lunedì 30 settembre 2019

Riforma giustizia, Bonafede: “Prescrizione? Niente melina. Disposto a incontrare Renzi. E mi interessa il confronto con Pietro Grasso”. - Luca De Carolis

Riforma giustizia, ministro Bonafede: “Prescrizione: niente melina. Disposto a incontrare Renzi”

Alfonso Bonafede - Il Guardasigilli del M5S: “Col Pd partiamo da posizioni differenti, ma non accetto che si perda tempo sulla riforma della giustizia”.


Il ministro che è rimasto dov’era doveva ripartire da lì, dalla sua riforma della giustizia: “Uno dei motivi per cui Matteo Salvini ha fatto saltare il governo è stato quello di fermarla”.
Venerdì scorso, il Guardasigilli Alfonso Bonafede, numero due di fatto del M5S, si è ritrovato a Palazzo Chigi con un altro alleato di governo, il Pd, a misurare la distanza su prescrizione e riforma del Csm. Mentre quello rimasto fuori, Matteo Renzi, gli ricordava che dovranno comunque passare da lui per varare qualsiasi legge.
Uscendo da Palazzo Chigi, lei si era mostrato molto soddisfatto sull’incontro con i dem. Ma poi il Pd ha diffuso comunicati critici sulla sua riforma della prescrizione. Spiazzato?
B. - Non esiste alcun problema sulla prescrizione. Noi e il Pd partiamo da posizioni differenti sul tema, ma quelle sono norme già approvate, che entreranno in vigore a gennaio. Io e gli esponenti democratici siamo stati invece pienamente d’accordo sul varare una legge delega per una riforma che dimezzerà i tempi dei processi penali e civili.
Tanti dem hanno parlato contro la prescrizione: il problema esiste.
B. - Non capisco perché se ne continui a parlare. E comunque io non accetto che qualcuno possa fare melina sulla riforma per poi magari dire a dicembre che esiste un nodo sulla prescrizione. Lavoriamo per ridurre i tempi dei processi.
Conferma che la riforma verrà spacchettata in due leggi delega?
B. - Potrebbe accadere, per permettere al Parlamento di valutare tutto nel modo giusto. La riforma penale e del Csm e quella civile partirebbero in contemporanea in due rami differenti del Parlamento. Ma la priorità sarà approvare entro il 31 dicembre la riforma penale.
Prima della prescrizione, perché non si sa mai…
B. - Guardi, un fatto che nessuno ricorda mai è che i primi effetti processuali della riforma sulla prescrizione entreranno in vigore non prima di quattro anni. Con le nuove norme elimineremo un’isola di impunità, innanzitutto per i colletti bianchi, ed è doveroso nei confronti di persone come i familiari delle vittime della strage di Viareggio.
La nuova prescrizione non piace neanche a Renzi. Non lo avete invitato al tavolo, ma con lui dovrete parlare.
B. - Intendo incontrare gli addetti ai lavori e tutte le forze di governo, prima che la riforma della giustizia arrivi in aula. Per esempio mi interessa molto confrontarmi con Pietro Grasso di LeU.
È disposto a incontrare anche Renzi?
B. - Certamente.
La riforma della prescrizione non convince neanche il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura David Ermini. Soprattutto, è assolutamente critico al sorteggio per i membri del Csm. E venerdì su questo le ha detto no anche il Pd.
B. - È suo diritto esprimere perplessità, ma il punto principale è che la riforma del Consiglio non è contro i magistrati, bensì contro le degenerazioni del correntismo. Io ho difeso le istituzioni e la magistratura quando è scoppiato lo scandalo del Csm, e dal vicepresidente mi aspetterei un atteggiamento positivo, perché è innegabile che ci siano cose da cambiare.
Sul sorteggio sono critici anche tanti addetti ai lavori. E, insisto, il Pd. Lei stesso ha parlato di “divergenze”.
B. - I democratici sollevano un problema di legittimità costituzionale del sorteggio. So che questo aspetto è stato posto da altri, e lo valuteremo assieme. Continuo a pensare che sia una misura giusta, ma l’essenziale è riformare il Csm, cancellando le porte girevoli tra politica e magistratura. È un pacchetto di norme molto ambizioso, e chi lo ostacola rischia di difendere un sistema malato.
Lei è in un governo di cui fa parte Luca Lotti, al centro del caso del Csm. Non è un problema politico che la pone a disagio?
B. - Non parlo di inchieste o di singoli elementi di altre forze politiche. Io valuto quello che mi arriva sul tavolo. Il Pd era consapevole del patto di governo sottoscritto con il M5S, dove tra i punti c’è anche l’esigenza di interrompere i rapporti tra politica e magistratura. I democratici non possono avere dubbi su questo. Anzi, la riforma della giustizia rappresenta un’occasione per eliminare qualsiasi tipo di equivoco sull’argomento.
Invece il Renzi che difende Berlusconi che equivoci genera? Ha detto che a Firenze lo hanno indagato senza prove. Grave, non pensa?
B. - Non mi interessa rispondere a un singolo senatore. Da quando sono ministro però ripeto che la politica deve rispettare la magistratura, a maggior ragione quando si tratta di magistrati che indagano su mafia e terrorismo, mettendo a rischio la propria vita per servire lo Stato.
Torniamo alla trattativa con il Pd. Lei ha bloccato la riforma delle intercettazioni del precedente ministro della Giustizia, quell’Andrea Orlando con cui ora deve trattare. Un problema in più?
B. - Ma no. Venerdì non abbiamo parlato di questo, ma ci confronteremo. Le intercettazioni sono uno strumento fondamentale per la lotta alla corruzione e alla criminalità. Vanno tutelati tutti gli interessi in gioco, a partire da quello alla privacy, e quella riforma pregiudicava per esempio il diritto alla difesa e la qualità delle registrazioni perché i magistrati venivano estromessi nella prima parte delle indagini.
Promettete da tempo il carcere per i grandi evasori. Darete corpo alle promesse, e come?
B. - Certamente, anche se dobbiamo ancora decidere lo strumento. Di certo verranno rideterminate le soglie di punibilità, abbassandole.
Manettari, diranno. E magari hanno ragione…
L’intenzione è colpire persone condannate in via definitiva.
Chi sbaglia deve pagare.

“Dai pentiti a Graviano. Perché vanno indagati Berlusconi e Dell’Utri”.

“Dai pentiti a Graviano. Perché vanno indagati Berlusconi e Dell’Utri”

Settembre 2017 - Davanti alla Commissione parlamentare antimafia il pm Di Matteo spiegò come sono nati i sospetti sui fondatori di Forza Italia per le stragi del 1992-’93.


