sabato 25 luglio 2020

L’ex capo di Aria ieri in Procura: “È collaborativo”. - Gianni Barbacetto

L’ex capo di Aria ieri in Procura:  “È collaborativo”

Ha un atteggiamento “costruttivo”, Filippo Bongiovanni, di fronte ai magistrati che ieri mattina lo hanno a lungo interrogato. Bongiovanni è l’ex direttore generale di Aria, la centrale acquisti della Regione Lombardia, che compra tutti i beni e i servizi che servono per le strutture regionali. È indagato, insieme ad Andrea Dini, cognato del presidente della Lombardia Attilio Fontana, per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente. La vicenda è quella ormai famosa della fornitura di camici, copricapi e calzari sanitari da impiegare negli ospedali durante l’emergenza Covid-19: un affidamento diretto, senza gara, del valore di oltre mezzo milione di euro, alla Dama spa, società controllata dal cognato di Fontana e di cui la moglie del presidente lombardo, Roberta Dini, detiene il 10 per cento. Una fornitura in conflitto d’interessi, dunque, avviata il 16 aprile 2020 e consolidata con regolari fatture emesse dalla Dama spa a partire dal 30 aprile. La situazione ha però una svolta nel mese successivo, dopo che un giornalista della trasmissione televisiva Report comincia a fare domande sull’operazione: il 20 maggio la fornitura da 513mila euro viene trasformata in donazione, e le fatture sono di fatto cancellate da note di storno.
Ieri Bongiovanni, ex ufficiale della Guardia di finanza (“Sono stato in divisa per 26 anni e 22 giorni”) è arrivato a palazzo di Giustizia accompagnato dall’avvocato Domenico Aiello (lo stesso che difende l’ex presidente di Regione Lombardia Roberto Maroni in tutte le sue vicende giudiziarie). È stato interrogato per tre ore dai pm che indagano sulla vicenda camici, Paolo Filippini, Luigi Furno e Carlo Scalas, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. L’interrogatorio è avvenuto al quarto piano del palazzo di giustizia, in una stanza vicina a quella del procuratore della Repubblica Francesco Greco, il quale ha disposto che i cronisti non potessero accedere al corridoio dov’era in corso l’atto d’indagine.
Ha spiegato, Bongiovanni. Ha raccontato meticolosamente tutti i passaggi della fornitura trasformata in donazione, ha ricostruito con atti e documenti i passaggi della procedura. Ha voluto spiegare lo stato d’emergenza in cui Aria e Regione Lombardia si sono trovate a operare nelle settimane più drammatiche della pandemia. Ci ha tenuto a sottolineare l’impegno con cui le strutture regionali hanno cercato di far fronte all’emergenza. Oggi Bongiovanni è dimissionario, ha lasciato il suo posto dentro Aria ed è convinto di riuscire a spiegare ai magistrati e agli ex colleghi della Guardia di finanza il suo ruolo nella vicenda degli 82mila camici e altro materiale di protezione cercati affannosamente nei giorni in cui la Lombardia era bloccata dal lockdown, le terapie intensive erano sovraffollate e il virus diffondeva il contagio e mieteva morti. Poi toccherà a Fontana chiarire il suo ruolo nella vicenda.
La Regione Lombardia del presidente Fontana e dell’assessore al Welfare e sanità Giulio Gallera è sotto osservazione e sotto inchiesta anche per altre storie. 
Dalle donazioni per l’inutilizzato ospedale Covid in Fiera ai troppi morti nelle residenze per anziani, dalla mancata chiusura dell’ospedale di Alzano Lombardo alla scelta della società Diasorin come partner unico per i test sierologici.

