giovedì 9 maggio 2019

"DIÓGENES" (1882) del pittore JOHN WILLIAM WATERHOUSE, (1849-1917) Galería de arte de Nueva Gales del Sur, Sidney, Australia.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che sorridono, persone in piedi, cappello e spazio all'aperto"DIÓGENES" (1882) del pintor JOHN WILLIAM WATERHOUSE, (1849-1917) Galería de arte de Nueva Gales del Sur, Sidney, Australia.

Nella pittura di Waterhouse, Diogene, l'antico filosofo asceta che viveva in una vasca e portava una torcia alla ricerca di un uomo onesto, offre un sorprendente contrasto con le attraenti giovani donne e i loro fiori perfettamente luminosi. Secondo Angus Kramer, questo lavoro chiude il palco nella carriera di Waterhouse quando ha lavorato sotto l'influenza dell'esattezza archeologica di Lawrence Alma-Tadema.

Il dipinto storico di Waterhouse porta lo spettatore in una bella giornata primaverile o estiva nell'antica Grecia: il sole è spento e il cielo è limpido. Le persone si incontrano fuori in una sorta di evento sociale, il cui momento sembra del tutto idilliaco. Il trattamento del marmo e la fedele ricostruzione dell'architettura del tempio dorico sullo sfondo (la vasca di Diogene era secondo la tradizione presa dal Tempio della Madre degli Dei), anche gli ombrelloni di aspetto tipicamente giapponese, come i numerosi dettagli del Costumi, tutti sono stati eseguiti con grande cura.
Le tre donne attraenti a prima vista sembrano contente, e la casa d'acqua contrasta direttamente con il medesimo Diogene, anche se concentra le intenzioni della pittura.

Quasi tutto ciò che potrebbe essere diverso tra le donne e Diogene sembra essere così. Le donne sono allegre e indossano abiti luminosi e colorati, la cui lucentezza è enfatizzato ancora di più dalla luce del sole. Diogene, uno dei fondatori del cinismo filosofico, nel frattempo, rimane nelle ombre con un testo in mano, con un'espressione piuttosto cupa e con vestiti marrone piuttosto scuri. Le donne che si inchinano in avanti sembrano incuriosite da quest'uomo che sembra di cattivo umore e sembra che non apprezzi il clima favorevole e hanno iniziato ad avvicinarsi a lui. Il modo in cui l'interazione sarebbe potuta essere prodotta si lascia allo spettatore, ma Waterhouse ci porta a confrontare Diogene e tutto ciò che lui rappresenta, il cinismo e il bisogno di cambiamento, con le tre donne godendo allegramente di una bellissima giornata.

Fuente: thevictorianweb/cndlsc

Yangshun Cina, Collina della luna.

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Domus Aurea, riemerge Sala della Sfinge. - Silvia Lambertucci


Creature acquatiche. ansa/ufficio stampa parco archeologico del Colosseo

ANSA anticipa scoperta. Russo "frutto del lavoro di tutela".

Pantere, centauri rampanti, persino una sfinge che svetta muta e solitaria. Sontuosa ed interamente decorata, torna alla luce, dopo duemila anni a Roma, una nuova sala della Domus Aurea neroniana. Scoperta eccezionale ed emozionante, anticipa l'ANSA, nella quale i tecnici si sono imbattuti mentre intervenivano per restaurare la volta di un ambiente contiguo.


Figura armata con pantera. ansa/ufficio stampa parco archeologico del Colosseo


Centauro. ansa/ufficio stampa parco archeologico del Colosseo

"E' il frutto della nostra strategia puntata alla tutela e alla ricerca scientifica - spiega la direttrice del Parco Archeologico del Colosseo, Alfonsina Russo- rimasta nell'oscurità per quasi venti secoli, la Sala della Sfinge ci racconta le atmosfere degli anni del principato di Nerone". 
La scoperta, raccontano archeologi e restauratori, risale agli ultimi mesi del 2018, grazie ad un ponteggio montato per restaurare la volta della sala 72 della Domus Aurea, una delle 150 attualmente note dell'immensa dimora diffusa che l'imperatore si fece costruire nel 64 d.C dopo il grande incendio che aveva devastato Roma, con superbi padiglioni che si susseguivano senza soluzione di continuità, sul modello delle regge tolemaiche, da un colle all'altro della capitale dell'impero romano.

