venerdì 17 dicembre 2010

La solitudine dei bravi ragazzi. - di Loris Campetti



Brucia piazza del Popolo,bruciano le strade di Roma, brucia la rabbia di decine di migliaia di studenti quando alle 13,41 viene annunciato il voto di fiducia a Berlusconi. Hai voglia di dire che tanto quello lì ha perso politicamente: i simboli sono importanti. E quella maledetta legge Gelmini fermata dalla rivolta delle scuole e delle università ora torna in campo. I tre voti che salvano il governo cancellano definitivamente la fiducia della piazza nella politica, cancellano il futuro di una generazione. E ne condannano un’altra alla precarietà. La stessa rabbia degli operai metalmeccanici arrivati da Padova o da Pomigliano che vedono il modello sociale di Marchionne puntare contro di loro come come i blindati della Polizia e della Finanza. Vedono tornare il panzer Sacconi lanciato a bomba contro lo Statuto dei lavoratori. Quel voto del Palazzo, quel mercato sub-politico che umilia il Parlamento cambia l’umore della piazza, la protesta esplode e poche voci si alzano contro chi magari è arrivato organizzato in piazza, non invitato, per far casino. Nessuno prova pietà per qualche suv sfasciato sul Lungotevere, per una Jaguar che brucia, per i bancomat presi a colpi di sampietrini: sono simboli di un potere odiato oggi più di ieri, rappresentano anch’essi un modello diseguale, ingiusto, basato sul furto ai poveri, tanti, per dare ai ricchi, pochi. Goliardia? Non solo, e non soprattutto. Il blindato e qualche altro mezzo che bruciano tra piazza del Popolo, via del Corso e via del Babbuino non trovano solidarietà tra i giovani e giovanissimi che si affollano dietro chi resiste alle cariche della polizia. Quando un blindato tenta di sfondare il muro umano che, a differenza del Parlamento,sta sfiduciando B ma viene ributtato indietro,parte un applauso corale. Questa non è goliardia, è rabbia di chi vede sfilarsi futuro e diritti e non ci sta
Così brucia piazza del Popolo.

La politica ha fallito,le istituzioni sono fuori, lontane, nemiche di queste ragazze e ragazzi così simili ai loro compagni di Atene o di Londra, che ieri hanno messo in campo la più grande manifestazione studentesca che il cronista, non più ragazzino,ricordi. Non hanno tutti contro, però.Con loro ci sono le tante Italie che resistono, e cominciano a incrociarsi.C’è la Fiom con il suo gruppo dirigente che chiede,insieme ai ragazzi,lo sciopero generale.Che se ci fosse stato avrebbe contribuito a farli sentire meno soli e meno lontani da tutte quelle rappresentanze che non rappresentano più,non svolgono più alcun ruolo di mediazione.Ci sono i terremotati dell’Aquila e il popolo avvelenato di Terzigno e Chiaiano,persino le «Brigate Monicelli»,il popolo dell’acqua pubblica Movimenti che dovranno intrecciarsi,costruire insieme un percorso duraturo,perché domani bisognerà continuare il cammino insieme. Per questo è nato «Uniti contro la crisi» che ha promosso la manifestazione.La piazza ondeggia sotto le cariche della polizia.C’è chi resta fuori dagli scontri,come gli operai della Fiom, perché non sono nel suo dna e punta da piazzale Flaminio verso il Muro torto per raggiungere la Sapienza.Ma alla fine la polizia sfonda, riconquista piazza del Popolo,si riversa sul piazzale mentre il fumo acre dei lacrimogeni intossica e fa crescere ancor più la rabbia.Un candelotto va a finire dentro il lungo sottopassaggio della metropolitana trasformandolo in una camera a gas.Sopra,nel piazzale,vola di tutto contro un blindato della Finanza,isolato e impazzito,una scena che nella memoria dei meno giovani richiama una dannata piazza di Genova.
Alle 13,41 è cambiata non solo la piazza ma anche l’atteggiamento di chi avrebbe dovuto garantire l’ordine:fino al voto,fino a davanti al Senato, confronti anche duri,ma senza volontà di precipitazioni. Poi la «difesa dei Palazzi» è diventata aggressiva,quasi alla ricerca dello scontro. Che alla fine, immancabilmente, è arrivato
con tanto di fuoco, ragazze e ragazzi in fuga inseguiti dai manganelli. I Palazzi hanno ignorato la protesta della piazza, hanno offeso la dignità di chi chiede quel che sarebbe giusto avere ma da oggi dovrà farci i conti. E sarà dovere di ogni organizzazione democratica costruire ponti con una generazione offesa ma determinata, e sostenere una battaglia per l’istruzione, la cultura, il lavoro, la giustizia sociale, che è una battaglia di civiltà e parla di diritti. Per costruire un’altra politica e differenti relazioni sociali, non mercificate, per pretendere giustizia sociale. Gli studenti sono in prima fila. Con loro ci sono altri movimenti, c’è un pezzo di Cgil. E gli altri dove sono?