Moesch & Chandon. - Marco Travaglio

Politica e economia: l'assenza della cultura laica - Conversazione ...
Giuseppe Moesch

Nella pochade del compianto giudice Amedeo Franco, che prima condanna B. a 4 anni per frode fiscale insieme a quattro colleghi della sezione Feriale della Cassazione, poi firma tutte e 208 le pagine delle motivazioni, infine va a casa del suo condannato a dirgli che lui non voleva ma fu costretto dai quattro cattivoni del “plotone di esecuzione pilotato da molto in alto”, irrompe un nuovo personaggio da vaudeville francese: Giuseppe Moesch. L’ha scovato, o ne è stato scovato, Alessandro Sallusti che l’ha intervistato sul Giornale presentandolo come “amico fraterno di Franco, professore di Economia applicata, vasta esperienza all’estero”, già “nella squadra di giovani talenti che affiancava Giovanni Spadolini presidente del Consiglio”. Gli manca solo il Nobel. Dell’unica novità emersa negli ultimi giorni – i tentativi di Franco di registrare i colloqui in camera di consiglio, per legge segretissimi – dice: “Mai saputo nulla”. Dunque l’intervista dovrebbe chiudersi qui, invece qui comincia e prosegue per ben due pagine. Uno spasso. Moesch nulla sa del registratore attivato da “Dedi”, ma non ha dubbi che “se Dedi l’ha fatto è la prova di quanto fosse turbato per trovarsi coinvolto in un plotone di esecuzione”.
Cioè: siccome era turbato, violò la legge mentre giudicava gli altri. E mica solo per quello: l’“amico fraterno”, pensando di far cosa gradita, gli attribuisce una seconda scorrettezza: “ben prima del suo coinvolgimento diretto nel processo, essendo un grande esperto di questioni tributarie, si era fatto l’idea che non ci fossero i presupposti per una condanna, cosa del resto poi confermata da una sentenza del tribunale civile di Milano”. Naturalmente la sentenza civile dice tutt’altro (tratta di diritti Mediatrade e non Mediaset, cioè fatti diversi e successivi), e comunque una sentenza di primo grado, per giunta civile, non può cancellarne una penale e definitiva della Cassazione conforme a ben due giudizi di merito. Ma soprattutto: se Franco, prima del processo, “si era fatto l’idea” che andasse assolto e per giunta l’aveva confidato all’amico anticipando il giudizio, doveva astenersi dal processo. Art. 36 Codice di procedura penale: “Il giudice ha l’obbligo di astenersi… se ha dato consigli o manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie”. Invece, sebbene fosse dichiaratamente prevenuto, restò addirittura come relatore. Ma più l’amico fraterno tenta di riabilitarlo e più lo sputtana. Infatti rivela una terza grave infrazione: prima di spifferare i segreti della camera di consiglio al suo condannato B. (quarta scorrettezza), Dedi li spiattellò a lui.
Addirittura prima della sentenza, fra un’udienza e l’altra: “Da subito mi aveva confidato il dissenso con gli altri magistrati del collegio, che sembravano prevenuti, come se la sentenza fosse già decisa prima”. Ma l’unico che l’aveva già decisa prima era lui: sognava di far parte di un plotone di assoluzione, ma gli andò buca. Gli confidò anche che “non c’era motivo di accelerare il giudizio della Cassazione incardinando il fascicolo nella sessione feriale di agosto invece che in quella naturale in autunno. Da subito gli sembrò una forzatura sospetta”. Talmente sospetta che, a spedire d’urgenza il fascicolo su B. alla Feriale, di cui faceva parte anche Franco, per l’imminente prescrizione, era stata la III sezione, di cui uno dei presidenti era Franco. Resta il mistero del perché, se era così innocentista, non verbalizzò il suo dissenso (come prevede la legge) in busta chiusa allegata alla sentenza, che invece firmò pagina per pagina insieme ai quattro del plotone di esecuzione. Ma qui Moesch si supera: “Io gli consigliavo di fare una relazione di minoranza (testuale, ndr) o di non firmare”, ma lui “era prigioniero della sua rigidità”, della “ragione di Stato”, del “senso del dovere”. Un po’ come “la protagonista del romanzo La scelta di Sophie, la donna che rinchiusa in un campo di concentramento ha la possibilità di salvare solo uno dei figli, ma non riesce a decidere quale e questa maledizione la perseguiterà per tutta la vita”. Pare di vederlo, il povero ostaggio Dedi, scheletrito, emaciato, piegato e piagato dal lungo digiuno nelle segrete del Palazzaccio e dalle sevizie inflitte dai quattro colleghi-aguzzini armati di elettrodi, acqua e sale e mazze ferrate, che firma con mano malferma le 208 pagine per porre fine ai patimenti e ottenere un bicchier d’acqua.
Ecco perché poi andò da B. a scusarsi: “venne fuori la sua anima cattolica e liberale” e lo spinse a “liberarsi di questo peso”, a “espiare il peccato” e a “confessarsi dalla vittima” (i cattolici si confessano dal prete, ma fa lo stesso). Forse accecato dalle lacrime e obnubilato dallo strazio, l’amico fraterno dimentica un dettaglio: a portare il giudice dal suo condannato B. non fu il rimorso, ma l’amico e collega Cosimo Ferri, ex capo di MI, ex membro del Csm, allora sottosegretario alla Giustizia del governo Letta per Forza Italia. Un accompagnatore davvero bizzarro per un giudice che – giura Moesh – “era profondamente disgustato” dalla “giustizia politicizzata” e “irritato e sofferente per la politicizzazione del Csm”. Fossimo nei famigliari di Dedi, rivolgeremmo una preghiera agli amici fraterni: “Grazie del pensiero, ma d’ora in poi astenetevi da ulteriori riabilitazioni: come se avessimo accettato”.