- Giorni fa gli avvocati di Silvio Berlusconi hanno depositato al processo d’appello per la Trattativa Stato-mafia, per il quale Marcello Dell’Utri è stato condannato in primo grado a 12 anni, la documentazione secondo cui il leader di Forza Italia è indagato a Firenze nell’inchiesta sui mandanti occulti delle stragi del 1993. Matteo Renzi si è detto “attonito”. Secondo lui “sostenere 25 anni dopo, senza uno straccio di prova, che egli sia il mandante dell’attentato mafioso contro Maurizio Costanzo significa fare un pessimo servizio alla credibilità delle istituzioni italiane”. Ecco alcuni motivi per cui dovrebbe essere un po’ meno sorpreso.
Commissione parlamentare antimafia, seduta del 13 settembre 2017, dall’audizione del pm Nino Di Matteo.
Di Matteo: Nell’ultimo periodo, anche grazie a indagini da me e da altri colleghi condotte a Palermo, sono emersi a mio avviso importanti elementi di prova che indicano ulteriormente che la strage (di via D’Amelio, ndr) non fu solo una strage di mafia. Però, proprio in questo momento – e temo che non sia un caso – il dibattito e l’attenzione, invece di concentrarsi sulla necessità di ulteriori approfondimenti in tal senso, si orientano a screditare e delegittimare il mio lavoro e la mia professionalità. (…)
Si finge di dimenticare – e comunque da più parti sistematicamente si ignora – che tra il cosiddetto “via D’Amelio bis” e, ancora più importante, il cosiddetto “via D’Amelio ter” ben ventisei imputati sono stati condannati definitivamente per concorso in strage, nella strage appunto di via D’Amelio. Nel Paese che purtroppo è stato definito “il Paese delle stragi impunite” non mi pare, quello dei ventisei ergastoli definitivi, un risultato irrilevante. Attenzione: ventisei imputati per cui l’affermazione di responsabilità per strage è stata confermata fino alla Cassazione e mai minimamente messa in discussione, neppure dopo le acquisizioni più recenti, che partono dalla collaborazione di Gaspare Spatuzza. Ventisei condanne definitive: non sono stati venticinque anni persi nella ricerca della verità. Il processo di revisione ha riguardato, per quanto concerne le accuse di strage di imputati del cosiddetto “via D’Amelio bis”, sette posizioni. Nessuno dice, nessuno ricorda un dato di fatto che potete facilmente controllare: già all’esito del processo di primo grado di quel troncone “via D’Amelio bis”, sentenze di primo grado del 13 febbraio 1999, sei dei sette soggetti successivamente revisionati erano già stati assolti dalla Corte d’assise di primo grado. Nessuno ricorda, tutti fingono di dimenticare che per tre posizioni di quelle sei erano stati gli stessi pm a chiedere l’assoluzione. (…)
Io ho seguito, tra i processi per la strage, un solo processo dall’inizio delle indagini alla conclusione della sentenza di primo grado: il cosiddetto processo “via D’Amelio ter”. (…) In quel processo sono state irrogate venti condanne per concorso in strage. Quel processo (…) prescinde completamente e assolutamente dalle dichiarazioni di Scarantino Vincenzo. In quel processo, Scarantino Vincenzo non è stato chiamato neppure a testimoniare. (…)
Così parlò Cancemi.
Quella è la sede processuale in cui il pm – all’epoca era un giovane pm che da allora fino a oggi ha cambiato la sua vita ed è costretto a vivere in un certo modo – ha fatto emergere, tra le altre, le piste che portano al possibile collegamento tra l’accelerazione della strage di via D’Amelio e la trattativa Ciancimino-Ros dei carabinieri. Quella, signor presidente, è la sede processuale dove per la prima volta Salvatore Cancemi, un pentito già appartenuto alla commissione provinciale di Cosa nostra, quindi a quella che giornalisticamente viene chiamata “cupola”, in quattro estenuanti udienze affermò che nello stesso contesto temporale – giugno 1992 – nelle stesse riunioni in cui Riina, di fronte agli altri membri della commissione, si assumeva la responsabilità e la paternità di uccidere subito, a meno di sessanta giorni di distanza da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino… Cancemi ha dichiarato in quella sede processuale che in quel momento, in quelle riunioni in cui Riina si assumeva la responsabilità di fare un’altra strage a meno di due mesi da quella di Capaci, citava Berlusconi e Dell’Utri come soggetti che bisognava appoggiare ora e in futuro, e rassicurava gli altri componenti della cupola dicendo che fare quella strage sarebbe stato alla lunga un bene per tutta Cosa nostra, anche per i soggetti già all’epoca detenuti.
Questi sono due degli spunti che ho voluto citare, ma ce ne sono tanti altri, che sono stati alimentati anche recentemente – in particolare il secondo spunto che vi ho detto – da numerose altre acquisizioni che (questo però è il mio avviso) dovrebbero portare a una immediata riapertura delle indagini sui mandanti esterni a Cosa nostra e a un rinnovato impegno collettivo di tutte le Istituzioni nel senso del completamento del percorso di ricerca della verità. (…)
Ancora, presidente, c’è Salvatore Cancemi. Ecco quali sono i tanti spunti. Dal 1993 al 1996, nel momento in cui – credo unico tra i collaboratori di giustizia all’epoca – era sotto la protezione diretta, materialmente custodito, presso una caserma del Ros dei carabinieri… Quando facevamo le citazioni per interrogarlo, non le facevamo tramite il Servizio centrale di protezione, ma il Ros dei carabinieri, non di sua spontanea iniziativa – bisogna dire le cose come stanno – aveva ricevuto personalmente dai procuratori di Caltanissetta Tinebra e di Palermo Caselli l’incarico di custodire materialmente Cancemi. Cancemi viveva al Ros. Dal 1993 al 1996 dice di non sapere nulla della strage di via D’Amelio. Dopodiché, nel 1996 ci chiama e ci dice che aveva partecipato alla strage e, la mattina, ai pedinamenti degli spostamenti del dottor Borsellino. (…) Lui aveva sempre detto che Raffaele Ganci, un altro componente della cupola, gli aveva riferito che Riina aveva parlato con persone importanti e che aveva le spalle coperte da persone importanti. Continuo a chiedere quella cosa e lui risponde, per la prima volta, dicendo: “Ricordo una riunione a casa di Girolamo Guddo, nel giugno del 1992, tra Capaci e via D’Amelio, quando Riina ci disse: ‘Adesso dobbiamo mettere mano – così si esprimono – all’eliminazione del dottor Borsellino’”. Qualcuno degli esponenti chiese: “Perché in questo momento?”. Vi ricorderete tutti che, dopo la prima iniziale reazione che portò al decreto legge 8 giugno del 1992, con l’introduzione del 41-bis, in Parlamento stava maturando chiaramente, e se ne aveva conoscenza da parte dei giornali, una maggioranza contraria alla conversione in legge di quel decreto istitutivo del 41-bis.