Da: Il Manifesto del 15.12.2010

14 dicembre, non è che l'inizio. - di Marco Bascetta


Il coro è generale, prevedibile.Tra i vincitori e gli sconfitti dell’aula,da dx a sx rimbomba l’indignazione: professionisti della violenza, vandali,teppisti,insomma la racaille,la canaglia, per rievocare l’espressione Che Sarkozy affibbiò a suo tempo ai giovani rivoltosi delle banlieus Si invoca repressione,repressione e ancora repressione Si fa finta di non capire, di esorcizzare lo spettro di qualcosa che ormai monta nel paese.Nel palazzo si finge di ignorare che le scelte compiute,l’immagine grottesca trasmessa dalla politica siano prive di conseguenze,siano accettate con rassegnazione o distacco.Eppure lo stato d’animo di chi si sente in balia di schermaglie,trattative e accordi che devastano le vite ed escludono i viventi senza rimedio, dovrebbe essere chiaro a tutti
C'è una sensazione di violenza quotidiana, proiettata verso un futuro incerto e minaccioso.La "canaglia" che si è scontrata con le forze di polizia nel centro della capitale è questo.Giovani e giovanissimi esasperati dall’impotenza e dall’afasia in cui li si vuole costringere.Invisibili fino a quando le fiamme degli autoblindo non ne illuminano la figura.Che l’esasperazione non sia fonte di particolare saggezza politica,che possa comportare conseguenze autolesive,è una considerazione su cui si può ben convenire.A patto di non dimenticare che la violenza è una relazione,non una malvagia inclinazione onanistica.E così è stata vissuta,non dai "professionisti della sommossa",ma da una grande folla di giovani che non si sentono più garantiti che dalla loro capacità di reazione,da quel "tutti insieme facciamo paura" che ossessivamente risuona nei cortei.Ma la politica,che peraltro si prende a schiaffi tutt’altro che metaforici in parlamento,vive le soggettività politiche che crescono nel paese come uno sfondo oscuro e irrilevante,spettatori attoniti di di formule, proclami e promesse,oppure, "canaglia" Richiamandole al rispetto di regole, quando non inique.

Si può ragionevolmente pensare che una intera società accetti di farsi tenere in pugno dal pelo sulla coscienza di tre nullità? Che si consenta a un governo tanto putrefatto quanto arrogante di procedere come un carro armato? Di farsi ricattare da un amministratore delegato o dalle diverse corporazioni del potere?
E’ bene che il palazzo, cominci a temere qualcosa di diverso dalle congiure, gli agguati, le trappole, le compravendita, i tradimenti, le astuzie. Quanto è accaduto ieri a Roma, fuori dall’esorcismo, di questo ci parla. E tutto indica che non è che un inizio. La destabilizzazione sociale, il morso della crisi, sono assai più gravi e profondi dell’instabilità politica e delle dinamiche caotiche che d’ora in poi promettono di accompagnarli. Lo scollamento è totale e la "volontà di punire", che irresponsabilmente viene sbandierata a destra e a sinistra, non farà che alimentare una spirale molto pericolosa. Eppure è esattamente in questa direzione che tutto sembra muovere. L’iter del ddl Gelmini, per fare un esempio, sarà portato avanti ora a suon di manganello? Gli sconfitti di Montecitorio vi si accoderanno? I sindacati prenderanno le distanze? Meglio cercare di capire ciò che a Londra come a Roma viene sottoposto a una ragione che dovrebbe continuare a restare politica.

