mercoledì 6 marzo 2013

Stiglitz.



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La riscossa siciliana, Crocetta: “Sì all’articolo 37 dello Statuto. Roma? Ce ne freghiamo”. - Antonella Sferrazza


“Chi non osa nulla, non speri in nulla” diceva Schiller. E la Sicilia, finora, ha osato ben poco sul tema dell’Autonomia speciale. I governi regionali che si sono succeduti negli ultimi anni, qualche volta, hanno chiesto allo Stato italiano  il rispetto delle prerogative sancite dallo Statuto, che ricordiamo è parte della Costutuzione italiana. Ma, non ci si è spinti al di là di qualche lettera, di qualche incontro nella Capitale e di qualche diatriba dialettica.
La musica sembra cambiare con Rosario Crocetta. Il nuovo Presidente della Regione siciliana, infatti, sta mostrando i muscoli. Almeno per qualla parte dello Statuto che, se applicato, potrebbe rivelarsi importantissimo per le casse regionali. Parliamo dell’articolo 37, secondo cui le imprese che hanno gli stabilimenti produttivi nell’Isola, ma sede legale altrove, devono pagare qui parte delle imposte.
Crocetta, nel corso della conferenza stampa di stamattina (in cui si è parlato anche della sopressione delle province), ha annunciato che: “La Sicilia lo applicherà. E se Roma non è d’accordo ce ne fregheremo”.  La presa di posizione del Presidente, è l’unica via percorribile se si vuole porre fine ad una ingiustizia che la Sicilia subisce da oltre 60 anni.
Sperare che il governo nazionale rinunci, infatti, ad un ricco bottino, è da sciocchi. Non l’ha mai fatto, né lo farà. Di che cifre parliamo? Solo pensando ai grandi gruppi industriali, come quelli del petrolchimico – che hanno portato inquinamento e malattie in Sicilia, e che continuano a versare le imposte al Nord – e  magari mettendoci pure le banche, si tratterebbe di circa 1,5 miliardi di euro all’anno, come ha ricordato stamattina il Presidente.
A ben guardare, la posta in ballo è molto più sostanziosa. Come ha dimostrato in un dettagliato studio sull’argomento il docente d Economia Aziendale, Massimo Costa, tra i maggiori esperti in tema di Autonomia, il furto legalizzato in danno della Sicilia ammonta almeno a 5 miliardi di euro l’anno solo per la mancata applicazione dell’articolo 37. Se poi si aggiungono gli altri (36-38, ad esempio) la rapina statale supera i 10 miliardi euro (qui potete leggere i dettagli dell’analisi). 
Un bottino che Roma non molla. Ma, poiché anche il governo nazionale è tenuto al rispetto della Costituzione, quindi dello Statuto, ecco la decisione di Crocetta di andare avanti senza se e senza ma. Senza inutili trattative con uno Stato sordo quando si tratta di soldi dei siciliani. Finora, una pubblicistica intrisa di pregiudizi e, probabilmete, pilotata dagli interessi del Nord, ha trascurato questi ‘particolari’. Dando fiato alle trombe stonate di chi ha descritto un Sud e una Sicilia inondati da risorse pubbliche. Tesi ampiamente smentita dagli economisti della Svimez, l’Associazione per lo sviluppo industriale. 
Che succederà ora? Crocetta ha detto che l’assessore regionale all’Economia, Luca Bianchi (che è anche un componente Svimez) sta lavorando al provvedimento. I tempi non dovrebbero essere lunghi. E se Roma alza la voce?
Pazienza. Un popolo coraggioso deve avere la forza di difendersi. Perché questo è un caso di legittima difesa. Eventualmente si potrebbe ricordare che la Sicilia dispone di mezzi necessari per farsi ascoltare: le raffinerie, per cominciare. Oltre il 40% circa della benzina e del gasolio utilizzati in Italia, proviene dagli impianti di raffinazione dell’Isola. Chiuderle significherebbe mettere in ginocchio il Paese. Che, forse allora, si mostrerebbe più sensibile dinnanzi ai diritti dei siciliani. 
C’è da aggiungere che Crocetta, stamattina in confereza stampa, ha parlato anche del ripristino dell’Alta Corte in Sicilia. Ma sull’argomento non è stato molto chiaro, o quantomeno, non abbiamo avuto modo di chiedere un chiarimento. Non ha parlato cioè della nomina dei giudici, passaggio essenziale per fare tornare in vita una istituzione che già c’è (non ha bisogno di essere istituita, come si dice in giro).  Una istituzione, come diceva il Presidente della Regione, Giuseppe Alessi “che è stata sepolta viva”. Approfondiremo anche questo tema in un prossimo articolo. 