"Ci siamo imbattuti in una grande apertura posta proprio all'imposta nord della copertura della stanza", scrive nella sua relazione Alessandro D'Alessio, il funzionario responsabile della Domus Aurea. Le lampade che i tecnici avevano a portata di mano per illuminare i ponteggi hanno fatto il resto: "rischiarata dalle luci artificiali è apparsa d'un tratto l'intera volta a botte di una sala adiacente completamente affrescata".

Un tesoro che si è scelto di mettere subito in salvo, spiega ancora il tecnico, con un intervento che si è concluso agli inizi di quest'anno. Peccato che una larga parte della nuova sala, che ha la pianta rettangolare ed è chiusa da una volta a botte anch'essa fittamente decorata, sia ancora interrata, sepolta sotto quintali di terra su ordine degli architetti di Traiano ,che proprio qui, sopra la reggia dell'odiato Nerone, fece costruire un complesso termale. "Ma non è detto che debba rimanere così - spiega all'ANSA D'Alessio - ora che è stato concluso il lavoro di messa in sicurezza, valuteremo il da farsi. E' possibile anche che si decida di liberare dalla terra l'intera sala"

Quello che emerge al momento racconta però già molto di questa grande stanza, che anche ai tempi di Nerone doveva essere non molto illuminata e che per questo si decise di decorare con un fondo bianco sul quale risaltano eleganti figurine suddivise in riquadri bordati di rosso o di giallo oro. In un quadrato il dio Pan, in un altro un personaggio armato di spada, faretra e scudo che combatte con una pantera, in un altro la piccola sfinge, che svetta su un piedistallo. E poi creature acquatiche stilizzate, reali o fantastiche, accenni di architetture come andava all'epoca, ghirlande vegetali e rami con delicate foglioline verdi, gialle, rosse, festoni di fiori e frutta, uccellini in posa. Proprio questo tipo di decorazione, che si ritrova anche nella Domus di Colle Oppio e in altre sale e ambienti della Reggia neroniana come il Criptoportico 92, porta gli esperti ad attribuire la Sala della Sfinge alla cosiddetta Bottega A, operante tra il 65 ed il 68 d.C.  

http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/arte/2019/05/08/domus-aurea-riemerge-sala-della-sfinge_1e6a50d5-48dc-4a6c-bba9-9bbd72d6f1a1.html

La corruzione è come la tosse. Se non la curi tossisci tutta la vita. - Antonello Caporale

La corruzione è come la tosse. Se non la curi tossisci tutta la vita

Un male endemico è una malattia cronica. Resta appiccicata nel corpo e spunta, ogni volta che le difese immunitarie si abbassano, con il suo malefico buongiorno. Ieri e oggi, e credo nelle giornate che seguiranno, troveremo un po’ ovunque racconti e foto di corruzioni e corrotti, presunti o reo confessi, indagati o solo ingaggiati, di gran mole o di piccolo taglio, del nord lombardo e del sud calabrese. Sono casi che a noi suonano come conferma, non tolgono e non aggiungono a quel che siamo e sappiamo. Tutto uguale a prima. Dov’è la sorpresa? Qual è la sorpresa?
E’ proprio questa indiscutibile e indolente osservazione a doverci fare paura. Perché questa resa al destino è musica per le orecchie di chi seleziona la classe dirigente.
Perché si fa più fatica a convincere una persona onesta e capace a impegnarsi nella gestione della cosa pubblica. Invece lo scaltro, il furbo (o peggio) è lì che sgomita, pronto a far sognare. Elettoralmente fa più audience il secondo che il primo, è prediletto dal popolo chi ha fatto fortuna, a prescindere da come essa si sia costruita. In campagna elettorale valgono le emozioni, le parole, ma di più le promesse. Lo scaltro, e fermiamoci a questo aggettivo, è più performante: giura di arrivare, perché conosce le persone giuste, non per niente è uomo di mondo, dove altri non potrebbero.
Nella naturale selezione dei vincitori e dei vinti i vizi hanno la meglio sulle virtù e per merito nostro non loro. Cosicchè tutto torna normale quando leggiamo, o ascoltiamo o vediamo incastrate in qualche microspia una o più bustarelle. E che sarà mai? Sarà, per dirla in soldoni, che la corruzione fa deragliare un sacco di soldi, e con essi una mole infinita di opportunità. La prima di esse: il lavoro. E la corruzione è consorella della evasione fiscale, perché è figlia di un sistema di controlli corrotto, e l’evasione è la tassa sui poveri da parte dei ricchi.
Ma i poveri, essendo più numerosi dei ricchi, potrebbero far valere nell’urna i loro diritti, e scegliere il diritto al posto del rovescio.
Però se ne scordano. Al più – dopo essere stati uccellati – bestemmiano.

