venerdì 5 marzo 2021

Draghi cancella il bollo auto! Una mossa senza precedenti! - Pierpaolo Molinengo

 

Con un vero e proprio colpo di teatro, Mario Draghi cancella il bollo auto. Il Dl sostegno prevede l'azzeramento dei debiti emessi nel 2015. Questo significa che quanti abbiano dimenticato nel cassetto il bollo auto o si siano dimenticati di pagare una multa, possono stracciare completamente le cartelle esattoriali e dimenticarsi una volta per tutte quei debiti.

Con un vero e proprio colpo di teatro, Mario Draghi cancella il bollo auto. Il Dl sostegno prevede l'azzeramento dei debiti emessi nel 2015. Questo significa che quanti abbiano dimenticato nel cassetto il bollo auto o si siano dimenticati di pagare una multa, possono stracciare completamente le cartelle esattoriali e dimenticarsi una volta per tutte quei debiti.

Il Dl Sostegno, che nelle intenzioni del nuovo Governo, andrà a sostituire il tanto atteso Ristori quinques, dovrebbe portarsi dietro tutta una serie di nuove iniziative in soccorso di lavoratori, imprese e disoccupati. L'intenzione è quella di dare un concreto aiuto alle famiglie che sono in difficoltà: proprio per questo si è pensato di cancellare il pagamento del bollo auto e delle multe arretrate.

Bollo auto, un bella sorpresa, ma non per tutti!

Al momento deve arrivare ancora la firma definitiva sul nuovo Dl Sostegno. Ma le informazioni iniziano a trapelare abbastanza velocemente. Il nuovo Governo guidato da Mario Draghi sembra intenzionato a muoversi all'insegna della tolleranza fiscale. Il primo passo è stato quello di aver procrastinato l'invio delle cartelle esattoriali in sospeso. Il secondo passo è stato quello di occuparsi del bollo auto e delle multe non pagate dal 2015. Per il momento si sta parlando ancora di indiscrezioni e per le certezze del caso è necessario attendere che il decreto sia varato.

Nel momento in cui si inizia a parlare di saldo e stralcio, ci si riferisce ad un accordo tra creditore e debitore, nel quale quest'ultimo ha la possibilità di usufruire di una riduzione dell'importo dovuto, nel caso in cui abbia intenzione di risolvere in via bonaria immediatamente il debito. Un pace fiscale che arriverebbe in un momento molto delicato ed importante. Ma che soprattutto andrebbe incontro un po' a tutti i contribuenti, automobilisti compresi, che potrebbero vedere il saldo e lo stralcio dei debiti generati da un bollo auto od una multa scaduta, purché l'importo sia inferiore ai 5.000 euro.

Cartelle esattoriali sopra i 5.000 euro.

Altro discorso, invece, e se le cartelle esattoriali superino il valore dei 5.000 euro. In questo caso si prevede una rottamazione che permetterà al debitore di pagare solo e soltanto l'importo reale della cartella. In estrema sintesi verranno sottratti gli interessi e le sanzioni, che spesso e volentieri fanno lievitare il totale del debito a cifre astronomiche. Fortunatamente, però, se ci soffermiamo a parlare di bollo auto, difficilmente le cartelle esattoriali superano i 5.000 euro. Nel caso in cui il debito superasse questa cifra sarà possibile regolarizzare la propria posizione in due anni: si avrà, quindi, la possibilità di rateizzare il debito.

Ricordiamo, comunque, che il Dl Sostegno non è ancora stato ufficializzato. Quindi, per il momento, è ancora troppo presto per cantare vittoria e sperare che il bollo auto e la multa dimenticati nel cassetto siano stati già cancellati.

I furbetti del bollo auto sono già stati graziati!

Già in passato i cosiddetti furbetti del bollo auto sono stati graziati. Un decreto fiscale del 2019, subito battezzato strappa-carte, aveva cancellato tutti i debiti con il fisco, fino ad un importo massimo di 1.000 euro. Tra questi, ovviamente rientrava anche il bollo auto. Il decreto, entrato in vigore nel 2019, non si riferiva direttamente al bollo auto: un vuoto normativo che aveva portato a continuare a richiedere il pagamento delle tasse scadute, fino a quando gli automobilisti non hanno provveduto a fare ricorso alla Commissione Tributaria, chiedendo la cancellazione delle cartelle, visto che l’Agenzia delle Entrate continuava a sollecitare il pagamento degli arretrati.

