lunedì 17 novembre 2025

SE LO DICE UN EX GENERALE DELLA NATO … “MAI DISCUTERE CON UN IMBECILLE: PRIMA TI TRASCINA AL SUO LIVELLO E POI TI FREGA CON L’ESPERIENZA”.

 

La situazione degli ucraini è disastrosa. Stanno perdendo la guerra. Il loro capo supremo Zelensky ha probabilmente accumulato miliardi all’estero ma continua a chiedere che migliaia di soldati si immolino per gli interessi americani. Sembra che la guerra possa continuare almeno per un anno se qualcuno, cioè quei “bischeri”dei volenterosi, sgancino 360 miliardi. Il Generale Mini, ex comandante Nato, riporta un detto che trovo sublime: “Mai discutere con un imbecille: prima ti trascina al suo livello e poi ti frega con l’esperienza”. Il problema ora è capire chi sia l’imbecille. L’imbecille è colui che prova a spillarti 360 MILIARDI e trova una massa di capi di stato, inclusa la nostra Meloni, che pagano tutti i soldi che gli vengono chiesti dal boss americano mettendo in ginocchio l’economia europea ? Imbecilli sono coloro che pur vedendosi ridotto il benessere continuano a credere a dei bugiardi seriali che non hanno realizzato una singola promessa del loro programma elettorale? Oppure imbecilli siamo noi che ci incazziamo vedendo le tante cose che non vanno e comprendendo che quello che sta facendo chi è al governo non le migliorerà di una virgola? O imbecilli sono coloro che hanno smesso di andare a votare lasciando che chi comanda faccia tutte le porcherie del mondo?
FABIO MINI – IL FATTO – 06.11.2025
L’impressione che la guerra in Ucraina stia volgendo al termine è forte. Gli aiuti occidentali previsti o promessi non sono più sufficienti a salvare l’Ucraina. Zelensky ha chiesto altri 360 miliardi per continuare la guerra ancora un anno. Le sue infrastrutture energetiche non riusciranno a sostenerla nemmeno per questo inverno. La Russia avanza e le sue truppe stanno chiudendo le sacche in cui sono intrappolati migliaia di soldati ucraini, in pratica quasi tutti quelli ancora impiegati al fronte. Falliscono miseramente i tentativi di impedire la chiusura di altre sacche con commando ed elicotteri. Sono il segnale della disperazione piuttosto che della speranza. Le forze speciali ucraine sono gestite dagli inglesi, si muovono su elicotteri americani e forse hanno tentato di estrarre dalle zone occupate qualche importante personaggio, piuttosto che i soldati. In ogni caso ben due missioni nel giro di poche ore sono fallite e tutti i membri dei commando sono stati eliminati dai droni russi che evidentemente sapevano dove colpire. Gli Stati Uniti nicchiano sui missili Tomahawk e intanto forniscono agli ucraini i dati sugli obiettivi continuando nel coinvolgimento diretto nel conflitto. Zelensky appare in preda al panico. Circolano le sue immagini con l’elmetto circondato da comandanti militari turbati ma ossequiosi come si conviene a militari di fronte al Commander in Chief che viene a sollecitare il loro senso del sacrificio, per la Patria. In Ucraina, e non solo, a quelle immagini non crede più nessuno, un po’per nausea da assuefazione un po’perché il Comandante in capo è diventato tale a suon di sceneggiature. Chi lo manovrava sul set televisivo è ora lo sceneggiatore presidenziale, i militari turbati che lo circondano non prendono ordini da lui, ma dai loro alleati occidentali, lui stesso è ostaggio dei suoi sponsor europei e degli oligarchi che in tempo di “saldi”lo vogliono “saldo” al potere. E alla patria di Zelensky nessuno associa più l’Ucraina, ma i luoghi dei depositi dove si trovano i miliardi che non rispondono all’appello dei contabili americani e nemmeno del ragioniere sotto casa. La finzione sta prevalendo sulla realtà. L’Intelligenza artificiale su quella naturale che ormai è esaurita. Da parte sua, la Russia continua quasi imperterrita sulla strada dell’Operazione Militare Speciale (Oms). Un eufemismo adottato quando credeva veramente che sarebbe stata un’operazione temporanea a fini e obiettivi limitati sul piano militare. Un’operazione che doveva assistere quella diplomatica concentrata sui negoziati e sulla ricerca di un consenso internazionale che controbattesse lo schieramento antirusso occidentale. L’Operazione Diplomatica Speciale (Ods) modulava quella militare e non viceversa. Fino a quando la prospettiva diplomatica appariva possibile le truppe frenavano anche a costo di figuracce. Quando essa iniziava a perdere efficacia quella militare aumentava d’intensità. Guidata da un diplomatico