Qualcuno a Riina fece notare che fare un’altra strage a ridosso avrebbe comportato delle conseguenze negative, con l’espressione plasticamente raccontata da due collaboratori di giustizia che c’erano alla riunione, Cancemi e Brusca, che Ganci Raffaele utilizzò nei confronti di Riina, dicendo: “Ma che dobbiamo fare, la guerra allo Stato ?”. Riina disse: “La responsabilità è mia. Si deve fare ora. Sarà un bene per Cosa nostra”. Secondo Cancemi, in quel momento avrebbe detto: “Ora e in futuro noi dobbiamo sempre appoggiare Berlusconi e Dell’Utri. Dobbiamo fare riferimento a queste persone. Cosa nostra ne avrà dei benefici”. Signor presidente, mi permetto semplicemente di dire questo a proposito dell’insabbiamento, della Procura para-massonica e via discorrendo. Eravamo due giovani magistrati in particolare all’epoca, io e il dottor Tescaroli, che con quelle dichiarazioni abbiamo chiesto, ottenuto e sostenuto – non siamo stati i soli, perché alcuni magistrati ci appoggiarono – davanti al procuratore capo, dottor Tinebra, che… Adesso, purtroppo, non può confermare, perché è morto. Mi dispiace citare certi particolari, ma è storia. Venne alla riunione con il quotidiano Il Giornale, che in prima pagina titolava “Le balle di Cancemi”. Noi pretendemmo che venissero iscritti per concorso in strage Berlusconi e Dell’Utri, i quali vennero iscritti con i nomi di copertura, a tutela del segreto, che infatti resse per moltissimo tempo, non mi ricordo se Alfa e Beta o Alfa e Omega. Facemmo delle indagini e delle deleghe di indagini che venivano firmate esclusivamente dai due giovani magistrati della Procura, Di Matteo e Tescaroli. Con riguardo agli spunti, non voglio… anche se ho sempre la tentazione di evidenziare le cose che emergono e che riguardano la competenza soprattutto di Caltanissetta e Firenze.
“Il piano per uccidermi”
Con riguardo ai mandanti esterni, prima di passare all’argomento credo più importante, ricorderò sempre il dato che poi è stato ripetuto processualmente anche da un collaboratore di giustizia più recente, Vito Galatolo. Si tratta di quel soggetto, appartenente a una famiglia stragista, che scrisse, nel novembre del 2014, chiedendo di avere un colloquio con me. Io ormai ero alla Procura di Palermo. Come è poi diventato noto a questa Commissione, che si è occupata tempestivamente e molto approfonditamente del caso, questo soggetto, quando fu al cospetto mio e dell’ufficiale di Polizia giudiziaria che mi accompagnava per verbalizzare, non volle verbalizzare niente, ma disse, in maniera molto agitata, che dovevo stare attento, perché l’attentato nei miei confronti era già pronto nei minimi dettagli. Raccontò di aver acquistato e visto l’esplosivo destinato a quell’attentato e, alla mia sommessa domanda “Scusi, ma perché?”, fece un gesto particolare. C’era in quell’auletta della sezione 41-bis del carcere di Parma la fotografia, molto nota, che si trova in molti uffici pubblici, di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Era molto agitato e disse: “La sua situazione è come quella – mi disse, indicando Giovanni Falcone – non come quello, ma come l’altro. A noi com’era avvenuto per l’altro ce l’hanno chiesto. Io ero giovane a quell’epoca, ma sono figlio di mio padre e queste cose le ho sapute”. (…)
Per anni, soprattutto da quando si è pentito Spatuzza, noi abbiamo saputo che il principale protagonista intanto della fase esecutiva della strage di via D’Amelio è stato Giuseppe Graviano. (…) Giuseppe Graviano – lo sappiamo da sentenza definitiva – è stato il principale protagonista degli attentati a Roma, Firenze e Milano del 1993. Oggi sappiamo – noi lo sappiamo da un po’ più di tempo, grazie alla collaborazione che abbiamo sempre avuto con la Procura di Reggio Calabria – che Giuseppe Graviano è stato il principale protagonista dell’accordo con la ’ndrangheta che portò, nei primi mesi del 1994, il 18 gennaio, al duplice omicidio dei due appuntati dei carabinieri a Scilla, Fava e Garofalo, e ad altri attentati, per fortuna falliti, nei confronti dei carabinieri, sempre in territorio calabrese. Soprattutto sappiamo che Giuseppe Graviano è stato il principale protagonista del fallito attentato all’Olimpico del 23 gennaio 1994. Il 27 gennaio, assieme al fratello Filippo, viene arrestato a Milano. Quell’attentato – questo lo sapete meglio di me – è uno dei grandi misteri, in merito non tanto a perché non sia riuscito il 23 gennaio, quanto a perché non sia stato mai più tentato e ripetuto, io dico per fortuna, ma qualcuno… Ci dovremmo chiedere il perché.
Il boss di Brancaccio.
Quando Spatuzza si pentì, fecero scalpore le dichiarazioni sull’incontro al bar Doney, qui a Roma, in via Veneto, incontro che riusciamo a collocare investigativamente proprio pochi giorni prima del 23 gennaio. Spatuzza dice: “Graviano, l’attentato lo dobbiamo fare lo stesso. I calabresi si sono mossi. Dobbiamo dare quest’ultimo colpo. Lo dobbiamo fare lo stesso, tanto ormai comunque ci siamo messi il Paese nelle mani”. Avrebbe fatto i nomi di Berlusconi e Dell’Utri come i soggetti con i quali erano stati stipulati quegli accordi. All’epoca si disse e si scrisse abbondantemente “sì, ma sono delle dichiarazioni de relato. Comunque Spatuzza può essere attendibile, ma dice di avere saputo queste cose da Graviano”. Oggi, con la nostra attività alla Procura di Palermo, con un anno di intercettazioni ambientali dei colloqui tra Giuseppe Graviano e il suo compagno di socialità, c’è la viva voce di Graviano Giuseppe, cioè di quello che era ritenuto il perno di tutte queste vicende, che, quando parla del 1992-93 e delle stragi, parla di cortesie fatte e di contatti politici (si capisce in maniera assolutamente chiara con Berlusconi).
Presidente, mi auguro di sbagliare, rispetto a questa escalation di elementi di prova sul punto, ma temo l’indifferenza, la minimizzazione, lo svilimento ingiustificato della valenza probatoria anche di queste dichiarazioni di Graviano attraverso quella che è, a mio parere, ma questo verrà poi discusso nei processi, la discutibilissima affermazione che è stata prospettata da alcuni difensori, ma fatta propria dalla maggior parte dei giornali, che Graviano sapeva di essere intercettato. A noi risulta il contrario. (…) Ammesso e non concesso che sapesse di essere intercettato, il fatto che si riferisse a quelle vicende e a quelle persone in relazione a quel periodo delle stragi, in ogni caso, in un senso o nell’altro, un significato dovrà pure avere. Presidente, sono veramente tanti gli spunti che dovrebbero ancora essere approfonditi. Molti spunti sono stati il frutto del lavoro, non soltanto mio, per carità, ma di magistrati tra i quali ci sono stato io. Tutto viene concentrato sulla vicenda Scarantino. Si vuole fare credere che tutto il lavoro fatto finora da decine di magistrati non sia servito a nulla. Io temo che questo sia controproducente all’accertamento della verità. Spero che questa mia audizione, finora e per quello che voi mi vorrete chiedere, possa servire anche a stimolare quello sforzo di prosecuzione e completamento del percorso di verità sulle stragi che oggi – lo affermo con molta amarezza, ma con piena consapevolezza e senza enfatizzazione – è rimasto, nel disinteresse generalizzato, sulle spalle di pochi magistrati, pochi investigatori e pochi esponenti della politica. Vi ringrazio per l’attenzione.
Seduta pomeridiana del 19 settembre 2017
Di Matteo: (…) Presidente, (…) vorrei chiedere che si procedesse con la seduta segreta. (…) Credo che dovrò fare riferimento anche a fatti che magari per la Procura di Caltanissetta, di Palermo o di Firenze possono essere di inopportuna diffusione mediatica.
(I lavori procedono in seduta segreta)