La conferenza di Crocetta in diretta: “Ecco il mio pacchetto tsunami”

La Rivoluzione di Crocetta: addio Province, benvenuto Statuto siciliano

La Sicilia regala all’Italia 10 miliardi di euro l’anno (almeno)

La questione siciliana all’Onu

Le solite bugie sul Sud Italia

Svimez: il Sud Italia più colpito dalle manovre del governo nazionale

Centocinquant’anni di unità? No, di bugie (e omissioni)

Crocetta: “La Sicilia riavrà la sua Alta Corte”

La vera storia dell’Alta corte per la Sicilia? “E’ stata abolita con un colpo di Stato”

http://www.linksicilia.it/2013/03/la-riscossa-siciliana-si-allarticolo-37-dello-statuto-roma-ce-ne-freghiamo/

SE FOSSI LAUREATO IN ECONOMIA E NON IN LETTERE. - Maurizio Pallante



Dopo avere letto il post “La decrescita totalitaria” *, di Stefano Feltri, ho immaginato di essere un “economista”, ed ho fatto un paio di considerazioni. Ad esempio, se fossi laureato in economia e non in lettere, mi domanderei: chi ha governato l’economia e la finanza nei decenni passati, chi la sta governando, chi ha la responsabilità della crisiche sta sconvolgendo i paesi industrializzati, chi è incapace di trovare le misure di politica economica adeguate per uscirne: i laureati in economia o i laureati in lettere?

Se fossi laureato in economia e non in lettere, mi domanderei se è veramente desiderabile, ammesso che sia possibile, uscire dalla crisi con la ripresa della crescita di un prodotto interno lordo in cui incidono in misura significativa gli sprechi di cibo (il 3 per cento del pil), gli sprechi di energia (il 70 per cento dei consumi), gli incidenti automobilistici, il consumo di medicine, le spese di riparazione e di ripristino dei danni ambientali causati da processi produttivi finalizzati alla crescita del prodotto interno lordo, la cura delle malattie causate dalla crescita delle emissioni e delle produzioni inquinanti, la produzione di armi e le guerre.