A fare chiarezza era poi intervenuto il Ministero dell'Economia, che aveva reso noto che chi non avesse pagato il bollo auto tra il 2000 ed il 2010 non era più obbligato a pagare quanto dovuto, purché la cifra rimanesse al di sotto dei 1.000 euro. 

https://www.trend-online.com/fisco-tasse/bollo-auto-mario-draghi/.

Faide Pd: Zinga si dimette Conte: “Un leader leale”. - Wanda Marra

 

Lo “stillicidio”, come lo definisce lui, andava avanti da giorni e giorni. E con quello, un rimuginare sull’addio che non trovava pace. Alla fine, Nicola Zingaretti ha annunciato le sue dimissioni. Quasi a freddo nei tempi e inconsuete nei modi, scegliendo un post Facebook. “Mi vergogno che nel Pd da 20 giorni si parli solo di poltrone e primarie, quando in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid”. Ma poi è stato ancora più diretto: “Visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione”. Non una fredda comunicazione, ma un messaggio fortissimo, polemico, prima di tutto emotivo, da cui trapela la difficoltà dell’uomo di fronte a un tiro al piccione quotidiano. Ma anche uno scatto di orgoglio.

Non ha avvertito praticamente nessuno, se non il suo inner circle, che il dado era tratto, Zingaretti. Chi ci aveva parlato mercoledì sera e ieri mattina racconta che il quasi ex segretario (le dimissioni saranno formalizzate con una lettera alla presidenza del partito) pareva convinto ad andare avanti. Magari a presentarsi come traghettatore, fino al congresso in autunno, all’assemblea del 13 e 14 marzo. Oppure ad arrivare fino al 2023, sfidando le minoranze. Anche se negli ultimi due giorni, il passo indietro prendeva consistenza davanti al rinvio delle Amministrative a ottobre, con l’idea di candidarsi sindaco. L’annuncio ha lasciato tutti nella costernazione generale: non lo sapeva Goffredo Bettini, che spingeva per un rilancio; non lo sapeva Dario Franceschini, che la lavorato in queste settimane per convincerlo a rimanere.

D’altra parte, “Zinga” di sconfessioni implicite ed esplicite ne ha collezionate parecchie. Ha dato il via a malincuore al governo giallorosa per poi inchiodarsi al “Conte o voto” fino al momento in cui ha sentito dalle parole di Sergio Mattarella nella sala alla Vetrata che Mario Draghi era in campo. Ha accettato il governo con la Lega ed è dovuto restare fuori, per non far entrare Matteo Salvini. Ha visto praticamente fallire l’ipotesi dell’alleanza organica M5S, Pd, LeU con Giuseppe Conte federatore. E sull’“identità” del Pd era già pronta una battaglia sul sistema elettorale, che mezzo partito vuole più maggioritario di lui, per preservare l’idea di un partito plurale. Tutto questo, tra gli attacchi quotidiani di Base Riformista (la corrente di Lorenzo Guerini e Luca Lotti) e dei sindaci. Poi c’è stata la débâcle sui sottosegretari e la scivolata del tweet in sostegno di Barbara D’Urso. E la fatica di mandare giù l’indifferenza del premier e la freddezza di Mattarella nei suoi confronti.

“Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità”, scrive. Senza un percorso, il Pd rischia davvero l’implosione. E lui lo sa. Che questo basti a convincerlo a ripensarci è da vedere. Nonostante la richiesta che dopo un paio d’ore arriva praticamente da tutti a ripensarci. Da Franceschini a Guerini, da Andrea Orlando ad Andrea Marcucci. Amici e nemici. Oltre ai messaggi di solidarietà che il responsabile Organizzazione, Stefano Vaccari, raccoglie con cura. Non parla Stefano Bonaccini, il principale candidato alla successione. Giuseppe Conte gli telefona, per ribadire l’apprezzamento delle sue qualità umane e della sua lealtà. In fondo, i due condividono la stessa sorte: sono fuori, come voleva Matteo Renzi. Nel governo guardano con una certa preoccupazione a un Pd senza controllo, ma da quando è arrivato Draghi, a implodere sono stati i dem e i Cinque Stelle.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/05/faide-pd-zinga-si-dimette-conte-un-leader-leale/6122766/

Australia: 'l'Ue riveda il bando all'export', la richiesta dopo lo stop all'esportazione dei vaccini Astrazeneca.