di lungo corso che è rimasto alla guida del suo ministero anche quando i responsabili militari venivano drasticamente sostituiti, l’Ods ha ottenuto dei grandi successi in campo internazionale essenzialmente perché si è posta su un piano diverso dal conflitto sul campo. Il suo obiettivo non è la soluzione del conflitto ma la ripresa delle relazioni con gli Stati Uniti, la garanzia della propria sicurezza e dei propri interessi nel mondo e non soltanto in Europa. La Cina, il colosso che dovrebbe essere il prossimo nemico statunitense e occidentale, è con la Russia e così tutti gli altri Stati dei tre quarti del mondo suoi clienti e fornitori. Gli Stati Uniti parlano e trattano con la Russia come non accadeva da anni, anche se in maniera altrettanto ambigua e lingua biforcuta come i precedenti approcci di Clinton, Bush, Obama e lo stesso Biden hanno dimostrato. Parlano di guerra in Ucraina, ma pensando al dopo e altrove e se non ci fosse la guerra in Ucraina probabilmente non avrebbero alcun pretesto per parlarne ora a quattr’occhi. L’Ods tiene aperto il conflitto perché ora è il momento migliore per trattare sulle armi nucleari strategiche, sulle sanzioni, sulle regole d’ingaggio nel mondo, sui cambi di regime, sugli interessi reciproci e sulle nuove partite da giocare con somma diversa da zero. L’Ods va avanti da decenni e non finirà con la fine dell’Ucraina. Ha incontrato parecchi ostacoli, molti per errori interni e altri per quelli esterni, ma un elemento che impedisce il raggiungimento di obiettivi più durevoli è la difformità degli interlocutori. La Russia, ancorata al concetto del diritto internazionale e agli equilibri di potenza stabiliti dalle Nazioni Unite, ha applicato alla perfezione i metodi statunitensi di ignorare il diritto e gli equilibri quando questi non favoriscono gli interessi nazionali. A ogni cambio di interlocutori americani ed europei, la Russia ha dovuto cominciare da capo spiegando cosa siano il diritto internazionale, la diplomazia e gli interessi superiori sul piano globale. Ha trovato sempre gente con la bocca spalancata e niente da dire, ma sufficientemente arroganti da non voler capire. Così continua a trovarsi davanti degli ignari che se ne fregano degli interessi globali e duraturi e si concentrano su quelli locali e transitori. Locali in tutti i sensi: ristretti fra quattro mura e temporanei fino a che dura un mandato elettorale. Tuttavia ciò che disturba maggiormente la Ods non è il fatto di avere a che fare con degli ignoranti, o dei tangheri che in missione diplomatica in zona di guerra vanno a suonare e cantare nei pub, o dei perfetti imbecilli. Gli ignoranti e i tangheri si possono educare e istruire mentre con gli imbecilli è sufficiente non parlarci proprio, come insegna un antico adagio: “Mai discutere con un imbecille: prima ti trascina al suo livello e poi ti frega con l’esperienza”. La cosa peggiore per la Ods è avere interlocutori che pur conoscendo le forme e la sostanza della discussione si lasciano sedurre dalle fandonie o dalle ideologie perverse. Interlocutori un tempo ammirati per cultura e ragionevolezza sono ora prigionieri di vecchi schemi, maestri del linguaggio forbito si dedicano ora agli insulti gratuiti. Questo è per l’Ods un tradimento non della Russia ma dell’intelligenza. L’Italia si trova in questa infelice situazione e non è più rispettata come un tempo. Nemmeno da quelli che ne accarezzano i leader come se fossero cagnolini e che sono così affascinati dalla sua storia e dalle sue bellezze da chiedere alle guide turistiche di poter visitare le “riserve” degli Etruschi, come se fossero le riserve dei pellirosse. L’Ods ha tuttavia un elemento di vulnerabilità: la mutazione della conoscenza e dell’esperienza in arroganza. La cinica osservazione della Zackarova, pilastro della Ods, sullo spreco dei soldi italiani nelle armi per l’Ucraina a scapito della salvaguardia del patrimonio culturale non è solo di cattivo gusto, è arroganza ed è un colpo basso per l’intera Ods. È grazie a questa operazione che la Russia ha potuto riaffermare il proprio legittimo ruolo globale e meritare il rispetto e il sostegno di tre quarti del mondo. Ma si trova ancora a dover combattere contro i pregiudizi del cosiddetto mondo occidentale, a dover difendere la propria immagine istituzionale dai peggiori attacchi mai subiti da altre nazioni sovrane. L’uscita della Zackarova non aiuta l’Ods e lei se la poteva e doveva risparmiare.