Il Manifesto - 15.12.2010

''Traffico di organi umani''. Bufera sul governo del Kosovo




L'accusa del Consiglio d'Europa: coinvolto anche il premier Thaci. La replica: sono tutte invenzioni. Ma l'Ue chiede di fare chiarezza.

All’indomani delle prime elezioni legislative del Kosovo indipendente, una bomba a orolgeria si infrange sulla già contestatissima vittoria del riconfermato premier Hashim Thaci, chiamato direttamente in causa dal Rapporto che il deputato svizzero Dick Marty presentarà domani presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Pace), circa il presunto traffico illegale di organi a danno di prigionieri di guerra, ad opera dell’Uck, di cui Thaci era leader al tempo dei fatti.

Le accuse sono durissime. Nell’estate del 1999, subito dopo la fine del conflitto serbo-kosovaro formalmente dichiarata il 9 giugno,«numerose concrete e convergenti informazioni confermano che alcuni serbi e alcuni kosovari albanesi sono stati tenuti prigionieri in luoghi di detenzione segreta sotto dell’Uck (l’Esercito di liberazione del Kosovo, ndr) nel nord dell’Albania e che sono stati sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, prima di scomparire definitivamente». Più nello specifico «organi furono rimossi da alcuni prigionieri in una clinica su territorio albanese, nei pressi di ushe Kruje, per esseri condotti all’estero per trapianti».

Ripartendo dalla denuncia del caso che l’ex procuratore capo del Tribunale penale internazionale dell’Aia (Tpi) Carla Del Ponte, fece nel suo libro "La caccia" pubblicato nel 2008, Marty - già noto per aver portato alla luce le prigioni segrete Cia in Est Europa - va oltre e conclude che «questa attività criminale è proseguita, in alcune forma fino ad oggi, come dimostrano le indagini Eulex sulla clinica Medicus a Pristina» Un rapporto di 27 pagine - «non un’indagine penale», si precisa - che descrive l’inquietante sorte che potrebbe essere toccata ad almeno «470 persone scomparse dopo l’arrivo (in Kosovo) delle truppe (della Nato)) Kfor il 12 giugno 1999, 95 delle quali erano albanesi kosovari e 375 non albanesi, principalmente serbi». Prigionieri di guerra, dunque, ma anche kosovari accusati di tradimento e collaborazionismo, trasferiti nei campi base Uck in Albania, quando «il confine tra Kosovo e Albania aveva effettivamente cessato di esistere».

La regia di questo disegno criminale è attribuita al "gruppo di Drenica", la fazione Uck facente allora capo all’attuale premier Thaci. «Un boss criminale» secondo i rapporti di intelligence citati da Marty, inclusi quelli dell’italiana Sismi, oltre che dei servizi segreti di Germania (Bnd), Regno unito (MI6) e Grecia (Eyp). Marty fa nomi e cognomi dei membri del gruppo che «avrebbero dovuto essere condannati per gravi crimini, ma che (...) hanno consolidato la loro impuntià». Tra questi spicca quello del chirugo Shaip Muja, nel 1999 comandante di una base medica dell’Uck in Albania e oggi «consigliere politico nell’ufficio del pirmo ministro, con resposabilità in materia di Sanità». Un altro punto sensibile del rapporto è il ruolo degli «attori internazionali che scelsero di guardare con l’cchio bendato i crimini di guerra dell’Uck, offrendo invece un premio per raggiungere un certo grado di stabilità a breve termine», è quanto di legge.

Dalla Nato alleata dell’Uck, alla missione Onu, Unmik non all’altezza di gestire le indagini, a quella dell’Ue, Eulex, subentrata nel 2008, che ha «lasciato vane le aspettative di andare oltre gli "intoccabili", dei quali un passato più che oascuro è comunemente noto». Non è certo onorevole il ritratto della Comunità internazionale in Kosovo, dipinto dal parlamentare svizzero. Così, il Consiglio d’Europa raccomanderà domani all’Albania - che ha sempre negato l’autorizzazione a indagare nel proprio territorio- «di collaborare senza riserve con Eulex e le autorità serbe». Anche perché Marty, scrive di aver trovato «un numero di credibili e convergenti indicazioni che le componenti del traffico di organi post conflitto descritte nel nostro rapporto siano strettamente legate al caso contemporaneo della clina Medicus», di Pristina, che ha portato di recente a quattro arresti da parte di Eulex. Insomma, il nuovo Kosovo impegnato in prove tecniche di democrazia, stando al rapporto del Consiglio d’Europa sarebbe rimasto teatro di crimini indicibili, protrattisi per almeno un decennio, con il placet del suo riconfermato premier.