Servono più diritti che tutelino anche le nuove generazioni. - Ugo Mattei

Il professore Ugo Mattei a Rovereto per parlare di crisi ...
Ugo Mattei
Con una breve ordinanza contenente il quesito per una Consulenza tecnica di ufficio, il Tribunale di Torino ha dato una prima veste formale a una straordinaria innovazione istituzionale della nostra giustizia civile. Un avvocato delle generazioni future può adire in via d’urgenza un tribunale civile per ottenere un rimedio nei confronti di comportamenti che, pur autorizzati o posti in essere dalla Pubblica amministrazione, potenzialmente ledano gli interessi dei bambini a un libero sviluppo nel lungo periodo.
Questo principio, per ora implicito alla decisione, pone la giurisprudenza italiana in linea con i più avanzati orientamenti internazionali che, dall’Olanda all’Oregon, stanno cercando di dare soggettività giuridica a chi ancora non c’è, attivandosi per impedire che le scelte che noi oggi compiamo come specie compromettano le possibilità di chi ancora deve nascere e crescere. Mentre tuttavia all’estero la questione è stata decisa (a favore delle generazioni future) in materia di riscaldamento climatico (climate change litigation), in Italia essa è stata oggi concretamente posta in materia di elettrosmog, una minaccia non meno grave per un futuro sostenibile delle nostra specie.
Quello che stiamo vivendo è un momento topico per il diritto. Esso, come un Giano bifronte, può difendere i beni comuni diventando strumento di uscita virtuosa dalla crisi ecologica che stiamo vivendo, oppure limitarsi a servire il potere nei suoi interessi di breve periodo, incuranti dell’impatto ambientale di lungo periodo nonché della lungolatenza di certe patologie. Sul tema fa il punto il volume di un giovane studioso del diritto e dell’economia Michael W. Monterossi, L’orizzonte intergenerazionale del diritto civile. Tutela, soggettività, azione (Ets, 2020).
La questione sintetizzata dal quesito tecnico della prima sezione civile del Tribunale, emersa dopo due ore di discussione fra avvocati, riguarda lo status presente e futuro di un imponente palo porta-antenne alto 25 metri. Il palo è stato collocato nel cuore del complesso scolastico di Frossasco Torinese, Comune alle porte di Pinerolo, da un consorzio pubblico-privato fra Regione, Città metropolitana, Università, Politecnico, Facebook, Netflix, Cisco Systems, Fastweb e altri colossi privati della tecnologia e dell’economia. Contro la struttura, sulla quale al momento sono state installate due antenne per la trasmissione wi-fi di Internet a banda ultra larga, è insorto un comitato di genitori e insegnanti che, dopo aver invano cercato rassicurazioni attendibili per la salute dei propri figli, bambini fra i 4 e i 13 anni che in quel complesso vivono anche sette ore al giorno, si sono rivolti al Comitato Rodotà (www.generazionifuture.org), che ha presentato il ricorso tramite la propria Cooperativa di mutuo soccorso intergenerazionale, dando legittimazione processuale all’avvocato per le generazioni future. Gli attori chiedono il riconoscimento delle scuole come vere e proprie oasi protette nell’interesse della specie, dove gli umani possano far crescere i propri piccoli liberi da rischi di cui si ignorino le conseguenze di lungo periodo. Il magistrato ha riconosciuto l’urgenza della questione e sta conducendo la prima istruttoria in tempi record, in modo da poter prendere una decisione, arricchita dalle più avanzate conoscenze scientifiche, prima dell’apertura dell’anno scolastico, quando alla fonte di inquinamento elettromagnetico sarebbero esposti centinaia di bimbi.
Nella società tecnologica complessa, un diritto (e una politica) che si ponga solo il problema del qui e adesso non produce giustizia ecologica. Dalle leucemie giovanili ai mesoteliomi di Casale Monferrato, se quarant’anni fa ci fosse stato in Corte l’avvocato delle generazioni future capace di far valere davvero il principio di precauzione, si sarebbero evitate tante tragedie.