MA MI FACCIA IL PIACERE di Marco Travaglio.

 

Tatuiamoci e partite.
“Ci sono battaglie che segnano epoche e cambiano il corso della storia. La guerra in Ucraina e quello che stanno facendo gli ucraini per la loro e per la nostra libertà è una di quelle.
Per questo ho deciso di tatuarmi il tryzub, ovvero il tridente simbolo del principato di Kyiv che preesiste a quello di Mosca.
Non pensavo di scatenare tutte queste reazioni, ma se la Russia ha paura di un tatuaggio (Carlo Calenda, leader Azione, Rai3, 10.11).
Ultim’ora: accanto al tridente, Calenda si tatua un water d’oro.
Non avrai altro pirla.
“Pensavo di essere l’ultimo pirla che si era fidato di Renzi, non ero l’ultimo e questo mi rassicura” (Calenda, 31.7.24).
“Caro Marco Travaglio, sempre apprezzando la signorilità del giornale che dirigi, ti rispondo affettuosamente meglio Pirla che Putiniano” (Calenda, X, 12.11.25).
L’unico pirla che può dare del pirla a Calenda è Calenda.

L’insaputo.
“Il più grande sconto ai ‘ricchi’ l’ha fatto Draghi. Giorgetti:
‘E massacrano noi…’” (Verità, 10.11).
Lui nel governo Draghi era solo il ministro dello Sviluppo Economico.

La parola all’esperto.
“Le tangenti in Ucraina? I corrotti ci stanno sempre in tutto il mondo” (Antonio Tajani, vicepremier FI, 14.11).
Sennò lui non avrebbe un partito.

The Fox.
“L’Ucraina è incorruttibile”.
“Ville in Svizzera e milioni all’estero: ecco la Tangentopoli che assedia Zelensky. Due ministri costretti alle dimissioni, fedelissimi in fuga: il presidente ora teme l’effetto valanga”
(Anna Zafesova, Stampa, 13.5 e 13.11).
Ammazza che volpe.

Ha stato Putin.
“Una giornata da dimenticare per Richetti, capogruppo di Azione, vittima di un doppio furto durante il rientro in treno da Brescia a Roma. ‘Stavamo rientrando da Brescia, con Calenda e Rosato… E a Calenda gli è scappata pure la battuta:
Matteo, forse coi russi stiamo esagerando…’” (Adnkronos, 13.11).
È la vendetta di Putin per il tatuaggio.

Lavoratoriiii!
“Gasparri: ‘Ma che lavoro ha fatto Fico finora?’” (Libero, 10.11).
Ha parlato il metalmeccanico.

Cattivi bidelli.
“Sofia Ventura è stata allieva di Angelo Panebianco”
(Stefano Folli, Robinson-Repubblica, 9.11).
Ah, quindi non è tutta colpa sua.

Lollo in ammollo.
“Se Gratteri indaga come cita, peggio mi sento” (Francesco Lollobrigida, ministro FdI dell’Agricoltura, Foglio, 14.11).
A proposito: com’era la citazione evangelica sulla moltiplicazione dei vini?

L’ideona.
“Ancora lame, ancora violenza, il ministro Piantedosi venga subito in aula a rispondere, se hanno una idea, una strategia su questa piaga.
Abbiamo una proposta di legge sui coltelli, discutiamola con urgenza” (Nomfup, alias Filippo Sensi, deputato Pd, 3.11).
Giusto: aboliamo i coltelli, così i tagliagole passano alle forchette.

Nuovi testimonial.
“Pierluigi Battista promuove il Sì”, “Marco Rizzo: io ex comunista voterò Sì” (Giornale, 10.11).
“Tarfusser spariglia il fronte del No” (Dubbio, 12.11).
“Lamberto Dini: ‘La riforma Nordio va sostenuta’” (Riformista, 14.11). “Pina Picierno: ‘Separare giudici e pm non è eversione’” (Dubbio, 14.11). “Michele Vietti: ‘Questa riforma va difesa’” (Giornale, 15.11). “Tiziana Maiolo: ‘La dura vita dei sostenitori del No’” (Dubbio, 15.11).
Ma allora ditelo che volete far vincere il Sì.