mercoledì 8 maggio 2019

Palermo, tangenti in appalti: 4 arresti. Per 8 imprenditori scatta il Daspo per 12 mesi previsto da legge Spazzacorrotti.

Palermo, tangenti in appalti: 4 arresti. Per 8 imprenditori scatta il Daspo per 12 mesi previsto da legge Spazzacorrotti

Le indagini sono cominciate grazie alla denuncia di un imprenditore edile: il sistema prevedeva pagamenti ai funzionari pari al 2-3% del valore del finanziamento pubblico per la costruzione di scuole e altre opere. Attraverso spese fittizie, poi, riuscivano a recuperare i soldi delle mazzette. Applicato il nuovo articolo 289-bis del ccp: la misura cautelare che prevede il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione.

Truccavano gli appalti pubblici finanziati con fondi del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in particolare per l’edilizia scolastica, chiedendo varie tangenti con un importo che  corrispondeva circa al 2-3 per cento del valore del finanziamento statale. Questo è emerso dalle indagini che questa mattina hanno portata la polizia di Palermo ad arrestare 4 funzionari del Provveditorato opere pubbliche ed eseguire altre 10 misure cautelari nell’ambito dell’operazione denominata “Cuci e Scuci”. Tra gli indagati anche 8 imprenditori. Per loro è stata disposta per la prima volta a Palermo, e tra le prime in Italia, la misura del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per 12 mesi: il provvedimento cautelare previsto dalla cosiddetta legge Spazzacorrottila norma approvata nel dicembre 2018 e fortemente voluta dal M5s.

I 14 indagati dovranno rispondere, a vario titolo, dei reati di corruzione, falso in atti pubblici e truffe aggravate ai danni dello Stato. L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dai sostituti Giacomo Brandini, Francesco Gualtieri e Pierangelo Padova, ha fatto emergere un sistema di tangenti all’interno del Provveditorato opere pubbliche. Le indagine, svolte dalla sezione Anticorruzione della Squadra Mobile di Palermo, sono cominciate grazie alla coraggiosa denuncia di un imprenditore edile, imbattutosi in una richiesta di tangenti da parte di alcuni dei funzionari pubblici, oggi arrestati, nel corso della ristrutturazione di una scuola elementare nella provincia di Palermo.
Nell’ordinanza del gip di Palermo che ha disposto le misure cautelari si legge che l’indagini, tramite numerosi indizi, ha “registrato uno stratificato sistema corruttivo, annidatosi nel settore degli appalti per opere pubbliche e che ha interessato un importante distretto ministeriale deputato a veicolare rilevanti fondi pubblici”. Il modus illecito adottato consentiva all’imprenditore di recuperare l’importo della tangente, attraverso l’inserimento di voci di spese fittizie o maggiorate nei documenti contabili, predisposti dai funzionari infedeli, restando di fatto a carico dello Stato. Gli appalti pubblici in questione riguardano cinque scuole situate nelle province di Palermo, Enna e Catania, un immobile confiscato alla criminalità organizzata e destinato ai Carabinieri per l’alloggio del personale e un altro edificio a Capaci, destinato alla nuova stazione dei Carabinieri.

Cosa prevede la legge Spazzacorrotti.
La nuova norma anticorruzione, approvata il 18 dicembre 2018, ha modificato diversi articoli del codice penale e del codice di procedure penale. In particolare nel cpp è stato inserito l’articolo 289-bis che prevede appunto il divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione: “Con il provvedimento che dispone il divieto – recita la norma – il giudice interdice
temporaneamente all’imputato di concludere contratti con la pubblica amministrazione”.