venerdì 24 luglio 2020

Fratelli di Poltrona. - Tommaso Merlo



La destra italiana si è spaccata anche sul Recovery Fund. Gli europarlamentari della Meloni e di Salvini si sono astenuti a Bruxelles. Se i soldi li avessero trovati loro avrebbero marciato su Roma per celebrare il trionfo, ma i soldi li ha trovati quel maledetto Conte reo tra le altre cose d’impedirgli di abbuffarsi di poltrone. Stando ai sondaggi la Meloni è quella che gode di migliore salute nella destra nostrana. Al punto che certi benpensanti hanno iniziato a spargere incenso nonostante la bolla meloniana si stia gonfiando più per demeriti altrui che altro. Berlusconi è in uno stato di decomposizione politica ormai avanzato mentre la renzite di Salvini peggiora a vista d’occhio. Se continua di questo passo il leader padano rischia di ritrovarsi sul prato di Pontida con la camicia verde e un elmo da vichingo in testa prima del previsto. Ma certi benpensanti non demordono e dipingono la Meloni come una novità nonostante faccia politica dalla notte dei tempi e tra le perle della sua biblica carriera spicchi quella come ministra di Berlusconi. 

Un governo che passerà alla storia come una delle pagine più aberranti della nostra democrazia. Ma c’è di più. La Meloni viene dipinta come più competente di Salvini solo perché leggiucchia qualcosina prima di aprire bocca e non gli dà fiato a vanvera come il suo alleato padano. Bella consolazione. 
A livello di stacanovismo sono invece considerati alla pari. Entrambi non si vedono in parlamento neanche col binocolo astronomico. 
Anche a livello di sensibilità legalitaria si equivalgono. Entrambi possono vantare una sterminata e variegata collezione di scandali. L’ultimo alle pendici dell’Etna. Come grazia e finezza vince nettamente Salvini in compenso la Meloni viene dipinta come più moderata del leader padano. 