Fuori chi.
“Comitato per il Sì in campo. Di Pietro: ‘Fuori i partiti’” (Messaggero, 13.11).
Al suo fianco, i forzisti Costa e Cangini annuiscono giulivi.

L’ultimo giapponese.
“Basta balle, l’Iraq ci dice che la guerra di Bush era giusta e che ‘nation building’ ed esportazione di democrazia e benessere non sono bestemmie” (Giuliano Ferrara, Foglio, 15.112).
Altre cazzate?

Il miracolato.
“Sotto un governo di sinistra – quello di Enrico Letta – il sottoscritto venne arrestato, secondo caso nella storia repubblicana dopo quello di Guareschi” (Alessandro Sallusti, Giornale, 10.11).
No, fu il 13° caso.
Però fu il primo di un giornalista arrestato e salvato dalla grazia di un presidente di sinistra: Napolitano.

Senti chi parla.
“Iervolino, i guai sul tax credit del produttore che finanzia il nuovo giornale di Casalino” (Repubblica, 13.11).
Non tutti hanno la fortuna di avere un editore indagato per frode fiscale e truffa allo Stato che chiede i lavori socialmente utili e restituisce al fisco 183 milioni di tasse evase.

Il titolo della settimana/1.
“La difesa di Zelensky: controlli a tappeto sugli appalti pubblici” (Repubblica, 14.11).
Casomai ne fosse rimasto qualcuno regolare.

Il titolo della settimana/2.
“Il giusto no del Corriere a Lavrov. Le interviste senza contraddittorio sono propaganda (e non vale solo con i russi)” (Foglio, 14.11).
Vale anche per il Foglio con Calenda e Renzi?

Il titolo della settimana/3.
“Confondere la libertà di espressione con il diritto di menzogna” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 13.11).
Tipo inventare una sentenza di Cassazione che assolve Berlusconi da morto sui rapporti con la mafia per cui non l’avevano mai processato da vivo.

Il titolo della settimana/4.
“Giustizia, una terza via per il referendum”
(Folli, Repubblica, 13.11).
Il Ni. 

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domenica 16 novembre 2025

Separazione delle carriere, Zagrebelsky: “Questa riforma ha come scopo intimidire i pm”. -

 

Folla per il dibattito con il giurista e Travaglio.

di Andrea Giambartolomei - FQ 12/11/2025
“Alla fine il punto è questo –dice Gustavo Zagrebelsky–: il senso di questa riforma è l’intimidazione nei confronti dei magistrati”. Seguono applausi. Sono quasi le 23 di lunedì sera, gli occhi di molti sono puntati verso la partita di Jannik Sinner alle Atp Finals di Torino, ma nella stessa città qualche centinaia di persone affollano nella gran sala del Palazzo della Luce dove l’Anm del Piemonte e della Valle d’Aosta ha organizzato un dialogo tra il presidente emerito della Corte costituzionale, Zagrebelsky, e il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, intorno alla separazione delle carriere. Sono passate quasi due ore e il pubblico –composto da molti magistrati ed ex tra cui Gian Carlo Caselli, ma c’erano anche volti comuni, qualche ventenne, alcuni avvocati e qualche politico, come la senatrice Pd Anna Rossomando e l’assessore Jacopo Rosatelli – non accenna ad andarsene. I 250 posti a sedere sono tutti occupati. Un centinaio di persone restano in piedi lungo le pareti. Alcuni cercano di ascoltare da fuori. A questa platea Zagrebelsky e Travaglio, moderati da Flavia Panzano, presidente Giunta Anm Piemonte e Valle d’Aosta, hanno spiegato loro le insidie e i paradossi della riforma Nordio.
“La domanda alla quale con questo referendum siamo chiamati a rispondere è: a chi serve? –premette il giurista– Secondo voi, nel nostro Paese, i politici hanno troppo potere o ne hanno troppo poco? Questa riforma, secondo me, si basa anche sulle dichiarazioni ufficiali di quelli che dicono ‘Bisogna contenere le tendenze dei magistrati a invadere il campo della politica’. Quindi coloro che hanno proposto questa riforma dicono: ‘La magistratura ha troppo potere e noi troppo poco. Quindi facciamo la riforma per averne di più’”. Secondo Zagrebelsky, “già oggi la magistratura è troppo intimorita dal potere politico” ed evidenzia quanti siano pochi i potenti in galera rispetto ai non potenti: “L’eguaglianza di fronte alla legge è davvero realizzata?”, si chiede. Ai magistrati, i due interlocutori danno dei consigli. “Non dite che la magistratura è un contropotere –dice il presidente emerito della Consulta–. Usate un’immagine chiara, quella di un fiume che scorre nel suo letto, la politica, e poi ci sono gli argini, la magistratura”.
“Insisterei molto sul fatto che le vittime siano i cittadini”, sottolinea Travaglio, mettendo in guardia da uno dei possibili effetti della separazione, cioè la creazione di un “super pm” a cui interessa soltanto arrestare, rinviare a giudizio e poi alle condanne, senza valutare le prove a discarico degli indagati.
Unica sostanziale divergenza tra i due riguarda il sorteggio per la scelta dei componenti del Csm: Travaglio a favore, Zagrebelsky –pur riconoscendo i danni della deriva delle correnti della magistratura– contrario: “L’estrazione a sorte farebbe sì che i magistrati estratti sarebbero in una condizione debole nei confronti dei loro colleghi. Il Csm deve essere formato da persone estremamente autorevoli, nei confronti della magistratura e della politica, per difendere l’indipendenza. Questa riforma combatte il correntismo, ma riduce l’autorevolezza. È una sconfitta della ragione e una rinuncia alla qualità”.