sabato 28 settembre 2019

L’inquietante culto di Greta Thunberg. - Rob Slane

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Il Culto di Greta Thunberg è estremamente inquietante e tocca un nuovo livello di bassezza in quella che sembra essere l’agonia della civiltà occidentale. Anche se credessi veramente che il gas presente in natura, che ognuno di noi espira migliaia di volte al giorno e che le piante usano per la fotosintesi, finirà per essere la nostra morte, sarei comunque profondamente disturbato dall’uso che viene fatto di questa ragazzina (chiaramente mentalmente instabile) come bambino poster per la promozione di questo genere di agenda.
Questo video del suo intervento alle Nazioni Unite ne è un esempio emblematico, così come la sua dichiarazione alla riunione di Davos all’inizio di quest’anno, in cui aveva deciso di far conoscere a tutti il proprio marchio di disperata infelicità:
“Gli adulti continuano a dire che dobbiamo pensare ai giovani, che dobbiamo dare loro speranza. Ma io non voglio la vostra speranza. Non voglio che voi siate fiduciosi. Voglio vedervi in preda al panico. Voglio che sentiate la paura che io provo ogni giorno. Voglio che facciate qualcosa. Voglio che agiate come fareste in una crisi. Voglio che vi comportiate come se la casa stesse bruciando, perché è così.”
Gli eventi sostenuti da fatti incontrovertibili non hanno bisogno dell’aiuto di ragazze adolescenti, un tantino inquietanti ed emotive per sostenere la propria causa. Al contrario, una società razionale potrebbe pensare che le ragazze adolescenti un tantino inquietanti ed emotive possano essere in qualche modo di ostacolo ai fatti, perché è probabile che si allontanino da essi e spostino il problema dal regno della ragione e del discorso razionale a quello dell’emozione e dei sentimenti.
Che poi è esattamente il nocciolo della questione e il perché lei faccia quello che fa. Fino all’anno scorso o giù di lì, era assolutamente possibile, senza venire considerati dei pazzi, essere della ragionevole opinione che qualsiasi cambiamento del clima globale non fosse necessariamente il prodotto di azioni umane. Certo, l’accusa assolutamente ipocrita di essere un “negazionista” è stata sempre più utilizzata per diffamare quelli che mettevano in dubbio le suddette affermazioni, sottintendendo che mantenere una simile opinione era come negare il genocidio nazista di milioni di Ebrei. Nonostante ciò, e il fatto che la maggior parte dei media ufficiali tendenzialmente considerasse come un fatto provato l’affermazione che gli esseri umani sono responsabili del cambiamento climatico, era ancora quasi possibile dissentire senza essere trattati come dei paria o come persone molto crudeli.
Questa situazione era chiaramente intollerabile per coloro che hanno più da guadagnare dalla diffusione di queste affermazioni, motivo per cui (almeno così mi sembra) hanno deciso di alzare la posta, usando (e intendo proprio dire USARE) una bambina per perorare la loro causa. E non una bambina qualsiasi. Una che ha una storia di depressione e di altre malattie mentali e che è in grado di fare appelli straordinariamente emotivi e “profetici” al “mondo.” Se si trattasse solo di fatti, non ci sarebbe bisogno di queste tattiche, tuttavia l’incessante riproposta di un simile personaggio è chiaramente destinata a chiudere qualsiasi ulteriore dibattito, perché tutti quelli che criticano il suo messaggio possono ora essere automaticamente etichettati come cafoni insensibili, dal cuore di pietra e senza un minimo di compassione.
Ma ci sono cretinate ancora più emotive. Senza dubbio ci saranno persone che si sono comportate molto male con la signorina Thunberg e, senza dubbio, la ragazzina avrà subito qualche ignobile sopruso. Dopotutto, ci sono molti individui spregevoli a cui piace far del male agli altri. Ma è assolutamente possibile opporsi al suo messaggio, ed è perfettamente ragionevole risentirsi del fatto che sia stata sfruttata in questo modo per promuovere un’agenda portata avanti da quelli molto più in alto di lei nella catena alimentare, e questo senza volerle alcun male o addirittura senza essere spregevoli. Personalmente, le auguro ogni bene e che possa trovare sia la speranza che la felicità.
Vale tuttavia la pena ricordare che non è stato dal campo dei cosiddetti “negazionisti” di fatti e di ragioni che è stata presa la decisione di usare una bambina ansiosa e disturbata per utilizzarla come portavoce globale e farle fare appelli emotivi al mondo. Al contrario, [la decisione] è arrivata da quelli che affermano di avere i fatti, le prove e la scienza consolidata. Perché? Se la scienza è davvero consolidata e i fatti sono davvero incontrovertibili, perché il bisogno di usare una ragazzina vulnerabile per portare avanti la propria agenda, come è chiaramente accaduto?
A livello personale, temo per la signorina Thunberg. Senza dubbio scoprirà, prima o poi, di essere stata usata da coloro che pensava fossero suoi amici, solo per scoprire che erano pronti a lasciarla andare, non appena avesse servito al loro scopo. Finirà, tra 20 o 30 anni, per essere una domanda nelle gare di quiz dei pub e in Trivial Pursuit (sì, credo che il mondo, i bar e i giochi da tavolo saranno ancora tutti qui).
A livello sociale, francamente, la cosa ha tutto lo sgradevole sapore di una deliberata campagna per far vergognare la gente e costringerla al silenzio sfruttando una bambina palesemente molto disturbata. E il fatto che ci siano persone pronte ad usare questo tipo di tattica emotiva per promuovere la propria agenda è davvero abbastanza sinistro e non promette nulla di buono. Siamo pericolosamente vicini a diventare una società interamente governata dall’emozione, piuttosto che dalla ragione, e i risultati si vedono nella crescente incapacità da parte di ampie fasce di popolazione ad accettare anche la sola possibilità che siano consentite opinioni diverse dalla propria.
Che siate d’accordo con il messaggio della signorina Thunberg, che siate scettici o che lo rifiutiate apertamente, il suo sfruttamento e il culto che è cresciuto intorno a lei dovrebbero inquietarvi.
Rob Slane
Fonte: theblogmire.com
Link: http://www.theblogmire.com/the-disturbing-cult-of-greta-thunberg/
23.09.2019
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Stornarella, a 12 anni manifesta da solo in piazza per il clima: il plauso di Emiliano.