Trani, ex pm arrestato Savasta: «Mi sono venduto per 120mila euro». - Massimiliano Scagliarini

Ex pm Trani arrestato: «Savasta insabbiò l'indagine su Giancaspro»

Si va verso l'incidente probatorio. La confessione: «Nardi mi ricattava, se mi avessero scoperto era la fine».

«Effettivamente c’è stata la mia deviazione dal punto di vista morale di magistrato e tutto il resto». Antonio Savasta ha ammesso di aver preso circa 120mila euro: un sacco di soldi per vendere la giustizia, eppure quasi nulla rispetto alle molte centinaia di migliaia di euro che sembrerebbero essere passati di mano negli anni in cui nel Tribunale di Trani era in servizio la cricca dei giudici. L’ex pm ha confessato, ammettendo le responsabilità in oltre 200 pagine di verbali: «Ero ai limiti, vi dico sinceramente, del suicidio, vi giuro ho pensato un giorno di buttarmi sotto la metro, non ce la facevo più». Ma ha anche detto di sentirsi «ricattato» da Michele Nardi, l’ex gip tuttora in carcere, e da Flavio D’Introno per conto del quale ha creato procedimenti penali fasulli allo scopo di proteggere l’imprenditore da un processo per usura.

GLI INIZI.
È tutto nelle carte che la Procura di Lecce ha depositato in vista dell’incidente probatorio in cui, da lunedì, Savasta, D’Introno e il poliziotto Vincenzo Di Chiaro (anche lui in carcere) verranno messi a confronto con gli altri indagati (tra cui pure l’ex pm Luigi Scimè, ora giudice a Salerno) per trasformare in prove le decine di ore di interrogatori raccolti dal procuratore Leonardo Leone de Castris e dalla pm Roberta Licci. Le parole di Savasta sono il fulcro di tutto.
Savasta dice di essere stato avvicinato da Nardi «per mero interesse»: «Aveva l’interesse di tutelare il D’Introno, quindi l'interesse suo era ricavare dal D’Introno quanto più denaro poteva essere e spostare diciamo il sottoscritto per tutta una serie di cose, tenuto conto poi che io in quel periodo poi, perché dal 2012 in poi visto i miei problemi disciplinari, e lui si faceva diciamo “non ti preoccupare, ti aiuterò” e infatti poi dopo successe anche nel 2016 (..) e quindi io stavo in una situazione tale che diciamo in un certo senso mi sentivo in debito nei confronti di questa persona, anche se questa persona non ha fatto niente per me». Ma cosa avrebbe promesso Nardi a Savasta? «Vantava ottimi rapporti con il procuratore (Capristo, ndr), e mi rappresentava che grazie alla sua posizione avrebbe potuto in qualche modo fare andare bene le cose anche per me, tutelarmi o rovinarmi». Ed ecco che, sempre secondo Savasta, Nardi gli chiede di aiutare D’Introno sequestrando alcune cartelle esattoriali milionarie: «“Ma perché ci tieni tanto a questa persona?”, dice: “Sai il D’Introno è una persona che mi sta aiutando nella mia vicenda personale, cioè lui in realtà si presta nei confronti di mia moglie a giustificare il fatto che delle volte io faccio delle scappatelle». Insomma, bisogna fare in modo di bloccare le cartelle esattoriali: «Qui entra in gioco la Cuomo (avvocato di D’Introno attualmente interdetta, ndr) che fece un’istanza nel fascicolo dicendo sostanzialmente che c’era uno soggetto, questo Patruno Gianluigi, che era amico di alcuni messi notificatori...».

«IL RICATTO»
È questo, secondo Savasta, il punto di non ritorno. «Feci presente alla Cuomo che probabilmente non avrei chiesto un rinvio a giudizio, loro invece lo volevano (...). E quindi fu lì che il D’Introno diciamo esce fuori una vicenda particolare che è quella che io ritengo diciamo del ricatto. Allora qui dice (D’Introno, ndr) “io ho speso soldi, ho fatto regali a vostro cognato, regali a Nardi, voi siete tutti d'accordo, io cioè in questa situazione non posso essere condannato”. Allora io in questa situazione diciamo ho accettato di fare un rinvio a giudizio, (...) qua si trattava veramente di fare una cosa non giusta, però d'altro canto se questo a un certo punto cominciava a mettere nei guai, cioè a raccontare di queste vicende dalla cartella esattoriale, io in quel periodo ero sotto procedimento disciplinare, ci sono tutte quelle vicende note della masseria e quei procedimenti in questione, cioè una cosa del genere per me avrebbe rappresentato la fine, sostanzialmente da quel momento in poi mi sono asservito a queste richieste del D’Introno». In cambio, per quel primo rinvio a giudizio, intorno a Natale 2014 «il D’Introno mi portò 10.000 euro».