sabato 15 novembre 2025

IL SILENZIO È D’ORO. - Marco Travaglio

 

La notizia che a Kiev, mentre i soldati vengono mandati al macello senza più uno scopo, i fedelissimi di Zelensky rubano tutto il rubabile dai fondi e dalle armi inviati da Nato e Ue senz’alcun controllo, viene accolta in Italia e nel resto d’Europa con un misto di sorpresa e incredulità.
Ma come: noi paghiamo, gli ucraini crepano e il regime sguazza tra mazzette e water, bidet e rubinetti d’oro massiccio?
Ma Zelensky non era il “nuovo Churchill” (Nancy Pelosi e Messaggero), il “De Gaulle ucraino” (Prospect Magazine),
il redivivo “Scipione l’Africano” (Minzolini, Giornale)? E la sua Ucraina non era “incorruttibile” (Zafesova, Stampa)?
In realtà bastava leggere l’inchiesta internazionale “Pandora Papers” del 2021 per sapere che Zelensky è una creatura dell’oligarca, prima latitante e ora detenuto, Ihor Kolomoisky, re dei metalli, finanziatore di milizie fascio-nazi (dall’Azov al Dnipro) e titolare della tv 1+1 che lo lanciò;
e che il presidente ucraino ha una villa a Forte dei Marmi con 6 camere da letto, 15 stanze, parco e piscina, acquistata nel 2017 per 3,8 milioni, intestata a una società italiana controllata da una cipriota e mai dichiarata prima dell’elezione nel 2019, come pure una delle quattro offshore controllate da lui e dai suoi soci nella casa di produzione Kvartal95 con conti correnti in vari paradisi fiscali (Isole Vergini, Cipro e Belize).
Uno dei soci, Timur Mindich, che fino all’altrogiorno ospitava Zelensky in casa sua, è l’uomo dal cesso d’oro e dalle credenze piene di pacchi di banconote da 200 euro, esentato dalla naja malgrado l’età da leva e appena fuggito all’estero grazie a una soffiata per scampare all’arresto: sarebbe il regista del sistema tangentizio che grassava il 10-15% di ogni appalto per il sistema elettrico.
Che, non bastando i bombardamenti russi, veniva rapinato dal regime, come i fondi per le uniformi e persino i 170 milioni versati dalla Nato per costruire trincee di legno.
Notizie che non possono che galvanizzare il morale delle truppe superstiti intrappolate nelle sacche russe da Pokrovsk a Kupyansk, in attesa che Zelensky e il generale Syrsky (una sorta di Alì il Chimico o il Comico ucraino) la smettano di millantare successi e resistenze o di incolpare la nebbia e suonino la ritirata finché ci sarà qualcuno vivo da ritirare. Dinanzi alla disfatta militare e morale dell’Ucraina con i nostri soldi, i governi europei tacciono imbarazzati.
Per promettere altri soldi, vista la fine che fanno, attendono tutti che la gente dimentichi le foto dei cessi d’oro. Tutti tranne uno, il più sveglio della compagnia: Antonio Tajani che, temendo di essere preceduto da qualcun altro, si affretta ad annunciare “un nuovo pacchetto di aiuti a Kiev nelle prossime ore”.
Casomai non sapessero più cosa rubare.