Peccato che sia lei ad avere le radici nella destra dura e pura con camerati riciclati di ogni risma che ogni tanto rispuntano dalle ceneri fascistoidi. 
Chi con una divisa addosso, chi con qualche frase agghiacciante. La verità è che la Meloni ma pure Salvini devono tutto a Berlusconi che si sta trascinando il suo partito personale nella tomba e con esso quella che un tempo era la casa della destra moderata, liberale ed europeista nostrana. Una destra che esiste eccome nel nostro paese ma che da anni ormai non ha più né un leader né un partito di riferimento e quindi prima si è rifugiata da Salvini poi quando quello si è beccato la renzite ha ripiegato sulla Meloni. L’estenuante trapasso berlusconiano ha consentito ai sovranisti di avere campo libero e di lucrare comodamente sulle gravi crisi degli ultimi anni raggiungendo consensi impensabili. Un’ascesa che sembrava inarrestabile fino allo scoppio della pandemia e alla reazione storica dell’Europa che sta rendendo anacronistici i rigurgiti sovranisti e che sta strappando via il velo d’ipocrisia dietro cui la destra italiana si nasconde da troppo tempo. In Italia come in tutta Europa le destre sono almeno due come conferma la vicenda del Recovery Fund. Una sovranista che da noi ha addirittura due versioni e due leader destinati prima o poi a scornarsi a vicenda. 
Ed una seconda destra moderata che da noi vagabondeggia miseramente. A tenere insieme le destre italiane è la fame di potere e la colla del nemico comune. 
Dei veri Fratelli di Poltrona che vanno d’amore e d’accordo soprattutto sotto elezioni ma che prima o poi dovranno fare i conti coi nodi politici che li dividono. La Meloni è quella che gode di migliore salute al momento, ma la sua bolla si sta gonfiando per demeriti altrui checché ne dicano certi benpensanti. La Meloni è sovranista e per storia personale ed indole non sarà mai il leader di quella destra moderata, liberale ed europeista vittima di Berlusconi e che prima o poi anche in Italia risorgerà.

https://repubblicaeuropea.com/2020/07/24/fratelli-di-poltrona/

La più grande mappa 3d dell'Universo mai realizzata. - Sandro Iannaccone

Mappa Universo
Immagine: Perimeter Institute for Theoretical Physics.

Un’équipe di astrofisici ha ricostruito un’enorme mappa tridimensionale dell’Universo. Per mettere insieme tutte le immagini che la compongono ci sono voluti vent’anni


4 milioni di galassie, che comprendono svariati miliardi di stelle, quasar, pulsar, buchi neri, sistemi solari lontanissimi e chi più ne ha più ne metta. C’è di tutto nella mappa dell’Universo appena messa a punto da un’équipe di scienziati affiliati a oltre 30 istituzioni di tutto il mondo: si tratta infatti della mappa più grande e dettagliata mai realizzata finora, il cui completamento ha coronato uno sforzo iniziato ben vent’anni fa. Il contributo più grande è arrivato dalle osservazioni dello Sloan Digital Sky Survey (Sdss) e in particolare dall’esperimento extended Baryon Oscillation Spectroscopic Survey (eBoss) che ha raccolto dati da un telescopio ottico terrestre posizionato nel New Mexico.



“Si tratta”, ha spiegato Will Percival, esperto della University of Waterloo in Ontario, Canada, “di una carta che racconta la storia completa dell’espansione dell’Universo. Nella mappa sono racchiuse le misure più accurate dell’espansione dell’Universo su tempi molto lunghi, i più lunghi mai analizzati finora”. In questo senso, è come se la mappa riempisse un “buco” di 11 miliardi di anni – non poco, se si considera che l’Universo è nato circa 14 miliardi e mezzo di anni fa – e riassumesse tutte le conoscenze attuali sulla posizione e distribuzione della materia nello spazio. Sono visibili, per esempio, sia i filamenti di materia che i grandi “vuoti” in base alla posizione dei quali è possibile tornare indietro nel tempo e definire con precisione quale fosse la struttura dell’Universo nei primi momenti della sua vita. Esaminando stelle, quasar e galassie della mappa i ricercatori hanno compreso che l’espansione dell’Universo ha iniziato, per qualche ragione, ad accelerare in un certo momento della sua storia: una possibile spiegazione del fenomeno potrebbe essere legata all’effetto dell’energia oscura, un’entità elusiva e misteriosa la cui esistenza è tutt’altro che confermata. Come spesso accade nella scienza, le domande sono sempre molto più numerose delle risposte. E forse è bene che sia così.