 

BRUXELLES - L'Italia è il primo Paese dell'Unione europea a rifiutare l'export delle dosi di vaccini anti Covid -19 di AstraZeneca. È stata notificata ieri la decisione di bloccare l'export di 250 mila dosi della casa farmaceutica in Australia. Canberra minimizza l'impatto della decisione dell'Italia di bloccare l'esportazione. "Si tratta di un lotto da un un Paese", ha detto un portavoce del ministero della salute australiano all'Afp e la spedizione del vaccino AstraZeneca dall'Italia "non è stata presa in considerazione nel nostro piano di distribuzione per le prossime settimane". L'Australia ha già ricevuto 300.000 dosi AstraZeneca e la prima di esse dovrebbe essere somministrata oggi. Il lotto, insieme alle forniture Pfizer, dovrebbe durare fino a quando la produzione interna di AstraZeneca non sarà aumentata.

"In Italia, le persone muoiono al ritmo di 300 al giorno. E quindi posso certamente capire l'alto livello di ansia in Italia e in molti Paesi in tutta Europa. Sono in una situazione di crisi senza freni. Questa non è la situazione in Australia": lo ha detto il primo ministro australiano Scott Morrison, in merito alla decisione dell'Italia di bloccare l'esportazione di 250.000 dosi di vaccino Covid-19. "Questa particolare spedizione non era quella su cui avevamo fatto affidamento per il lancio della campagna vaccinale, e quindi continueremo senza sosta", ha ribadito Morrison come già sottolineato dal suo ministero della Salute.

L'Australia ha chiesto alla Commissione Europea di riesaminare la decisione dell'Italia di bloccare una spedizione del vaccino Covid-19 di AstraZeneca, pur sottolineando che le dosi mancanti non influenzerebbero il programma di inoculazione australiano. "L'Australia ha sollevato la questione con la Commissione europea attraverso più canali, e in particolare abbiamo chiesto alla Commissione europea di rivedere questa decisione", ha detto ai giornalisti a Melbourne il ministro della Salute australiano Greg Hunt, secondo quanto riporta l'agenzia Reuters sul proprio sito web.

La decisione sul blocco dell'export di 250mila dosi di AstraZeneca all'Australia è stata presa e in Ue non c'è intenzione di tornarci sopra. La compagnia farmaceutica può comunque avanzare una nuova richiesta per la fornitura a Canberra, che verrà analizzata sulla base del meccanismo sul controllo e la trasparenza dell'export. Lo si apprende a Bruxelles.

https://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2021/03/05/laustralia-minimizza-perso-solo-un-lotto-da-un-paese-_4ac4c9e7-24f0-4f7c-aaed-6707b392f619.html

Zingarella. - Marco Travaglio


Come volevasi dimostrare, da quando è nato il governo Draghi il centrodestra non è mai stato così bene e i giallorosa così male. Non occorrevano le dimissioni di Zingaretti per capirlo. È un effetto collaterale dell’ammucchiata, in cui Draghi, per sua fortuna estraneo ai giochi politici, c’entra poco. C’entra molto di più chi l’ha concepita e imposta col ricatto del 2 febbraio al Parlamento “o mangiate questa minestra o saltate da quella finestra”: Mattarella & his friends. I quali, anziché usare quell’arma di pressione per rinviare alle Camere il Conte-2 (con lo spettro delle urne, i 5 o 6 voti mancanti al Senato sarebbero diventati 50 o 60), hanno preferito creare il Governo di Tutti. Come se, caduti il Conte-1 per mano di Salvini e il Conte-2 per mano dell’altro Matteo, la soluzione fosse un assembramento con tutti dentro. Come se le liti dei giallorosa si potessero spegnere cumulandole con quelle del centrodestra. Come se le discordie fra i partiti fossero pretestuose come quelle agitate dall’Innominabile contro Conte (Mes, task force del Recovery, Dpcm, settimane bianche, 007, reddito, Casalino, subito scomparse dai radar dopo il premiericidio), e non invece sostanziali e squisitamente politiche: a chi vanno i 209 miliardi Ue, se i vaccini sono un bene pubblico o un affare privato, se nella lotta al Covid prevale la salute o il profitto.

