sabato 5 febbraio 2011

Federalismo municipale: più tasse per tutti. - di Stefano Feltri


Ecco che cosa accadrà quando sarà legge, tra buchi nei bilanci e sconti ai più ricchi

Adesso potrebbe essere questione di un mese. Se tutto andasse nel modo più favorevole al governo, cioè se non ci fossero ulteriori intoppi, il decreto legislativo sul federalismo municipale potrebbe anche essere approvato in via definitiva dall’esecutivo in poco più di trenta giorni. È questo il tempo previsto dalla legge delega 42 del 2009 per un dibattito parlamentare necessario nel caso in cui il governo voglia comunque approvare un decreto su cui gli organi parlamentari abbiano dato un parere negativo. Che è quello che è successo due giorni fa nella Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale (composta da 15 deputati e 15 senatori).

Anche nell’ipotesi che questo pezzo di federalismo, che riguarda le imposte gestite dai Comuni, diventi operativo, non ci sarà alcuna rivoluzione autonomista, non sarà la svolta promessa dalla Lega Nord ai suoi elettori, o lo strumento per raddrizzare “l’albero storto della finanza pubblica” annunciato dal ministro Giulio Tremonti. Semplicemente un altro po’ del carico fiscale si sposterà dai titolari di rendite (immobiliari) al lavoro dipendente, con grandi incertezze per i conti dello Stato e dei Comuni stessi. Abbiamo chiesto al professor Alberto Zanardi, ordinario di Scienza delle finanze all’Università di Bologna, di spiegare cosa cambierà in concreto per i contribuenti e per i Comuni con le principali novità del federalismo municipale. Qui sotto le sue risposte.

Cedolare secca: risparmi per privilegiati
Riguarda la tassazione del reddito derivante da un immobile affittato. Per il contribuente il passaggio dall’Irpef alla cedolare secca con aliquota del 19 o 21 è opzionale, si può scegliere la soluzione. Lo sconto potenziale sulle imposte dovute è più rilevante per i contribuenti con un più alto reddito complessivo ed è indifferente per i redditi più bassi, che continueranno a scegliere l’Irpef. I comuni oggi ricevono circa 11 miliardi di trasferimenti. Ora al posto dei trasferimenti ci sono tributi devoluti e compartecipazioni. Tra questi la cedolare. Ma nella valutazione della ragioneria questa garantisce parità di gettito soltanto se emerge molto reddito ora sommerso. C’è quindi un problema di incertezza.

Addizionali Irpef: colpiti sempre i dipendenti
Per i Comuni si ritorna alla normalità: si passa dal blocco della possibilità di variazione delle aliquote Irpef a restituire le leve fiscali ai sindaci per aumentare, se ne hanno bisogno, il gettito. Ma se c’è una riduzione delle dotazioni dello Stato ai Comuni ci sarà una tendenza a usare questa leva, massimo per lo 0,4 per cento (con aumenti massimi dello 0,2 per cento annuo). Per i cittadini c’è il rischio di un aumento del peso di un tributo come l’Irpef che di fatto colpisce quasi solo dipendenti e pensionati. Sarebbe stato meglio riattivare l’Ici, per ripartire il peso tra lavoratori e percettori di rendite.

Scopo e turismo: 5 euro a notte e più infrastrutture
L’imposta di soggiorno e quella di scopo sono un’altra leva data ai Comuni, ma ancora non sono specificati i dettagli sul loro funzionamento. L’imposta di soggiorno attribuita ai Comuni capoluogo e a quelli turistici viene caricata sul prezzo di ogni notte di soggiorno, fino a un massimo di cinque euro. Il gettito che deriva dall’imposta deve essere utilizzato per finanziare spese collegate ai Beni culturali e questo è utile, perché i turisti producono reddito ma comportano costi. La tassa di scopo esisteva già, ma viene ampliata. Si tassano i cittadini spiegando che l’imposta serve per costruire un ponte, un’infrastruttura. Si allarga la tipologia di opere pubbliche finanziabili ma mancano ancora i dettagli.

