lunedì 5 ottobre 2009

Lodo, le ragioni per dire no


La sospensione dei processi per i reati comuni, deroga al «principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione» di fronte al quale non può prevalere l’esigenza di tutelare il «sereno svolgimento» delle funzioni pubbliche.

di Lorenza Carlassare.

E’ vero che «bocciato un lodo Alfano se ne approva un altro, modificato, e lo si manda immediatamente in vigore», come scrive Vittorio Feltri su il Giornale del 14 settembre? Se
così fosse, la Costituzione e le istituzioni di garanzia non sarebbero che un’inutile farsa e
l’ordinamento intero un vuoto castello di carte smontabile a piacere. A piacere della maggioranza, s’intende, proprio il contrario di ciò che esige il costituzionalismo, il cui obiettivo è porre limiti al pote re .
Nessuno, credo, potrebbe pensarlo, anche se è già successo: dichiarata incostituzionale la legge Schifani nel 2004, nel 2008 è stata approvata la legge Alfano sulla quale ora la Corte costituzionale è chiamata a decidere.

Nell’ipotesi, a mio avviso certa, che sia dichiarata illegittima, il governo e la sua maggioranza
potrebbero tentare per la terza volta?
Bisogna rispondere con fermezza che la riapprovazione di una norma dichiarata illegittima non è consentita: e dunque, se la Corte costituzionale pronunciandosi sulla legge Alfano menzionasse fra gli altri anche questo motivo, il Presidente della Repubblica potrebbe, senza incertezze, non promulgare.
Dove sta il problema? Il governo potrebbe sostenere che la legge è «diversa» dalla precedente,
come già ora sostiene in giudizio e fuori: il ministro La Russa lo ha ribadito con vigore il 30 settembre a Linea notte affermando che la legge Alfano è stata costruita tenendo conto di tutti i rilievi mossi al precedente «lodo» nella sentenza n. 24 del 2004.

Anche se puntuali rilievi sono stati ignorati - in particolare che la posizione di chi presiede il Consiglio dei ministri e le Camere non può essere differenziata da quella degli altri membri
del collegio - qualche differenza c’è.

Le Alte cariche tutelate non sono più cinque, ma quattro.
Ne è escluso il Presidente della Corte costituzionale essendo stato dichiarato illegittimo
«accomunare in un’unica disciplina cariche diverse (…) per la natura delle funzioni».
Inoltre, ora, è possibile rinunciare al «privilegio».

Resta però immutato il vizio di fondo.
L a sospensione dei processi per i reati comuni, anche precedenti all’assunzione della carica, deroga al «principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione» di fronte al quale non può prevalere l’esigenza di tutelare il «sereno svolgimento» delle funzioni pubbliche (con cui lo
si giustifica).

Quell’e s i ge n z a , «pur apprezzabile», si scontra infatti con valori fondamentali di superiore livello: il principio della parità di trattamento di fronte alla giurisdizione è alle «origini della formazione dello Stato di diritto» (sent. n. 24).
La continuità fra le due leggi è chiara: di «sereno svolgimento» delle funzioni si parla nella relazione del ministro Alfano alla legge del 2008, così come se ne parlava nel 2003, e viene invocata ancora a difesa della legge.
La debolezza dell’argomento, già respinto dalla Corte, ha indotto a richiamarsi anche al diritto di difesa (art. 24 Cost.): la sospensione dei processi disposta per la durata del mandato corrisponde
al «periodo di tempo che il legislatore ha ritenuto sufficiente per consentire alla persona che riveste l’alta carica di organizzarsi per affrontare, contemporaneamente, gli impegni istituzionali di un eventuale nuovo incarico e il processo penale», si legge nella memoria dell’Avvocatura dello Stato a difesa del presidente del Consiglio.