Per rinviare la politica a data da destinarsi, si è optato per due governi in uno: quello vero, che fa capo a Draghi, ai suoi tecnici e a Giorgetti, più il capo della Polizia e un generale dell’Esercito, che si occupano della ciccia senza render conto a nessuno; e quello finto dei ministri presi dai governi Conte e B., con funzioni puramente decorative. Il silenzio di Draghi regala praterie a Salvini, che come sempre blatera (così molti credono che faccia tutto lui, come nel Conte-1, senza neppure il fastidio della sinistra che gli dà del fascista o gli ricorda i flop della sua Lombardia). FI si ricompatta col sacro mastice del potere e pare addirittura un organismo vivente (c’è persino la Gelmini in vetrina). E la Meloni incassa consensi da esclusivista dell’opposizione, pronta a riunirsi con Matteo e Silvio in tempo per le urne. Chi sta meglio di loro? Il prezzo lo pagano tutto i 5Stelle, il Pd e LeU, che non toccano palla in un governo fatto apposta per il centrodestra. Con la differenza che il M5S ha almeno la carta Conte da giocare. Il Pd nemmeno quella. Zingaretti, con tutti i suoi limiti, era sopravvissuto a due scissioni (Renzi e Calenda) riscoprendo un barlume di progressismo, azzeccando l’asse col M5S e guadagnando consensi: peccato mortale, per un partito a vocazione suicidiaria per via della variante renziana. Quod non fecerunt Napolitani fecerunt Mattarelli.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/05/zingarella/6122762/

I ristori? Nessuna fretta, il governo rimanda ancora: fino a un mese per la piattaforma, dopo le richieste. Per le aziende ferme altre settimane senza soldi.

 

INDENNIZZI A RILENTO - Secondo le bozze del cosiddetto decreto Sostegno, a partire dall'approvazione (che arriverà la prossima settimana ma non si sa quando) ci saranno 30 giorni di tempo per Sogei per elaborare un nuovo sistema informatico per le procedure di rimborso. Dopo altri 10 giorni partiranno i pagamenti. Insomma: il rischio è che i soldi arrivino dopo Pasqua.

Oltre un mese fa, quando la crisi politica che ha portato Mario Draghi a Palazzo Chigi non si era ancora conclusa, l’erogazione degli indennizzi alle attività chiuse causa Covid sembrava la priorità assoluta di tutti i partiti. Tanto che il governo Conte, in carica solo per gli affari correnti, era al lavoro per approvare comunque il decreto Ristori 5 dopo l’ok unanime dell’Aula allo scostamento di bilancio. Ma ora che il nuovo esecutivo è pienamente operativo e sono passati 20 giorni dal giuramento dei ministri, il nuovo provvedimento ancora non si vede. Il lavoro si preannuncia lungo: il testo sarà oggetto di riunioni continue in settimana per arrivare a uno schema condiviso entro 7-10 giorni. Non solo. Stando all’ultima bozza anticipata dall’Ansa, gli esercenti potrebbero vedere i primi soldi solo dopo Pasqua. Il motivo è che, per bonificare gli aiuti, il ministero dell’Economia vuole una nuova piattaforma gestita da Sogei. La tabella di marcia prevede che la società abbia 30 giorni di tempo, a partire dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto, per costruirla. Poi si aprirà una finestra temporale per le richieste. L’Ansa calcola quindi altri 10 giorni per i primi contributi – verosimilmente inizio aprile – e la chiusura di tutta la partita entro il 30. In pratica ci saranno aziende che vedranno i soldi a oltre tre mesi dall’ultimo bonifico.

Il provvedimento, ribattezzato decreto Sostegno, prevede però anche diverse novità. A partire dalla scomparsa, ampiamente annunciata, dei codici Ateco. Il meccanismo, stando a questa bozza, non sarebbe quello del rimborso dei soli costi fissi che si ipotizzava da settimane. Ma rimarrebbe legato al calo di fatturato: non più quello del solo aprile 2020 a cui finora sono stati ancorati i precedenti ristori bensì la media mensile dell’intero anno rispetto al 2019, a patto di aver perso nel complesso almeno il 33% (ma la percentuale è ancora da confermare). Nel decreto sono previsti poi altri due miliardi di euro per il Piano vaccini, compreso il trasporto, la somministrazione e il coinvolgimento dei medici di famiglia, e le terapie anti-Covid. I licenziamenti vengono bloccati fino a fine giugno, mentre la Cassa integrazione Covid potrebbe essere prorogata fino a fine anno. Il governo lavora anche alla sospensione dell’invio di nuove cartelle per altri due mesi, cioè fino a fine aprile.