Il governo kosovaro prende le distanze dal rapporto definendolo «calunnioso». Le illazioni pubblicate da "The Guardian" «sono state oggetto di ripetute indagini da parte di istituzioni per la sicurezza locali ed internazionali ed ogni volta è stato stabilito che erano prive di fondamento», si legge in una nota diffusa dal governo di Pristina. Il governo ha minacciato l’adozione di qualunque «azione e misura legale e politica» contro quanti hanno messo a punto il rapporto ed ha esortato il Consiglio d’Europa a respingerlo. «È chiaro che qualcuno punta a screditare il premier Hashim Thaci dopo le elezioni parlamentari in cui i cittadini chiaramente e massicciamente hanno sostenuto il programma per il governo e lo sviluppo del paese», si legge ancora nella nota. A Belgrado, dove Thaci venne condannato in absentia per terrorismo nel 1997, un portavoce dell’ufficio del procuratore per i crimini di guerra, Bruno Vekaric, ha dichiarato che il rapporto filtrato attraverso le anticipazioni è una «vittoria» per la Serbia.

Chi invece prende «molto seriamente» le accuse rivolte a Thaci è l'Ue. Bruxelles, per bocca della portavoce del’Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza Catherine Ashton, invita l’autore de documento, Dick Marty, a «presentare le prove» in suo possesso alle autorità competenti. L’Unione è presente sul terreno con la missione Eulex che, tra i suoi compiti, ha anche quello di indagare sul crimine organizzato e cooperare con le autorità dei Paesi balcanici interessati, anch’essi impegnati a combattere le attività criminali nel quadro del dialogo con l’Ue. «Stiamo cercando di ottenere tutte le informazioni e le prove possibili» ha detto la portavoce, lasciando capire che la Ue intende indagare sulle accuse formulate nel rapporto del Consiglio d’Europa, ma per portare avanti questa azione ha bisogni anche di acquisire prove.


Tratto da:
lastampa.it



giovedì 16 dicembre 2010

Julian Assange torna libero la Corte respinge l'appello.




Il fondatore del sito arriva in tribunale in manette. Il giudice consente il rilascio su cauzione. Dovrà indossare un braccialetto elettronico. Washington cerca altre prove per incriminarlo. E Clinton nomina un nuovo coordinatore per la sicurezza che garantisca la protezione di materiale confidenziale.


LONDRA - Nell'aula 4 della Royal Courts of Justice, Julian Assange c'è arrivato in manette, sotto la pioggia di Londra. Dopo 12 giorni di isolamento 1 nella prigione di Wandsworth, l'hacker australiano da oggi è libero. Il giudice Ouseley ha respinto l'appello e l'ha rilasciato su cauzione. Fuori il tribunale la folla dei sostenitori ha cominciato ad applaudire.
VIDEO 2
Le 240mila sterline in contanti (circa 282mila euro) chieste dal giudice 3 martedì scorso sono pronte. L'avvocato Mark Stephens, ha detto di aver trovato l'intero ammontare e che dovrebbe venirne in possesso oggi. Finché non saranno a disposizione Assange non potrà uscire. E trovare il denaro non è stata un'operazione semplice. Una parte dei soldi è stata messa a disposizione dai registi Micahel Moore, John Pilger e Ken Loach e da alcuni sostenitori, ma Assange non aveva più accesso al suo conto e le carte di credito erano state bloccate. Nell'udienza di oggi il giudice ha anche deciso che la Svezia paghi le spese legali per l'appello alla Royal Court of Justice e quelle del procuratore britannico che ha rappresentato gli interessi svedesi.

