Piace ai maggiori partiti il testo elaborato da Violante sul modello proporzionale
Spunta una riforma elettorale largamente condivisa. Nella maggioranza ci lavorano da settimane, in totale segretezza. Il «copyright» è di Violante, ex presidente della Camera, ma strada facendo l’idea (condivisa dai vertici del Pd, non dai veltroniani) si è arricchita di contributi dal centrodestra e dall’Udc. Ora sul tavolo c’è una proposta abbastanza ben definita. Solo ieri lo si è venuto a scoprire, in quanto per due ore ne hanno ragionato a colazione Berlusconi e i suoi fedelissimi: lì a Palazzo Grazioli, si sa, perfino i muri hanno orecchie. Oltre al menù ricco di trigliceridi (pasta con sugo di carne, tiramisù al mascarpone), e insieme all’intenzione di stipulare con la Lega un patto di mutuo soccorso nei ballottaggi delle prossime amministrative, dalla mensa del Cavaliere è filtrata appunto la notizia dell’intesa sulle riforme, sia pure a uno stadio preliminare. Fonti autorevoli del Pd e del Terzo Polo confermano che la trattativa procede bene.
Di fatto, torneremmo al vecchio proporzionale. Con questo sistema verrebbero selezionati 464 deputati dei 630 che ne conta attualmente la Camera. Rispetto alla Prima Repubblica, tuttavia, scatterebbe un «bonus» di 140 seggi aggiuntivi che si spartirebbero solo le coalizioni (o i partiti: è ancora materia di discussione) capaci di superare un’asticella posta all’8-10 per cento (altro punto interrogativo). In pratica a dividersi il premio ce la farebbero Pd, Pdl, Terzo Polo, probabilmente la Lega e magari un’alleanza tra Di Pietro-Vendola-Rifondazione. Per gli italiani all’estero resterebbero 12 seggi; gli ultimi 14 verrebbero riservati come «diritto di tribuna» alle forze politiche che non superino una soglia minima, tipo 2 per cento. Niente preferenze perché, come hanno convenuto in un pubblico dibattito Cicchitto e Franceschini, le infiltrazioni di mafia e le intrusioni dei pubblici ministeri diventerebbero la regola, specie al Sud. La selezione dei candidati avverrebbe col metodo dei collegi.
Mentre Quagliariello e La Russa illustravano nei dettagli la proposta pervenuta dal Pd, da Berlusconi nemmeno uno sbadiglio. Ha solo domandato alla fine se questa legge favorisce l’abbraccio col Pd, di cui lui è diventato fautore. Gli hanno spiegato che prima del voto l’«abbraccio» è vietato, però dopo le elezioni nulla si può escludere perché ogni partito giocherebbe per sé. L’unico vero deterrente ai «ribaltoni» sarebbe rappresentato dalla «sfiducia costruttiva» (non si butta giù un governo se prima non si forma una nuova maggioranza), che farebbe parte del pacchetto di riforme istituzionali da approvare in fretta, o quantomeno provarci. Anche qui, risulta un accordo di massima tra i partiti maggiori. Si punterebbe a diminuire il numero dei parlamentari, a differenziare i compiti di Camera e Senato, a rivedere le competenze di Stato e Regioni, a rafforzare il premier consentendogli di licenziare i ministri e addirittura di chiedere lo scioglimento delle Camere al capo dello Stato (il quale potrebbe comunque rispondergli no).
Fino a giovedì prossimo proseguiranno i conciliaboli e gli incontri bilaterali (ieri Pdl con Rifondazione e Destra, Pd con Sel). Poi i «Tre Tenori», cioè Alfano Bersani Casini, si incontreranno per mettere o meno un timbro. C’è chi ipotizza un passaggio parlamentare per scrivere il patto nero su bianco con una «mozione di indirizzo» da approvare entro marzo (ne parla Franceschini, Enrico Letta si accontenterebbe di Pasqua); altri invece sostengono che la discussione generale in Aula sarebbe tempo perso, meglio mettere le due Camere immediatamente al lavoro. Su testo della riforma elettorale si potrebbero fare al momento buono delle modifiche. Proprio quello che teme Di Pietro: qualche scherzetto supplementare ai partiti piccoli, sotto forma di emendamento a sorpresa...
Di fatto, torneremmo al vecchio proporzionale. Con questo sistema verrebbero selezionati 464 deputati dei 630 che ne conta attualmente la Camera. Rispetto alla Prima Repubblica, tuttavia, scatterebbe un «bonus» di 140 seggi aggiuntivi che si spartirebbero solo le coalizioni (o i partiti: è ancora materia di discussione) capaci di superare un’asticella posta all’8-10 per cento (altro punto interrogativo). In pratica a dividersi il premio ce la farebbero Pd, Pdl, Terzo Polo, probabilmente la Lega e magari un’alleanza tra Di Pietro-Vendola-Rifondazione. Per gli italiani all’estero resterebbero 12 seggi; gli ultimi 14 verrebbero riservati come «diritto di tribuna» alle forze politiche che non superino una soglia minima, tipo 2 per cento. Niente preferenze perché, come hanno convenuto in un pubblico dibattito Cicchitto e Franceschini, le infiltrazioni di mafia e le intrusioni dei pubblici ministeri diventerebbero la regola, specie al Sud. La selezione dei candidati avverrebbe col metodo dei collegi.
Mentre Quagliariello e La Russa illustravano nei dettagli la proposta pervenuta dal Pd, da Berlusconi nemmeno uno sbadiglio. Ha solo domandato alla fine se questa legge favorisce l’abbraccio col Pd, di cui lui è diventato fautore. Gli hanno spiegato che prima del voto l’«abbraccio» è vietato, però dopo le elezioni nulla si può escludere perché ogni partito giocherebbe per sé. L’unico vero deterrente ai «ribaltoni» sarebbe rappresentato dalla «sfiducia costruttiva» (non si butta giù un governo se prima non si forma una nuova maggioranza), che farebbe parte del pacchetto di riforme istituzionali da approvare in fretta, o quantomeno provarci. Anche qui, risulta un accordo di massima tra i partiti maggiori. Si punterebbe a diminuire il numero dei parlamentari, a differenziare i compiti di Camera e Senato, a rivedere le competenze di Stato e Regioni, a rafforzare il premier consentendogli di licenziare i ministri e addirittura di chiedere lo scioglimento delle Camere al capo dello Stato (il quale potrebbe comunque rispondergli no).
Fino a giovedì prossimo proseguiranno i conciliaboli e gli incontri bilaterali (ieri Pdl con Rifondazione e Destra, Pd con Sel). Poi i «Tre Tenori», cioè Alfano Bersani Casini, si incontreranno per mettere o meno un timbro. C’è chi ipotizza un passaggio parlamentare per scrivere il patto nero su bianco con una «mozione di indirizzo» da approvare entro marzo (ne parla Franceschini, Enrico Letta si accontenterebbe di Pasqua); altri invece sostengono che la discussione generale in Aula sarebbe tempo perso, meglio mettere le due Camere immediatamente al lavoro. Su testo della riforma elettorale si potrebbero fare al momento buono delle modifiche. Proprio quello che teme Di Pietro: qualche scherzetto supplementare ai partiti piccoli, sotto forma di emendamento a sorpresa...
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