Imposta municipale: più tasse per i commercianti
L’Imu (Imposta municipale unica) scatta dal 2014. Per i Comuni c’è l’incertezza che la nuova imposta garantisca lo stesso gettito delle imposte che accorpa. Cioè, all’85 per cento, l’Ici sulle seconde case e gli immobili commerciali. Cambia l’aliquota, stabilita allo 0,76 per cento, al di sopra del livello attuale che in media è lo 0,5 per cento. La ragione per cui aumenta è che su una parte dei redditi immobiliari gravano delle imposte dirette come l’Irpef. Si trasforma un’imposta sui redditi in una patrimoniale. Questa aliquota, secondo la relazione tecnica, dovrebbe generare parità di gettito. Per i Comuni comporta un limite all’intervento sulle aliquote, quindi minore autonomia. Per le imprese non si realizza la cancellazione dell’Irpef: continuano a pagarlo per gli immobili che usano per il loro lavoro. C’è quindi uno spostamento del carico fiscale a sfavore dei lavoratori autonomi, delle imprese e delle società di capitale che percepiscono redditi fondiari.

Fondo perequazione: chi ha avuto, ha avuto
È il vero elemento mancante del sistema. Dovrebbe sopperire alla diversa distribuzione delle imposte tra i diversi comuni, in modo da garantire ai Comuni di finanziare i fabbisogni standard delle loro funzioni. Cioè per i servizi fondamentali come gli asili nido, i trasporti pubblici locali, l’assistenza agli anziani. Ci saranno Comuni molto dotati perché hanno molte seconde case immobili commerciali, altri che non hanno questa fortuna. I Comuni dove ci sono tante prime case, sulle quali non si paga alcuna imposta, avranno relativamente poche entrate. Ci si aspettava un decreto legislativo che specificasse le fonti di finanziamento e le modalità di riparto di questo fondo a cominciare dalle direttive della legge delega. Invece non è specificato come si finanzia e come usa le risorse. Il problema è stato semplicemente rimandato, pericolosamente, visto che siamo vicini alla scadenza della delega (a maggio). Quindi non si sa quali saranno le risorse complessive a disposizione dei Comuni.




Quella bimba non resterà più senza mensa.


Tanta solidarietà tra i cittadini: un ex consigliere di Fossalta di Piave azzera l'affitto per la famiglia della bambina. Ma il sindaco va avanti e dà dell'integralista al padre

Le maestre le avevano offerto il loro pasto, il sindaco aveva accusato le maestre di danno erarialee la preside aveva minacciato le insegnanti di provvedimenti disciplinari spiegando di essere “obbligata dalla legge”. Ieri mattina – per fortuna – i genitori degli altri bambini della scuola hanno rimesso le cose a posto, con un bellissimo gesto di solidarietà. Sul palcoscenico di un asilo del basso Piave, si sono alternati l’alfabeto della ferocia e quello della gentilezza, il gesto di chi ha pagato per la piccola Speranza (anche se questo non è il suo vero nome) e la straordinaria scelta di un pensionato che oggi ospita gratuitamente la famiglia della bambina. Ma anche le parole di un sindaco che si è giustificato con queste incredibili argomentazioni: “La bambina è figlia di un noto estremista islamico”. Forse, nella sua visione tribale e integralista, l’idea di una rappresaglia legittimava lo sproposito della sua circolare.

Ma anche questa accusa ieri non trovava alcun riscontro: “Kabir (anche se questo non è il suo vero nome) – ci ha spiegato Giuseppe Dalcin, l’ex consigliere comunale del Pci che ha messo a disposizione della sua famiglia la propria casa – è andato in Belgio a cercare un impiego onesto perché aveva perso il lavoro. Ha lavorato otto anni come metalmeccanico, non l’ho mai visto lamentarsi. Quando è finito in cassa integrazione, un giorno mi ha detto: ‘Devo trovare un modo per sfamare la mia famiglia’”. Integralista islamico? “Un religioso islamico, direi. Qualcuno deve spiegare al sindaco la differenza”.