Stornarella, a 12 anni manifesta da solo in piazza per il clima: il plauso di Emiliano

Si chiama Potito, ha 12 anni, e con un cartellone su cui ha disegnato una torta farcita con la plastica, questa mattina ha manifestato da solo in piazza a Stornarella contro i cambiamenti climatici, in occasione del Fridays for future.
A raccontare della protesta «isolata» di Potito è Massimo Colia, il sindaco del paese in provincia di Foggia. Sul proprio profilo Facebook il primo cittadino ha scritto: «È ammirevole vedere quanto sia sensibile un bambino di 12 anni che da solo si è appostato in piazza per manifestare contro i cambiamenti climatici, così come stanno facendo migliaia di studenti, oggi, in tutta Italia per aderire al terzo Global Strike For Future».

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La protesta del 12enne ha attirato anche l’attenzione del governatore pugliese Michele Emiliano il quale, rilanciando il post del sindaco su Facebook, ha scritto: «Potito è il mio eroe pugliese di questo #Fridaysforfuture».
«Potito - aggiunge il primo cittadino di Stornarella - ha disegnato su un cartellone una mano tesa che regge una torta farcita di plastica. Mi sono fermato a complimentarmi con lui e gli ho chiesto le ragioni che lo hanno portato ad aderire a questa iniziativa. Mi ha risposto: 'noi siamo figli di questa terra e con il nostro comportamento la stiamo avvelenando, e non può esistere che un figlio avveleni sua madre». «Dovremmo - chiosa Colia - prendere esempio da Potito».

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/foggia/1175573/stornarella-a-12-anni-manifesta-da-solo-in-piazza-per-il-clima-il-plauso-di-emiliano.html

Giustizia, vertice Conte-Orlando-Bonafede. “Riforma entro fine anno. Tempi dei processi dimezzati. Legge su prescrizione non si tocca”.

Giustizia, vertice Conte-Orlando-Bonafede. “Riforma entro fine anno. Tempi dei processi dimezzati. Legge su prescrizione non si tocca”
Il ministro M5s, al termine dell'incontro, ha parlato di "un'ottima convergenza con il Partito democratico". Sarà presentato, con l'obiettivo di arrivare a una via libera definitivo "entro fine anno", un ddl governativo unico nuovo e diverso da quello preparato in precedenza. L'unica divergenza segnalata con i dem è sulla riforma del Csm: "Siamo d'accordo su tutto tranne che sulla pratica del 'sorteggio'". Infine sul "carcere per gli evasori": "Non ne abbiamo parlato, ma rimane una priorità". In serata Renzi: "Vedo che si sono messi d'accordo. Noi parleremo in Aula".

Il governo Conte 2 ha come obiettivo quello di “varare una riforma della giustizia” e “del Csm entro il 31 dicembre“. E, come già anticipato, la maggioranza lavorerà per “dimezzare i tempi dei processi”. Invece, non sarà toccata la legge approvata con la Lega che sospende la prescrizione dopo una sentenza di primo grado e che deve entrare in vigore dal primo gennaio. Il Guardasigilli M5s Alfonso Bonafede, al termine del vertice con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il vicesegretario Pd Andrea Orlando, ha parlato di intesa nella maggioranza per elaborare un “disegno di legge governativo nuovo“: “Non va avanti quello che era stato approvato”, ha detto. Quindi tra gli obiettivi c’è quello di arrivare a “un tempo massimo per i processi penali di quattro anni e uno medio, sempre di quattro anni, per quelli civili”: “Sono molto soddisfatto dell’incontro di questa mattina e di poter comunicare ai cittadini che stiamo rivoluzionando la giustizia italiana”, ha detto.

L’intesa sui dossier di Bonafede, uno dei due soli ministri riconfermati dal governo gialloverde (l’altro è Costa all’Ambiente), è fondamentale per il nuovo esecutivo, soprattutto alla luce delle tensioni nel merito con l’ex socio di governo Matteo Salvini. Il Guardasigilli, rispondendo alla domanda se sia più facile confrontarsi con il Pd rispetto alla Lega, si è limitato a rispondere: “Non mi interessa fare paragoni con una forza politica che oggi sta all’opposizione. Io sto parlando di quello che fa questo governo, ai cittadini non interessano i giochi politici. Sono pagato per lavorare e oggi questo lavoro ha visto un’ottima convergenza con il Pd“. L’apertura è stata confermata anche dal fronte democratico: “Abbiamo condiviso l’impianto e gli strumenti per arrivare rapidamente a un netto miglioramento del processo sia civile che penale anche sotto il profilo dei tempi”, ha detto Orlando.