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Manca Totò alla tavola dei Fondi Ue. - Gaetano Pedullà



La pappa non è ancora arrivata ma un sacco di gente si è già seduta a tavola. E vista la fame di questi tempi, il finale di Miseria e nobiltà, con Totò che si infila in tasca gli spaghetti, sarà nulla a confronto. Parliamo del Recovery Fund, la montagna di miliardi che il premier Giuseppe Conte si è sudato in una delle trattative europee più faticose di sempre. A sentire Salvini si tratta di soldi del Monopoli, ma al segretario leghista non crede più neppure lui stesso, e dunque figuriamoci la solita folla di capitalisti “de noantri”, boiardi, prenditori, Confindustrie varie, persino i partiti e le manine che fanno e disfano nei ministeri. Il Pd, per dire, ha appena proposto una Commissione parlamentare per metter becco sui quattrini, mentre in una Roma semi deserta per il caldo e la paura del Covid si assembrano aspiranti componenti di task force ed esperti nella spesa (tanto quelli capaci di farci guadagnare si trovano quanto gli idraulici a ferragosto). Per mettersi in vista, c’è da scommetterci, questi pavoni faranno a gara nell’esporre le loro piume in lunghe articolesse sui giornali, incuranti del fatto che su quelle stesse colonne fino a pochi giorni fa si diceva peste e corna del capo del Governo e delle sue possibilità di spuntarla al tavolo negoziale con l’Europa. Per chi ha a cuore l’interesse del Paese e non le tasche di Lorsignori parte perciò una missione decisiva: vigilare affinché gli aiuti europei non si trasformino da grande chance per l’Italia in una beffa, col danno di aumentare il debito pubblico e perdere quel briciolo di credibilità internazionale che ci resta.