Adesso che l'hacker australiano può pagare la propria taglia, è libero di uscire. Fino alla prossima udienza, prevista l'11 gennaio, quando si discuterà l'estradizione in Svezia, si trasferirà nella casa di Vaughan Smith 4, l'ex inviato di guerra fondatore del Frontline Club dove ha già passato diverso tempo, e oltre a indossare un braccialetto elettronico, dovrà presentarsi ogni giorno alla polizia per firmare e poi restare bloccato nella magione del Suffolk dalle 22 alle 2 e dalle 10 alle 14. Ovviamente non avrà diritto al passaporto. E dovà anche risolvere piccoli problemi da fuorilegge: il commissariato di polizia più vicino alla casa di Vaughan Smith nel Suffolk è a Beccles, ed è aperto solo tra le 14 e le 17 ma chiuso per gran parte di Natale.

L'uomo che deve rispondere di un'accusa di stupro in Svezia - più precisamente di rapporto sessuale senza preservativo 5 -, resta un "pericoloso criminale". E da tale è arrivato alla Corte di Londra. In un furgone blindato con vetri antiproiettile, e in manette. Per la procura britannica l'hacker australiano infatti sarebbe dovuto restare in prigione. Troppo "a rischio fuga" e troppi sostenitori, troppi viaggi in tutto il mondo, nessun legame locale in Gran Bretagna. Neanche la garanzia di Vaughan Smith, il capo del Frontline Club, era sufficiente per la procura. Non si conoscevano abbastanza bene, così come Sara Sunders. "Si sono incontrati troppo poco tempo fa", ha detto il procuratore all'inizio dell'udienza.

I legali della difesa hanno sostenuto invece che Assange non si fosse mai nascosto. Era al Frontline Club, un posto pieno di giornalisti. Non lo hanno trovato, ma era a disposizione degli avvocati. Geoffrey Robertson, uno degli avvocati di WikiLeaks ha spiegato che il suo cliente non è ricco e che i conti in banca sono stati chiusi. "Non vogliamo pensare che Michael Moore arrivi dagli Stati Uniti col suo berretto da baseball e nella notte aiuti Assange a fuggire", ha ironizzato l'avvocato all'obiezione del giudice che il capo di WikiLeaks ha accesso a denaro e a una rete di protezione.

Durante l'udienza, che è durata 90 minuti, il giudice ha vietato l'uso di Twitter da parte dei giornalisti e del pubblico in aula, gremita come sempre da quando è sotto processo Assange. Tra i banchi c'erano la madre Christine, Vaugham Smith, Pilger (FOTO 6). Fuori centinaia di sostenitori arrivati da tutto il mondo grazie all'appello lanciato proprio dal sito di WikiLeaks.

Il 14 dicembre le autorità britanniche (e non quelle di Stoccolma) avevano presentato ricorso 7 contro la sua scarcerazione, costringendo il fondatore di WikiLeaks a trascorrere altre due notti nella prigione di Wandsworth dove si trova dal 7 dicembre in isolamento. Il Guardian ha infatti rivelato che non è stata la Svezia ma il Regno Unito a opporsi al rilascio su cauzione. "Le autorità giudiziarie svedesi non possono prendere decisioni in territorio britannico - ha spiegato il responsabile per le comunicazioni della procura svedese - spetta alle autorità britanniche gestire la questione".

L'avvocato Mark Stephens, aveva criticato la decisione: "La questione da chiedersi è: se non parlavano con gli svedesi, con chi parlavano? E' tutto altamente irregolare perché il Crown Prosecution Service dovrebbe agire come agente delle autorità svedesi e invece sembra che agissero senza che la Svezia o lo stesso direttore delle procure Keir Starmer fossero messi al corrente".

Washington nel frattempo cerca nuove prove per incriminare Assange. L'accusa di stupro è debole per un uomo che ha destabilizzato gli equilibri diplomatici del globo. Secondo il New York Times, gli inquirenti vogliono dimostrare una qualche collusione tra Assange con Bradley Manning, il militare americano accusato di aver materialmente 'rubato' i documenti secretati dagli archivi militari e di averli poi girati a WikiLeaks.

Dimostrando che Assange ha avuto un ruolo attivo e non di semplice ricevente passivo delle notizie che poi ha pubblicato, e quindi l'incoraggiamento o l'aiuto a Manning, il dipartimento di Giustizia Usa potrebbe incriminarlo per cospirazione nella fuga di notizie. Infine il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha annunciato la creazione di un nuovo incarico al dipartimento di Stato di Washington di coordinatore per la sicurezza informatica, con il compito di garantire la protezione del materiale secretato o considerato confidenziale.