venerdì 14 novembre 2025

"RISPOSTA SBAGLIATA" - Marco Travaglio

 

Prendetevi 5 minuti del vostro tempo e leggetevi l'editoriale odierno (14 novembre 2025) di Marco Travaglio in cui il grande giornalista mette in risalto con la solita ironia, le incongruenze culturali della stampa di regime e in particolare quelle del primo giornale italiano per vendite, ovvero il Corriere della Sera, dove scrivono le peggiori firme del giornalismo nostrano, da grasso a milei passando per fontana.
Buona lettura e massima condivisione.
"RISPOSTA SBAGLIATA
Dopo il cronista licenziato per domanda sbagliata (che in realtà era giusta: perché la Russia dovrebbe pagare la ricostruzione dell’Ucraina e Israele non dovrebbe pagare quella di Gaza?), il giornalismo italiano tocca un’altra vetta inesplorata: l’intervista censurata per risposte sbagliate.
L’intervistato è il ministro degli Esteri russo Lavrov: il Corriere gli aveva inviato una serie di domande scritte, a cui il ministro ha dato altrettante risposte scritte. Ma il Corriere - dice Lavrov - gli ha comunicato che le sue risposte 'contengono troppe affermazioni discutibili che devono essere verificate o chiarite e la loro pubblicazione andrebbe oltre i limiti ragionevoli'.
Lavrov ha proposto di pubblicare 'una versione abbreviata nel cartaceo e il testo completo sul sito', ma invano. Si pensava che la sua fosse l’ennesima puntata della famosa guerra ibrida di Mosca contro l’Italia e la sua libera stampa.
Poi però il Corriere ha confermato tutto: Lavrov 'ha risposto alle domande inviate preliminarmente dal Corriere con un testo sterminato pieno di accuse e tesi propagandistiche. Alla nostra richiesta di poter svolgere una vera intervista col contraddittorio e la contestazione dei punti che ritenevamo andassero approfonditi, il ministero ha opposto un rifiuto categorico. Evidentemente pensava di applicare a un giornale italiano gli stessi criteri di un Paese come la Russia dove la libertà d’informazione è stata cancellata. Quando il ministro vorrà fare un’intervista secondo i canoni di un giornalismo libero e indipendente saremo sempre disponibili'.
Già, ma è stato il Corriere a chiedere un’intervista a Lavrov, non viceversa. E di solito, quando si intervista qualcuno, è per sapere come la pensa lui, non per dirgli come deve pensarla. Se il Corriere voleva porgli tutte le sacrosante obiezioni con le famose 'seconde domande”, doveva chiedergli un’intervista orale.
Purtroppo gli ha inviato le domande scritte e poi ci è rimasto male perché Lavrov non elogia Zelensky, la Nato e l’Ue, non insulta Putin, non attacca la Russia, insomma la pensa come il governo di cui fa parte. Roba da non credere, eh?
A quel punto, fatta la frittata, non restava che pubblicare le risposte di Lavrov, magari aggiungendo commenti critici e fact checking (cosa che peraltro non si usa con i politici italiani ed europei che mentono, cioè quasi tutti).
Invece l’intervista l’ha pubblicata Lavrov sul web, trasformando l’assist del Corriere in un gol a porta vuota. Come la Bbc col montaggio tarocco del discorso di Trump. Se il Corriere voleva dimostrare che la Russia ha abolito la libera stampa (come se servissero altre prove), ha ottenuto l’effetto opposto: dimostrare che in Occidente la libera stampa se la passa maluccio. Come se servissero altre prove".

giovedì 13 novembre 2025

L’impatto economico della giustizia (e della sua riforma). - Carlo Cottarelli

 

La riforma costituzionale della giustizia punta a separare le carriere dei magistrati e a estrarre i membri dei CSM. Non ridurrà la lentezza dei processi, principale problema economico e civile dell’Italia, ma mira a depoliticizzare e aumentare credibilità e imparzialità.

