coppia Fo-Rame, questi due “vecchietti” che a casa loro si divertono a vivere, a creare, a inventare il loro futuro, con un tono tra il nostalgico e il salottiero da bon ton gossip.
Non sia mai si parlasse di politica.
Viene comunque fuori l’immagine di una coppia giovane, che pensa al futuro, che lo progetta, lo elabora, lo sogna, lo costruisce e, da bravi intellettuali –essendo quella la loro funzione- ci mostrano la strada da percorrere, a noi esuli in patria in cerca di bussola, di punto di riferimento, di sostegno.
Nessuno ne parla.
Nessuno divulga questo evento che, a mio avviso, è l’unica novità in campo editoriale e intellettuale verificatasi in Italia negli ultimi dieci anni.
Lo trovo sconcertante.
Ma non mi stupisce, né tantomeno mi sorprende.
In compenso abbiamo la Littizzetto che parla e scrive e si veste come una ragazzina, ma è già mummificata, sembra la vecchia zia democristiana di Franca Rame.
Questo è ciò che passa il convento oggi.
Ecco perché mi insospettisce sempre la demagogia del razzismo anagrafico e la continua tiritera sul “largo ai giovani”.
Non è l’età che conta, ma la visione esistenziale.
E le mummie, potete starne certi, poichè rappresentano un’idea del potere, della società, del mondo che è già defunta e battuta dalla Storia, se ne guardano bene dal consentire che si parli dei “giovanotti doc”, delle nostre eccellenze, dei cittadini pensanti che, proprio in virtù di una lunga esperienza, la sanno lunga su ciò che sta accadendo, e soprattutto su ciò che ci stanno preparando nelle solite cucine di sempre.
Volevo soltanto ricordare al pubblico che c’è un giovanotto dotato che ci sta mostrando una certa via possibile da seguire. Noblesse oblige.
Informatevi.
Ne vale davvero la pena, e non c’è neppure bisogno di affidarsi alla consueta dietrologia. Dietro non c’è nulla.
I veri giovani sono sempre come appaiono.
Perché non ce l’hanno un dietro e un passato, ma soltanto un davanti e un futuro.
Questa è la vita nel post-Maya.
Il più anziano tra gli intellettuali e artisti italiani è in realtà il più giovane, ottimista e fiducioso sostenitore dell’idea che c’è un futuro possibile per tutti noi.
Dipende da come si guarda il mondo e dalle scelte che si fanno.
E siccome lo suggerisce un meritatissimo premio Nobel, c’è proprio da pensarci su.
Vale molto di più di qualunque tipo di sondaggio e di statistiche.
http://sergiodicorimodiglianji.blogspot.it/2013/01/le-mummie-allarrembaggio-ma-accanto.html
Parma, arrestato ex sindaco Vignali Sequestrati beni per 3 milioni di euro.
Parma - (Adnkronos) - Operazione della Guardia di Finanza: eseguiti quattro provvedimenti di custodia cautelare ai domiciliari per corruzione e peculato. In totale sono 17 gli indagati. Il denaro accumulato illegalmente sarebbe stato usato per il finanziamento della campagna elettorale per le amministrative del 2007 e al controllo della stampa locale.
Parma, 16 gen. (Adnkronos) - Con l'accusa di corruzione e peculato la Guardia di Finanza di Parma ha eseguito quattro provvedimenti di custodia cautelare ai domiciliari nei confronti dell'ex sindaco del Comune di Parma, Pietro Vignali, dell'ex presidente del Cda e consigliere delegato di Stt Holding Spa e Alfa Spa, Andrea Costa, del vicepresidente di Iren Mercato Spa, ex coordinatore provinciale Pdl a Parma, Luigi Giuseppe Villani e dell'editore, consigliere e presidente del Cda della società Iren Emilia Spa, Angelo Buzzi.
I finanzieri hanno anche sequestrato beni per circa 3,5 milioni di euro, su disposizione del gip. Si tratta di beni mobili e immobili intestati e o riconducibili agli arrestati. In totale sono 17 gli indagati.