I 120.000 EURO
La Procura di Lecce contesta a Savasta di aver preso circa 300mila euro. Lui, però, rifà i conti e riduce il totale a 120.000, compresi i soldi che D’Introno aveva speso per favorire il cognato del magistrato aprendogli una palestra in locali di sua proprietà, ammettendo anche alcuni viaggi tra cui uno in Turchia: «Vicenda Tarantini 60.000 euro, ristrutturazione della palestra, a dire di D’Introno, aveva speso circa 30-40mila euro, poi le 10.000 euro delle piante che io pensavo fossero regalo di D’Introno invece poi pare che è stato fatturato a Tarantini, i viaggi che lui (D’Introno, ndr) dice “complessivamente ho speso 20mila euro di viaggi tra te, Savino, la sorella, mia sorella... Poi ricordo, come dissi l’altra volta, che a Natale in una busta mise, non ricordo se erano 8-10mila euro come dissi l’altra volta, basta».
LICCI: «Poi c’era altro? Da Trony lei non ha mai comprato niente? Manco un telefonino?».
SAVASTA: «Non mi piacciono i telefonini».
L: «Neanche un televisore?».
S: «No No».
L: «Un frullatore? Niente?».
S: «No no».

LA STANGATA
Una delle accuse riguarda i soldi che Savasta e Nardi avrebbero ottenuto da un altro imprenditore di Corato, Paolo Tarantini, per far sparire una indagine fiscale che era stata inventata apposta: in cambio Savasta dice di aver chiesto 300mila euro, ma di aver avuto molto meno. «A quel punto mia sorella mi consegnò questa cosa, io aprii e dentro stavano circa 60.000 euro. Che questa è la cifra che lui (Tarantini, ndr) ha dato per quanto mi riguarda, naturalmente avendo appreso che Nardi aveva preso 200 eccetera, questo è stato un altro dei motivi per cui dici io cioè questo Nardi, il collega Nardi mi ha messo “nella merda più totale”». Ma da Tarantini arrivano anche i soldi per tacitare un tale Gianluigi Patruno, deferito per falsa testimonianza che minacciava di raccontare del fatto che era stato tutto organizzato da Savasta e D’Introno con l’avvocato Cuomo: «Organizzammo a Corato un incontro a un bar vicino al Duomo di Corato, e li c’era Tarantini, il Tarantini effettivamente diceva all’inizio “io veramente con tutto il rispetto, però non ho in questo periodo... un po’ di difficoltà”, disse “io massimo posso le 40-50.000 euro, non di più”, io dissi “vabbè quello che riuscite a trovare, però io ho necessità con una certa urgenza”, dissi io nella ferocia concordata con il D’Introno, dissi “io è inutile che ritorno a Corato o ci vediamo per prendere soldi eccetera, ve la vedete con D’Introno». E anche D’Introno ci fa la cresta su: «Il D’Introno mi disse questi soldi “allevate” circa 4-5.000 euro da queste 50.000 che mi sono servite perché avevo dei debiti se no mi arrivava a mia moglie delle notifiche", praticamente dice “a parte quello, tutto il resto ho dovuto darglielo al Patruno”. Quindi andai dal Tarantini, il Tarantini disse “io ho dato 50”, dissi “tante grazie ma io non ho ricevuto 50, ne ho ricevuti di meno”, lui disse “Eh si la solita cosa, quel D’Introno”». E poi ci sono i soldi che Tarantini dà a Nardi: «Mi raccontò del fatto che Nardi aveva preso 200.000 con la sorella». L’ex gip avrebbe preso da Tarantini anche altri 30mila euro per truccare un appello di lavoro.

GLI «OMISSIS»
Una parte delle dichiarazioni di Savasta è ancora oscurata, perché fa riferimento a ulteriori episodi di possibile corruzione: riguarderebbero sia fascicoli penali che tributari. Tra le persone coinvolte c’è anche un commercialista, Massimiliano Soave, consulente della Procura di Trani in numerosi procedimenti.