Uno dei temi che terrà occupata l’opinione pubblica nei prossimi mesi è la riforma costituzionale della giustizia tra i cui elementi principali ci sono la separazione delle carriere tra magistratura giudicante (i giudici) e magistratura requirente (i pubblici ministeri) e l’estrazione dei membri dei due consigli superiori della magistratura. Il buon funzionamento della giustizia è molto importante, anche dal punto di vista economico. È una buona riforma?

Dal punto di vista economico il principale problema della giustizia italiana resta la sua lentezza. Dieci anni fa, Berlusconi, come documentato da un filmato che ancora potete trovare su Youtube, minacciò i giocatori del Milan di sospendere i pagamenti degli stipendi, visto il loro scarso impegno. Concluse: “Fatemi causa: sapete quanto dura un processo civile in Italia? Otto anni”. Aveva ragione: quella era la durata media dei processi civili che arrivavano al terzo grado di giudizio (Corte di cassazione). Le cose sono migliorate da allora, anche perché il PNRR ci vincola a ridurre del 40% la durata dei processi civili. Ma nel 2024 eravamo ancora ben sopra i cinque anni. Come ci pone questo dato rispetto all’estero? La Spagna sta intorno ai tre anni e la Germania a meno di due anni. Quindi il divario si è ridotto, ma non tanto da rendere irrilevante questo fattore nella scelta di dove condurre l’attività di impresa. E quanto ci vuole a risolvere una controversia giudiziaria è ovviamente un fattore molto importante nel decidere in quale parte d’Europa o del mondo investire.

Ora, non credo che la riforma della giustizia potrà ridurre la durata dei processi. Non era questo il suo scopo. Non ho grosse obiezioni a questa riforma. Non penso che la separazione delle carriere sia di importanza critica per il buon funzionamento della giustizia, visto, comunque, lo sparuto numero di magistrati che passano da una carriera all’altra. Ma non penso neanche che la separazione possa creare problemi. La questione della separazione è diventata ormai una battagli di bandiera per destra e sinistra. L’estrazione dei membri dei consigli superiori della magistratura mi appare più importante. Ed è una riforma ragionevole, essendo volta a “decorrentizzare” e depoliticizzare la magistratura, cosa del tutto necessaria per aumentarne credibilità e imparzialità. Fra l’altro io stesso avevo suggerito la separazione dele carriere e la estrazione dei membri dei consigli superiori nel 2021 quando avevo coordinato il Comitato Scientifico Programma per l'Italia, proponendo anche riforme in campo della giustizia. Qualcuno teme che la riforma possa subordinare il potere giudiziario a quello esecutivo, ma, onestamente, non ho ancora trovato una semplice e chiara spiegazione del perché questo potrebbe avvenire a seguito delle riforme proposte.

Il problema è casomai che la riforma rischia di impegnare energie politiche da entrambi i lati dello schieramento su un tema che, dal punto di vista economico, non è fondamentale. Ma allora sarebbe meglio, visto che la riforma è stata ormai approvata, evitare un referendum e concentrarsi, sempre per entrambi i lati dello schieramento, sulla questione della lentezza della giustizia, che resta la principale. E non soltanto per l’economia. In un Paese come il nostro, al centro dell’Europa e del mondo avanzato, non si può tollerare di avere processi, sia nell’area civile sia in quella penale, di durata biblica. L’articolo 111 della Costituzione richiede che i processi abbiano ragionevole durata. Mi sembra un imperativo fondamentale per un Paese civile.

https://tg24.sky.it/politica/2025/11/12/riforma-giustizia-separazione-carriere-csm?intcmp=nl_editorial_insider_null

Oggi come 10 anni fa, viaggio nella vita giudiziaria di Totò Cuffaro. - Fulvio Viviano

 

Una nuova indagine della dda di Palermo punta, ancora una volta, i riflettori sull’intreccio tra politica e sanità. Su interessi di denaro, nomine da fare, posti da assegnare, concorsi da truccare. E anche questa volta dentro, ci sono tra gli indagati imprenditori, politici, esponenti delle forze dell’ordine. E poi c’è lui, di nuovo lui: Totò, detto “Vasa Vasa”.