Così, quella di oggi è la seconda puntata di un dramma padano, la storia di una bambina di quattro anni che tre giorni fa si era addormentata, ritrovandosi suo malgrado in un incubo, e che adesso potrebbe risvegliarsi in una meravigliosa fiaba solidale. Ieri, da tutta Italia, migliaia di persone hanno chiamato e scritto per raccontarci i loro timori, la loro solidarietà e la loro rabbia. Un grande vento che ha iniziato a soffiare quando un lettore che si offriva di pagare la retta della mensa a mezzanotte e cinque di ieri, subito dopo aver letto il nostro giornale nell’edizione online. E che di prima mattina si è abbattuto come una tempesta sui centralini della scuola “Il flauto magico” e su quelli del Comune (di fatto inagibili per tutto il giorno). Non c’è molto da aggiungere: grazie. Ieri un frammento di Italia ha detto: “Se serve, pago io”.

Ma è anche la storia del cuore profondo del Veneto, dei tanti che a Fossalta di Piave, leghisti, non leghisti, di destra o di sinistra, facoltosi o indigenti, hanno considerato inaccettabile la decisione della preside della scuola, Simonetta Murri, che su queste pagine aveva difeso la decisione di riprendere le maestre per il loro digiuno a rotazione: “Quella scelta era grave e dannosa”. Ieri la preside è stata più prudente (e silente), mentre i rappresentanti dei genitori hanno provveduto a consegnare i buoni alla madre di Speranza: “La scena della bambina che piangeva perché veniva separata dai suoi amichetti – ha raccontato una di loro – ci ha devastato il cuore. Non avevamo e non abbiamo nulla contro l’amministrazione, non facciamo politica! Abbiamo fatto quello che qualsiasi genitore di buonsenso vorrebbe fare”.

Vuole restare anonima questa madre (come tutti gli altri che abbiamo sentito): “Non vogliamo medaglie. Non vogliamo che questa diventi una guerra sulle teste dei bambini. Vogliamo e volevamo, ‘solo’, risolvere un problema che non si poteva ignorare”. Un altro padre aggiunge: “Avevamo chiesto un colloquio con la preside. Le abbiamo parlato. E lei, ancora ieri, ci ha detto che non poteva fare nulla. Alcuni di noi hanno scelto di intervenire in forma privata. Le polemiche non servono a nessuno”.

Quella che stiamo scrivendo è una storia italiana. La storia di un paese sempre in bilico fra la cialtroneria e la generosità. Ieri il sindaco Massimo Sensini, leghista puro e duro, si è difeso come ha potuto: “Il buono pasto non può essere ceduto. E soprattutto non può essere istituzionalizzato il regalo a chi si vuole. È inammissibile”. Speranza è di origine africana, mulatta. Padre del Senegal e madre del Ciad, in Italia da dieci anni. La bimba ha quattro fratellini. Da quando il padre è partito per il Belgio la famiglia si trova in gravi difficoltà: la madre non parla l’italiano, ha chiesto aiuto ai servizi sociali. E qui il sindaco si impunta: “Sono già aiutati dal Comune che ha tagliato il costo del buono pasto da 4 euro e 45 centesimi a 2”. Una infanzia a rischio per 50 euro. A un passo dalla scuola, la famiglia viveva nella casa di Dalcin. Per un comodato di 300 euro, finché il papà ha lavorato. Poi gratis. L’ex consigliere parla con una voce calda, un lessico curato: “Usavo quei soldi per ammortizzare i costi, solo di riscaldamento: solo di quello, per il mio piano ed il mio spendo 700 euro al mese”.

Già, perché Dalcin vive da solo, con una pensione da mille euro. Ma adesso dice: “Io cinque bambini per strada non li metterò m-a-i. Piuttosto ci vado io, al freddo e al gelo”. Dalcin racconta che a fare la spesa è il fratello di Kabir: “Ha vent’anni. Si è diplomato brillantemente. Ha un lavoro, una famiglia da mantenere, ma si cura anche dei nipoti”. La Speranza questa sera è uscita dall’incubo, ha trovato un nome, una casa. E – pensate un po’ – persino un buono pasto.


