venerdì 16 luglio 2010

“Io e la P3” Corruzione globale - Luca Telese



L'ex giudice tributario si confessa al deputato dell'Idv, Francesco Barbato, pensando di rivolgersi a un omonimo dell'Udeur

E Pasquale Lombardi sorrise: “Ah, tu sei Barbato? Mi fa molto, molto piacere la visita di un amico!” Il deputato rimase un attimo interdetto: “Veramente…”. Il detenuto troncò la discussione: “Sei dell’Udeur, no? E allora sempre la nostra grande famiglia democristiana è….”. Solo che il Barbato (Francesco) che era andato a trovare Lombardi nella cella, non era il Barbato dell’Udeur (Tommaso). Chissà se non sia stato questo equivoco iniziale, forse non del tutto chiarito nella conversazione successiva, a propiziare un incredibile colloquio carcerario, a tratti surreale, fra due mondi apparentemente incomunicanti: quello del dipietrista e quello del “numero tre” della cosiddetta P3.

Sta di fatto che, tre giorni fa, i due si ritrovano faccia a faccia in una cella angusta. Lombardi sdraiato sul lettino, Barbato seduto su uno sgabello. Il primo in maglietta bianca e pantaloni celesti, il secondo in giacca e cravatta. Il detenuto, ex
grand commis della giustizia, l’uomo di collegamento tra il gruppo di Flavio Carboni e l’arcipelago della giustizia ha voglia di raccontare e di raccontarsi. Ad esempio con delle rivelazioni sui suoi rapporti con i leader di centrodestra e di centrosinistra (da Lusetti e De Mita ad Alfano, Cappellacci e Formigoni); ma anche con i retroscena di una incredibile rete di relazioni che mette insieme esponenti togati, travet ministeriali, raccomandazioni e convegni. Forse a tratti la ricostruzione si impreziosisce di qualche piccola millanteria. Forse talvolta la tentazione del colore addomestica gli eventi. Sta di fatto che il racconto di Lombardi è in ogni caso un documento incredibile per restituire “il tono” e il retroscena delle inchieste che stanno mettendo a soqquadro il Palazzo. Il deputato dell’Italia dei valori entra nella cella con un block notes immacolato, e ne esce con una mole d’appunti tale da dover riempire anche la copertina. Questo è il resoconto del dialogo fra lui e il detenuto.

Dottor Lombardi, perché lei è qui?
(Sorriso) Questa è una bella domanda. Il Pm, uno che mi ha preso di mira, dice che io ho molti rapporti con la magistratura. Questo, dopotutto è vero. Tutta la storia inizia perché io organizzo convegni.

In che senso?
Sì, convegni. Ne faccio dai 20 ai 25 l’anno. Scelgo i posti più belli d’Italia. Chiamo i migliori relatori, gli pago le spese. A che serve questo? A far parlare le persone, a farle conoscere.

Che tipo di convegni?

Sulla giustizia, sulle regole… Io ho un gruppo di ospiti di primissimo piano: c’è
Arcibaldo Millerche conosco da trent’anni, e che più di un amico, è roba mia… e poi ci sono Martone, Caliendo, il fratello di Peppino Gargani che è doppiamente importante perché Peppino era responsabile giustizia di Forza Italia…

Ci sono solo magistrati?
No, anche dei politici. Ad esempio in Sardegna doveva venire anche
Alemanno, e poi ha mandato il suo capo gabinetto, Sergio Gallo.

Come mai?
Sergio è una mia creatura. Di Cervinara, come me. Sono stato io a favorire il suo ingresso in quella squadra, a fargli avere in trasferimento al Comune.

Lei riesce a fare tutte queste cose?
(Sorriso). Anche di più.

Però non è un momento felicissimo, immagino.
Ehhh.. Se io sto in galera, oggi, è per colpa dei miei. Barbato, voi dovete seguirmi, un giorno, e io vi faccio conoscere tutta Forza Italia…..

Ma che c’entra la galera?
Vede, Carboni si è mosso troppo. Ha iniziato troppo presto, e invece doveva stare fermo. Pazientare, attendere, si fa così. Io avrei potuto andare da qualche amico magistrato…

E invece?
Il casino dell’eolico è scoppiato perché Verdini ha tolto di bocca la polpetta di un grande affare dalla bocca di De Benedetti e di Moratti, chill’do petrolio…

So chi è Moratti…
Il più rosso dei magistrati è proprio questo
Capaldo, che mi tiene sotto tiro.

Lei mi stava spiegando dei convegni.
Ecco. L’ultimo lo abbiamo fatto in Sardegna. Me lo ha finanziato
Cappellacci, con 50mila euro, su 150 di spese previste. Non è poco.