Se fossi laureato in economia e non in lettere, non eviterei comunque di ripassare la differenza tra la congiunzione “e” e il verbo “è”, perché un conto è dire “meno e meglio” e un altro è dire “meno è meglio”. Se per i talebani della crescita più è sempre meglio, anche quando è peggio (es.: gli sprechi di energia in un edificio mal costruito), i sostenitori della decrescita felice non pensano, né scrivono, che meno è sempre meglio, ma sanno distinguere quando lo è (es.: la riduzione dei consumi di energia in un edificio ben costruito). I talebani della crescita si limitano a usare grossolani criteri di valutazione quantitativi, i sostenitori della decrescita felice utilizzano parametri qualitativi.
Se fossi laureato in economia e non in lettere terrei in una certa considerazione l’insegnamento di un economista tra i più importanti del Novecento, John Kenneth Galbraith, che nel 1968 ha suggerito a Robert Kennedy di rivelare l’inganno dell’equazione tra crescita del Pil e crescita del benessere, perché il Pil cresce anche quando cresce la produzione di merci che peggiorano la nostra vita, come le armi, il tabacco, la riparazione delle automobili incidentate, mentre non può misurare il benessere generato da attività che non generano una compravendita, come le relazioni umane, l’autoproduzione di beni, l’economia del dono e della reciprocità.
Se fossi laureato in economia e non in lettere mi domanderei: se basta il banale buon senso per decidere di produrre cose utili invece di cose inutili o dannose, di utilizzare processi non inquinanti anziché processi inquinanti, di ridurre gli sprechi invece di incentivare un consumo dissipativo delle risorse, come mai i laureati in economia che governano l’economia e la finanza non indirizzano su questa strada gli investimenti per superare la crisi? I laureati in economia sono privi del banale buon senso?
Se fossi laureato in economia e non in lettere mi domanderei se la scelta di aumentare la produttività per far crescere il Pil e rendere le aziende più competitive sul mercato mondiale non comporti una riduzione dell’incidenza del lavoro umano per unità di prodotto e quindi una riduzione dell’occupazione e della domanda a fronte di un aumento dell’offerta; se cioè non aggravi la crisi invece di attenuarla (per non parlare della sofferenza umana di chi non ha occupazione, ma gli esseri umani per chi è laureato in economia sono semplici fattori della produzione, quello che conta è la crescita).
Se fossi laureato in economia e non in lettere, non avrei comunque nessuna ritrosia a leggere ciò che scrivono quelli che la pensano diversamente da me, perché il vero fondamento di una deriva totalitaria è proprio l’intolleranza, soprattutto quando assume l’aspetto di un tabù inviolabile da difendere con tutti i mezzi.

Maurizio Pallante

Durnwalder ammette di aver consegnato dossier. Quirinale: “Nessuna pressione”.



Dopo le accuse del procuratore altoatesino nelle mail riportate dal Fatto Quotidiano, il presidente della Provincia di Bolzano dichiara di aver trasmesso al Colle un promemoria su "alcune inchieste della Corte dei Conti". Ma, precisa, "non riguardavano me".