A rompere il clima di intesa generale, in serata è intervenuto il senatore Matteo Renzi che, per prima cosa, si è lamentato di non essere stato interpellato. “Vedo che si sono messi d’accordo Bonafede e Orlando, quando verranno in Aula ne discuteremo e diremo la nostra”. L’ex premier da poco più di una settimana è uscito dal Partito democratico e pur sostenendo il governo Conte 2, ha formato il gruppo Psi-Italia viva che è determinante per far passare i provvedimenti a Palazzo Madama. Proprio la nascita del nuovo gruppo ha creato malumori per la gestione degli equilibri interni nella nuova maggioranza. E sul dossier della Giustizia la tensione potrebbe avere effetti determinanti. Insomma se dal fronte Pd parlano della necessità di “un confronto serrato” per limare le distanze, l’uscita di Renzi fa capire che è urgente anche il confronto con l’ala renziana.

Bonafede dopo il vertice con Orlando e Conte: “Oggi fatto un passo fondamentale” – Il primo passo, come ha detto il Guardasigilli, è stato quello di cercare una via di lavoro comune tra Pd e Movimento 5 stelle. E soprattutto una tabella di marcia che sia condivisa. “L’obiettivo è quello di approvare la riforma” che dimezza i tempi del processo civile e penale, portandoli a quattro anni, “entro il 31 dicembre e di questo sono tanto orgoglioso”, ha spiegato Bonafede. “So che c’erano tanti dubbi e perplessità, ma quando si lavora nell’interesse dei cittadini si trova sempre una piattaforma comune, che chiaramente dovrà essere discussa coi parlamentari, ma oggi era un passo davvero fondamentale“. L’altro punto è quello di una “radicale riforma del Csm”: “Siamo d’accordo sul fatto che questa riforma, che chiaramente dovremo discutere col Parlamento, dovrà essere approvata in tempi brevi, confidiamo entro il 31 dicembre”. Per la riforma del Csm “parliamo dello strumento della legge delega e confidiamo di approvarlo” entro fine anno. “Il sorteggio è l’unico punto di divergenza che dovrà essere approfondito”, ha detto ancora. “Ma sulla riforma e su tutto quello che ne deriva in termini di incompatibilità, di spezzare il legame tra politica e magistratura, di combattere le degenerazioni delle correnti della magistratura, su tutto questo non c’è dubbio e abbiamo già cominciato a lavorare per avere norme molto rigide che impediranno sia le degenerazioni delle corrente che i legami tra politica e magistratura”. Nel corso del vertice non hanno invece parlato di un altro dei punti su cui più volte, anche negli ultimi giorni, si sono esposti il premier e il ministro della Giustizia: “il carcere ai grandi evasori“: “Siamo d’accordo come forze di governo”, ha detto Bonafede, “che sarà un obiettivo, ma oggi non è stato oggetto di trattazione specifica. Comunque il carcere per i grandi evasori rimane assolutamente una priorità”.

Le distanze con il Pd su prescrizione e sorteggio per il Csm – Uno dei nodi che rimane da sciogliere è appunto quello della prescrizione: i 5 stelle non intendono toccare la legge già approvata, i dem chiedono che almeno, entro la fine dell’anno, si intervenga sulla durata dei processi. “Confidiamo”, ha detto il sottosegretario Pd Andrea Giorgis, “di risolvere in maniera condivisa questo tema insieme a tutti gli altri, attraverso un confronto serrato”. Secondo fonti 5 stelle, la prescrizione non è stata oggetto del vertice, ma ci si è trovati d’accordo sulla pianificazione generale della riforma.

Sul tema è tornato a esprimersi anche il vicepresidente del Csm David Ermini, in passato molto vicino a Matteo Renzi. E anche lui ha ribadito la richiesta di un intervento strutturale: “E’ forte”, ha detto, “il rischio”, che con lo stop della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, in vigore a partire dall’anno prossimo, e “in assenza di interventi organici e strutturali sul processo penale”, ci sia “un effettivo allungamento dei tempi” dei processi “con importanti ricadute sulla posizione delle vittime di reato e degli imputati”. Ermini ha ricordato che il Csm nel suo parere sulla legge Spazzacorrotti aveva evidenziato “l’incongruenza” della riforma della prescrizione. “E’ chiaro che un processo tendenzialmente illimitato entra in piena rotta di collisione con il principio costituzionale della ragionevole durata e viene a ledere in modo insanabile il diritto di difesa”.

Pd e M5s dovranno lavorare ancora infine sulla riforma del Csm. “Il sorteggio è l’unico punto di divergenza che dovrà essere approfondito”, ha ammesso Bonafede. Non è un mistero, in effetti, che Orlando non condividesse la scelta: “Scegliere i componenti del Csm con la tombola non mi pare un’idea particolarmente brillante. Bisognerebbe piuttosto regolare meglio quello che fa il consiglio”, aveva twittato all’indomani del Cdm sulla giustizia di fine luglio. Anche il vicepresidente Csm Ermini è tornato a criticare l’idea: “Ribadisco la mia contrarietà, perché il Consiglio rischierebbe di uscirne azzerato nella sua natura di organo di rappresentanza del pluralismo e ridotto a entità meramente burocratica ed esecutiva”, ha detto. “Tendo a diffidare di riforme giustificate e ispirate alla sola intenzione di contrastare la ‘politicizzazione’ del Csm”. Altro nodo del contendere, poi, potrebbe essere lo stop della prescrizione che, da inizio 2020, secondo quanto stabilisce il ddl ‘Spazzacorrotti’, si bloccherà dopo il primo grado di giudizio. “Non c’è tra gli obiettivi” del Governo “quello di modificare la disciplina della prescrizione”, si è affrettato a dire il Guardasigilli, ma i Dem hanno avvertito: “Una norma che di fatto elimini l’istituto, può essere valutata solo se i tempi del processo fossero diversi e radicalmente più brevi. Il Pd non può assumere impegni al buio”. Come detto da Giorgis, ci “vorrà un confronto serrato”.

Renzi “assolve” l’ex Cav. sulle stragi di mafia. - Marco Lillo

Renzi fa il Caimano e “assolve” l’ex Cav. sulle stragi di mafia

Sfida aperta a magistrati e sentenze - Il capo di Italia Viva attacca i pm di Firenze (che processano i suoi genitori) e spaccia per assolto il prescritto Papa.