IL CASO D’AGOSTINO
Savasta ha escluso di avere ricevuto tangenti, direttamente o per interposta persona, per favorire il re degli outlet Luigi D’Agostino. Tuttavia ha riconosciuto che avrebbe dovuto astenersi dall’indagine, avendo chiesto favori all’imprenditore barlettano.

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/bat/1138556/trani-ex-pm-arrestato-savasta-mi-sono-venduto-per-120mila-euro.html?fbclid=IwAR3C_1H48Lufvml5GF6M2RGmQwev34Oe7NxuHPyMaKY4sVVcyIrATAgO538

Piantagioni di droga e spaccio in Sardegna: 14 arresti, il capo della banda era un carabiniere. - Nicola Pinna



Chi comprava la droga da loro aveva due possibilità: o pagare con i soldi raccolti durante lo spaccio al dettaglio, oppure andare a rubare e recuperare così le somme richieste. I creditori non aspettavano e facevano sempre valere le loro regole, anche con metodi da film. I proiettili a casa erano il trattamento più gentile. Ed è successo che a farne le spese sia stato il padre di uno di quelli che non avevano ancora pagato, che un giorno ha rischiato di essere travolto in pieno da un’auto lanciata a tutta velocità. Non era un incidente casuale, ma architettato per bene con l’obiettivo di ricordare al figlio dell’anziano di saldare tutti i debiti. Un’altra volta ha rischiato di passarci una donna, una signora che neanche sapeva dei rapporti del figlio con i narcotrafficanti arrestati oggi in Sardegna. Anche lui aveva da versare una cifra ingente per una partita di marijuana e visto che non riusciva a mettere insieme tutto il denaro, la proposta - che di fatto era un’ordine - ha lasciato senza parole anche gli investigatori che intercettavano la banda: «Adesso mandi tua madre a prostituirsi, così porta a casa tutto ciò che ci devi».
Quella finita nella rete degli investigatori (che oggi hanno fatto scattare 14 arresti) era certamente una delle imprese che in Sardegna maturava più utili: quasi 3 milioni di euro nel corso dei cinque mesi in cui i produttori e gli spacciatori sono stati tenuti sotto controllo dai carabinieri della compagnia e del comando provinciale di Oristano. Fin da quando si sono messi sulle tracce di questa organizzazione gli uomini dell’Arma si sono trovati a seguire gli spostamenti e gli affari anche di un loro collega: un militare, ora sospeso dal servizio e da oggi in carcere, che era praticamente il capo di una cellula organizzata come una piccola multinazionale. Era uno dei più temuti dai clienti, perché - dice la procura - usava metodi spietatissimi e qualche volta utilizzava anche la pistola di ordinanza per andare a riscuotere il denaro. La droga che veniva venduta in tutta la Sardegna era tutta prodotta in loco: marijuana a chilometro zero, coltivava all’interno di tante piantagioni, molte delle quali non sono state neanche identificate. L’isola, si sa, è una delle più grandi piattaforme italiane per la produzione di marijuana e i 13 arrestati oggi avevano costruito una filiera capace di arrivare ovunque.
La droga veniva trasportata come se fosse un carico di gioielli: scorta lungo la strada, staffetta per verificare che non ci fossero pattuglie lungo il percorso e uomini armati di fucile e pistola per portare a compimento ogni missione. «Operavano con metodo imprenditoriale, dimostrando con chiarezza che questo era il loro vero lavoro - racconta il comandante provinciale dei carabinieri, Domenico Cristaldi - Non erano spinti dallo stato di necessità o dalla loro tossicodipendenza. Anzi, si vantavano di non aver mai fatto uso di stupefacenti e di non aver neanche mai fumato uno spinello».
Il personaggio che ha stupido di più gli investigatori è di certo il più giovane della banda: un diciannovenne che si occupava soprattutto di far arrivare la droga nelle scuole superiori. Ancora studente all’istituto magistrale, ma già espertissimo nella valutazione degli stupefacenti. Andava a trattare in prima persona con i grossi fornitori ed era riuscito persino a farsi restituire tutti i soldi per una partita che considerava non eccellente. L’addetto al controllo qualità era lui.