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Parma-arrestato-ex-sindaco-Vignali-Sequestrati-beni-per-3-milioni-di-euro_314086808062.html
Leggi anche:
http://parma.repubblica.it/cronaca/2013/01/16/news/arrestato_il_consigliere_regionale_luigi_villani_pdl_-50633572/
martedì 15 gennaio 2013
“Il baratto. Il Pci e le televisioni. Le intese e gli scambi tra il comunista Veltroni e l'affarista Berlusconi negli anni Ottanta”
È il 1984, anno cruciale che sarà a lungo ricordato nella storia d’Italia. Il premier Bettino Craxi, con un decreto legge permette alle televisioni di Silvio Berlusconi di continuare la loro attività, aggirando il divieto per le tv locali di trasmettere a livello nazionale. È l’inizio di una pagina di storia attualissima ancora oggi, fatta di leggi ad personam, conflitto di interessi, televisioni che trasmettono violando leggi e sentenze. L’inizio dell’ “immortalità” politica e economica di Berlusconi. Da questo momento in poi si correrà in soccorso delle tv di Berlusconi ogni qualvolta la Corte Costituzionale, la Corte Europea, ecc… cercheranno di far valere le norme che regolano il mercato televisivo e il pluralismo.
In quello stesso anno Walter Veltroni è responsabile Comunicazioni di massa del PCI. Da questo curioso riscontro Michele De Lucia ha preso spunto per scrivere il suo “Il baratto. Il Pci e le televisioni. Le intese e gli scambi tra il comunista Veltroni e l'affarista Berlusconi negli anni Ottanta” (Kaos, 2008). Davanti al fasullo oscuramento delle proprie reti da parte di Berlusconi (gli schermi furono oscurati non per ordine dei pretori ma per scelta aziendale), Veltroni dichiarò « Ci sono poi anche le abitudini degli utenti, consolidate in anni di utenza televisiva, che non possono essere ignorate». Dopo il cosiddetto “decreto Berlusconi”, il Partito comunista gridò allo scandalo, ma al momento della conversione in legge garantì il numero legale, rinunciando all’ostruzionismo nonostante la scadenza del decreto a poche ore dalla discussione parlamentare che avvenne in aula il 4 febbraio del 1985. Il perché di questa scelta del PCI è molto semplice. Per il PCI queste nuove norme aprivano la porta dell’occupazione di Rai Tre, la possibilità di sedersi al tavolo della lottizzazione. Ma, appunto, il baratto del 1984 è solo l’inizio. De Lucia ripercorre il fitto dialogo che si instaura negli anni successivi tra Veltroni e Berlusconi. A partire dalla Festa dell’Unità di Milano del 1986, in cui Veltroni definisce Berlusconi una vittima della Dc e del Partito socialista, per essersi sottoposto al loro padronato politico. Due anni dopo inizia la discussione su quella che nel 1990 sarà la Legge Mammì. In questa occasione, in un’audizione alla Commissione cultura alla Camera, Veltroni si rivolge a Berlusconi in questi termini: «Intendo rivolgere a Berlusconi due complimenti sinceri, di stima. Il primo per la sua capacità di imprenditore che è riuscito a "inventare" un settore. Il secondo complimento va alla sua capacità di aver imposto, attraverso un alto grado di egemonia, i tempi della decisione politica in un settore così delicato come quello nel quale opera». Segue a ruota una nuova legge ad personam, la Legge Mammì, piegata alle esigenze della committenza normativa. Poi la discesa in campo, nonostante le leggi risalenti agli anni Cinquanta vietassero a un detentore di concessioni statali di ricoprire cariche pubbliche. Ma Berlusconi poté presentarsi senza alcun problema alle elezioni nel 1994 e poi nel 1996, poiché in entrambi i casi la Giunta per le elezioni dà via libera alla sua eleggibilità.
Altro passo verso la sicurezza delle tv di Berlusconi e verso un radioso successo politico, è la vittoria de L’Ulivo alla politiche del 1996. Nei tre governi di centro-sinistra che seguiranno vedranno la vita la Legge Maccanico (così pericolosa per il Partito di Berlusconi che i suoi parlamentari si asterranno dalla votazione), il referendum sulle televisioni (e i tentativi di D’Alema di trovare un accordo con Berlusconi per evitarlo), le prime sentenze sul caso di Europa 7. Proprio in questo periodo, inoltre, Berlusconi, riesce a superare la grave crisi di Fininvest portando la sua azienda in borsa con il benestare di D’Alema. Presidente della Commissione speciale per il riordino del sistema radiotelevisivo era l’attuale Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. De Lucia ricorda questo ruolo ricoperto da Napolitano per raccontare la vicenda della rivista della corrente migliorista del PCI, “Il moderno”, che, come testimoniano le riproduzioni all’interno del libro, ospitava numerose pagine di pubblicità pagate da Berlusconi.
