Adesso cominciano a chiederselo anche nel Pdl, anche a casa sua, anche nei suoi giornali; sarà mica che il Cavaliere, ormai, è bollito? Ecco, guardando la situazione con freddezza, non si può che convenire che ormai parrebbe arrivato alla frutta: crisi mediterranea, sfacelo immigrazione, maggioranza in ordine sparso, partito ormai evaporato da qualche mese, processi senza sosta. Quirinale gelido, poteri forti diventati avversari, Geronzi abbattuto senza neppure mandargli un sms di avviso, sondaggi a picco.
Eppure, nonostante tutto, oggi il Caimano sorrideva. Dalla mattina presto in cui ha incontrato i “Confondatori” democristiani di Rotondi fino alla sera, quando è volato a Lampedusa per fare l’ennesima passerella. In ogni istante non ha mai perso di vista l’obiettivo unico della sua esistenza: farsi i fatti suoi. Adesso, diventati un’emergenza tale da essere diventati oggetto di campagna elettorale e predellino mediatico ad uso e consumo del suo popolo.
Qualche fotografia sparsa di un assolato sabato d’aprile all’ombra del Caimano; davanti alla platea democristiana, Silvio spara a palle incatenate contro i giudici ma soprattutto se la prende con il famoso Mesiano, quello che l’ex direttore di Studio Aperto, Claudio Brachino, fece a pezzi per il solo fatto che portava i calzini azzurri. Silvio lo odia quel giudice perché gli ha dato torto sulla questione Mondadori condannandolo a pagare 750 milioni di euro: “E’ stata una rapina a mano armata”, sentenzia, ma poi piange miseria perché la Mondadori varrebbe anche meno della multa (252 milioni, dice lui) e dunque sono i giudici che vogliono vederlo anche in miseria. Poi, mentreGiorgio Napolitano da un lato e Bobo Maroni dall’altro strattonano un’Europa recalcitrante a tener fede al trattato di Schengen, arrivando fino al punto (Napolitano) di chiederne una “revisione”, lui è a Lampedusa ufficialmente per dichiarare di aver tenuto fede alla promessa di svuotare l’isola. Ma, soprattutto, per far vedere alle telecamere degli inviati di mezza Europa che lui la casa a Lampedusa l’ha effettivamente comprata, anche se ci sono un po’ di rogne notarili. Ma “se non si risolveranno, vorrà dire che ne comprerò un’altra; ho già promesso ad amici di passare le vacanze qui”. Magicamente, i fatti suoi sono tornati al centro della scena.
La realtà che emerge da due episodi avvenuti a poche ore di distanza l’uno dall’altro, è evidente: Berlusconi, al momento, vede solo due emergenze, quella di vincere le prossime amministrative e di riuscire ad uccidere i processi che lo riguardano. Ancora ieri sera a Lampedusa ha sparato sui magistrati “che lavorano contro il Paese” perché lo chiamano alla sbarra “in un momento come questo”. “Ditemi voi – ecco le sue parole – se si può lavorare così, io avevo fatto una legge sul legittimo impedimento ma la Corte Costituzionale l’ha affossata; che ciascuno tragga le sue conclusioni”.
Le prossime settimane saranno fotocopie fedeli di questo sabato, una campagna elettorale continua, puntata sull’aggressione alla magistratura da una parte e poggiata sul lavoro parlamentare ammazza processi dall’altra. Nonostante la maggioranza che fa acqua da tutte le parti. Ecco, il Cavaliere mente sui numeri parlamentari. Anche ieri ha annunciato, come ormai fa ogni due, tre giorni, il prossimo arrivo di nuovi adepti nel gruppo dei “Responsabili”, tre nuovi assoldati da Verdini dai banchi delle opposizioni. “Siamo ormai a quota 330, adesso possiamo fare le riforme”, ha gongolato davanti ai Confondatori democristiani. Non è vero niente. E lui lo sa bene. La settimana scorsa, i primi voti sul processo breve sono arrivati solo perché i ministri deputati erano presenti in massa alla Camera. In un momento così difficile e drammatico per il Paese, è stato persino spostato il Consiglio dei Ministri di giovedì per garantire che il governo fosse sempre in aula; altro che maggioranza “serena” per poter fare le riforme. Nel Pdl è ormai una guerra per bande, Scajola contro La Russa e Verdini, Gelmini e Frattini asserragliati accanto a Silvio, ex Dc e ex Forza Italia che fanno fronda, Miccichè contro tutti, Alemanno che sente odore di bruciato e si guarda intorno. Per non parlare del ricatto dei Responsabili, ormai veri padroni della partita e a cui Berlusconi deve pagare la cambiale più rapidamente possibile se non vuole vedersi staccare la spina quando meno se lo aspetta. Gli obiettivi prioritari del Caimano per il momento sono due: approvare il prima possibile il processo breve (Ghedini vorrebbe entro i primi di giugno) e vincere le amministrative di maggio. Se li centrerà, potrà anche non preoccuparsi troppo dei referendum successivi e puntare subito a mettere in cantiere la leggina supera-Bassanini per aumentare i posti di governo e accontentare i Responsabili.
A detta dei suoi, nella testa del Caimano c’è solo un’ombra su questo progetto all’insegna dell’impunità giudiziaria e del mantenimento del potere attraverso una nuova investitura popolare, seppur solo amministrativa: il Quirinale e Napolitano che potrebbe mettersi di traverso sulla firma al processo breve e sull’allargamento della maggioranza. Ma, a quel punto, non avendo più nulla da perdere, Berlusconi non ci penserebbe un attimo ad attaccare anche il Colle, in modo più pesante di quanto non sia avvenuto fino ad oggi. Il Cavaliere, insomma, non ci sta a fare la parte del “bollito”, anche se il suo mondo e il suo sistema ormai sta in piedi solo per miracolo. Un miracolo che per il Paese sta durando sempre troppo.