La linea di Italia Viva sulla giustizia arriva con un post su Facebook a metà mattinata: “Vedere che qualche magistrato della Procura della mia città da anni indaghi sull’ipotesi che Berlusconi sia responsabile persino delle stragi mafiose o dell’attentato a Maurizio Costanzo mi lascia attonito (…) Berlusconi va criticato e contrastato sul piano della politica. Ma sostenere 25 anni dopo, senza uno straccio di prova, che egli sia il mandante dell’attentato mafioso contro Maurizio Costanzo significa fare un pessimo servizio alla credibilità delle Istituzioni italiane. Di tutte le Istituzioni”. Firmato: non Maurizio Gasparri o Daniela Santanché ma Matteo Renzi, già premier e segretario del Pd, ora grande elettore del governo giallo-rosso.
Matteo Salvini e Giorgia Meloni, risvegliati dalla tromba renziana, si ricordano di essere stati fedeli alleati del Cavaliere ai tempi d’oro. Per Salvini è ora di dire: “Basta a giudici che usano risorse pubbliche per indagini senza logica. Siamo seri: indaghiamo su stupratori, ‘ndranghetisti e camorristi”, possibilmente escludendo i condannati per mafia come Dell’Utri che sono stati nostri alleati, si potrebbe aggiungere. Ma il leader della Lega tralascia. Giorgia Meloni invece rispolvera il grande classico: “Accanimento giudiziario”.
In serata a Zapping Renzi rilancia mettendo sotto la sua ala anche l’ex deputato Pdl Alfonso Papa: “È possibile – si è chiesto l’ex premier - che ci siano imputati che restano per 16 anni imputati e poi vengono assolti? Faccio un nome: Angelucci. O Alfonso Papa con i titoloni sulla P4 e poi è stato assolto”. Peccato che per alcuni reati Papa sia stato assolto grazie alla prescrizione.
La manovra di Renzi è chiara. Lo sgonfiamento di Forza Italia ha lasciato orfani i fan del mantra delle toghe politicizzate. Lo “sdoganamento” sul fronte antimafia di Berlusconi (solo indagato) e anche di dell’Utri (indagato per strage nella stessa inchiesta a Firenze ma già condannato per mafia) è utile anche per convincere i transfughi berlusconiani a salire sulla scialuppa di Italia Viva rendendo meno imbarazzante l’imbarcata.
La mossa però non ha solo una spiegazione politica. Renzi parla ‘pro domo sua’.
I magistrati contro i quali ha scatenato un attacco in stile Sgarbi, si chiamano Giuseppe Creazzo e Luca Turco, quelli che hanno osato chiedere e ottenere gli arresti domiciliari per i genitori di Renzi con l’accusa di bancarotta. Non bastasse, Turco, insieme a Christine von Borries, ha portato a processo babbo e mamma Renzi anche per la storia delle fatture per operazioni inesistenti. Il 7 ottobre chiederanno la condanna e magari Matteo sarà convinto della loro innocenza e certo dell’assoluzione. Però i maliziosi notano che ha spostato alla Cassazione il suo giudizio, come a dire che la condanna in primo grado lo lascia indifferente, soprattutto con quei magistrati. “Non è la prima inchiesta che viene dal procuratore Luca Turco e dal suo capo Creazzo: sono certo che non sarà l’ultima. Che lavorino tranquilli sui numerosi dossier che hanno aperto: noi rispettiamo i magistrati e aspettiamo le sentenze della Cassazione, come prevede la Costituzione. Tutto il resto è polemica sterile”, ha detto Renzi al Messaggero dopo la notizia delle indagini fiorentine dei soliti Turco e Creazzo sull’avvocato Alberto Bianchi, già presidente della Fondazione renziana Open, e sull’amico nonché organizzatore della Leopolda: Patrizio Donnini.
Non bastasse Luca Turco è l’aggiunto che ha seguito in prima persona anche l’inchiesta sul fratello del cognato di Renzi, Alessandro Conticini, per la distrazione dei fondi Unicef verso attività private, che marginalmente coinvolge anche il cognato di Renzi, Andrea Conticini.
A dire il vero un tempo i rapporti di Matteo Renzi con Creazzo e Turco non erano così negativi. Erano gli anni in cui Renzi era premier e Turco e Creazzo archiviavano (senza nemmeno iscrivere un reato o il suo nome sul registro degli indagati) gli esposti che lo mettevano nel mirino. Andò così nell’ottobre 2015 con l’esposto che chiedeva lumi sui contributi pagati da Comune e Provincia di Firenze a Matteo, grazie alla sua assunzioni nell’azienda di famiglia pochi giorni prima della sua investitura formale come candidato del Pds e della Margherita alla presidenza della provincia nel 2003. Il Fatto aveva descritto la vicenda spiegando come Renzi era riuscito ad accumulare un Tfr (poi incassato) e un’invidiabile anzianità pensionistica. Paolo Bocedi, presidente dell’Associazione Sos Italia Libera aveva presentato un esposto, iscritto a modello 45 e quindi archiviato senza nemmeno iscrivere un nome.
Stesso destino, archiviazione senza l’iscrizione di un indagato, aveva avuto sempre nel 2015 l’esposto presentato dal dipendente comunale Alessandro Maiorano, seguito dall’avvocato Carlo Taormina, sull’affitto della casa usata da Matteo e pagata dal suo amico imprenditore Marco Carrai. Allora Turco e Creazzo andavano bene ai renziani.
Poi sono arrivate le indagini su cognati, amici e gli arresti domiciliari dei genitori. Il clima è cambiato.
Dalle intercettazioni sul caso Csm trascritte dalla Guardia di finanza si scopre che l’allora compagno di partito e amico di Renzi, Luca Lotti, parlava con alcuni membri del Csm e con l’ex consigliere e leader della corrente di magistrati Unicost, Luca Palamara, proprio del pm Giuseppe Creazzo, candidato alla Procura di Roma. La strategia enunciata da un consigliere del Csm amico di Palamara, Luigi Spina, era fare in modo che Creazzo lasciasse Firenze senza però ‘promuoverlo’ alla Procura di Roma. “Noi te lo dobbiamo togliere dai coglioni il prima possibile“, diceva Spina a Lotti. “Se lo mandi a Reggio (Calabria, ndr) liberi Firenze”, diceva Palamara. E Lotti concordava: “Se quello di Reggio va a Torino, è evidente che questo posto è libero. E quando lui capisce che non c’è più posto per Roma, fa domanda”. A quel punto il deputato allora del Pd Cosimo Ferri chiede a Palamara: “Ma secondo te poi Creazzo, una volta che perde Roma, ci vuole anda’ a Reggio Calabria o no?”. Palamara risponde: “Gli va messa paura con l’ altra storia, no? Liberi Firenze, no?”.
L’altra storia forse è un esposto presentato da un pm di Firenze, estraneo a queste vicende, contro Creazzo. A distanza di quattro mesi quell’esposto non sembra aver fatto molta strada. Creazzo è ancora in pista per Roma. Bisogna alzare un fuoco di sbarramento con altre munizioni. E l’inchiesta per strage contro dell’Utri e Berlusconi, anche se risale al 2017, può tornare utile.