E come lo ha conosciuto?
Cappellacci si mette sempre a disposizione. L’ho conosciuto addirittura prima che diventasse presidente, tramite un amico mio, avvocato di Napoli.

Ma quando parla di se, a chi fa riferimento: a un partito, a una corrente?
I miei riferimenti nel Pdl sono
Cosentino, Caliendo e l’avvocato Ignazio Abrignani, uno che è fortissimo perché fa una montagna di tessere…

Però lei si è adoperato anche per altre candidature alla guida della regione Campania.
Ma solo dopo che è tramontata la possibilità di eleggere Cosentino! Ho tifato per avere
Lettieri…. Ma guardi che non ho rapporti solo con il Pdl!

No?
No, è importante avere amicizie a 360 gradi….

Ad esempio?
Beh, Lusetti. Lusetti l’ho fatto deputato io… Si è candidato nel mio collegio, e solo nel mio comune, per dire, ha preso 1200 voti.

E’ passato da poco dal Pd all’Udc.
Perché gli ho fatto una testa così io. Gli ho fatto il lavaggio del cervello…

Ma perché?
Perché, perché…. Renzo, se l’Udc entra al governo, ha il posto da sottosegretario già prenotato

Però forse l’Udc non entra.
E allora se Casini non fa l’accordo, lui o passa in ogni caso nel Pdl, e sempre sottosegretario può diventare. Lusetti mi sta a sentire, fa quello che dico io….

Sarà vero?
(sorriso) Ha lasciato il Pd insieme a
Sommese. Ebbene, Sommese ha già avuto l’assessorato in Campania!

Ma come lo ha conosciuto Lusetti?
Era nel gruppo di De Mita, mi è stato presentato quando Tanzi veniva giù in elicottero, e io viaggiavo con lui. Anche con De Mita ho avuto rapporti.

Sì?
Era in un brutto momento, quando volevano portarlo al Tribunale dei ministri…

E lei che c’entra?
Gliel’ho detto che alla Giustizia sono di casa.

Non ho capito ancora bene che cosa lei faccia.
Gliel’ho detto. Io sono amico di molti magistrati. Li faccio conoscere tra di loro, li seguo… Per esempio, il figliolo di Ferri, Cosimo, è un buono Guaglione, un ragazzo in gamba.

Ma quindi lei che fa, l’animatore?
Faccio un esempio, il procuratore di Avellino, Mario Romano… gli mancava un voto per essere nominato, e quel voto glielo ho trovato io.

Si ricorda tutti questi dati?
Ho una agenda, a casa, in cui ho segnato tutto: tutti i numeri, tutti i fatti, tutte le date dei miei incontri.

Altri sponsor?
Formigoni è un altro amico mio. Mi ha dato 20mila euro per dei convegni all’Hotel Gallia a Milano. Poi io l’ho invitato giù, può controllare, all’hotel Gran Principe di Sorrento. Vede Barbato, io sono amico delle massime autorità della giustizia. Però, da tutto quello che ho fatto non ho tratto interesse, non ho guadagnato nulla. Carboni e Martino sono imprenditori, è un altra storia.

E lei perché lo fa ?
Per la passione che ho, per la politica. Tutti i mercoledì sono a Roma. A Casini, che conosco dai tempi della Dc, incontrato davanti a un bar ho detto: ma perché non lo fai questo benedetto accordo?

Anche con membri del governo?
Ad Alfano gli ho detto: Ma cazzo! Queste intercettazioni! Le cose vanno prima fatte, e poi dette. Se era per me io l’avrei già fatto.

Ma lei cosa fa?
Io faccio questo lavoro di mantenere i rapporti con i magistrati, da 25 anni. Ho iniziato seguendo mio cugino,
Giuseppe Faraone, che prima passò per il Csm, e poi fu distaccato all’agricoltura. Ora è morto.

Ma cosa fa per vivere?
Il perito demaniale. Lavoro in tutta Italia, anche grazie alle raccomandazioni, perché questo paese è così. Sono intervenuto anche presso
Ugo Bergamo, membro laico del Csm, che ho contribuito a far diventare assessore a Venezia.