13 dicembre del 2015. Totò Cuffaro lasciava il carcere romano di Rebibbia dove aveva trascorso gi ultimi 4 anni e 11 mesi da recluso. Condannato a sette anni per favoreggiamento dopo un processo iniziato a Palermo nel febbraio del 2005. Un’indagine della dda del capoluogo siciliano che puntava a fare luce sull’intreccio tra mafia, politica e sanità. Appalti da gestire e pilotare, nomine ai vertici della sanità pubblica, tariffari da rivedere per riempire le tasche di imprenditori collusi e contigui a cosa nostra. Talpe nelle forze dell’ordine che avvertono gli indagati. E, al centro di tutto, c’era Totò Cuffaro che all’epoca dei fatti era presidente della Regione Siciliana. Il governatore, dello “Totò vasa vasa (bacia bacia ndr)” per la sua caratteristica principale: baciare sulla guancia praticamente tutti i suoi interlocutori.

Un processo lungo, una indagine complessa fatta di migliaia di intercettazioni telefoniche ed ambientali. Rapporti ricostruiti. Accuse pesanti che, alla fine, si trasformano in una condanna a sette anni per favoreggiamento nei confronti di Totò Cuffaro che, dopo la conferma della Cassazione, si presenta alla porta carraia di Rebibbia che lascia prima di Natale di dieci anni fa.

Intervistato nei giorni successivi alla scarcerazione dice di non voler più fare più politica, quantomeno attiva, per dedicarsi al volontariato e ad una missione in Africa. In Burundi per la precisione. Aiutare gli atri diventa, almeno a parole, il suo unico obiettivo. Ma quando viene “riabilitato” in tutto e per tutto, la svolta. Entra nella Nuova Democrazia Cristiana fino a diventarne il nuovo segretario nazionale. Il Burundi diventa un ricordo.

Adesso dobbiamo fare un salto nel tempo. In avanti di dieci anni.

4 novembre del 2025. Una nuova indagine della dda di Palermo punta, ancora una volta, i riflettori sull’intreccio tra politica e sanità. Su interessi di denaro, nomine da fare, posti da assegnare, concorsi da truccare. E anche questa volta dentro, ci sono tra gli indagati imprenditori, politici, esponenti delle forze dell’ordine. E poi c’è lui, di nuovo lui: Totò “Vasa Vasa”.

Per i magistrati della dda, guidati da Maurizio De Lucia, l’ex presidente della regione, nonostante la condanna scontata per favoreggiamento, sarebbe tornato a fare quello che sa fare meglio: gestire il potere, creare clientele, pilotare nomine e gestire il consenso politico. Pensava di non essere intercettato in casa Cuffaro, per il quale la procura ha chiesto gli arresti domiciliari assieme ad altre 16 persone (tra loro c’è anche il deputato di Noi Moderati, Saverio Romano). Era convinto di essere al sicuro. Ma le precauzioni non erano mai troppe. A tutti quelli che lo andavano a trovare in casa chiedeva di lascare in un’altra stanza i telefoni cellulari. Le microspie però erano state ben piazzate. Lì ed in tutti gli altri luoghi che l’ex governatore usava per i suoi incontri. Così come intercettate erano tutte le utenze cellulari in suo uso.

Leggendo le intercettazioni sembra di fare un passo indietro nel passato. Di nuovo si parla di gestione appalti nella sanità, di nuovo di nomine da pilotare, di persone da mettere in un posto piuttosto che in un altro sulla base del consenso politico cha hanno portato e possono ancora portare per il futuro. Un futuro che potrebbe, o forse avrebbe potuto, vedere di nuovo Cuffaro tra i candidati della politica regionale. E ancora esponenti delle forze dell’ordine, un carabiniere ed un poliziotto, che passano informazioni all’ex presidente della regione sulle indagini della procura. Insomma, un dejà vu. E nemmeno dei più imprevedibili.

Adesso, alla luce di questa nuova indagine, quasi fotocopia di quella che lo portò in carcere, Totò Cuffaro ha lasciato i suoi incarichi nella Nuova Democrazia Cristiana. Si è dimesso da segretario nazionale. Il suo coinvolgimento in questa nuova inchiesta della procura scuote anche il governo guidato da Renato Schifani e che ha avuto l’appoggio elettorale di Cuffaro e del suo partito. Il rimpasto della giunta è alle porte.

Intanto “Vasa Vasa” attende che arrivi il 14 novembre giorni in cui varcherà di nuovo la soglia del tribunale di Palermo da indagato per rispondere alle domande del Gip che poi dovrà decidere del futuro dell’ex governatore per il quale la procura ha chiesto l’arresto. Ancora una volta.

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