Per imprese, esercenti e partite Iva cambiano inoltre le fasce di indennizzo. La bozza attuale ne prevede quattro: il 30% per le attività con ricavi fino a 100mila euro, 25% fino a 400mila euro, 20% fino a un milione e 15% per quelle con fatturato più alto, mentre si starebbe ancora valutando come intervenire per sostenere le start up. I decreti ristori del governo Conte riconoscevano invece cifre parametrate al 20% della differenza di fatturato tra aprile 2020 e aprile 2019 per chi avesse avuto ricavi 2019 sotto i 400mila euro15% in caso di ricavi tra 400mila euro e 1 milione e 10% con ricavi tra 1 e 5 milioni. Questi aiuti dovrebbero coinvolgere 2,7 milioni tra imprese e professionisti con fatturato fino a 5 milioni. L’intenzione di prevedere tetti più alti di fatturato è confermata a Radio24 dalla viceministra all’Economia Laura Castelli.

“Gli uffici tecnici preposti sono al lavoro per individuare un pacchetto di misure normative di sostegno ispirato all’equità, alla celerità, alla semplificazione e alla immediatezza”, ha aggiunto il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti durante il question time alla Camera. Il provvedimento, sostiene , “è ispirato ad una radicale semplificazione delle attuali procedure, superando lo schema normativo improntato sulla base del codice Ateco e favorendo l’automatismo dell’erogazione in tutti i casi in cui ciò risulta possibile, ed eventualmente prevedendo anche in modo opzionale la possibilità di compensazione in sede di dichiarazione“. Per quanto riguarda le tempistiche di approvazione, Giorgetti fa sapere che il decreto “vedrà la luce, auspicabilmente, entro la prossima settimana“.

Nel provvedimento sarebbero previsti anche 600 milioni da aggiungere ai contributi a fondo perduto per la filiera della neve, visto lo stop definitivo della stagione per lo sci, da ripartire in Conferenza Stato-Regioni. Per la filiera della montagna, però, si starebbe ragionando su come modulare in modo diverso l’intervento. Così come si valuta se rafforzare ulteriormente il finanziamento per il piano vaccinale e sarebbe ancora in discussione la modalità con cui fare ripartire la riscossione delle cartelle. Al momento si pensa a un nuovo stop generalizzato fino al 30 aprile sia per l’invio di nuovi atti sia per il pagamento delle rate della cosiddetta ‘pace fiscale’ cioè la rottamazione ter e il saldo e stralcio. Il capitolo fiscale, peraltro, potrebbe anche contenere un nuovo stralcio delle cartelle ferme da anni nel magazzino: si ipotizza di cancellare quelle tra il 2000 e il 2015 per importi massimi fino a 5mila euro comprese sanzioni e interessi. L’intervento riguarderebbe 60 milioni di cartelle e avrebbe un costo di due miliardi tra 2021 e 2022.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/03/i-ristori-nessuna-fretta-il-governo-rimanda-ancora-fino-a-un-mese-per-la-piattaforma-dopo-le-richieste-per-le-aziende-ferme-altre-settimane-senza-soldi/6120471/

giovedì 4 marzo 2021

“Aspi, trust e divorzi finti: così gli indagati nascondono i soldi”. - Marco Grasso

 

L’inchiesta. La Gdf: l’obiettivo è evitare di pagare i risarcimenti alle vittime.

C’è chi ha creato un trust, dove ha messo al riparo il patrimonio personale. Chi ha venduto case e le ha intestate a familiari. Chi si è separato, avviando così anche divisioni patrimoniali. C’è fermento all’ombra dei processi nati dal crollo del Ponte Morandi. Procedimenti che prospettano cause penali e civili milionarie. Le stime sui possibili risarcimenti ammontano a 1 miliardo e mezzo di euro, secondo lo Cassa depositi e prestiti, impegnata in un’aspra trattativa per l’acquisizione di Autostrade per l’Italia. Una valutazione non troppo lontana da quella fatta dalla Corte dei Conti, che stima in più di 1 miliardo i costi dei soccorsi prestati durante l’emergenza e i danni all’economia. Insomma, cifre da capogiro. Ed è in questo contesto che gli inquirenti hanno notato un fenomeno ricorrente: alcuni degli indagati nelle inchieste della Procura di Genova hanno cominciato a disfarsi di proprietà e conti in banca.