STRAPPI E MIMOSE - di Ida Dominijanni


Per quanto tecnica sia la formula, l'aggettivo «irricevibile» con cui Napolitano ha respinto al mittente e rinviato alle camere il decreto sul federalismo ha un suono ben più forte dello strappo procedurale cui si riferisce. Irricevibile è un governo che disprezza il parlamento e prescinde dal Quirinale, irricevibile è una maggioranza di nominati arroccata nel bunker del suo padrone, irricevibile è un capo di governo che usa sistematicamente la scena internazionale per denigrare «la Repubblica giudiziaria commissariata dalle procure», irricevibile è lo stesso capo di governo che su quella stessa scena difende, unico in Occidente, lo zio - anch'esso di sua nomina - della propria favorita, irricevibile è una prassi istituzionale fondata per metodo e sistema sullo scontro fra i poteri dello Stato. Se ne contano almeno nove al calor bianco, in tre anni, fra Palazzo Chigi e il Quirinale, su questioni di procedura e di merito. È un segno, e non l'ultimo, che la situazione è da tempo oltre il livello di guardia.

Perché allora, con le pinze, si tiene ancora? Perché in campo c'è una sola strategia riconoscibile, nei suoi tratti devastati e devastanti: quella di un raìs in pieno delirio di onnipotenza («sono l'unico soggetto universale a essere tanto attaccato», ha detto di sé ieri testualmente il premier) e deciso a resistere, resistere, resistere a tutti costi, nessuno escluso. Senza limiti, perché non ne conosce. Senza vergogna, perché non ne ha. Senza tema di smentite, perché la sua capacità di scambiare il vero col falso è segno non più di manipolazione bensì di negazione della realtà. Intorno a questa maschera, solo una corte di figuranti asserviti che finiscono col restituirle lo scettro anche quando potrebbero sfilarglielo, alla Bossi o alla Maroni per capirci. Dall'altra parte, una strategia felpata, una ricerca di alleanze senza selezione e senza seduzione, una promessa di liberazione senza desiderio. Il risultato è una paralisi che si alimenta di una lacerazione al giorno, una rivelazione all'ora, uno scandalo al minuto, senza che la tela si strappi davvero e mentre chiunque non faccia parte dello zoccolo duro del raìs si chiede: com'è possibile?

È possibile, perché c'è un fantasma lì dietro la scena, che nessuno vuole davvero vedere. Berlusconi lo rimuove, i suoi avversari lo scansano in attesa della foto del peccato o della prova del reato, e tutti quanti pensano di parlare, ancora, di «politica» (federalismo, fisco e quant'altro), come se, per citare Gustavo Zagrebelsky, le notti di Arcore non fossero la notte della Repubblica. Lo sappiamo, i numeri in parlamento sono quelli che sono. Ma la democrazia parlamentare non esclude altre forme dell'azione politica, e non domanda nemmeno che si resti in parlamento a recitare una farsa. Una società stremata da vent'anni di berlusconismo merita qualcosa di più della promessa di una parodia del Cln. O di una raccolta di firme offerta l'8 marzo come un mazzo di mimose dal segretario del Pd «alle nostre donne». Non siamo di nessuno, non amiamo le mimose né tantomeno, per citare stavolta Luisa Muraro, chi conta di usarci come truppe ausiliarie di una politica inefficace.


Da "il Manifesto del 5 febbraio 2010.

Berlusconi: siamo repubblica giudiziaria.




Bruxelles - (Adnkronos/Ign) - Il premier a Bruxelles per il vertice Ue interviene ancora sul caso Ruby: ''Il nostro Paese è una repubblica giudiziaria''. I legali 'blindano' le presunte foto: denuncia cautelativa contro ''immagini false''. Il segretario del Pd nel suo intervento all'assemblea del partito: "Siamo scomparsi dalla scena internazionale, ci siamo solo nelle barzellette''. Caso Ruby, la Camera approva con 315 sì: gli atti ritornano ai pm di Milano.

