Stipendi, rimborsi, diarie, pensioni, ex vitalizi, contributi ai gruppi, spese per la manutenzione e per la produzione di carta tra leggi, dossier ed emendamenti. E chi più ne ha più ne metta. Quando si parla del Parlamento italiano, bisogna immaginare un grande moloch che pesa per 1,6 miliardi all’anno sulle casse dello Stato: come il fatturato di Ikea Italia o quanto i soldi messi dalla Banca Europea degli Investimenti per la sanità italiana durante l’emergenza Covid.
Eppure, tra i sostenitori del No al referendum sul taglio dei parlamentari del 20-21 settembre, una delle principali argomentazioni è proprio questa: “Si risparmia poco, il prezzo di un caffè ogni anno”, ha detto l’ex commissario alla Spending Review, Carlo Cottarelli, in un’intervista a Repubblica. Problema: il calcolo viene fatto rapportando i risparmi – per Cottarelli sono 57 milioni l’anno, per Roberto Perotti 100 – alla spesa pubblica italiana annua. Ergo: lo 0,007%. Ma non se ne capisce la ragione: il risparmio derivante dal taglio di 345 parlamentari (230 deputati e 115 senatori) va rapportato al costo annuo del Parlamento e non alla spesa pubblica italiana. In base a questo calcolo, e prendendo per buona la stima del professor Perotti della Bocconi, con il Sì la percentuale del risparmio aumenterebbe di molto: non più 0,007% ma il 6% del costo annuo del Parlamento italiano. “Sempre meglio che zero”, sostiene il professor Roberto Perotti dell’Università Bocconi. Non solo: comparando i costi di Camera e Senato con quelli degli altri legislativi in Europa e nel mondo, il nostro Paese è in cima alla classifica dei Parlamenti più costosi.
Noi e l’Ue.Il costo del Parlamento italiano si ricava dal Bilancio di previsione del 2019 di Camera e Senato: in base a questi dati, la Camera costa 970 milioni mentre il Senato 550 per un totale di circa 1,5 miliardi. Il bilancio di Montecitorio si divide tra i 538 milioni di “spese correnti di funzionamento” e 413 di spese previdenziali (pensioni per ex deputati ed ex dipendenti). Agli italiani la Camera costa 145 milioni di euro, tra indennità (81 milioni) e rimborsi spese dei parlamentari in carica (64 milioni). Facendo un paragone solo tra le Camere basse degli altri Paesi europei (ovvero le uniche elettive e che votano la fiducia al governo) l’Italia risulta di gran lunga in cima alla classifica: la Camera dei deputati, con i suoi 970 milioni, costa a ogni italiano 16,2 euro all’anno. Al secondo posto tra le grandi democrazie europee c’è la Germania: il Bundestag, l’unica Camera elettiva, quest’anno ha raggiunto un costo simile al Parlamento italiano (970 milioni) ma con più rappresentanti (709) e una popolazione maggiore, 70 milioni di abitanti. Il Bundestag quindi costa a ogni tedesco 14,1 euro all’anno. Molto staccate le Camere basse degli altri Paesi europei: l’Assemblea Nazionale francese, con i suoi 577 deputati, costa 570 milioni l’anno (7,7 euro per ogni cittadino), la House of Commons britannica 650 milioni (3,74 euro) per 650 membri e il Congreso de los diputados spagnolo solo 85 milioni (1,8 euro) per i suoi 350 membri. Un decimo dell’Italia. Se allarghiamo il confronto ai Paesi extraeuropei, la House of Representatives degli Stati Uniti, composta da 435 deputati, costa 1.291 miliardi di dollari ogni anno, ma la popolazione americana è cinque volte quella italiana: ogni anno la Camera costa 3,4 dollari ai cittadini americani.
In base ai calcoli di Roberto Perotti, il Sì al taglio porterebbe a un risparmio di circa 100 milioni all’anno tra Camera e Senato e di circa mezzo miliardo a legislatura. Non proprio bruscolini.
Perotti individua anche le voci specifiche: il taglio di 345 parlamentari permetterà di risparmiare 22 milioni di indennità, 35 milioni di rimborsi spese, diaria e assistenti personali e altri 20 milioni per vitalizi e doppia pensione. Così si arriva a circa 80 milioni, 20 in più rispetto ai 57 stimati da Cottarelli. Ma secondo Perotti a questi 80 milioni ne vanno aggiunti altri 20 tra i costi delle due Camere che variano a seconda della composizione: la manutenzione, le pulizie dei locali, la produzione di carta e così via. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e “padrino” della riforma, Riccardo Fraccaro, alla festa del Fatto ha spiegato che in realtà il risparmio di mezzo miliardo a legislatura è sottostimato: “Questa è una buona riforma indipendentemente dal risparmio. Chi è in Parlamento sa che, oltre ai costi di indennità e rimborsi, le due Camere spendono anche per la consistenza dei gruppi parlamentari e per i servizi”.
Stipendi più alti. Non solo il taglio del numero dei parlamentari. Molti fautori del No sostengono che, invece di ridurre i rappresentanti, si poteva risparmiare tagliando gli stipendi dei parlamentari. Ed è proprio su questo punto che Luigi Di Maio, ex capo politico del M5S, sta facendo campagna per il Sì: “Dal 22 settembre proporrò una legge sul taglio degli stipendi”. E non sarà facile visto che, secondo uno studio dell’Independent parliamenty standards authority (Ipsa) del 2016, i parlamentari italiani sono quelli che guadagnano di più al mondo: ogni anno lo stipendio di un deputato o senatore è di 134.360 euro, contro i 127.800 dei rappresentanti americani, 88.030 dei tedeschi, 74.005 dei britannici, 57.809 dei francesi e 32.289 degli spagnoli. La Camera specifica che il confronto tra gli importi lordi è “difficile” perché questi paesi hanno “regimi fiscale e previdenziali non sempre pienamente confrontabili”. Ma il dato resta: su dodici Paesi la media degli stipendi è di 82.918 euro e l’Italia la supera del 45%.
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