Luis Durnwalder, presidente della Provincia autonoma di Bolzano, ammette di aver dato al Colle un dossier sulle inchieste sui fondi in Alto Adige. Il Quirinale, però, precisa: “Non c’è stato nessun interessamento al caso”. Il caso è quello delle inchieste della Corte dei conti altoatesina sulle spese del presidente e dell’amministrazione targata Svp, e delle pressioni per insabbiarle denunciate nelle mail del procuratore regionale Robert Schulmers, svelate da Il Fatto Quotidiano.
Lo stesso leader del partito Sudtiroler Volkspartei è intervenuto il 3 marzo, dopo la rivelazione della vicenda da parte del Fatto, sulla Rai in lingua tedesca e ha confermato: Sì, è vero. Nell’estate scorsa ho consegnato al presidente Napolitano un dossier riguardante problematiche tra la Giunta e la Corte dei Conti” e ha precisato che non c’era nulla che riguardasse le spese ‘pazze’. Il giorno dopo in un’altra intervista ha precisato: “Non ho mai esercitato pressioni sul Quirinale e meno che meno in riferimento alla Corte dei conti di Bolzano”.
Il presidente della Provincia si riferisce all’articolo in cui il pg Robert Schulmers, che coordina un’inchiesta su Durnwalder e sull’uso del suo fondo riservato personale, riferisce di aver ricevuto delle “pressioni dal Quirinale per salvarlo”. Il magistrato racconta tutto in una serie di mail indirizzate al suo capo, il procuratore generale della Corte dei Conti Salvatore Nottola, dal quale si è sentito abbandonato, e anche al presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Contabili, Tommaso Miele, oltre che ai colleghi della mailing list dell’associazione magistrati. Secondo quanto scritto da Schuelmers, il presidente della Corte dei conti Giampaolino gli avrebbe chiesto di darsi una calmata con i politici. In una mail rivolta a Nottola si legge: “Passeggiamo lungo un bellissimo parco, scegli una panchina isolata, e giù a raccontarmi del personaggio quirinalizio, che non mi nomini, ma che ti avrebbe raccontato cose su di me, pregandoti di ‘non prendere appunti’ perché il Quirinale non voleva essere formalmente coinvolto nella vicenda. Mi dici che mi riferisci solo il 10% di quello che ti è stato detto. Ma a me basta. Mi riferisci di come si sia cercato di delegittimarmi, parlandoti di miei presunti insuccessi processuali. Mi dici di come tu abbia cercato di spiegare che ciò non è vero, perché appartiene alla fisiologia del processo. Mi dici che comunque stai dalla mia parte, che le pressioni le conosci, per averle subite in passato, e mi chiedi di predisporti quanto prima uno specchietto delle sentenze (…). Ti serve perché comunque vuoi rispondere al Presidente della Repubblica”.
Durnwalder, però, ha definito “false e pronunciate in malafede” alcune frasi di Schulmers.“Durante un incontro con Napolitano lo scorso giugno l’ho semplicemente informato di alcuni problemi che riguardano inchieste della Corte dei conti, inchieste che però – ha spiegato il presidente altoatesino – non mi riguardano personalmente, e gli ho consegnato un promemoria. L’inchiesta sul mio fondo di rappresentanza è partita solo mesi dopo”. “Ormai è la quarta, quinta volta che escono sui giornali notizie che gettano una cattiva luce su di me” ha detto Durnwalder, che ha annunciato di voler querelare il Fatto Quotidiano. Durnwalder ha spiegato che nel promemoria per il Quirinale v’era ad esempio un procedimento, “poi finito nel nulla”, nel quale la Corte dei conti ipotizzava un danno erariale di 50 milioni per rimborsi da parte dell’Enel.
E’ giunta poi, a breve distanza dalle dichiarazioni di Durnwalder, la nota del Quirinale: “Alcuni organi di stampa hanno pubblicato notizie a proposito di uno scambio di lettere tra magistrati contabili circa un presunto ‘interessamento’ della Presidenza della Repubblica su procedimenti promossi dalla Procura Regionale del Trentino Alto Adige della Corte dei Conti nei confronti dei vertici della Provincia di Bolzano. Si tratta con tutta evidenza di relazioni e di questioni interne alla magistratura contabile, che dovranno trovare nella medesima sede le necessarie spiegazioni e soluzioni – si legge – Non corrisponde al vero, comunque, che la Presidenza della Repubblica sia stata interessata ad inchieste sull’uso di fondi riservati della Provincia, di cui d’altronde non c’è alcun riferimento nel documento illustrato dal Presidente Durnwalder nel corso di un colloquio istituzionale con il Capo dello Stato avvenuto all’inizio del mese di giugno del 2012″.
Articoli sullo stesso argomento:


E' morto Chavez, il 'comandante eterno' Venezuela in lutto per 7 giorni.

Chavez (Xin)