A partire dal 2001, poi, le leggi ad personam, non saranno più commissionate da Berlusconi, che si troverà a ricoprire il fortunato ruolo di committente e realizzatore della committenza. Il suo secondo governo partorirà la Legge Gasparri, gli editti bulgari, la legge sul conflitto di interessi firmata Frattini, mentre il nuovo governo Berlusconi si è già occupato di televisione con il cosiddetto “Salva Rete4”. A legare passato e presente, la farsa della Riforma Gentiloni, evidentemente creata dal centro-sinistra senza nessuna volontà di trasformarla in una legge.
Michele De Lucia accompagna la sua ricerca con un’enorme mole di documenti, sia capillarmente citati nel testo, sia nell’approfondita appendice. Ancora una volta un libro così scomodo e importante per capire il nostro paese, non nasce da uno scoop o da nuove scoperte. Vengono utilizzati documenti già pubblicati, De Lucia compie un’operazione di cronaca, mette insieme fatti. E grazie a questo sistema rileva anche la storia che si ripete. Il copione del dibattito degli ultimi giorni sul “decreto salva Rete4” è stato riscritto sulla falsa riga della votazione del “decreto Berlusconi” degli anni Ottanta. La sinistra grida allo scandalo, promette ostruzionismo a oltranza. Ma non appena il governo ritira il decreto, per poi ripresentarne una variante, l’opposizione, a parte l’Italia dei valori, rinuncia all’ostruzionismo e chiede scusa. 1984-2008: dai complimenti all’innominabilità del «capo dello schieramento avversario» sembra che la linea della sinistra, e di Walter Veltroni, nei confronti di Silvio Berlusconi sia sempre stata la stessa: «il baratto non è un fatto, è un sistema di potere, un metodo attraverso il quale la partitocrazia ha ucciso il diritto all’informazione». In questo modo, secondo De Lucia, è stato tolto agli italiani il diritto di conoscere per deliberare, nella totale connivenza dei politici della Prima e della Seconda Repubblica. Dopo Fiat quanto ci costi? Come la grande industria privatizza i profitti e socializza le perdite a spese dei contribuenti (Stampa Alternativa, 2002) e “Siamo alla frutta. Ritratto di Marcello Pera” (Kaos, 2005), ne “Il baratto” De Lucia si scaglia contro la partitocrazia, perché in Italia non c’è stata solo la P2, ma anche il PC, la PVeltroni, la PBerlusconi.
Pd, così hanno salvato gli amici. - Pietro Falco.
La segretaria di Fioroni. Il protetto di Enrico Letta. Il pupillo di Livia Turco. Tutti candidati in posizioni sicure e calati dall'alto. Alla faccia delle primarie.
«Bersani come Eisenhower: centinaia di paracadutati sui territori (e sotto il paracadute... niente)». A scrivere questa frase sui social network non è stato un nemico del segretario piddino ma Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno e alleato di Pier Luigi. Un segno dell'insofferenza che circola nel Pd campano dopo le decisioni sulle candidature prese a Roma.
La chiosa, a stretto giro, è toccata al segretario provinciale del Pd, Nicola Landolfi, notoriamente vicino a De Luca. In un comunicato ufficiale ha fatto nomi e cognomi: Luciana Pedoto e Guglielmo Vaccaro, «inseriti con un blitz pochi minuti prima che si riunisse la direzione nazionale».
«Una vigliaccata», dice Landolfi, «perché si sono fatti raccomandare, anziché sottoporsi al giudizio degli elettori presentandosi alle primarie in qualità di parlamentari uscenti. Gli elettori ci giudicano. Abbiamo combattuto tre giorni a Roma per difendere le posizioni del nostro territorio e dell'intero collegio di Campania 2 pagando lo scotto di avere come rappresentanti regionali persone interessate a una propria candidatura, più che a tutelare la propria funzione e la nostra. Oggi pensiamo che se non si corregge la rotta e si tolgono i raccomandati (vedi Pedoto e Vaccaro) difficilmente si pongono le condizioni minime per una campagna elettorale che ha bisogno di slanci e di coerenze».
Vaccaro è campano, nativo di Pompei e cresciuto a Scafati, nel Salernitano. E' stato candidato al n. 10 nella lista per la Camera della circoscrizione Campania 1 grazie ai buoni uffici del vicesegretario Enrico Letta, cui è molto legato.
Luciana Pedoto, invece, è nota soprattutto per essere stata il capo della segreteria di Giuseppe Fioroni quand'era ministro. E' di Roma, e già cinque anni fa scatenò il finimondo, quando fu catapultata nella circoscrizione Campania 2. All'epoca, per spiegare la ragione della sua candidatura in Campania, evocò un nonno di Caserta: ma da allora nessuno l'ha più vista da quelle parti. Questa volta avevano pensato di candidarla in Sicilia, ma rivolta capeggiata dal segretario regionale del Pd siciliano, Giuseppe Lupo, ha fatto sì che all'ultimo istante fosse riproposta in Campania.
