Avevamo cominciato a sospettarlo dopo aver ascoltato la registrazione del discorso, pieno zeppo di insulti e parolacce rivolte ai propri dirigenti, con cui il presidente di Ita Airways, Alfredo Altavilla, annunciava loro di aver deciso di licenziare la metà dei 1.077 dipendenti provenienti da Alitalia al termine dei 4 mesi di prova. Poi, quando ieri ci è arrivata una lettera con cui la compagnia ci chiedeva di non pubblicare la notizia perché il piano di rilancio “necessita del massimo supporto possibile di tutti, compresi gli organi di stampa”, il sospetto è diventato certezza: Alfredo Altavilla è totalmente inadeguato per il suo ruolo.
Non solo perché pensare di cacciare, indipendentemente dai risultati e dalle capacità dimostrate, chi pur di lavorare ha accettato di non farsi applicare il contratto nazionale di lavoro è cosa da padrone delle ferriere. A dimostrare l’inadeguatezza di Altavilla è anche il turpiloquio da lui usato nel corso del comitato direttivo del 1° ottobre e la reazione epistolare di Ita alle nostre richieste di chiarimenti. Una missiva in cui le volgarità del presidente vengono definite “espressioni utilizzate per richiamare l’attenzione dei presenti, adatte a quello specifico contesto e non certo alla diffusione presso il pubblico”.
Per questo, nel malaugurato caso (per noi contribuenti) in cui il governo scelga di mantenere Altavilla al suo posto, ci sentiamo di dargli un paio di consigli. Il primo è un corso di buona educazione. Utilizzare termini del tipo “cazzo ti sei flippato il cervello”, non “prendetemi per il culo perché vi spiumo tutti quanti” o “le priorità, puttana troia, le devo scegliere io, porca puttana, non le devi scegliere tu, cazzo” non è segno di leadership, ma solo di un’estrema insicurezza che sfocia nell’autoritarismo. Cioè nell’esatto contrario di quello di cui ha bisogno la nostra nuova compagnia di bandiera. Sia perché chi è leader sa fare squadra e basa la sua forza sull’autorevolezza e non sul terrore. Sia perché chi sa davvero gestire le situazioni di crisi non umilia pubblicamente i propri collaboratori. Se non altro perché, se è dotato di un minimo di intelligenza (cosa di cui, per quanto riguarda Altavilla, cominciamo francamente a dubitare), sa che il rischio di rivalsa da parte dei sottoposti è altissimo.
Il secondo consiglio è qualche buona lettura. A partire da Democrazia in America di Alexis de Tocqueville, un testo in cui viene tra l’altro magistralmente illustrato perché una stampa libera, che pubblica tutte le notizie, sia indispensabile e utile per i cittadini. Compresi, aggiungiamo noi, quelli che con le loro tasse finanziano Ita, ci viaggiano, ci lavorano e persino (non si sa quanto meritatamente) la dirigono.
In una democrazia che si definisce ancora liberale come la nostra, il modo migliore per “dare il massimo di supporto possibile” a un’azienda di proprietà degli italiani non è nascondere sotto al tappeto gli errori che vengono eventualmente commessi e non raccontare le ingiustizie. Ma è fare esattamente il contrario: nella speranza che qualcuno ponga rimedio agli sbagli non solo del passato, ma pure del presente.
Altavilla è stato a lungo il braccio destro in Fca di Sergio Marchionne. Per diventare un manager come lui non è però necessario che ne scimmiotti l’arroganza. Sarebbe invece un bene (questo sì, per tutti) che ne ricordasse le capacità di lavoro, quelle strategiche e di visione. Perché se Altavilla resterà al suo posto non saranno gli insulti e i licenziamenti indiscriminati a rilanciare (o meglio a salvare) Ita, ma una sobria e compassata fatica di ogni giorno.
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