Caracas - (Adnkronos) - Aveva 58 anni (FOTO). Era malato da due anni. L'annuncio della morte (VIDEO). Il popolo in lacrime. Venerdì i funerali. Elezioni entro 30 giorni.Accuse agli Usa, Maduro: "Avvelenato dai suoi nemici come Arafat". Due settimane fa il ricovero in patria dopo l'operazione a Cuba. Obama: ''Vogliamo rapporti costruttivi''. Da Oliver Stone Sean Penn anche il cinema americano lo piange.
Caracas, 6 mar. (Adnkronos) - Il presidente del Venezuela, Hugo Chavez, è morto all'età di 58 anni, dopo una battaglia contro il cancro durata due anni. Ad annunciare in lacrime al paese la scomparsa del "presidente eterno" è stato il vicepresidente Nicolas Maduro, l'uomo che lo stesso Chavez aveva designato come suo successore prima di partire per Cuba, dove era stato operato l'11 dicembre.
Il leader bolivarista verrà sepolto venerdì e nel Paese è stato proclamato un lutto di sette giorni. Il popolo venezuelano è sceso in lacrime nelle piazze. L'esercito è schierato nelle strade per garantire l'ordine. Secondo la Costituzione dopo la morte di un presidente vanno convocate nuove elezioni entro un mese.
"Condoglianze" per Chavez sono state espresse in un messaggio dell'opposizione. "Siamo stati rivali elettorali ma non nemici. Comprendiamo il dolore della sua famiglia e dei suoi sostenitori", ha dichiarato Henrique Capriles, il candidato unico dell'alleanza di opposizione della Mesa de Unidad che lo scorso ottobre fu sconfitto da Chavez alle presidenziali.
Lutto fra i leader del Sudamerica per la morte del presidente venezuelano. La presidente del BrasileDilma Rousseff, con il predecessore Inacio Lula da Silva, saranno a Caracas per il funerale di venerdì. La Rousseff, che ha parlato di "perdita irreparabile" per la morte di "un grande leader" e un "amico del Brasile", arriverà oggi a Caracas dopo aver cancellato una visita in Argentina prevista per oggi. Anche la presidente dell'Argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, è attesa a Caracas, assieme ai presidenti dell'Uruguay,Jose Mujica, e della Bolivia, Evo Morales.
Il governo cubano ha proclamato due giorni di lutto per la morte del presidente venezuelano. Le trasmissioni televisive si sono interrotte per la dare l'annuncio della scomparsa di Chavez, definito "un vero figlio" dall'ex presidente cubano Fidel Castro e "un amico stretto" dal suo successore Raul Castro. "Chavez è anche cubano", si legge in una nota diffusa dal governo dell'Avana.
Il defunto presidente venezuelano si era operato quattro volte a Cuba, dopo la scoperta di un tumore a metà del 2011. L'ultima operazione risale all'11 dicembre. Chavez era poi tornato in patria l'8 febbraio. I rapporti fra il Venezuela di Chavez e Cuba erano molto stretti. Chavez considerava Fidel Castro il suo mentore, e Caracas fornisce all'Avana circa 100mila barili di greggio al giorno a prezzi di favore in cambio dell'invio di medici e insegnanti cubani in Venezuela.
In un messaggio diffuso dopo la morte di Chavez, il presidente americano Barack Obama ha dichiarato il suo interesse "allo sviluppo di rapporti costruttivi" con Caracas.
"Nel momento difficile della morte del presidente Hugo Chavez, gli Stati Uniti ribadiscono il sostegno al popolo venezuelano e l'interesse a sviluppare una relazione costruttiva con il governo del Venezuela"- ha affermato Obama nel suo messaggio- "mentre il Venezuela inizia un nuovo capitolo della sua storia, gli Stati Uniti rimangono impegnati per politiche che promuovano i principi democratici, il rispetto della legge e dei diritti umani".
Le parole di Obama giungono dopo che ieri, poco prima dell'annuncio della morte di Chavez, il governo venezuelano ha deciso l'espulsione di due addetti militari statunitensi, accusati di aver tentato di approfittare della malattia del presidente per "cospirare" contro le istituzioni del Paese, cosa "che viola le convenzioni internazionali" in materia di diplomazia. Il vicepresidente Nicolas Maduro aveva anche parlato ieri di un "attacco scientifico" dietro la malattia di Chavez, "come è successo con Yasser Arafat".
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, si è detto ''rattristato'' per la morte del presidente. Chavez, ha detto, si è battuto ''per le sfide e le aspirazioni dei venezuelani più vulnerabili''.
Il presidente russo, Vladimir Putin, ha definito Chavez "un leader straordinario". "E' stato un uomo forte e straordinario che puntava al futuro ed esigeva il massimo da se stesso", ha scritto Putin in un messaggio indirizzato a Maduro.
Per il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ''Chavez è stato il simbolo della resistenza contro l'imperialismo e un martire per il bene della Nazione venezuelana''.
Anche il cinema americano piange Chavez. Il regista Oliver Stone e l'attore Sean Penn ricordano "l'amico" scomparso, così come il regista Michael Moore. "Piango un grande eroe per la maggior parte del suo popolo... Odiato dalle classi abbienti, Hugo Chavez vivrà sempre nella storia", scrive Stone su Twitter. "I poveri del mondo perdono un loro campione, io perdo un amico che ho avuto la benedizione di conoscere", afferma Penn in un comunicato diffuso su Hollywood Reporter. L'attore aveva partecipato in dicembre ad una veglia in Bolivia per la salute di Chavez.
Secondo Michael Moore, "non leggeremo cose amichevoli verso di lui sulla stampa americana", ma va ricordato che 54 paesi permisero "agli Stati Uniti di arrestare (e torturare) sospetti. L'America Latina, grazie a Chavez, fu l'unica a dire di no". Il regista, che ha commentato la morte di Chavez su Twitter, ha ricordato il suo incontro con il presidente venezuelano al festival del cinema di Venezia nel 2009. "Mi disse che gli faceva piacere incontrare qualcuno che Bush odiava più di lui", ha ricordato Moore.


