Capire che succede e succederà nei 5Stelle è più difficile che capire cosa vuole il Pd e a cosa serve Salvini. Perché il M5S non è più un movimento e non è ancora un partito. Ha un capo provvisorio poco carismatico e un fondatore carismatico che ogni tanto si ricorda di esserlo e molti aspiranti leader che si ritrovano a essere molto meno popolari del premier che hanno indicato due volte in due anni, ma che non è neppure iscritto. Comunque, quando una forza politica litiga sulle idee e non sulle poltrone, è sempre un buon segno: di vita. E, checché se ne dica, la rissa innescata da Di Battista con la proposta di “congresso o assemblea costituente” non riguarda le poltrone. Il pasionario pentastellato ha tanti difetti, ma non quello di inseguire cadreghe, avendo passato gli ultimi tre anni a scansarle: no alla ricandidatura, no a un ministero nel governo gialloverde e in quello giallorosa. E ora, diversamente da altri (e altre) big che tramano contro il Conte-2 per agguantare o riagguantare un ministero, è diventato più contiano di tanti finti contiani, ben conscio del valore aggiunto che Conte rappresenta per il M5S (vedi sondaggi) e soprattutto dell’orrore di ciò che verrebbe dopo: un governissimo di larghe intese&imprese per arraffare la cascata di miliardi che sta per piovere dall’Ue.
Di Battista però sconta la fama che lo precede: quella di movimentista sfasciacarrozze, creata dai retroscenisti esterni e dai rivali interni, che però lui negli ultimi anni ha fatto troppo poco per smentire. Domenica poi, rispondendo all’Annunziata sull’ipotesi di Conte leader 5Stelle, ha detto un’ovvietà (“Conte prima dovrebbe iscriversi”), ma ha aggiunto: “Si vota e vediamo chi vince”. E questa frase ha mandato su tutte le furie Grillo, che l’ha vista come una sfida a Conte e come la negazione di ciò che il fondatore ripete ai suoi da settimane: la fase del capo politico con pieni poteri è superata, dunque niente conta all’O.k. Corral che destabilizzerebbe il governo e dilanierebbe i 5Stelle; molto meglio una segreteria allargata a tutte le anime, come il direttorio che l’estate scorsa decise con lui la svolta giallorosa. Soluzione a cui lavorano Di Maio, Fico, Taverna e altri. Questa è la posta in gioco, non certo il partito di Conte o la corsa di Di Battista verso la scissione o altre ipotesi fantascientifiche evocate (anzi auspicate) dai media nel fumettone quotidiano su un movimento mai capito né accettato (vedi la bufala dei soldi da Maduro). Grillo ha ragione da vendere col sostegno a Conte e l’allergia al capo politico unico. Ma Dibba non sbaglia quando denuncia l’afasia programmatica e identitaria del M5S, che non è più quello di prima, ma non è mai diventato qualcos’altro.
Ma, per rendersi credibile, il pasionario dovrebbe chiarire di non voler fare il capo politico con corse solitarie e conte fratricide e di essere disponibile a entrare in una segreteria collegiale che progetti il M5S del futuro. L’identità nebulosa non è un problema solo dei 5Stelle. Che cos’è il Pd? Boh. Cosa vuole la Lega, a parte le sparate contro gli immigrati, le tasse, l’Europa e a favore degli evasori? Boh. E FI? Boh. Il Covid ha cambiato il mondo e i partiti balbettano. Tant’è che il premier, stufo di chiedere proposte e di ricevere risme di fogli bianchi, mette su comitati, task force e Stati generali per riempire il vuoto della politica e sfuggire all’accusa di far tutto da solo. I 5Stelle, ambientalisti e legalitari della prima ora, cultori dei “beni comuni” e del “pubblico” contro la privatizzazione del welfare, partono avvantaggiati nella nuova fase. Ma, assorbiti dalla routine di governo e dalle beghe intestine e incapaci di formare una classe dirigente, non se ne accorgono.
La battaglia sul rinnovamento della Rai l’hanno persa perché (a parte rare eccezioni come Salini e Freccero) non avevano nessun soldato autorevole per combatterla, e si sono ridotti a riciclare vecchie banderuole. E la bandiera della discontinuità all’Eni l’hanno ammainata perché, al momento di indicare un successore credibile dell’eterno Descalzi che passasse al vaglio della diplomazia e del Quirinale, non avevano un manager adeguato nel settore energia. Ora altre sfide cruciali arriveranno al dunque e nessuno sa come la pensino su Mes, decreti Sicurezza e nuove grandi opere (alcune utilissime, altre demenziali e criminogene). E alle Regionali di settembre andranno in ordine sparso: ora col Pd (in Liguria e forse nelle Marche), ora contro il Pd (in Campania, e ci mancherebbe: il Pd riciccia De Luca), ma senza una strategia. Che dovrebbe includere le Comunali del 2021: se il centrosinistra vuole davvero un’intesa organica col M5S,dovrebbe piantarla di far la guerra a Raggi e Appendino (peraltro senza uno straccio di candidato spendibile), magari in cambio del sostegno a figure tutt’altro che impresentabili come Emiliano in Puglia e altri buoni amministratori. Tanto alle elezioni politiche, speriamo nel 2023 o comunque il più tardi possibile, l’unico nome utile per battere i cazzari sarà quello di Conte candidato premier della coalizione giallorosa, non quelli dei leader dei partiti. Ce n’è abbastanza perché chi ha la testa sul collo si metta subito intorno a un tavolo, lasci a casa i soliti sospetti, le nostalgie del tempo che fu e i vecchi rancori, sgombri il campo dalle corse solitarie, formi un vertice di 4-5 persone e metta nero su bianco ciò che solo interessa ai cittadini: le nuove cose da fare.