Ma ad evitare che chi ricopre un’alta carica sia «distolto dai suoi compiti di governo dalle necessità di difesa in sede penale» basta concordare il calendario delle udienze: «il vero è che l’ef fettiva ed esclusiva finalità perseguita dalla legge Alfano non è tanto quella di consentire all’onorevole Berlusconi di organizzare le proprie difese, ma di consentirgli di difendersi
sia “dal processo” per frode fiscale sia “dal processo” per corruzione in atti giudiziari».
Questo si legge nella memoria della procura di Milano (difesa dal professor Alessandro Pace)
dove si ricorda che, come la legge precedente, la legge Alfano fu voluta dallo stesso
Berlusconi per ritardare la celebrazione di processi penali a suo carico: la legge Schifani
«mirava a ritardare la celebrazione del processo Sme, la legge Alfano altrettanto chiaramente
mirava – e mira – a ritardare la celebrazione di almeno due altri processi a carico di Silvio Berlusconi pendenti dinanzi al Tribunale di Milano». E precisamente: il processo nel quale, oltre a Berlusconi, sono coinvolti Frank Agrama ed altri, per il reato di frode fiscale; e il processo nel
quale, oltre a Berlusconi, è coinvolto Donald David Mills per il reato di corruzione in atti giudiziari.

Con riferimento a quest’ultimo – sottolinea la stessa memoria – il secondo «lodo» ha comunque raggiunto l’obiettivo: quello di evitare che Berlusconi fosse giudicato contemporaneamente all’imputato Mills.
L ascia infine perplessi l’argomento dell’Av vo c a t u ra che «qualunque sia il reato contestato, attinente o estraneo alle funzioni pubbliche, è la pendenza del giudizio a far sorgere il problema». Che un presidente sia accusato di un reato grave e infamante, non fa già «sorgere il problema»?

I mezzi di comunicazione, dai quali «le notizie sono presentate nelle forme che suscitano maggiormente la curiosità del pubblico, utilizzando formule suggestive», sono già messi in moto dalle accuse anche se il processo non si celebra.
La «sospensione» non serve al sereno esercizio delle funzioni.
Tanto è vero che nella sentenza n. 24 il lodo Schifani era giudicato contrario al diritto di difesa anche perché non prevedeva la rinuncia dell’accusato alla sospensione «per ottenere l’accertamento giudiziale che egli può ritenere a sé favorevole».
Per chi ricopre un’alta carica sarebbe conveniente affrettare i tempi del processo, dimostrare
la propria innocenza ed esercitare la funzione finalmente «sereno». Sempre, s’intende, che innocente lo sia davvero.


Da: "il Fatto Quotidiano" di domenica 4 ottobre, pag. 16.

Ci sono voluti..........


........millenni per ritornare al punto di partenza!


c'è escort ed escort............


domenica 4 ottobre 2009

Scudo fiscale, le giustificazioni del Pd



Non gli avevano spiegato bene che era un voto importante.......
Chissà in quale mondo vive!

Trentadue deputati sono responsabili di fronte ai loro elettori, e più in generale di fronte alla Nazione, di alto tradimento.

Che si tratti di tradimento della fiducia di chi li ha votati è indiscutibile.

E che sia alto pure.

Alla Camera, con il voto di fiducia sullo Scudo Fiscale potevano evitare il rientro di 300 miliardi di capitali mafiosi o sottratti al fisco e far CADERE il Governo.

Bastavano 20 voti.

Non lo hanno fatto.

Non erano in aula.

Dove si trovavano?

Io vorrei saperlo e anche voi.

Oggi parte il concorso: "Dove eravate, 32 dipendenti infedeli?".

Datemi una mano. Il blog terrà traccia delle vostre segnalazioni e le riporterà nei prossimi giorni (se corrette) con il vostro nome o nick.

Ecco l'elenco: 24 PDmenoelle: Argentin, Binetti, Bucchino, Capodicasa, Carra, Codurelli, D'Antoni, Esposito, Farina, Fioroni, Gaione, Ginefra, Giovanelli, Grassi, La Forgia, Lanzillotta, Madia, Mastromauro, Melandri, Misiani, Pistelli, Pompili, Porta, Portas.

7 UDC: Bosi, Ciccanti, Drago, Libè, Pisacane, Ruggeri, Volontè.

1 IDV: Misiti

(elenco da: Il Fatto Quotidiano 3/10/09).