martedì 5 marzo 2013

Rodotà: “Il Reddito di cittadinanza è un diritto universale”. - Roberto Ciccarelli




«In Europa - sostiene Stefano Rodotà, uno dei giuristi italiani che hanno partecipato alla scrittura della Carta di Nizza e autore del recentissimo "Il diritto di avere diritti" - siamo di fronte ad un mutamento strutturale che spinge qualcuno ad adoperarsi per azzerare completamente i diritti sociali, espellere progressivamente i cittadini dalla cittadinanza e far ritornare il lavoro addirittura a prima di Locke. Per accedere ai beni fondamentali della vita come l'istruzione o la salute, dobbiamo passare per il mercato e acquistare servizi o prestazioni. Il reddito universale di cittadinanza è il tentativo di reagire al ritorno a questa idea di cittadinanza censitaria».

Il reddito di cittadinanza, dunque, non il «salario minimo sociale e legale» chiesto dal presidente uscente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker. Come spiega questa dichiarazione?Juncker ha mostrato più volte un'attenzione rispetto ad una fase nella quale debbono essere ripensati una serie di strumenti anche partendo da una riflessione più profonda sulla dimensione dei diritti. A parte la sua citazione di Marx, credo che la sua dichiarazione dovrebbe essere valutata alla luce dell'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali. In una delle sue carte fondative l'Ue si impegna a riconoscere il diritto all'assistenza sociale e abitativa e a garantire un'esistenza dignitosa ai cittadini. C'è un'assonanza molto forte con uno dei più belli articoli della nostra Costituzione, il 36. Considerati insieme, questi articoli offrono una chiave per considerare il reddito fuori dalla prospettiva riduzionistica con la quale di solito viene considerata. Diversamente dall'approccio del salario minimo, o di quello del «reddito di sopravvivenza» di cui parla Monti nella sua agenda, il reddito non può essere considerato solo come uno strumento di lotta contro la marginalità. In Europa non c'è solo la povertà crescente. Io credo che oggi la lotta all'esclusione sociale passi attraverso l'adozione del reddito di cittadinanza.

Riesce ancora a mantenere una fiducia ammirevole nelle istituzioni europee e a non considerarle solo come l'emanazione diretta della Bce o della volontà tedesca di imporre politiche anti-inflattive e di rigore nei bilanci pubblici. Come mai?Ma perché l'Europa non può essere ridotta solo alle politiche dell'economia che assorbe tutte le altre dimensioni. Non è possibile ricordarsi degli aspetti virtuosi dell'Europa solo quando interviene per sanzionare i licenziamenti di Pomigliano oppure la legge italiana sul testamento biologico e dimenticarli quando impone di considerare l'economia come il Vangelo, con questa idea di mercato naturalizzato. L'Europa è un campo di battaglia. Io stesso ricordo la fatica di introdurre nella Carta di Nizza i principi di solidarietà e uguaglianza che prima mancavano.

