giovedì 23 luglio 2015

Bancarotta, rinviato a giudizio il senatore Denis Verdini.

Bancarotta, rinviato a giudizio il senatore Denis Verdini

La decisione del gup di Firenze arriva nell'ambito di un procedimento sul fallimento di un'impresa edile che aveva un debito di 4 milioni di euro con il Credito Cooperativo fiorentino, presieduto all'epoca dall'esponente di Forza Italia. 

Il senatore Denis Verdini è stato rinviato a giudizio dal gup di Firenze. La decisione è arrivata nell'ambito di un procedimento in cui viene ipotizzata la bancarotta fraudolenta e la bancarotta preferenziale per il fallimento di una ditta che aveva un debito di 4 milioni di euro con il Credito Cooperativo fiorentino, presieduto all’epoca dall’esponente di Forza Italia. A giudizio anche due imprenditori, padre e figlio. La prima udienza del processo si terrà il 13 ottobre.

La ricostruzione dell’accusa - Secondo l'accusa, nel 2010 ci sarebbe stata una triangolazione di denaro fra il Credito Cooperativo fiorentino e le imprese di Ignazio Arnone, la Srl Arnone, e del figlio Marco, la Cdm Costruzioni. 

La srl Arnone, dichiarata fallita nell'ottobre 2011, aveva un debito di 4 milioni con la banca di Verdini. 
In pratica, per la procura la banca avrebbe affidato alla Cdm costruzioni dei lavori di ristrutturazione di una sua filiale, pagandoli circa 1,7 milioni. Parte di quella cifra sarebbe stata girata dalla Cdm Costruzioni alla Srl Arnone, grazie a una sorta di subappalto che i pm ritengono sia stato fittizio, nel senso che quei lavori non sarebbero stati eseguiti. La Srl Arnone avrebbe così potuto versare 750 mila euro alla banca, per coprire parte del suo debito. Secondo la procura, Verdini sarebbe stato il regista di questa operazione, che da una parte avrebbe provocato il fallimento della Cdm Costruzioni, nell'agosto 2012, e dall'altra avrebbe favorito il Credito Cooperativo rispetto agli altri creditori della Srl Arnone.

L’avvocato di Verdini: “Capo d’imputazione non sta in piedi” - “Se l'imputato si fosse chiamato Giuseppe Rossi non sarebbe stato rinviato a giudizio – ha commentato Massimo Rocchi, legale di Denis Verdini –. Il capo di imputazione non sta in piedi perché è contradditorio. Si contestano due condotte che non possono esistere contemporaneamente”.

L’incontro con Berlusconi - “Dopo il leader di Sel, Vendola, ora tocca a Verdini. Oggi è il giorno del giudizio, anzi del rinvio a giudizio”, ha detto invece il neocapogruppo al Senato del Movimento 5 Stelle Gianluca Castaldi. “Verdini che andrà a processo per bancarotta fraudolenta è la giusta 'benedizione' per l'avvio dell'avventura politica della nuova stampella del governo Renzi”, ha aggiunto. Il riferimento è alla possibile uscita del senatore da Forza Italia per formare un nuovo gruppo. 

Per discutere della questione, Verdini in mattinata ha visto Silvio Berlusconi a palazzo Grazioli. L'incontro era stato programmato da tempo per tentare un chiarimento nei rapporti politici, dopo le tensioni degli ultimi mesi. Ma, secondo alcune indiscrezioni, Verdini si sarebbe recato dall'ex premier con già in tasca la lettera da inviare al presidente del Senato Pietro Grasso con la comunicazione della nascita del nuovo gruppo e l'adesione di 11 senatori in tutto. Alla fine dell’incontro, Verdini non ha rilasciato dichiarazioni.

http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2015/07/23/denis_verdini_rinviato_a_giudizio_senatore_forza_italia_bancarotta.html

Ilva, disastro ambientale: a giudizio anche Vendola.

 Ilva, disastro ambientale: a giudizio anche Vendola

L'ex presidente della Regione Puglia è accusato di concussione aggravata, in concorso con l'ex responsabile Rapporti istituzionali dell'Ilva Girolamo Archinà, l'ex vice presidente di Riva Fire Fabio Riva, l'ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto Luigi Capogrosso e il legale dell'Ilva Francesco Perli.