Dal blog di Beppe Grillo: http://www.beppegrillo.it/2009/10/dove_eravate_32_dipendenti_infedeli.html

Silvio e Patrizia, ecco gli audio

di Antonio MassariLe registrazioni degli incontri con il premier fatte dalla escort D'Addario a Palazzo Grazioli. La prima festa a metà ottobre e poi la notte trascorsa assieme il 4 novembre 2008. Ecco le prove che la donna che ha chiamato in causa il presidente del Consiglio dice la verità

Patrizia D'Addario e Silvio BerlusconiDalle presentazioni con i nomi di fantasia, come Alessia o Clarissa, all'appuntamento post doccia nel "letto di Putin", ai resoconti della serata con Giampaolo Tarantini, a quel "ciao tesoro" telefonico con il quale, Berlusconi, la congeda prima di partire per Mosca.
LEGGI E ASCOLTAGli incontri tra il presidente del Consiglio e l'escort Patrizia d'Addario sono rimasti impressi nei nastri che oggi L'espresso è in grado di rivelare in esclusiva.Questi nastri rappresentano la prova che gran parte delle affermazioni, rilasciate dalla escort barese nelle sue interviste, nonché dinanzi ai magistrati, sono vere, e confermate dagli audio che lei stessa ha registrato a Palazzo Grazioli.Siamo a metà ottobre 2008 e i nastri riportano "l'anticamera" delle ragazze, che attendono di essere accompagnate dal premier, annunciato come un "presidente un po' allegro, che dice qualche barzelletta e canta". Le ragazze chiedono se potranno cantare con lui. Poi si passa alle presentazioni. Il premier le approccia attraverso un cordiale "Ciao, come va?" e un galante complimento alla loro bellezza. Le donne sono altrettanto cordiali, ma parecchio imbarazzate. Almeno finché non si rompe il ghiaccio, quando esclamano, ridendo all'unisono: "Siamo tutte vestite di nero". Berlusconi commenta compiaciuto, spiegando d'aver fatto confezionare abiti particolari per un teatro, e suscitando così la curiosità delle donne.È questa, quindi, la prima volta di Patrizia d'Addario a Palazzo Grazioli. Quella prima volta di "metà ottobre", durante la quale la escort decise di non restare con il premier. Dai nastri spunta un'altra conferma della sua versione: sentiamo la d'Addario che, sollecitata dalle domande di Berlusconi, parla al premier del suo intento di portare a termine un'operazione immobiliare.
Nelle cassette, però, è rimasta impressa anche la nottata trascorsa da Patrizia, a Palazzo Grazioli, circa due settimane dopo. E' il 4 novembre. Quella sera Barak Obama diventava presidente degli Stati Uniti. Nelle stesse ore il premier invitava la d'Addario a infilarsi, dopo la doccia, nel letto di Putin, dove lui l'avrebbe raggiunta poco dopo, mentre scorre la colonna sonora del musical "Scugnizzi", che nei nastri si conclude con un paradossale refrain di "zoccole, zoccole, zoccole".Berlusconi sapeva che la d'Addario si stava prostituendo? Dai nastri è impossibile stabilirlo, ma c'è un particolare che induce a riflettere, e riguarda la telefonata tra la d'Addario e Giampaolo Tarantini all'indomani della nottata trascorsa con il premier: "Non mi ha dato nessuna busta", dice Patrizia a "Giampi". E Tarantini risponde: "Veramente?". Il suo tono lascia intendere una profonda sorpresa. Anche se il dialogo riprende più serenamente, quando Patrizia dice d'aver ricevuto dal premier la promessa di un aiuto "sul cantiere": "Ci devo credere?" chiede Patrizia. "Se lo dice lui...", risponde "Giampi". Poco dopo il cellulare squilla ancora: è Berlusconi a chiamare Patrizia, spiegandole che ha dovuto tenere un discorso, peraltro riuscito benissimo, e che sta partendo per Mosca.
(20 luglio 2009)


http://espresso.repubblica.it/dettaglio/silvio-e-patrizia-ecco-gli-audio/2104806&ref=hpsp

Mondadori - Fininvest condannata

Il tribunale di Milano: risarcimento di 750 milioni di euroalla Cir di De Benedetti.