A segnalarlo è un’informativa della Guardia di Finanza, depositata nelle settimane scorse ai pm Walter Cotugno e Massimo Terrile, i magistrati che si occupano delle indagini nate dal disastro, coordinati dal procuratore capo Francesco Cozzi e dall’aggiunto Paolo D’Ovidio. L’annotazione contiene il tracciamento di alcuni movimenti finanziari sospetti.

Al centro dell’attenzione ci sono una decina di persone, manager di medio e alto livello, nomi ricorrenti in tutti i filoni di indagine. Da una prima scrematura circa la metà di queste posizioni sono ritenute di massimo interesse. Gli investigatori stanno cercando di valutare se si tratta di manovre lecite, oppure se sono la spia di un tentativo di occultamento di capitali o di intestazioni di beni a persone fittizie, insomma movimenti strategici per evitare future aggressioni in caso di guai giudiziari.

La Procura di Genova non indaga solo sulla tragedia del viadotto Polcevera, che il 14 agosto 2018 ha provocato 43 vittime. Da quel fascicolo ne sono nati altri tre paralleli: uno sulla falsificazione dei report sulla sicurezza dei viadotti; un secondo molto simile che riguarda ispezioni ammorbidite sulle gallerie; un terzo sull’installazione di barriere antirumore difettose. Tre filoni che lasciano intravedere una medesima filosofia gestionale, orientata secondo il tribunale alla massimizzazione dei profitti, e che per questo potrebbero a un certo punto essere accorpati in un unico processo.

L’affaire barriere a novembre ha portato all’arresto dell’ex amministratore delegato Giovanni Castellucci. Il manager aveva già lasciato il gruppo nel settembre del 2019, dopo la diffusione delle prime intercettazioni che coinvolgevano alcuni fedelissimi. Tra loro l’ex capo delle manutenzioni Michele Donferri Mitelli (licenziato due mesi più tardi), registrato mentre chiedeva a personale di Spea (società del gruppo incaricata del monitoraggio delle opere) di ammorbidire i rapporti sulla sicurezza dei viadotti. In un altro messaggio, poche settimane prima del crollo del Morandi, Donferri scrive al suo diretto superiore Paolo Berti che i cavi del ponte “sono corrosi”. Affermazione a cui il suo interlocutore risponde: “Sticazzi, io me ne vado”. E sono sempre i due dirigenti le figure che ritornano in un altro passaggio fondamentale delle indagini. A gennaio del 2020 Berti è appena stato condannato a cinque anni per i morti di Avellino. Minaccia di cambiare versione in appello e di poter mettere nei guai i vertici della società. Donferri lo va a prendere in aeroporto per portarlo a un incontro con Castellucci e in una circostanza lo convince “a stringere un accordo con il capo”.

L’allontanamento di Castellucci, in ogni caso, non è stata un’operazione a costo zero per Aspi. L’accordo di “risoluzione consensuale” prevedeva per il manager una buonuscita da 13 milioni di euro. Castellucci finora si è sempre difeso dicendo di essere stato tenuto fuori dai dettagli tecnici sulla sicurezza. Ma dopo l’aggravamento del quadro indiziario nei suoi confronti, Atlantia ha provato a congelare la liquidazione d’oro e a richiedere indietro anche il primo acconto da 3 milioni. La decisione è stata impugnata di fronte al giudice del lavoro di Roma, che in una prima fase ha dato il via libera al pagamento della seconda tranche. È quasi certo che la controversia sarà destinata ad avere altri sviluppi. Soprattutto quando il tribunale di Genova presenterà il conto da pagare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/04/aspi-trust-e-divorzi-finti-cosi-gli-indagati-nascondono-i-soldi/6121366/

Uomini Eni alla Farnesina: l’accordo segreto del 2008. - Stefano Vergine

 

Esclusivo. Dai tempi di B. e Putin, 11 anni fa, il gruppo può dislocare dirigenti al ministero e viceversa. Così è parte della nostra diplomazia.