Eppure, nonostante tutto, oggi il Caimano sorrideva. Dalla mattina presto in cui ha incontrato i “Confondatori” democristiani di Rotondi fino alla sera, quando è volato a Lampedusa per fare l’ennesima passerella. In ogni istante non ha mai perso di vista l’obiettivo unico della sua esistenza: farsi i fatti suoi. Adesso, diventati un’emergenza tale da essere diventati oggetto di campagna elettorale e predellino mediatico ad uso e consumo del suo popolo.
Qualche fotografia sparsa di un assolato sabato d’aprile all’ombra del Caimano; davanti alla platea democristiana, Silvio spara a palle incatenate contro i giudici ma soprattutto se la prende con il famoso Mesiano, quello che l’ex direttore di Studio Aperto, Claudio Brachino, fece a pezzi per il solo fatto che portava i calzini azzurri. Silvio lo odia quel giudice perché gli ha dato torto sulla questione Mondadori condannandolo a pagare 750 milioni di euro: “E’ stata una rapina a mano armata”, sentenzia, ma poi piange miseria perché la Mondadori varrebbe anche meno della multa (252 milioni, dice lui) e dunque sono i giudici che vogliono vederlo anche in miseria. Poi, mentreGiorgio Napolitano da un lato e Bobo Maroni dall’altro strattonano un’Europa recalcitrante a tener fede al trattato di Schengen, arrivando fino al punto (Napolitano) di chiederne una “revisione”, lui è a Lampedusa ufficialmente per dichiarare di aver tenuto fede alla promessa di svuotare l’isola. Ma, soprattutto, per far vedere alle telecamere degli inviati di mezza Europa che lui la casa a Lampedusa l’ha effettivamente comprata, anche se ci sono un po’ di rogne notarili. Ma “se non si risolveranno, vorrà dire che ne comprerò un’altra; ho già promesso ad amici di passare le vacanze qui”. Magicamente, i fatti suoi sono tornati al centro della scena.
La realtà che emerge da due episodi avvenuti a poche ore di distanza l’uno dall’altro, è evidente: Berlusconi, al momento, vede solo due emergenze, quella di vincere le prossime amministrative e di riuscire ad uccidere i processi che lo riguardano. Ancora ieri sera a Lampedusa ha sparato sui magistrati “che lavorano contro il Paese” perché lo chiamano alla sbarra “in un momento come questo”. “Ditemi voi – ecco le sue parole – se si può lavorare così, io avevo fatto una legge sul legittimo impedimento ma la Corte Costituzionale l’ha affossata; che ciascuno tragga le sue conclusioni”.
Le prossime settimane saranno fotocopie fedeli di questo sabato, una campagna elettorale continua, puntata sull’aggressione alla magistratura da una parte e poggiata sul lavoro parlamentare ammazza processi dall’altra. Nonostante la maggioranza che fa acqua da tutte le parti. Ecco, il Cavaliere mente sui numeri parlamentari. Anche ieri ha annunciato, come ormai fa ogni due, tre giorni, il prossimo arrivo di nuovi adepti nel gruppo dei “Responsabili”, tre nuovi assoldati da Verdini dai banchi delle opposizioni. “Siamo ormai a quota 330, adesso possiamo fare le riforme”, ha gongolato davanti ai Confondatori democristiani. Non è vero niente. E lui lo sa bene. La settimana scorsa, i primi voti sul processo breve sono arrivati solo perché i ministri deputati erano presenti in massa alla Camera. In un momento così difficile e drammatico per il Paese, è stato persino spostato il Consiglio dei Ministri di giovedì per garantire che il governo fosse sempre in aula; altro che maggioranza “serena” per poter fare le riforme. Nel Pdl è ormai una guerra per bande, Scajola contro La Russa e Verdini, Gelmini e Frattini asserragliati accanto a Silvio, ex Dc e ex Forza Italia che fanno fronda, Miccichè contro tutti, Alemanno che sente odore di bruciato e si guarda intorno. Per non parlare del ricatto dei Responsabili, ormai veri padroni della partita e a cui Berlusconi deve pagare la cambiale più rapidamente possibile se non vuole vedersi staccare la spina quando meno se lo aspetta. Gli obiettivi prioritari del Caimano per il momento sono due: approvare il prima possibile il processo breve (Ghedini vorrebbe entro i primi di giugno) e vincere le amministrative di maggio. Se li centrerà, potrà anche non preoccuparsi troppo dei referendum successivi e puntare subito a mettere in cantiere la leggina supera-Bassanini per aumentare i posti di governo e accontentare i Responsabili.
A detta dei suoi, nella testa del Caimano c’è solo un’ombra su questo progetto all’insegna dell’impunità giudiziaria e del mantenimento del potere attraverso una nuova investitura popolare, seppur solo amministrativa: il Quirinale e Napolitano che potrebbe mettersi di traverso sulla firma al processo breve e sull’allargamento della maggioranza. Ma, a quel punto, non avendo più nulla da perdere, Berlusconi non ci penserebbe un attimo ad attaccare anche il Colle, in modo più pesante di quanto non sia avvenuto fino ad oggi. Il Cavaliere, insomma, non ci sta a fare la parte del “bollito”, anche se il suo mondo e il suo sistema ormai sta in piedi solo per miracolo. Un miracolo che per il Paese sta durando sempre troppo.
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