GIANLUCA PAOLUCCI

Il tribunale di Milano ha condannato la Fininvest al pagamento di 750 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti, a titolo di risarcimento per la vicenda del Lodo Mondadori.
La sentenza del tribunale civile, depositata ieri, è l’ennesima tappa della vicenda iniziata nel 1989 con il braccio di ferro tra De Benedetti e Silvio Berlusconi per il controllo della casa editrice Mondadori.
La sentenza di ieri, firmata dal giudice Raimondo Mesiano, segue il verdetto penale del 2007, che aveva condannato tra gli altri il giudice romano Vittorio Metta e l’avvocato Cesare Previti e sancito l’obbligo di risarcire anche i danni patrimoniali.
La sentenza di ieri, che «ha carattere esecutivo», stabilisce che Fininvest deve risarcire il danno patrimoniale da «perdita di chance» di un giudizio imparziale, quantificato in 749,955 milioni di euro, più spese e onorari.
Inoltre, Cir ha diritto al risarcimento «anche dei danni non patrimoniali», la cui liquidazione «è riservata ad altro giudizio».
De Benedetti affida il suo commento ad una nota di poche righe.
«Dopo quasi vent’anni dalla condotta fraudolenta messa in atto per sottrarre al nostro Gruppo la legittima proprietà della Mondadori, finalmente la Magistratura, dopo la sentenza che ha confermato definitivamente in sede penale la avvenuta corruzione di un giudice, ci rende giustizia anche sul piano civile.
La sentenza del Tribunale di Milano - ricorda ancora De Benedetti - non mi compensa per non aver potuto realizzare il progetto industriale che avrebbe creato il primo gruppo editoriale italiano, ma stabilisce in modo inequivocabile i comportamenti illeciti che l’hanno impedito».

Fininvest, dal canto suo, «esprime tutta la propria incredulità di fronte alla sentenza del Tribunale Civile di Milano». «Una sentenza profondamente ingiusta - si legge in una nota - In attesa di conoscerne le motivazioni, la Fininvest ribadisce la correttezza del suo operato, la validità delle proprie ragioni e degli elementi che sono stati addotti per sostenerle».
La Fininvest «ricorrerà immediatamente in appello, assolutamente certa che la totale fondatezza delle sue tesi non potrà non essere riconosciuta».
Per il presidente della società, Marina Berlusconi, «si tratta di un verdetto incredibile e sconcertante».
La Fininvest - commenta - «ha sempre operato nella massima correttezza e ha dimostrato in modo limpido e inconfutabile la validità delle proprie ragioni.
Non posso non rilevare che questa sentenza cade in momento politico molto particolare.
Non posso non rilevare che dà ragione ad un Gruppo editoriale la cui linea di durissimo attacco al presidente del Consiglio, per non dire altro, è sotto gli occhi di tutti.
Sbaglia però chi canta vittoria troppo presto.
Sappiamo di essere nel giusto e siamo certi che alla fine questo non potrà non esserci riconosciuto».
Di «sentenza abnorme» parla invece uno dei legali di Fininvest, Romano Vaccarella.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/economia/200910articoli/47916girata.asp

La storia del Lodo Mondadori

Dalla fine degli anni Ottanta la Fininvest di Silvio Berlusconi acquisisce progressivamente quote della Arnoldo Mondadori Editore.
Nel 1988, acquistando le azioni di Leonardo Mondadori, Fininvest dichiara che da quel momento in poi prenderà un ruolo di primo piano nella gestione della società editoriale.
L'editrice, quindi, è in mano a tre soggetti, la Fininvest di Silvio Berlusconi, la CIR di Carlo De Benedetti e la famiglia Formenton (gli eredi di Arnoldo Mondadori).
De Benedetti non approva la volontà di Berlusconi di amministrare personalmente la società e stipula un'alleanza con la famiglia Formenton, che decide di vendere a De Benedetti le sue azioni entro il 30 gennaio 1991.

Ma nel novembre 1989 la famiglia Formenton cambia idea e si schiera dalla parte di Berlusconi, consentendogli di insediarsi come nuovo presidente della compagnia il 25 gennaio 1990; De Benedetti protesta, forte dell'accordo scritto stabilito pochi mesi prima con i Formenton, ma i vari schieramenti non trovano un accordo soddisfacente per tutti e decidono quindi unanimemente di ricorrere ad un lodo arbitrale.