Italia Morta. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 28 Settembre:

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Munitevi di un bel sacchetto da vomito e leggete qua: “…Vedere che qualche magistrato della procura della mia città da anni indaghi sull’ipotesi che Berlusconi sia responsabile persino delle stragi mafiose o dell’attentato a Maurizio Costanzo mi lascia attonito… Berlusconi va criticato e contrastato sul piano della politica. Ma sostenere 25 anni dopo, senza uno straccio di prova, che egli sia il mandante dell’attentato mafioso contro Costanzo significa fare un pessimo servizio alla credibilità di tutte le Istituzioni”. L’autore di questa prosa ributtante è Matteo Renzi, già sindaco e ora senatore di Firenze, Comune parte civile nei processi per le stragi del 1993-’94, una delle quali sterminò 5 persone fra cui una bimba di 50 giorni proprio a Firenze in via dei Georgofili. Quando mai costui abbia “contrastato Berlusconi sul piano della politica”, non è dato sapere. A meno che l’intrepido “contrasto” non sia consistito nel correre ad Arcore a baciargli la pantofola con tacco e rialzo prima di diventare segretario Pd e, subito dopo, invitarlo al Nazareno per scrivere una legge elettorale incostituzionale (l’Italicum) e una schiforma costituzionale (poi rasa al suolo dagli elettori). Ora, avendo tentato per cinque anni di diventare come B. senza riuscirci, si accontenta di fregargli un paio di deputati e qualche elettore superstite, nella speranza di superare il 3-4% nei sondaggi con Italia Viva (si fa per dire).

Infatti, appena s’è diffusa la notizia che l’inchiesta di Firenze sui mandanti occulti delle stragi comprende l’attentato a Costanzo, l’impunito ha bruciato sul tempo gli altri leader di centrodestra, da Salvini alla Meloni, nel difendere in simultanea con Sallusti e Farina-Betulla il martire perseguitato dalle toghe fiorentine. Le stesse – ma è solo una coincidenza – che han fatto arrestare il su babbo e la su mamma e indagano sugli strani finanziatori della Leopolda. Renzi non sa nulla dell’inchiesta sulle stragi, e questa non è una colpa: c’è il segreto investigativo. Ma, se invoca a ogni piè sospinto “sentenze” possibilmente “definitive”, dovrebbe sapere qualcosa di quelle che han condannato i boss delle stragi (anche grazie ai pm di Firenze) e soprattutto quella che ha condannato Marcello Dell’Utri a 7 anni per mafia; senza contare quella di I grado sulla Trattativa (altri 12 anni a Dell’Utri). Così eviterebbe di fare lo gnorri sull’indagine riaperta due estati fa (non dalla Procura, ma dal gip) sull’ipotesi che B. e Dell’Utri siano coinvolti nell’ideazione di quelle stragi. O di approfittare dell’ignoranza generale (diffusa a piene mani dall’apposita stampa) per dire scemenze come “senza uno straccio di prova”.

Se l’inchiesta sui mandanti esterni, più volte aperta e archiviata in base a fior di prove ritenute però insufficienti, è ripartita nel 2017 è proprio perché ne sono giunte di nuove: le intercettazioni del boss Giuseppe Graviano, che pianificò le autobombe da via D’Amelio (19.7.’92) allo stadio Olimpico di Roma (23.1.’94). Raccontando le stragi al compagno di ora d’aria, Graviano parla guardacaso di “Berlusca” che “mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza… Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto: ‘Ci vorrebbe una bella cosa’… Nel ’93 ci sono state altre stragi, ma no che (non) era la mafia, loro dicono che era la mafia”. Una conferma al racconto del killer pentito Gaspare Spatuzza sul “colpetto”, il “colpo di grazia” che Graviano gli commissionò ai primi del ’94 con la strage all’Olimpico per dare l’ultima spinta a B. a entrare in politica. Ma non ce ne fu bisogno: il 26 gennaio B. annunciò la discesa in campo, l’indomani i fratelli Graviano furono arrestati a Milano e la strage, fallita al primo colpo, non fu più ritentata. B. andò al governo, ma – lamenta Graviano – non mantenne tutte le promesse: “Quando lui si è ritrovato un partito così nel ’94 si è ubriacato e ha detto: ‘Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato’. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore… 25 anni mi sono seduto con te, giusto? Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi. Dice: non lo faccio uscire più, perché sa che io non parlo… Alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni, gli anni passano, io sto invecchiando e tu mi stai facendo morire in galera… Al signor crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia”.
Eccoli gli “stracci di prova” che han fatto riaprire l’indagine. Se piovessero nel deserto, ci sarebbe da ridere. Ma sono solo l’ultima tessera di un mosaico terrificante che ha portato la Cassazione a condannare Dell’Utri per mafia perché “dal 1974 al ’92” fu il “mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa nostra”: il “patto di protezione” siglato 45 anni fa a Milano fra B., Dell’Utri, i boss Bontate, Teresi, Di Carlo, Cinà e Mangano (che poco dopo si installò per due anni nella villa di Arcore). E poi la Corte d’assise di Palermo a condannare uomini di mafia e di Stato per la Trattativa, scrivendo che B. finanziò Cosa Nostra dal ’74 a fine ’94 (quand’era già premier e Cosa Nostra aveva già sterminato Falcone, Borsellino, le scorte e altri 10 innocenti a Firenze, Milano e Roma); e i boss, tramite Dell’Utri e Mangano, ricattarono il suo primo governo per ottenere leggi pro mafia.
Solo chi, in totale malafede, finge di non conoscere queste sentenze, facilmente reperibili online, può dirsi “attonito” se si ipotizza un ruolo di B. nelle stragi, perpetrate dagli stessi boss amici di Dell’Utri e finanziati da B.. E può accusare magistrati che rischiano la pelle indagando sui mandanti di rendere “un pessimo servizio alla credibilità delle Istituzioni”. Istituzioni che la Procura di Firenze onora cercando la verità e Renzi&C. disonorano tentando di sbianchettarla.



Renzi difende un suo simile, un personaggio alquanto discutibile che lui ha sempre guardato con ammirazione, che ha cercato di emulare ma senza risultati, perchè gli manca il cinismo necessario per commettere le azioni riprovevoli delle quali è sospettato il suo idolo. Lui sa solo emulare, non ideare, lui non ha gli stessi appoggi del calafatato.
C.