Il gup del tribunale di Taranto Vilma Gilli ha rinviato a giudizio 44 persone fisiche e 3 società per l'inchiesta sul presunto disastro ambientale provocato dall'Ilva. Altri due imputati sono stati condannati con rito abbreviato. Tra le persone rinviate a giudizio per il presunto disastro ambientale c’è anche l'ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola; è accusato di concussione aggravata in concorso.

Vendola a giudizio - Secondo l'accusa, Vendola avrebbe esercitato pressioni sul direttore generale di Arpa Puglia (Agenzia regionale di protezione ambientale), Giorgio Assennato (a sua volta a giudizio per favoreggiamento personale), per far "ammorbidire" la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall'Ilva. In questo modo, sostiene la Procura, Vendola avrebbe consentito all'azienda di continuare a produrre senza riduzioni di emissioni inquinanti, come invece suggerito dall'Arpa in una nota del 21 giugno 2010 stilata dopo una campionatura che aveva rilevato picchi di benzoapirene. 
Vendola avrebbe 'minacciato' la non riconferma di Assennato, il cui mandato scadeva nel febbraio 2011. I fatti contestati sono compresi nel periodo che va dal 22 giugno 2010 al 28 marzo 2011. La concussione aggravata è contestata a Vendola in concorso con l'ex responsabile Rapporti istituzionali dell'Ilva Girolamo Archinà, l'ex vice presidente di Riva Fire Fabio Riva, l'ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto Luigi Capogrosso e il legale dell'Ilva Francesco Perli.

ALTRO CHE GRECIA. L'ITALIA E' LA BOMBA INNESCATA SOTTO L'EURO. - Maurizio Blondet

economia


..Ed anche Renzi ha avuto il suo “Berlusconi’s Moment”: meno tasse per tutti! Via l’IMU prima casa! 45 miliardi che restano nella vostre tasche! Così, adesso, si vede benissimo perché ce l’hanno messo sopra, quegli stessi che ci avevano messo sul collo Mario Monti e il Letta GeyAr: per rimbambirci di annunci contrari alla realtà, farci sperare (sempre meno) in “riforme” che non hanno alcuna intenzione di fare – le vere riforme urgenti sarebbero l’abolizione delle Regioni e l’espulsione dall’Italia di Sicilia, Calabria e Campania, eventualmente, e la riduzione dei vitalizi dei magistrati (ciascuno dei quali va’ in pensione con 9 mila euro mensili netti). Monti e Letta jr non erano bravi – non abbastanza spudorati – a cacciare balle come questo qui, per questo li hanno sostituiti.

Perché intanto, come ha comunicato Unimprese, “prendiamo atto con stupore delle promesse del premier. Il presidente del consiglio parla di un taglio delle tasse da 45 miliardi di euro. I numeri ufficiali dello stesso governo vanno nella direzione opposta. Col Documento di economia e finanza già approvato è stato certificato, per i prossimi 5 anni, l’aumento della pressione fiscale oltre il 44% e si va incontro a una stangata fiscale da oltre 100 miliardi. Dal 2015 al 2019, le entrate tributarie dello Stato cresceranno costantemente e arriveranno fino agli 881 miliardi del 2019. Complessivamente nel prossimo quinquennio i contribuenti italiani dovranno versare nelle casse pubbliche 104,1 miliardi in più rispetto allo scorso anno (+13%).Sulle imposte dirette e indirette – principalmente Irpef, Ires e Iva – ci sarà una stretta da quasi 80 miliardi. Il bilancio statale non sarà sforbiciato: le uscite cresceranno di quasi 38 miliardi(+4%) e sono stati sterilizzati gli investimenti pubblici, che resteranno stabili attorno ai 60 miliardi l’anno.”
In altre parole: le caste parassitarie e inadempienti, invece di ridursi i privilegi ormai scandalosi, gestiscono l’austerità dettata da Berlino, Bruxelles e BCE. Come sapete, ci hanno ordinato di rientrare entro il 60% del rapporto debito pubblico sul Pil. E loro lo fanno, perché così si legittimano agli occhi di quelli là sopra, e possono continuare le loro dilapidazioni e delle loro ricchezze indebite. Renzi? Fa’ il commento musicale  alla nostra discesa negli abissi.
Naturalmente non riusciranno al loro scopo. L’austerità obbligata è precisamente quella che aumenta il debito pubblico rispetto al Pil (che decresce). E’ già stato provato, è la ragione della rovina inarrestabile e incurabile della Grecia.
Una sola magra consolazione: sarà la nostra Italia, esplodendo, a far esplodere l’eurozona. Una soddisfazione da kamikaze…
Se n’è accorto l’austriaco Der Standard:
http://derstandard.at/2000019132046/Faule-Kredite-in-Italien-auf-193-Mrd-Euro-gestiegen
Che ha gettato un occhio sui problemini del nostro settore bancario. Un grafico molto eloquente è questo:

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E’ la mappa dei crediti andati a male – di cui i debitori non pagano più i ratei   –   che aggravano le nostre banche. Il costo delle “autonomie”  delle  Regioni criminali (pardon, meridionali) salta agli occhi. Ma non è che le regioni “rosse” e il Lazio (parassiti pubblici) stiano  tanto  meglio. Il 10,1 per cento dei crediti accordati dalle banche italiane non  “funziona”. Si tratta del livello più elevato dal 1996. Le imprese italiane private e produttive – specie le piccolo-medie –   muoiono come mosche, incenerite da otto anni di recessione – depressione e dal nodo scorsoio del fisco. Cessano ovviamente di pagare i fidi. I privati cessano di pagare i mutui. Le famiglie non pagano le rate per l’auto…una parte enorme della società è insolvente e non in grado di rimborsare i loro crediti. L’ammontare dei crediti “non funzionanti” era, a maggio, di 193, 7 miliardi di euro; in aumento di 25,1 miliardi rispetto al maggio 2014. E la cosa sta per peggiorare, come mostra quest’altra tabella:
Oltre ai prestiti andati completamente a male (NPL, non-performing loans), si vede qui la crescita dei prestiti “di qualità inferiore”, dove i debitori sono in una lista di allarme, quelli i cui ratei non sono stati pagati da oltre due mesi…

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Dunque: le banche italiane crollano sotto il peso di crediti dubbii (350 miliardi); lo stato italiano aumenta il proprio debito pubblico rispetto al Pil, e tuttavia i “mercati” comprano i nostri titoli di debito a tassi bassi, come se l’Italia fosse “sicura”. E forse perfino lo è: dopotutto, siamo il quarto paese come crediti andati a male. Prima di noi ci sono Grecia (ovviamente), Irlanda, e Slovenia.

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Solo che il nostro debito pubblico è il più grosso, che le nostre banche sono strapiene di debito pubblico italiano (vero che l’hanno comprato coi trilioni creati da Draghi all’1 per cento), e la caduta dell’economia, dei consumi e delle imprese non si ferma, in un paese per di più in tale fase di invecchiamento, che nel nostro futuro c’è l’ovvio aumento di spese sanitarie e assistenziali per una popolazione sempre più improduttiva, non fosse che per limiti di età.
La BCE continua a pompare 60 miliardi al mese di denaro creato dal nulla, ciò che probabilmente ritarda il peggio.  Fino al prossimo imprevisto, probabilmente in autunno, l’incendio che l’Italia estenderà all’Europa farà apparire quello della Grecia un piccolo falò.
Lo spettacolo del resto del mondo non è più confortante. La Cina, si calcola, ha un debito attorno al 220 % del Pil, e il suo Pil rallenta. Il rallentamento trascina un paese prospero in un insospettabile declino: l’Australia. Causa: il crollo dei prezzi dei suoi prodotti minerari perché il principale cliente, la Cina, non compra più. Il minerale ferroso, che si vendeva a 180 dollari a tonnellata nel 2011, adesso viene 50. Il carbone è calato da 150 a 60. Sicchè il debito pubblico australiano sta crescendo (è al 60%), e il principale conglomerato minerario, Hankock di Perth, ha avvisato i suoi dipendenti: o accettate un taglio del 10 per cento dei salari, o cominciamo a licenziare.
Il debito del mondo: 3 volte il Pil mondiale
Direte: che senso ha occuparci dell’Australia, con i problemi che abbiamo in Europa, anzi in casa? Perché uno sguardo d’orizzonte sul globo mostra un fatto inquietante: se la Terra fosse uno stato, il suo debito (unendo debiti pubblici, di famiglie e di imprese) sarebbe 286% del suo Pil. Il che pone un enigma: chi sta prestando i soldi al mondo, visto nel sistema solare, fino a Plutone, non sembra esistano mercati finanziari funzionanti?
Global-Debt-Growth2
Scherzi a parte, anche la trentennale corsa della mega-finanza a indebitare il mondo sembra aver raggiunto una specie di capolinea. Si arriva al punto in cui il credito non produce più crescita; questo punto viene rimandato con alcuni trucchi molto visibili oggi, essi stessi sintomi malsani: l’abbassamento artificiale dei tassi d’interesse  (da parte delle banche centrali) che allo stesso tempo aumenta il reddito disponibile (per esempio delle famiglie per comprarsi a rate l’auto nuova) che “punisce” il risparmio, due molle potenti per indurre ad indebitarsi ancora un po’… finchè anche questo “ancora un po’” finisce. Oggi, coi tassi d’interesse sui depositi sotto zero e i gli interessi sui debiti quasi zero, si vede che si è raggiunta la condizione tristissima di “saturazione del debito”: anche inondare il settore finanziario con altro credito non innesca nuove richieste di prestiti né porta avanti i consumi.
E non è affatto strano che il tentativo di espandere i consumi produca ritorni calanti: il reddito netto degli individui e famiglie ristagna per il 95% della popolazione in basso, perché il 5 per cento (e non parliamo dell’1% supremo) hanno cercato la massima efficienza dei loro capitali, consistente nel retribuire sempre meno il lavoro. E ridurre ancor più il prezzo del denaro, con gli interessi a zero, è semplicemente impossibile. Aggiungiamo che la vasta espansione del debito pesa sulle deboli spalle di indebitati sempre più « marginali », quelli che riempiono le banche di crediti andati a male, dubbi e in ritardo di pagamento – lo stato italiano in fondo è uno di questi debitori marginali, solo enormemente più grosso, il che accresce appunto il rischio delle banche, rischio di non vedere più indietro quel che hano prestato (creando denaro dal nulla), e rischio insomma di collasso sistemico.