I tre arbitri sono scelti di comune accordo da De Benedetti, i Formenton e la Corte di Cassazione. Il 20 giugno 1990 si ha il primo verdetto: l'accordo tra De Benedetti e i Formenton è ancora valido a tutti gli effetti, le azioni Mondadori devono tornare alla CIR. Silvio Berlusconi, allora, lascia la presidenza Mondadori e i suoi dirigenti Fininvest lo imitano, venendo rimpiazzati da quelli dell'ingegner De Benedetti (Carlo Caracciolo, Antonio Coppi e Corrado Passera).
Ma Berlusconi e i Formenton non gettano la spugna: impugnano il lodo arbitrale davanti alla Corte di Appello di Roma, che stabilisce che ad occuparsi del caso sarà la I sezione civile, presieduta da Arnaldo Valente e con giudice relatore Vittorio Metta.
Il 14 gennaio del 1991 si chiude la camera di consiglio e la sentenza viene depositata e resa pubblica il 24 gennaio, cioè 10 giorni dopo la chiusura della camera di consiglio. La sentenza annulla il precedente verdetto del lodo arbitrale e consegna nuovamente le azioni della Mondadori in mano alla Fininvest di Berlusconi.

Ma direttori e dipendenti di alcuni giornali si ribellano al nuovo proprietario; nella vicenda interviene l'allora presidente del consiglio Giulio Andreotti che convoca le parti e le invita a trovare un accordo di transazione: è così che "la Repubblica", "L'Espresso" e alcuni giornali periodici locali tornano alla CIR, mentre "Panorama", "Epoca" e tutto il resto della Mondadori restano alla Fininvest, che riceve anche 365 miliardi di lire di conguaglio.

Nel 1995, in seguito ad alcune dichiarazioni di Stefania Ariosto, antiquaria milanese vicina agli ambienti di Forza Italia, la magistratura inizia a indagare sulla genuinità della sentenza della Corte di Appello di Roma.
Stefania Ariosto dichiara che sia il giudice Arnaldo Valente che il giudice Vittorio Metta erano amici intimi di Cesare Previti e frequentavano la sua casa.
Inoltre la Ariosto testimoniò di aver sentito Previti parlare di tangenti a giudici romani.
Il pool di giudici milanesi si mise in moto e riuscì a rintracciare dei sospetti movimenti di denaro che andavano dalla Fininvest ai conti esteri degli avvocati Fininvest – fra i quali Cesare Previti - e da questi arrivarono al giudice Metta.
Cesare Previti parlò di quelle somme definendole come ricompensa per semplici servizi e prestazioni professionali che in qualità di avvocato di Finivest egli avrebbe svolto.
Il giudice si difese asserendo di aver ricevuto una importante somma di denaro in eredità.
Il 19 giugno 2000 il gup di Milano Rosario Lupo proscioglie dall'accusa di concorso in corruzione «perché il fatto non sussiste» Silvio Berlusconi, gli avvocati Cesare Previti, Attilio Pacifico e Giovanni Acampora e il giudice romano Vittorio Metta.
Il 26 settembre la Procura di Milano impugna il proscioglimento.
Il 25 giugno 2001 la quinta sezione della Corte d'Appello di Milano emette la sentenza sul ricorso e proscioglie Silvio Berlusconi per intervenuta prescrizione, perché i fatti contestatigli risalgono al 1991, mentre rinvia a giudizio Previti, Pacifico, Acampora e Metta, tutti accusati di concorso in corruzione in atti giudiziari.
Il proscioglimento di Berlusconi viene confermato dalla Cassazione il 17 novembre 2001.
A gennaio 2002 il processo Lodo Mondadori é riunito a quello Imi-Sir.

La Corte di Cassazione nel luglio 2007 ha stabilito la condanna di Previti, Pacifico e Acampora a 1 anno e 6 mesi di reclusione, mentre Vittorio Metta a 1 anno e 9 mesi.

Oggi il Tribunale di Milano ha emesso la sentenza nella causa civile promossa dalla società Cir contro Fininvest, condannata a pagare 375 milioni di euro come risarcimento al danno causato dalla corruzione giudiziaria nella vicenda.
Cir ha diritto anche al risarcimento da parte di Fininvest dei danni non patrimoniali, la cui liquidazione «è riservata ad altro giudizio». (Rielaborazione da Wikipedia)

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2009/10/lodo-mondadori-storia.shtml?uuid=af719a78-b036-11de-8481-cd283fb0b2c0&DocRulesView=Libero