«Bush non critichi Berlusconi su G8 e inchieste giudiziarie»




Al G8 di Genova successe qualcosa su cui non conosciamo ancora tutta la verità. Ma le critiche americane spaventarono Berlusconi. E nel 2002 l'ambasciata Usa a Roma scrisse a Bush di non criticare il presidente del Consiglio. Lo rivela Wikileaks.

L'ambasciata Usa a Roma avverti' Washington e l'allora presidente Bush che il rapporto degli Stati Uniti sui diritti umani violati negli scontri al G8 di Genova del 2001 ''danneggia'' il governo Berlusconi, per cui non andrebbe criticato.
Lo si legge in un dispaccio targato Wikileaks e pubblicato dal Guardian e che risale al 2002. ''L'opposizione italiana, che non ha altri argomenti, continuera' a tirare pietre per scalzare il popolare primo ministro, e noi gli abbiamo messo altre pietre tra le mani'', scrive l'incaricato d'affari Usa dell'epoca, William Pope, in un cable del marzo 2002, riferendosi anche alla necessita' di evitare ingerenze Usa nelle ''inchieste giudiziarie sul premier''.

L'allora ministro degli Interni Claudio Scajola, incontrando l'ambasciatore americano a Roma, Melvin F. Sembler, esprime "il suo "disappunto" per il rapporto "Country reports on Human rights practices", redatto dal Dipartimento di Stato Usa. Nel testo, pubblicato il giorno prima, Washington criticava l'Italia, tra l'altro per episodi di maltrattamento a detenuti e per l'uso eccessivo della forza contro dimostranti e minoranze etniche, e dava conto di ''notizie secondo cui ad alcuni dimostranti anti-globalizzazione arrestati dalla polizia e' stato negato il diritto di consultare un avvocato''.

"Abbiamo detto a Scajola (che rimane sotto il fuoco dell'opposizione per i fatti del G8 di Genova in gran parte perche' il centro-sinistra ha cosi' poche questioni che risuonano nell'opinione pubblica italiana) di leggere il rapporto, e non le sintesi di stampa", scrive Pope. "Il ministro ci ha risposto che effettivamente la traduzione italiana del testo e' diversa dai resoconti stampa, ma che il disappunto rimane per aver fornito munizioni all'opposizione", continua il diplomatico.

"Non vogliamo vedere peggiorata una situazione gia' delicata - ammonisce l'ambasciata Usa -. Sfortunatamente non siamo in grado di controllare il tenore dei resoconti stampa, e come abbiamo gia' notato, le guerre mediatiche sono la continuazione della politica con altri mezzi".



Nyt, Economist e Ft impietosi: «Berlusconi ha fallito»

financial times
"Silvio Berlusconi deve avere delle unghie resistenti": così scrive oggi il quotidiano Financial Times, riferendo su come il presidente del Consiglio italiano sia riuscito, "tra la violenza nelle strade di Roma e le risse in parlamento", a rimanere "aggrappato al potere" con il minimo scarto.

Dopo la sfiducia e gli scontri nelle strade della capitale, i giornali stranieri s'interrogano sulla tenuta e sulla resistenza del premier. Berlusconi può presentarsi come il vincitore, ma la sua "non è altro che una vittoria di Pirro", sottolinea il Ft, perchè ha perso la maggioranza assoluta alla Camera e molti suoi ex colleghi sono oggi all'opposizione.
Tuttavia, sebbene il governo sia in difficoltà, i suoi oppositori hanno poco da festeggiare, continua il quotidiano economico: "Il loro fallimento a trarne vantaggio serve solo a illuminare il loro scompiglio". "Ma è l'Italia la grande sconfitta" del voto di martedì scorso, sottolinea il quotidiano, "come spesso durante la farsesca leaderdership di Berlusconi". Perchè il voto ha prolungato la paralisi politica" del Paese.

"La settima economia mondiale ha bisogno di riforme - conclude il Ft - un giovane su quattro non ha lavoro; la crescita è poco meno che anemica; il debito nazionale ha toccato 1.800 miliardi di euro. Berlusconi ha dato prova senza alcun dubbio che non è in grado di affrontare queste sfide. La tragedia italiana è che finora non è emerso nessuno più capace che possa farlo sloggiare".