La causa iniziale,  il divorzio Tesoro-Bankitalia
Magrissima soddisfazione di tipo filosofico : la finanza globalizzata raccoglie infine i danni delle liberalizzazioni che aveva comandato (via governi e massonerie) allo scopo di estrarre per sé un tributo maggiore dall’economia reale. Per quanto riguarda l’Italia – ma la stessa cosa avvenne in Francia negli stessi anni – tutto è cominciato col « divorzio fra Tesoro e Banca d’Italia » . Il matrimonio consisteva in questo : che quando il Tesoro (lo Stato) emetteva titoli del debito pubblico, la Banca centrale comprava la quota di essi che restava eventualmente invenduta sul mercato finanziario privato. Ciò calmierava gli interessi passivi che lo Stato doveva pagare per indebitarsi ; in più,  poteva accedere ad una anticipazione di tesorerie presso la Banca d’Italia fino al 14% delle spese iscritte a bilancio, ed aveva il potere legale di modificare il tasso di sconto.
Oggi vi fanno credere che con questo sistema (si chiama sovranità monetaria) lo Stato spendeva e spandeva.  In realtà, nel 1980, il debito pubblico era il 56,8 per cento del Pil. Poi, il 12 febbraio 1981, il ministro del Tesoro di allora scrisse al governatore di Bankitalia una lettera che sanciva il « divorzio ». Da quel momento lo stato dovette cercare i prestiti sui « mercati », e fu in loro balia.  « Si assistette a una vera e propria esplosione della spesa per interessi passivi. Se alla fine degli anni ’60 essa si assestava poco sopra il 5%, nel 1995 aveva raggiunto circa il 25%. Il tasso di crescita della spesa per interessi tra il 1975 e il 1995 fu del 4000%. In valori assoluti, la spesa per interessi passivi, sostanzialmente stazionaria fino a quell’anno, passò dai 28,7 miliardi di Lire del 1981 ai 39 dell’anno successivo, fino ai 147 del 1991. La crescita del deficit annuo rispetto al PIL, derivante dalla spesa per interessi passivi, portò in pochi anni il rapporto debito/PIl dal 56,86 del 1980 al 94,65% del 1990, fino al 105,20% del 1992. Tale rapporto, nonostante le politiche di austerità degli ultimi 20 anni, non è diminuito”.

http://www.ereticamente.net/2014/03/il-divorzio-tra-banca-ditalia-e-tesoro.html

Perché mai il governo italiano abbandonò un sistema così vantaggioso (il matrimonio fra Bankitalia e Tesoro aveva finanziato le opere pubbliche del boom) per adottare un sistema così palesemente disastroso per noi cittadini e contribuenti? Il nome del ministro di allora – Beniamino Andreatta – e del governatore di Bankitalia del tempo – Carlo Azeglio Ciampi – fa’ intuire la risposta: l’obbedienza ad un ordine internazionale, di stampo massonico.  Come dicevo, la stessa cosa fece il governo in Francia nello stesso periodo: governo socialista. I più fedeli servi del grande capitale.

