La richiesta di citazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al processo "trattativa" è "legittima", ma l'eventuale audizione non potrà mai riguardare le conversazioni con l'ex ministro Nicola Mancino, intercettate nell'ambito dell'inchiesta e poi distrutte. E' quanto ha deciso questa mattina il presidente della Corte d'assise di Palermo Alfredo Montalto esaminando la lista dei testimoni presentata da due parti civili, Salvatore Borsellino e Sonia Alfano. Il fratello del giudice ucciso il 19 luglio 1992 e la presidente dell’Associazione familiari vittime di mafia, avevano chiesto l'audizione di Napolitano per riferire "le eventuali confidenze riferitegli da Mancino nel corso delle plurime conversazioni telefoniche intercorse fra i due e intercettate dalla Procura". Così aveva scritto l'avvocato Fabio Repici nelle istanze delle due parti civili.
Il legale ha chiesto l'audizione del capo dello Stato anche "per riferire sui contenuti della lettera da lui pubblicamente rivolta il 29 gennaio 2013 alla figlia dell’ex presidente della Repubblica Scalfaro". In quella lettera, Napolitano scriveva di avere "accompagnato" l’allora capo dello Stato "nei momenti decisivi di quel periodo". All'epoca Napolitano era presidente della Camera. E adesso Scalfaro è sotto accusa nell’impostazione della Procura di Palermo, perché avrebbe sostenuto la linea dell’alleggerimento del carcere duro ai mafiosi dopo le prime bombe del 1993. Su quella lettera a Scalfaro, l’avvocato Repici ha già ottenuto la citazione di Napolitano al processo quater per la strage Borsellino, in corso a Caltanissetta.
Anche la corte d'assise di Palermo non ha avuto nulla da osservare su questo punto. Ma è arrivato uno stop sulla richiesta di sentire Napolitano a proposito delle telefonate con Mancino, che sono state oggetto di un conflitto di attribuzione fra il Quirinale e la Procura di Palermo, concluso con la distruzione di quattro telefonate.
Ieri, la Corte d'assise aveva invece dato un prima via libera alla lista della Procura, che fra i 176 testimoni ha inserito pure Napolitano, "per riferire in ordine alle preoccupazioni espresse dal suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio nella lettera del 18 giugno 2012", così hanno scritto i pm Di Matteo, Del Bene e Tartaglia.
Si tratta di un primo vaglio di ammissibilità, secondo i canoni previsti dall’articolo 468 del codice di procedura penale. Non è solo una questione di tecnicismi giuridici, il codice impone al giudice di "escludere" le testimonianze "vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti". Dunque, la lista dei 176 testimoni, con il nome del capo dello Stato in bella vista, è ammissibile, ma non potrà mai avere ad oggetto le conversazioni telefoniche distrutte. In una delle prime udienze la corte d’assise esaminerà nel merito le liste presentate dalle parti, per decidere se citare il presidente della Repubblica e tutti gli altri testimoni richiesti da pm e avvocati.
Il legale ha chiesto l'audizione del capo dello Stato anche "per riferire sui contenuti della lettera da lui pubblicamente rivolta il 29 gennaio 2013 alla figlia dell’ex presidente della Repubblica Scalfaro". In quella lettera, Napolitano scriveva di avere "accompagnato" l’allora capo dello Stato "nei momenti decisivi di quel periodo". All'epoca Napolitano era presidente della Camera. E adesso Scalfaro è sotto accusa nell’impostazione della Procura di Palermo, perché avrebbe sostenuto la linea dell’alleggerimento del carcere duro ai mafiosi dopo le prime bombe del 1993. Su quella lettera a Scalfaro, l’avvocato Repici ha già ottenuto la citazione di Napolitano al processo quater per la strage Borsellino, in corso a Caltanissetta.
Anche la corte d'assise di Palermo non ha avuto nulla da osservare su questo punto. Ma è arrivato uno stop sulla richiesta di sentire Napolitano a proposito delle telefonate con Mancino, che sono state oggetto di un conflitto di attribuzione fra il Quirinale e la Procura di Palermo, concluso con la distruzione di quattro telefonate.
Ieri, la Corte d'assise aveva invece dato un prima via libera alla lista della Procura, che fra i 176 testimoni ha inserito pure Napolitano, "per riferire in ordine alle preoccupazioni espresse dal suo consigliere giuridico Loris D’Ambrosio nella lettera del 18 giugno 2012", così hanno scritto i pm Di Matteo, Del Bene e Tartaglia.
Si tratta di un primo vaglio di ammissibilità, secondo i canoni previsti dall’articolo 468 del codice di procedura penale. Non è solo una questione di tecnicismi giuridici, il codice impone al giudice di "escludere" le testimonianze "vietate dalla legge e quelle manifestamente sovrabbondanti". Dunque, la lista dei 176 testimoni, con il nome del capo dello Stato in bella vista, è ammissibile, ma non potrà mai avere ad oggetto le conversazioni telefoniche distrutte. In una delle prime udienze la corte d’assise esaminerà nel merito le liste presentate dalle parti, per decidere se citare il presidente della Repubblica e tutti gli altri testimoni richiesti da pm e avvocati.