Bruxelles, 4 feb. (Adnkronos/Ign) - "L'Italia è una repubblica giudiziaria commissariata dalle Procure". E' quanto ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, a proposito del caso Ruby, parlando con i giornalisti al suo arrivo a Bruxelles per il vertice Ue.

"Questa volta c'è un attacco che riguarda il privato, ma i cittadini continuano a sostenermi, gli italiani assistono a questa vergogna nazionale", ha rincarato il premier, ricordando che sono state "2.568 le udienze necessarie per ottenere 10 assoluzioni e 14 archiviazioni".

"Storicamente nessun leader di nessun paese è stato più attaccato di me da parte della magistratura", ha proseguito Berlusconi, aggiungendo che "la sovranità non è più del popolo, siamo dentro a una situazione kafkiana". "Sono il leader europeo più apprezzato - ha sottolineato -,sono al 51% nei sondaggi " e "il nostro partito è in crescita oltre il 30%".

Il premier è poi tornato ad attaccare l'opposizione: ''E' veramente contraria agli interessi del Paese, è un'opposizione che non è ancora diventata socialdemocratica" in quanto "vota sempre no ed è contro tutte le proposte della maggioranza senza neanche verificare se sono o meno nell'interesse del Paese", ha sottolineato. Questo atteggiamento dell'opposizione, quindi, "pone il nostro Paese non in linea con gli altri paesi europei", ha rincarato Berlusconi, spiegando che, a causa di questo, l'Italia ha "il 50% di infrastrutture in meno rispetto ai nostri competitor principali'', "una pubblica amministrazione pletorica e inefficiente", una "giustizia civile dai tempi inaccettabili e una giustizia penale su cui non mi esprimo per carità di patria".

Parlando infine del voto della Camera di ieri che ha rinviato ai pm di Milano gli atti sul caso Ruby, il premier ha sottolineato: "Si è confermato che abbiamo una maggioranza per potere lavorare". "Si è superata la situazione di prima, per cui quando votavamo una legge nel Popolo della libertà c'era la rappresentanza di An che ci diceva che non si poteva andare avanti e non si poteva procedere, soprattutto sulla giustizia", ha detto Berlusconi.

"La maggioranza si situerà oltre i 320, ieri eravamo già 316, contando il voto che ho voluto non dare", ha precisato. "Ora è molto più facile potere lavorare per noi, abbiamo una maggioranza coesa su molti temi e adesso possiamo procedere e mandare avanti in Parlamento anche riforme importanti", ha aggiunto. "Credo che potremo lavorare bene", ha concluso il presidente del Consiglio.



Federalismo, Napolitano: “Legge irricevibile”. Berlusconi: “E’ un fatto procedurale”.




“Testo irricevibile”. Così Napolitano, dopo l’accelerata del governo di ieri con tanto di consiglio dei Ministri straordinario, ha bollato la legge sul Federalismo fiscale. Ma la nota del Colle, che sta creando non poche grane al governo, inviata questa mattina al premier è durissima: “Non posso sottacere che non giova ad un corretto svolgimento dei rapporti istituzionali la convocazione straordinaria di una riunione del Governo – si legge ancora – senza la fissazione dell’ordine del giorno e senza averne preventivamente informato il Presidente della Repubblica, tanto meno consultandolo sull’intendimento di procedere all’approvazione definitiva del decreto legislativo. Sono certo che ella comprenderà lo spirito che anima queste mie osservazioni e considerazioni”. ”E’ un fatto procedurale” prova a minimizzare così, da Bruxelles, Silvio Berlusconi la decisione del Quirinale e aggiunge “si andrà in Parlamento”.