Susanna Camusso (Cgil) sembra avere tutt'altra idea sulla proposta di Juncker e ha escluso il «salario minimo» perché danneggerebbe la contrattazione nazionale. Come lo spiega?Capisco la sua volontà di salvaguardare la dimensione contrattuale, ma la trasformazione strutturale che viviamo ci obbliga ad andare oltre questo orizzonte. Il tema capitale e ineludibile è il reddito universale di cittadinanza. Martedì 15 a Roma presentiamo il libro Reddito minimo garantito del Basic Income Network dove discuteremo anche le proposte di Tito Boeri e Pietro Garibaldi, persone tutt'altro che ascrivibili ad un'orizzonte estremista. Il reddito è uno strumento fondamentale per razionalizzare un sistema altamente disfunzionale e sgangherato come quello italiano sulle protezioni sociali. Nei primi giorni di governo l'aveva citato anche Elsa Fornero, poi ha abbandonato questa prospettiva.

Di solito la sinistra e i sindacati considerano il reddito come un ammortizzatore sociale. Lei ritiene che sia un approccio corretto?Assolutamente no. Oggi non è più possibile considerarlo come uno tra i tanti ammortizzatori sociali perchè dobbiamo cominciare a lavorare sulla distribuzione delle risorse. L'idea degli ammortizzatori sociali riflette un modo di guardare al precariato come un problema sostanzialmente transitorio che l'intervento dei governanti farà rientrare in una situazione di normalità. Oggi non è più così e il reddito è una precondizione della cittadinanza, uno strumento per affermare la pienezza della vita di una persona. Riguarda anche i lavoratori che si trovano in difficoltà, ma è un diritto di tutti i cittadini.

Quali sono le prime tappe del processo di una radicale riforma del Welfare?Ripristinare l'agibilità democratica nelle fabbriche; difendere il diritto del lavoro dalla privatizzazione strisciante che non è una fissazione della Fiom o di Maurizio Landini; una nuova legge sulla rappresentanza sindacale ma soprattutto ripristinare il diritto all'esistenza che passa attraverso il reddito di cittadinanza. È una questione di cui non possiamo liberarci né con un'alzata di spalle come ha fatto Carlo Dell'Aringa, ma anche dicendo che il contratto funziona bene, il sindacato fa la sua parte, mentre invece nella società c'è più di qualcosa che non funziona. Dobbiamo pensare a una trasformazione radicale, proprio come accadde con lo Statuto dei lavoratori. Perché non dovrebbe accadere oggi?

Perchè forse allora c'era l'autunno caldo, la migliore cultura giuslavoristica con Giugni, Romagnoli, Mancini sostenne l'avanzata del movimento operaio. Oggi non è così...C'è una certa sordità del sindacato perché ritiene che gli strumenti acquisiti siano sufficienti per fronteggiare qualsiasi situazione. Ricordo che Romagnoli gli ha rivolto critiche molto severe quando abbiamo elaborato e firmato il referendum contro le modifiche all'articolo 18 e contro l'articolo 8. In generale trovo spaventoso constatare i guasti della progressiva emarginazione del dialogo con la cultura politica. E questo non accade solo nel mondo del lavoro.


http://temi.repubblica.it/micromega-online/rodota-il-reddito-di-cittadinanza-e-un-diritto-universale/

Zero tituli. - Marco Travaglio.