https://www.lanotiziagiornale.it/editoriale/manca-toto-alla-tavola-dei-fondi-ue/

Maroni s’arrocca dinanzi al saccheggio leghista. - Gad Lerner

Lombardia - Tangenti sanità: Salvini pronto a scaricare Maroni ...
Politico navigato e figura di cerniera tra diversi ambienti del potere, Roberto Maroni torna a tesserarsi al partito di Salvini, da cui si era ritirato, perché sulla Lombardia leghista si addensano nuvoloni minacciosi; e da qualche parte bisogna pur ripararsi. A sentir lui, la prossima sfida politica in cui varrebbe la pena d’impegnarsi sarebbe quella per riportare la magistratura nei suoi ambiti. Le numerose inchieste per malversazioni in cui sono coinvolti esponenti del sottogoverno leghista, nasconderebbero un disegno persecutorio contro il partito che Maroni lasciò nel gennaio 2018, “sulla base di valutazioni personali”.
Disse proprio così, rinunciando a sorpresa a ricandidarsi presidente della Regione Lombardia tre mesi prima delle elezioni. Salvo aggiungere: “Metto a disposizione la mia esperienza di governo, se sarà necessaria”. All’epoca molti scommettevano sulla prossima nascita di un governissimo fondato sull’alleanza fra Berlusconi e Renzi. Maroni si distanziava dall’estremismo di Salvini, convinto che sarebbe andato a sbattere, mentre lui, il leghista moderato, poteva venir buono finanche a Palazzo Chigi. Come è noto, le cose andarono diversamente. Si consolò facendo il consulente aziendale e il consigliere d’amministrazione. Sembrava che potesse disinteressarsi anche dell’imponente distrazione di milioni del finanziamento pubblico occultati quando, per il solo 2012, era stato lui il segretario della Lega.
Con il senno di poi, la sua mai davvero chiarita rinuncia a un secondo mandato in Lombardia comincia a trovare spiegazioni meno vaghe. Maroni è uomo troppo esperto per non aver colto in tempo gli esiti nefasti del ricambio di classe dirigente da lui stesso propiziato nel dopo Formigoni. Un insieme famelico di nuovi venuti, attratti dal Pirellone come bancomat, che non hanno mai dato vita a un sistema di potere coeso al pari di quello ciellino. Fin dal suo nascere l’intelaiatura territoriale della Lega assegnava un ruolo importante ai commercialisti, spesso portavoce del malcontento dovuto alla pressione fiscale, oltre che praticanti dell’elusione. Ma adesso un’altra generazione di commercialisti poteva introdursi dritta nel sottogoverno, operando al tempo stesso per sé e per i politici che li proteggevano. In sua vece, con il beneplacito di Salvini che doveva saziare la componente varesina della Lega, Maroni promosse Attilio Fontana, rivelatosi debole e maldestro. Il sistema reggeva bene; anzi, la Lega sembrava destinata a completare il suo disegno di partito pigliatutto in Lombardia. Solo che l’estate scorsa Salvini si è dato la zappa sui piedi e, come se non bastasse, nel 2020 è esplosa la pandemia del Covid.
Nel disastro della sanità lombarda, anche Roberto Maroni suo malgrado è tornato a far parlare di sé. Un attacco frontale gli è pervenuto, lo scorso maggio, dal detenuto agli arresti domiciliari Roberto Formigoni. Che ha accusato Maroni di essere stato lui, pochi mesi dopo la sua elezione nel 2013, a smantellare la medicina di territorio. Maroni, stranamente, non gli ha replicato. E anzi il successore Fontana s’è affrettato ad annunciare provvedimenti correttivi, con ciò riconoscendo la validità delle critiche. Per poi riportare un ciellino alla direzione generale della sanità lombarda.
Nel frattempo illegalità e incompetenze di gestione stavano emergendo da tutte le parti. Il responsabile della centrale acquisti della regione ha chiesto di essere spostato ad altro incarico dopo la rivelazione del contratto stipulato per l’acquisto di camici con l’azienda del cognato di Fontana. La gestione della raccolta fondi per l’inutile reparto di terapia intensiva al Portello è finita nel mirino della magistratura. Per non parlare della riapertura frettolosa del pronto soccorso di Alzano Lombardo in piena epidemia. Della circolare che autorizzava a trasferire i pazienti Covid nelle residenze per anziani. E dell’indagine per peculato relativa all’accordo tra Diasorin e ospedale San Matteo di Pavia sui test sierologici, dove tanto per cambiare emerge la regia di esponenti leghisti. Nessuno negli anni scorsi ha avuto da ridire se il commissario politico della Lega di Varese, Andrea Gambini, era contemporaneamente al vertice, come presidente, dell’istituto neurologico Besta di Milano (e di altri enti preposti alla ricerca biotecnologica). L’occupazione del potere avanzava infischiandosene dello spessore dei curriculum. Come già al Pio Albergo Trivulzio, il più grande polo geriatrico italiano, la cui direzione generale è stata affidata a un laureato in Filosofia.
Maroni ora minaccia di querelare chi lo tira in mezzo allo scandalo del capannone della Lombardia Film Commission. Torna militante della Lega e si mette in posizione di arrocco. Ha capito che qui rischia di venire giù tutto. La Lega nazionalista di Salvini ha saccheggiato la sua roccaforte lombarda e ora ne paga le conseguenze.