Identica linea quella adottata dal ministro per la Semplificazione Normativa, Roberto Calderoli, dopo la brutta doccia fredda rimediata questa mattina al termine di una strombazzata conferenza stampa. ”La decisione di Napolitano non è un messaggio politico” e osserva “quello che il Capo dello Stato ha dichiarato tre giorni fa a Bergamo sulla volontà di proseguire nel cammino delle riforme e in particolare il federalismo, rende il presidente al di sopra di ogni sospetto: è chiaro che ha dato una interpretazione, una cautela che porta ad essere più realisti del re”. Poi l’esponente della Lega Nord precisa che “il testo del decreto non cambierà e sono certo che avrà il giudizio positivo dei cittadini e in primis dei sindaci che hanno già espresso un parere” e aggiunge “l’unica cosa che prevede la legge è che il governo dia comunicazioni alle Camere, può esserci un voto rispetto alle comunicazioni, ma il testo è quello e non è più suscettibile di modifiche” infine afferma “se i gruppi parlamentari decideranno di presentare dei testi da mettere al voto dell’aula sulle comunicazioni che farò sul federalismo municipale, allora io chiederò il voto di fiducia”.

Questa mattina il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dopo che lo stesso Calderoli in conferenza aveva dichiarato che “il Quirinale aveva sostenuto la riforma sul federalismo”, ha inviato la lettera indirizzata al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in cui viene rilevato “che non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione” del decreto legislativo sul federalismo. Pertanto, il Capo dello Stato ha comunicato al Presidente del Consiglio di non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal Governo”.

“Il Presidente della Repubblica” precisa inoltre “che in relazione al preannunciato invio, ai fini della emanazione ai sensi dell’articolo 87 della Costituzione, del testo del decreto legislativo in materia di federalismo fiscale municipale, approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri nella seduta di ieri sera, come risulta dal relativo comunicato, ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in cui rileva che non sussistono le condizioni per procedere alla richiesta emanazione, non essendosi con tutta evidenza perfezionato il procedimento per l’esercizio della delega previsto dai commi 3 e 4 dall’art. 2 della legge n. 42 del 2009 che sanciscono l’obbligo di rendere comunicazioni alle Camere prima di una possibile approvazione definitiva del decreto in difformità dagli orientamenti parlamentari. Pertanto – conclude il Colle – il Capo dello Stato ha comunicato al Presidente del Consiglio di non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un provvedimento di così grande rilevanza, il decreto approvato ieri dal Governo”.

Il leader del Carroccio ha immediatamente telefonato a Napolitano. Bossi ha preso il duplice impegno di andarlo a trovare al Quirinale, la prossima settimana e, come annunciato dal MinistroRoberto Calderoli in conferenza stampa, si presenteranno nelle aule parlamentari a dare comunicazioni sul decreto sul federalismo fiscale municipale.

La bocciatura di Napolitano è “un atto ineccepibile”, secondo Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd. ”Era evidente fin da ieri che sarebbe andata a finire così, ma come al solito una maggioranza e un governo che arrivano a ignorare le più elementari regole istituzionali solo per rispondere ai ricatti della Lega sono dovute arrivare all’ennesima e vergognosa brutta figura”. Dopo la bocciatura della Commissione bicamerale, prosegue Finocchiaro “tutti sapevano, anche quelli che nella maggioranza hanno fatto finta di niente, che il provvedimento sul federalismo non avrebbe potuto proseguire il suo iter. Da Napolitano, garante come sempre assoluto delle nostre istituzioni, è venuto un atto ineccepibile che blocca una norma illegittima”.

Per il presidente della Corte costituzionale da poco eletto Ugo De Siervo, il federalismo municipale è addirittura “una bestemmia”: ”Se nascesse, in ipotesi, un conflitto giuridico, non politico, arriverebbe davanti alla Corte e quindi la Corte sta zitta. Quello che si può dire tranquillamente, ma non riguarda il conflitto, è che quello di cui si sta parlando non è federalismo, perché dire federalismo municipale è una bestemmia: è come dire che un pesce è un cavallo, sono due cose che non stanno insieme” – ha detto De Siervo, anticipando ai giornalisti il contenuto del suo intervento al convegno di Eunomia dal titolo “Il titolo V della Costituzione: lo Stato dell’arte nella giurisprudenza costituzionale”. ”Si chiama autonomia finanziaria – ha proseguito il presidente della Consulta parlando ancora di federalismo municipale così come si profila in Italia -, anche la lingua ha il suo valore. Il federalismo è un processo di unificazione progressiva di Stati che erano sovrani verso un unico Stato gestore. Che c’entra questo con l’autonomia finanziaria dei Comuni decisa dal Parlamento nazionale? Quello che un pochino turba è che ogni abuso linguistico è indice di una scorretta rappresentazione della realtà”.