C’è una sola corporazione più refrattaria della casta politica al cambiamento: quella dei giornalisti. Ieri ci siamo muniti di microscopio elettronico alla ricerca di una qualche traccia della notizia pubblicata sabato dal Fatto: la denuncia, precisa e circostanziata, del procuratore del Trentino Alto Adige della Corte dei Conti Robert Schülmers sulle pressioni ricevute dal Pg Nottola e dal presidente Giampaolino per salvare le chiappe al governatore della Provincia autonoma di Bolzano, Luis Durnwalder della Südtiroler Volkspartei. Costui, a leggere le indagini dei magistrati contabili, ma anche varie inchieste giornalistiche, è un incrocio fra Matusalemme e Sardanapalo: al potere ininterrottamente dal 1989 (prima del crollo del Muro di Berlino), è accusato di sperperare il denaro pubblico in regali all’ex moglie e all’ex fidanzata e in spese folli col solito trucco dei “rimborsi”. Ma è anche un alleato storico del centrosinistra: alle ultime elezioni i 145 mila voti di Svp sono stati decisivi per assicurare a Bersani il primo posto. Così, narra Schülmers, nel giugno 2012 Durnwalder va in visita pastorale al Quirinale e subito dopo, come per incanto, partono i calorosi inviti al procuratore perché archivi le indagini sul governatore e usi il guanto di velluto con la giunta altoatesina, altrimenti “ci/ti distruggono”. Il tutto accompagnato da minacce di dossier sul suo conto: roba che, se ci fosse di mezzo B., si griderebbe alla “macchina del fango”. Invece tutti zitti e mosca. E dire che i riferimenti alle pressioni del Quirinale si sprecano, nero su bianco. Del resto, è un copione già tristemente visto. Non è un mistero che Napolitano si sia messo in testa di essere il capo della magistratura, mentre è soltanto il capo dell’organo di autogoverno che dovrebbe difendere i magistrati dalle pressioni esterne. Non esercitarle. Quando il pm Woodcock terremotò Potenza con le sue indagini, il Colle chiese informazioni su di lui. Quando la Procura di Salerno scoprì gli insabbiamenti delle indagini di De Magistris a Catanzaro e andò a sequestrare gli atti negati dagli insabbiatori, Napolitano chiese addirittura le carte dell’indagine. E quando la Procura di Palermo indagò sui politici implicati nella trattativa Stato-mafia, Napolitano e il consigliere D’Ambrosio si attivarono su richiesta di Mancino (indagato per falsa testimonianza) per ottenere dal procuratore nazionale antimafia Grasso e dal Pg della Cassazione (prima Esposito, poi Ciani) l’avocazione dell’indagine o almeno il salvataggio di Mancino. Ora non un passante o un quacquaracquà, ma il capo della Procura della Corte dei Conti del Trentino-Alto Adige denuncia l’“interferenza indebita del Quirinale” nelle sue indagini su Durnwalder . Ma nessun giornale ritiene che sia una notizia. Non una riga su Repubblica, Stampa, Messaggero, e neanche sul Giornale e su Libero (meglio tenersi buono Napolitano per il governissimo salva-Nano). Le uniche tracce della notizia si rinvengono, per i lettori dotati di strumenti di rilevazione ad alta precisione, in una breve di 25 righe sul Corriere. Ma, beninteso, senz’alcun cenno al ruolo del Quirinale, se non per smentirlo senza spiegarlo. Il tutto sotto un titolo fatto apposta per non far capire nulla: “‘Pressioni pro-Durnwalder’. Giampaolino: tutto falso”. Chissà oggi come farà la libera stampa a occultare ancora la notizia, visto che ieri il Quirinale ha emesso un comunicato. Intanto, in prima pagina, Beppe Severgnini definisce “umiliante sapere le intenzioni di M5S leggendo le anticipazioni di un’intervista di Grillo alla rivista tedesca Focus”. Più o meno come apprendere le intenzioni del Pd da un’intervista di Bersani a Che tempo che fa. Ma mai così umiliante come la stampa italiana che censura le notizie sgradite al Quirinale a edicole unificate. Poi dice che uno parla con Focus.

Da Il Fatto Quotidiano del 05/03/2013.

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