C’è un accordo riservato che mette nero su bianco il segreto di pulcinella della politica estera italiana. È un protocollo d’intesa stipulato tra il ministero degli Esteri ed Eni nel 2008, finora mai pubblicato. Spiega in concreto perché il colosso petrolifero di San Donato, controllato dal Tesoro, non è una società privata come tutte le altre. L’accordo concede infatti a Eni un privilegio particolare: stanziare un proprio “funzionario” presso il ministero degli Esteri per un periodo di due anni rinnovabile all’infinito e, reciprocamente, avere nei propri uffici un “funzionario diplomatico” della Farnesina. Insomma Eni e governo italiano si scambiano pedine, così da “rafforzare il raccordo tra l’azienda e il ministero degli Affari Esteri”, dice l’accordo. In più, il gruppo privato e la Farnesina si sono impegnati a scambiarsi informazioni “sulla realtà economica, istituzionale e sociale dei Paesi oggetto di interesse”.

Lo rivela un rapporto intitolato “Tutti gli uomini del ministero” firmato da Re:Common, associazione italiana che da anni monitora l’attività di Eni nel mondo e ha, tra le altre cose, dato il via con le proprie denunce alle inchieste condotte dalla Procura di Milano per casi di sospetta corruzione in Nigeria e Repubblica del Congo. “In veste di principale compagnia energetica italiana, Eni gode di un peso rilevante sulla politica estera del nostro Paese. La protezione degli asset petroliferi del Cane a sei zampe ha motivato persino alcune delle missioni militari in cui è tuttora impegnato l’esercito italiano”, scrive Re:Common nell’introduzione del suo rapporto. Che il confine tra Eni e lo Stato italiano sia sempre stato sottile non è un segreto. “L’Eni è oggi un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, della nostra politica di intelligence. Cosa vuol dire intelligence? I servizi, i servizi segreti”, disse in tv nel 2014 Matteo Renzi, appena eletto presidente del Consiglio, scatenando le proteste dell’opposizione. La frase di Renzi “potrebbe essere usata da qualunque concorrente, all’estero, per bloccare contratti o gare”, commentò ad esempio Guido Crosetto, coordinatore di Fratelli d’Italia. Ma non è solo una questione commerciale. Prendiamo il caso di Giulio Regeni. Che peso ha avuto finora Eni, che in Egitto ha enormi interessi economici, nella decisione del governo italiano di non rompere i rapporti con il regime di al-Sisi? È uno dei tanti temi toccati dal rapporto di Re:Common, così come quello delle negoziazioni sul clima. “Quello in corso sarà un anno fondamentale per la politica energetica italiana”, scrive l’associazione, “e il nostro Paese avrà la co-presidenza della prossima COP 26 e quella del G20. Un tema centrale sarà proprio quello dei finanziamenti pubblici in nuovi progetti fossili. Viene da chiedersi però quali siano le possibilità concrete che l’esecutivo smetta di finanziare i devastanti progetti di Eni, fintanto che la compagnia godrà di una posizione privilegiata all’interno della stessa cabina di regia incaricata di coordinare la posizione dell’Italia nell’ambito di questi negoziati”. L’associazione ha scoperto quali sono i dipendenti Eni distaccati alla Farnesina. E due di questi avrebbero partecipato alle riunioni del ministero svoltesi in vista delle negoziazioni internazionali sul clima. Si tratta di Alfredo Tombolini, distaccato alla Farnesina dal 2016 al 2019, e di Sandro Furlan, oggi ancora in carica. Secondo Re:Common, i due manager hanno partecipato ad almeno tre riunioni delle cabine di regia su “Energia” e “Ambiente e Clima” tenutesi tra il dicembre del 2019 e la scorsa estate. Il problema, secondo l’associazione, è che così facendo la politica italiana rischia di essere troppo influenzata da Eni.

Il protocollo d’intesa tra l’azienda e il ministero dura ormai da 13 anni. È stato firmato nel settembre del 2008, quando a capo del governo c’era Silvio Berlusconi e sulla poltrona di amministratore delegato di Eni sedeva Paolo Scaroni. Due anni prima l’azienda aveva firmato con la russa Gazprom un contratto di fornitura di gas con scadenza 2035. “Visto il lungo radicamento della società in Russia e gli ottimi rapporti di cui gode con il Cremlino, Berlusconi vide in Eni un asset formidabile per la sua politica estera, tanto da permettere alla compagnia petrolifera di insediare i propri funzionari all’interno della Farnesina”, scrive Re:Common. Di sicuro il primo manager Eni distaccato al ministero degli Esteri è stato Giuseppe Ceccarini, fino ad allora responsabile delle relazioni istituzionali con la Russia per il Cane a sei zampe.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/03/04/uomini-eni-alla-farnesina-laccordo-segreto-del-2008/6121370/