In realtà, la Pedoto non è l'unica candidata estranea al territorio regionale: al n. 2, sempre al Senato, è stata collocata la consigliera comunale di Roma, Roberta Agostini, anche lei vicina a Letta, che come titolo di merito per bypassare le primarie ha fatto valere la carica di responsabile nazionale della conferenza delle donne del Pd.
E scorrendo lista della circoscrizione Campania 2 della Camera si ritrova anche Khalid Chauki, nato a Casablanca nel 1983, «cresciuto tra Parma e Reggio Emilia», come sottolinea nel suo curriculum, pupillo di Livia Turco.
Insomma, i 100 posti del listino bloccato di Bersani, che nelle intenzioni del segretario avrebbero dovuto essere riservati a 'persone di comprovate capacità o provenienti dalla società civile', sono stati di fatto utilizzati anche come camera di compensazione tra le varie componenti. Spesso paracadutando i beneficiati in territori estranei a quelli di provenienza. E la Campania non è l'unica regione a pagare dazio.
Ad esempio, l'emiliano Gianluca Beneamati, parlamentare uscente, nonché fedelissimo di Fioroni, è finito al nono posto della lista Piemonte 2 alla Camera.
E di fedelissimi ne ha piazzati un bel po' in giro per l'Italia anche Dario Franceschini: Francesco Saverio Garofani, ex vicedirettore di 'Europa', nella circoscrizione Lazio 1 della Camera; Piero Martino, ex portavoce, al sesto in Lazio 1 (nelle scorse elezioni era stato eletto in Sicilia); Alberto Losacco, ex capo della sua segreteria, in Puglia, alla Camera; la romana Federica Mogherini, in Emilia Romagna. Enrico Letta non è stato certo da meno: oltre a Vaccaro e Agostini in Campania, ha candidato Marco Meloni al sesto posto alla Camera in Liguria.
Matteo Renzi (che pare abbia avuto 17 caselle a disposizione) ha inserito tra gli altri la responsabile dell'organizzazione delle sue primarie, Simona Bonafé, al nono in Lombardia 2. Ma anche Ivan Scalfarotto al 13esimo alla Camera in Puglia, e il sindaco di Corciano (Perugia), Nadia Ginetti, al terzo al Senato in Umbria.
Bersani quanto meno ha rispettato i territori: Alessandra Moretti n.3 alla Camera, in Veneto 1; Roberto Speranza, capolista in Basilicata; e il responsabile dell'organizzazione, Nico Stumpo, quarto in Calabria.
Infine una curiosità: anche Luigi Manconi, 65 anni, ex portavoce nazionale dei Verdi, due legislature già alle spalle, ha ottenuto il quarto posto in Sardegna al Senato, senza passare per le primarie.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/pd-cosi-hanno-salvato-gli-amici/2198123
Allarme del Pentagono: numero dei suicidi tra i militari Usa supera quello dei caduti.
Washington - (Adnkronos/Washington Post) - L'anno scorso 349 militari in servizio si sono tolti la vita rispetto ai 229 morti in battaglia. Triplicata la spesa per Viagra per i reduci.
Washington, 15 gen. (Adnkronos/Washington Post) - L'anno scorso il numero di militari americani che si sono tolti la vita ha superato quello dei caduti in combattimento. I 349 suicidi registrati nel 2012 tra i membri in servizio delle Forze armate, rispetto ai 229 caduti in Afghanistan lo scorso anno, segna il pesante tributo pagato a un decennio di guerre e sottolinea le difficoltà del Pentagono nell'affrontare una questione che alcuni comandanti considerano ormai una vera e propria epidemia.
Il monitoraggio dei suicidi tra i militari in servizio è iniziato nel 2001 e le prime serie preoccupazioni del Pentagono sono iniziate nel 2006, quando il numero di quanti si sono tolti la vita a causa della depressione o del Ptsd, il disturbo da stress post traumatico, ha subito un sensibile aumento. Il picco, prima del record del 2012, fu raggiunto nel 2009, con 310 suicidi. Lo stesso segretario alla Difesa, Leon Panetta, la scorsa estate espresse tutta la sua frustrazione, quando il numero dei suicidi toccava ormai la media di uno al giorno.
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Allarme-del-Pentagono-numero-dei-suicidi-tra-i-militari-Usa-supera-quello-dei-caduti_314083847245.html
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