Si conferma il detto di Ezra Pound: “Un popolo che non s’indebita fa’ rabbia agli usurai”.
O detto altrimenti: la finanza speculativa transnazionale non sopportava di esser tagliata fuori dalle rendite del debito pubblico. Voleva estrarre il suo esoso tributo dai contribuenti di tutti i paesi occidentali, quanto più possibile; e tenere gli Stati in sua balia, preda delle oscillazioni e delle paturnie dei “mercati”. Ne ha divorate, di rendite, dalle nostra tasche; trilioni, nei decenni, di interessi lucrati, sottratti allo sviluppo del Paese. 

Adesso è l’avidità usuraria ha raggiunto il proprio limite. I suoi trucchi sono sempre meno efficaci – e Renzi è il più sfiatato di questi.
(Naturalmente, vera riforma sarebbe: nazionalizzare la banca centrale, riassoggettarla al Tesoro…Ma non si può.  La UE è lì che veglia).

Maurizio Blondet
Fonte: www.maurizioblondet.it/
Link: http://www.maurizioblondet.it/altro-che-grecia-litalia-e-la-bomba-innescata-sotto-leuro/
21.07.2015

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=15342

Solarnia - L'isola dei tuoi sogni esiste davvero!



Sogni un'isola lontana dallo smog, senza trivelle all'orizzonte, dove l'energia provenga dal sole e dal vento? Solarnia è il posto che fa per te: un'isola 100% rinnovabile!
Solarnia non è un'isola reale, o almeno non ancora, ma nemmeno un'utopia. Diverse isole già oggi soddisfano il proprio fabbisogno energetico con le rinnovabili (come El Hierro, alle Canarie), e altre hanno scelto la stessa strada (le Hawaii avranno elettricità 100% rinnovabile al 2035).
Mentre il mondo va nella direzione delle rinnovabili e dell'efficienza, l'Italia rischia di perdere il treno dello sviluppo sostenibile e di mettere in crisi il turismo anche per la decisione del governo di trivellare i nostri mari alla ricerca di combustibili fossili, in particolare petrolio e gas. Lo stesso petrolio che una ventina di piccole isole italiane non connesse alla rete elettrica nazionale - fra cui Favignana, Lampedusa, Pantelleria, Ponza, Tremiti, Giglio e altre – ancora usano per produrre quasi tutta la loro energia mediante vecchi generatori diesel, costosi e inquinanti.
I fumi di questi generatori inquinano l'aria di troppi paradisi delle nostre vacanze e il trasporto di idrocarburi è un altro rischio che si aggiunge alle trivelle che minacciano questi mari meravigliosi. Ma la cosa più assurda è che l'energia prodotta su queste isole con il petrolio viene pagata in bolletta da tutti noi con oltre 60 milioni di euro l'anno. Noi vogliamo che questi soldi non siano sprecati per finanziare un sistema basato sul petrolio, che oggi rischia di trasformare il Mediterraneo in un mare di trivelle, ma usati per realizzare un modello energetico verde e sostenibile.
Sole, vento ed efficienza energetica sarebbero una svolta non solo per l'ambiente, ma anche per l'economia e l'occupazione.

In queste settimane il Ministero per lo Sviluppo Economico sta scrivendo un decreto per modificare il sistema di produzione di energia su queste isole. È ora di prendere una direzione chiara. Basta petrolio: è il momento di sole, vento e efficienza energetica. Trasforma in realtà l'isola dei tuoi sogni.
Vai sul link e firma la petizione.

"Titolo falso per fare il primario" Tutino, s'indaga per danno erariale. - Riccardo Lo Verso

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Dopo la Procura ordinaria si muove anche quella regionale della Corte dei Conti. L'ipotesi è che l'azienda ospedaliera Villa Sofia abbia provocato un danno erariale, assegnando al chirurgo plastico il ruolo di primario senza che ne avesse i titoli.