Il Ft non è l'unico ad attaccare Berlusconi. Titola "Aggrappato" anche l'editoriale dell'Economist. Che descrive quanto accaduto il 14 dicembre - tra scontri e voto di fiducia una "giornata non bella per la democrazia parlamentare in Italia - per poi delineare un futuro incerto per Berlusconi, leader di "un governo di minoranza", destinato a barcamenarsi "di crisi in crisi e a racimolare giorno per giorno e legge per legge maggioranze raccogliticce".

La sua unica speranza è di "andare avanti finché non ci siano i segni di una ripresa dell'economia e della sua popolarità personale". Il vero perdente, conclude il settimanale britannico, è Fini. "Ma anche il premier è stato gravemente indebolito. A meno che non riesca a concludere un accordo con l'Udc, sembra ancora probabile un'elezione l'anno prossimo".
Il premier Berlusconi è sopravvissuto al voto di fiducia ma "il suo governo, discredidato, non ha più una maggioranza in grado di funzionare... Non è una situazione che l'Italia può tollerare a lungo. Servono, e servono con urgenza, nuovi leader, nuove elezioni e uno stile di governo più onesto". Berlusconi ha fallito e il suo è "Un fallimento personale". Questo il giudizio, sintetico e impietoso del New York Times che alla situazione italiana dedica oggi un editoriale.

Il quotidiano ricorda che "gli investitori sono nervosi sull'Italia". Il paese "Non è la Grecia o l'Irlanda, il suo deficit è ancora gestibile" ma "anche prima della crisi finanziaria" la crescita economica italiana era molto indietro rispetto a quella degli altri stati europei "affondata da una corruzione pervasiva e da una pesantissima burocrazia ad ogni livello di governo". Berlusconi sinora ha sempre sostenuto di essere una scelta obbligata, cioè di essere l'unico "capace di tenere insieme le varie e disparate fazioni del centro-destra... Ora è incapace di fare persino questo". Considerato che dall'altra parte resta un centro sinistra "fratturato" al suo interno, "incapace di unirsi e formare un governo", il "fallimento di Berlusconi è personale". Dopo una serie di scandali personali o giudiziari, "si è alienato anche i suoi alleati politici più stretti". Il suo "restare in carica ha estenuato l'Italia, indebolito il discorso pubblico, indebolito il governo della legge".



Il furore epistolare di Bondi «Cari compagni, non sfiduciatemi»




Appello del ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi al Pd per il ritiro della mozione di sfiducia individuale nei suoi confronti, presentata a Montecitorio e presto all'ordine del giorno di quell'assemblea dove la maggioranza è appesa a tre voti.
Siccome riconosco ancora nei principali leader della sinistra e in particolare a Bersani, Veltroni e Fassino - scrive Bondi in una lettera aperta al Pd dal titolo

'Cari compagni vi spiego perchè non dovreste sfiduciarmi- un residuo di concezione seria della politica e di rispetto nei confronti degli avversari politici vi chiedo di fermarvi, di riflettere prima di presentare contro di me un atto parlamentare cosi' spropositato, pretestuoso e dirompente sul piano umano, che rappresenterebbe un'onta non per me che lo subisco ma per voi che lo promuovete".

Bondi sottolinea come la sua gestione dei Beni Culturali si vuole caratterizzare come espressione della "volonta' di gettare dei ponti di collaborazione sul fronte della cultura, il piu' delicato e generatore di conflitti" e a fronte di un "clima pregiudizialmente ostile alla mia peronsa". Nè manca di ricordare la sua formazione politica all'interno del partito comunista e la decisione del salto successivo con Forza Italia "per la consapevolezza dell'impossibilita' di una evoluzione socialdemocratica del Pci", con successivo sovrapiù di acredine della sinistra nei suoi confronti. Tutto questo pero' - domanda Bondi- giustifica una mozione di sfiducia individuale nei miei confronti? Qual e' la ragione per cui la presentate? I crolli avvenuti a Pompei? Non posso crederci. Sapete bene che altri crolli sono avvenuti nel passato, e probabilmente avverranno anche nel futuro, senza che a nessuno passi per la testa di chiedere le dimissioni del Ministro pro tempore alla cultura".