E la sua vita?
Ho tre figli.
Bice, che è segretaria del sindaco Iervolino, ma che lavora anche con l’assessoreOddati, perché io ho ottimi rapporti pure con Bassolino. Gianfranco, che ha appalti con il ministero della Giustizia. Il terzo fa l’archietto, ma si occupa di perizie legali con i tribunali di Roma, Benevento e Napoli.


giovedì 15 luglio 2010

‘Cesare’ è sempre più solo - Peter Gomez



E adesso tra i fedelissimi del Cavaliere arriva il tempo della grande paura
. Sempre più debole, sempre più preoccupato dalle iniziative dei finiani e dagli articoli di tutti gli opinionisti che lo invitano a sbattere fuori dal centro-destra affaristi e corrotti, Silvio Berlusconi non riesce più a garantire i suoi.

Oggi tocca a
Nicola Cosentino difeso ad oltranza per mesi – sebbene avesse portato i propri legami familiari con la camorra sino al cuore del governo – ma alla fine costretto alla dimissioni. Ieri era toccato ad Aldo Brancher, per il quale il premier aveva inventato un dicastero solo per metterlo al riparo da un complicato processo per ricettazione e appropriazione indebita. Qualche settimana fa era stata la volta del potentissimo Claudio Scajola: il ministro apparentemente ladro che prima si era fatto comprare casa a sua “insaputa” e che poi se l’era fatta ristrutturare – a insaputa dei contribuenti – con fondi del Sisde.

L’elenco dei caduti sul campo, insomma, non è breve. E ben presto potrebbe allungarsi ancora. Tra chi trema c’è l’ex uomo immagine dell’esecutivo,
Guido Bertolaso, che non protetto da immunità parlamentare prima o poi dovrà decidersi a spiegare esattamente ai magistrati e all’opinione pubblica quale tipo di rapporti ha intrattenuto con la cricca.

E poi c’è lui. Il mito.
Denis Verdini, il banchiere toscano che considera gli affari e la politica una cosa sola. Verdini: la prova vivente di come avesse ragione Tacito quando scriveva: “Il crimine una volta scoperto non ha altro rifugio che nella sfrontatezza”.

Verdini nelle copiose interviste ha ammesso di tutto. Ha detto di aver davvero richiesto al ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli la nomina di un provveditore alle opere pubbliche (poi finito in manette) gradito a un suo amico imprenditore che era interessato a un appalto da 280 milioni di euro. Ha raccontato di aver pure fatto nominare direttore dell’Arpa Sardegna un altro funzionario, solo perché così gli era stato richiesto dal pluri-pregiudicato Flavio Carboni, grande elettore sardo del Pdl. E, tanto che c’era, ha pure ricordato di aver ricevuto da Carboni (non però da lui direttamente, ma dal suo autista ndr) 800mila euro poi finite nelle casse di un giornale legato al centro-destra.

Certo, lui assicura che i cittadini e i contribuenti non hanno nulla da temere. “Perché”, spiega, “non ho fatto niente di illegale”.
Ma è chiaro che anche la sua sorte è (politicamente) segnata. Si tratta solo di aspettare.

E qui nascono i veri problemi per Berlusconi. L’idea, a lungo accarezzata, di far cadere il proprio governo e di chiedere al presidente Napolitano di sciogliere le Camere per andare al voto, appare di giorno in giorno più balzana. Dalla ordalia elettorale, è vero, il Cavaliere uscirebbe probabilmente vittorioso.

Ma la questione al momento è arrivarci al voto. Non vincerlo.

Da una parte, man mano che la pattuglia dei finiani aumenta di numero, la prospettiva di un esecutivo tecnico sostenuto da tutti i parlamentari anti-Berlusconi prende quota. Dall’altra c’è l’incognita dei possibili traditori. Dei fedelissimi che il Cavaliere si è visto costretto ad allontanare, i quali, da oggi in poi, hanno molti buoni motivi per accoltellarlo alle spalle.

A loro abbandonare le comode e immuni poltrone di deputati e senatori, dietro la promessa di essere nominati un ‘altra volta, non conviene. Il rischio è di uscire da Montecitorio e Palazzo Madama per poi non rientrarci più.

A causa della crisi, infatti, sale per la prima volta nel Paese la disapprovazione sociale per i comportamenti che alla lunga danneggiano la collettività.
Anche agli elettori di centro-destra i furbi piacciono sempre meno. E i primi ad accorgersene sono i direttori di quotidiani come Libero e Il Giornale sempre più sommersi da e-mail di protesta.

Per i Cosentino, per i
Dell’Utri, per i Verdini, per gli Scajola è ormai persino complicato farsi vedere in giro. Loro lo sanno. E Berlusconi lo sa. Come sa che, in caso di elezioni anticipate, ripresentare in lista certa gente diventa un pericolo. Anzi un assist per l’odiato Fini che a tutti dice di brandire la bandiera della legalità.