PALERMO - La Procura regionale della Corte dei Conti irrompe nel caso Tutino. I pubblici ministeri contabili ipotizzano che l'azienda ospedaliera Villa Sofia abbia provocato un danno erariale assegnando al chirurgo plastico il ruolo e di conseguenza lo stipendio di primario senza che ne avesse i titoli.

Negli uffici di via Filippo Codova sono iniziati gli interrogatori. L'impressione è che i pm contabili abbiano atteso gli esiti delle indagini della Procura ordinaria - Tutino è finito ai domiciliari e sotto inchiesta c'è pure l'ex commissario dell'azienda ospedaliera Giacomo Sampieri - prima di attivarsi.

Si parte dal tanto contestato curriculum del medico personale del governatore Rosario Crocetta che Sampieri volle accanto a sé, chiamandolo in comando da Caltanissetta dove si erano conosciuti quando era direttore sanitario del Sant'Elia. Poi, fu bandito il concorso per primario di Chirurgia plastica e maxillo facciale. Tutino vinse la concorrenza di altri candidati che fecero ricorso al Tar, sostenendo che il collega  non avesse i titoli. Il Tribunale amministrativo, però, dichiarò il ricorso inammissibile senza entrare nel merito.

Infine è arrivata l'inchiesta dei pubblici ministeri ordinari che contestano a Tutino il reato di falso. Avrebbe, infatti, omesso di avere riportato una condanna penale. Un precedente giudiziario che avrebbe bloccato la sua nomina, così come il procedimento disciplinare per alcuni interventi eseguiti senza autorizzazione a Caltanissetta. Il procedimento fu trasmesso a Palermo dove rimase, secondo l'accusa dolosamente, nel cassetto di Sampieri, fino a fare scadere i termini.

Agli atti dell'inchiesta c'è il parere che l'azienda sanitaria chiese al ministero dell'Istruzione sul “titolo conseguito da Tutino all'Albert Einstein College of Medicine” di New York. “Trattandosi di titolo conseguito a seguito di un percorso formativo della durata di cinque mesi - scrissero dal Miur - non può trovare corrispondenza con titoli accademici rilasciati da università italiane e pertanto non può essere oggetto di riconoscimento”. Insomma, non poteva essere utilizzato in Italia anche perché l'eventuale riconoscimento doveva passare dal ministero della Salute. Da qui l'inchiesta per il presunto danno erariale avviata ora dalla Procura regionale della Corte dei Conti.


http://livesicilia.it/2015/07/22/matteo-tutino-primario-falso-titolo-inchiesta-palermo-ospedale-villa-sofia-danno-erariale_649961/

martedì 21 luglio 2015

Uniti per spartirsi le poltrone. Alessandro Di Battista.





Sono meravigliosi. In TV Vendola dà del “fascista” a Salvini il quale risponde con un modernissimo “comunista”. In commissione invece, fuori dalla portata delle telecamere, vedi deputati di SEL e della LEGA seduti di fianco, con carta e penna. Li senti dire frasi straordinarie: “questo a te e questo a me”. "Tu segretario e io vice-presidente. Basta che al M5S non vada nulla".

Quando si tratta di rimborsi elettorali o poltrone non sono più fascisti ne comunisti. Diventano alleati. Tipo Renzi e B.

Oltretutto dovete sapere che oltre agli indegni stipendi i parlamentari che hanno cariche nelle commissioni prendono un'altra indennità. 800 euro in più al mese ai presidenti, 500 ai vice e 300 ai segretari di commissione.

Il M5S è stato escluso più o meno da tutti gli uffici di presidenza (gli organi di governo) delle Commissioni parlamentari. E sapete perché? Perché NOI ABBIAMO RINUNCIATO A TUTTE LE DOPPIE INDENNITA' DI CARICA. Vogliono i soldi ma soprattutto temono il buon esempio!

Io, il giorno stesso della mia elezione a vice-presidente della Commissione Affari esteri sono passato all'ufficio competenze per i parlamentari per rinunciare all'assegno. Oggi non mi sarà più possibile rinunciare e far risparmiare migliaia di euro all'anno ai cittadini. LEGA, SEL e FORZA ITALIA si sono messi d'accordo e si terranno tutto il malloppo. Mi raccomando, rivotateli!


https://www.facebook.com/dibattista.alessandro/photos/a.310988455679892.65829.299413980170673/735042179941182/?type=1&theater