Per questo l’Imperatore, anzi Cesare, come chiamavano Berlusconi quelli della nuova P2, è triste e sempre più solo. Sbraita, urla, medita la rivincita, ma è costretto a giocare in difesa. E intanto quando cammina sta bene attento a tenere le spalle al muro. Le avventure come la sua, dice la Storia, hanno un unico epilogo. La congiura di Palazzo. E, a volte, persino il regicidio.


martedì 13 luglio 2010

Ddl intercettazioni: per l'Onu va abolito o modificato




"Se adottato nella sua forma attuale può minare il godimento del diritto alla libertà di espressione", sostiene l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Il ministro degli Esteri Frattini: "Sconcertante".



Il governo italiano deve "abolire o modificare" il progetto di legge sulle intercettazioni perché "se adottato nella sua forma attuale può minare il godimento del diritto alla libertà di espressione in Italia".

Lo ha detto il relatore speciale dell'Onu sulla liberta' di espressione, Frank La Rue in un comunicato.

La Rue ricorda che, "secondo l'attuale disegno di legge, chiunque non sia accreditato come giornalista professionista può essere condannato a quattro anni di carcere per aver registrato una comunicazione o conversazione senza il consenso della persona coinvolta e per aver poi reso pubblica tale informazione".

Secondo La Rue, "tale grave pena minerà in modo serio tutti i diritti individuali di cercare e diffondere un'informazione imparziale, in violazione del Convenzione internazionale sui diritti civili e politici di cui l'Italia è parte".

Preoccupazioni anche per l'introduzione di una sanzione per giornalisti ed editori che pubblichino il contenuto di intercettazioni prima dell'inizio di un processo.

"Tale punizione -prosegue il relatore Onu - che include fino a 30 giorni di carcere e un'ammenda fino a 10.000 euro per i giornalisti e 450.000 per gli editori è sproporzionata rispetto al reato".

Secondo La Rue, "queste norme possono ostacolare il lavoro dei giornalisti investigativi su materie di interesse pubblico, come la corruzione, data l'eccessiva lentezza dei procedimenti giudiziari in Italia, e come sottolineato più volte dal Consiglio d'Europa".

"Sono consapevole - conclude il relatore speciale Onui - che il disegno di legge è stato avanzato per preoccupazioni sull'implicazione della pubblicazione delle intercettazioni sui procedimenti giudiziari e sul diritto alla privacy.

Tuttavia, il disegno di legge nella sua forma attuale non costituisce una risposta appropriata a tali preoccupazione e pone minacce al diritto alla libertà d'espressione".

La Rue, ricordando anche le proteste dei giornalisti, esorta il governo ad "astenersi dall'adottare questo disegno di legge nella forma attuale, e di impegnarsi in un dialogo con tutte le parti in gioco, in particolare con i giornalisti e i media, per assicurare che le loro preoccupazioni siano tenute da conto".

La Rue si dice "ansioso" di cooperare con il governo italiano, in vista di una "possibile missione di sopralluogo nel 2011 per esaminare la situazione della libertà di stampa e il diritto di espressione in Italia".

La reazione di Frattini - Il ministro degli Esteri Franco Frattini si è detto oggi "sconcertato" dalla posizione espressa riguardo al ddl intercettazioni da Frank La Rue, esperto Onu in tema di libertà di espressione, che ha detto che il provvedimento potrebbe limitare la libertà di espressione e le indagini sulla corruzione.

"Il processo mediatico è una barbarie. Non un principio di diritto" – ha detto Frattini – "In tutti i paesi liberali e democratici del mondo non è consentito alla pubblica accusa di divulgare prima della sentenza definitiva elementi di indagine che devono restare segreti". "Questo - ha spiegato il responsabile della Farnesina - per la semplice ragione che, in democrazia, si tutelano anche i diritti degli indagati. Il processo mediatico è una barbarie, non un principio di diritto", ha così ribadito il ministro.





Il giorno dell'Udienza sul "Lodo Alfano", si incontrano al bar dell'Hotel Eden di Roma, da sinistra, Marcello Dell'Utri, Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martini.





Piovono rane di Alessandro Gilioli




Toghe azzurre – e pure un po’ sporche



Il presidente della Corte di Cassazione – mica un pretore di Peretola – ma anche il capo della procura di Firenze, alcuni vertici del Csm e perfino giudici costituzionali.

A leggere i verbali sul cenacolo di gentiluomini che gravitava attorno a Flavio Carboni si scopre che – dopo 15 anni di strilli sulla “magistratura politicizzata” – in effetti parecchi giudici importanti erano pappa e ciccia con i politici.

Peccato che fossero i politici di Berlusconi.


http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/07/13/toghe-azzurre-e-pure-un-po-sporche/


La “cricca” delle toghe e il silenzio della stampa di regime


di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano, 13 luglio 2010


Chissà che fine han fatto gli inventori di fortunate cazzate tipo l’“uso politico della giustizia” o la “magistratura politicizzata”. Gli Ostellini, i Panebianchi, i Sergiromani, i Pigibattista, los Politos, i Gallidellaloggia e i Pollidelbalcone sono letteralmente scomparsi, proprio ora che gli allegri conversari chez Vespa e chez Verdini dimostrano che l’uso politico della giustizia esiste eccome. Solo che lo fanno il governo e i suoi manutengoli.

Il colore delle toghe politicizzate è l’azzurro-Verdini, il marron-Dell’Utri, il nero-Carboni/Carbone, come nella Prima Repubblica era il bianco-Andreotti, il rosé-Craxi, il grigio-Previti, il giallo-Gelli. Battaglioni di giudici furono trovati nelle liste della P2 o sul libro paga di Cesarone. Insabbiavano inchieste, aggiustavano processi, compravendevano sentenze, annullavano condanne di mafiosi per un timbro un po’ fané. Eppure – anzi proprio per questo – mai un’ispezione ministeriale, un’azione disciplinare, una convocazione al Csm, un dossier dei servizi, un attacco dalla stampa di regime.

Queste persecuzioni spettavano di diritto ai giudici davvero indipendenti, bollati e perseguitati come “pretori d’assalto” e “toghe rosse”. Ora la storia si ripete, nella beata indifferenza dei garantisti da riporto e dei pompieri della sera. La signora Augusta Iannini in Vespa, collaboratrice di governi di destra e sinistra, apparecchia cene per il premier plurimputato B., il banchiere plurimputato Geronzi, il sottosegretario indagato Letta e cardinali assortiti, ma la cosa non sembra interessare il Csm che dovrebbe tutelare l’indipendenza della magistratura non solo dalle minacce esterne, ma dagli inciuci interni.

Vincenzo Carbone, fino al mese scorso primo presidente della Cassazione, fu nominato dal Csm sebbene insegnasse da anni all’Università di Napoli con doppio stipendio all’insaputa dell’organo di autogoverno: ora si scopre pure che dava del tu al traffichino del clan Carboni, il geometra avellinese Pasqualino Lombardi, che lo apostrofava “preside”, gli chiedeva di anticipare l’udienza su Cosentino, gli preannunciava telefonate di Letta e avvertiva gli amici che “con quello lì stamo a posto”. Lui, come si conviene agli alti magistrati, rispondeva “statte bbuono” e all’alba dei 75 anni s’interrogava: “Che faccio dopo la pensione?”. Pasqualino Settebellezze lo rassicurava: “Tranquillo, ne sto parlando con l’amico di Milano”. Ancora una settimana fa Carbone era candidato alla Consob.

Uno come Lombardi che in un altro paese faticherebbe a entrare in un bar sport discettava con gran familiarità della sentenza sul lodo Alfano col presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli, detto “o’ professo’”: “La donna della Consulta è amica sua, possiamo intervenire su questa signora? Mi stanno mettendo in croce gli amici miei, che poi sono anche amici suoi…”. E garantiva sul voto di Mancino, vicepresidente del Csm, per la nomina di Marra detto “Fofo’” a presidente della Corte d’Appello di Milano. Missione compiuta. Marra si riuniva chez Verdini con i faccendieri Carboni e Lombardi e i giudici Martone e Miller, quest’ultimo capo degli ispettori ministeriali che da anni perseguitano i pm dipinti come politicizzati proprio perché non lo sono. Ieri Martone ha finalmente lasciato la toga dopo aver presieduto addirittura l’Anm.

Ora si spera che il Csm vicepresieduto da Mancino accompagni alla porta anche Marra e Miller, e reintegri al loro posto De Magistris, la Forleo e i pm salernitani Nuzzi, Verasani e Apicella. Già perché questi giudici onesti sono stati sterminati l’uno dopo l’altro dagli ispettori (Miller), dalla Procura della Cassazione (Martone) che attivava le azioni disciplinari, dal Csm (Mancino e Carbone) che condannava e dalle Sezioni Unite (ancora Carbone) che confermavano le condanne.
Ora l’Anm cade dal pero e ammonisce: “Non vogliamo magistrati contigui al potere”. Che riflessi, ragazzi. Che faceva l’Anm mentre il plotone di esecuzione delle toghe contigue al potere fucilava quelle non contigue al potere, a parte applaudire i fucilatori?

(13 luglio 2010)