Wikileaks, accuse all'Italia «Eritrei respinti e picchiati»




Eritrei pestati dai militari della marina italiana durante i respingimenti in Libia e l'ambasciatore italiano a Tripoli che fa finta di niente e si nega alle pressanti richieste dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite. Emergono altri sconcertanti dettagli nei cable dell'ambasciata americana in Libia diffusi in rete da Wikileaks.

Carte riservate

In particolare in un documento riservato, datato 5 agosto 2009. L'ambasciatore americano Gene Cretz ha appena incontrato il direttore dell'Alto commissariato dei rifugiati a Tripoli, l'iraqeno Mohamed Alwash, in piena stagione di respingimenti. Oggetto della riunione è la definizione di un piano di accoglienza negli Stati Uniti di un gruppo di rifugiati politici eritrei respinti dall'Italia e detenuti a Misratah. Ma ben presto la discussione si sposta su altro. Alwash è una persona moderata. Ma ci sono due cose che proprio non gli sono andate giù. La prima è il pestaggio degli eritrei respinti dalla Marina militare italiana il primo luglio. La seconda è l'ostruzionismo dell'ambasciatore italiano a Tripol, Francesco Trupiano.

È il primo luglio 2009. A 33 miglia a sud di Lampedusa viene intercettata una imbarcazione con 89 passeggeri a bordo, tra cui 75 eritrei (comprese 9 donne e tre bambini). Racconta Alwash all'ambasciatore americano: «Quando l'imbarcazione è stata intercettata, tre degli eritrei hanno chiesto di parlare con il comandante della nave italiana per informarlo del loro status di rifugiato. Diversi passeggeri hanno mostrato al comandante i loro attestati rilasciati dagli uffici dell'Alto commissariato dei rifugiati delle Nazioni Unite». Ma il comandante è intransigente. Dice che c'è un «ordine tassativo del governo italiano di riportare i migranti in Libia», e quindi ordina a tutti di salire sulla nave italiana diretta verso la Libia. Al rifiuto degli eritrei, i militari italiani passano alle maniere forti.

Alwash riferisce di «scontri fisici tra i migranti e l'equipaggio italiano che si concludono con alcuni degli africani picchiati dagli italiani con bastoni di plastica e di metallo». Il bilancio degli scontri è di «almeno sei feriti». Alcuni dei passeggeri «filmano l'incidente con il proprio cellulare, e a quel punto l'equipaggio italiano decide di confiscare tutti i telefoni cellulari, i documenti e gli oggetti personali, che non sono ancora stati restituiti». Al rifiuto delle autorità libiche di inviare una propria motovedetta per il trasbordo, gli eritrei sono «consegnati a una piattaforma petrolifera dell'Eni al largo delle coste della Libia», quella di Bahr Essalam, da dove poi vengono portati a terra e detenuti. Dopo due giorni di insistenti richieste, gli operatori delle Nazioni Unite ottengono l'autorizzazione a incontrare il gruppo dei respinti. Le 9 donne e i 3 bambini si trovano nel campo di Zawiyah. Tra loro c'è «una donna incinta con urgente bisogno di cure mediche». A Zuwarah invece incontrano gli uomini. Sei di loro hanno ancora i punti di sutura sulla testa e sul viso. Alwash sollecita il governo italiano, ma non arrivano risposte. Agli americani confida di ritenere che «il governo italiano faccia intenzionalmente ostruzionismo alle Nazioni Unite». In particolar modo nella figura dell'ambasciatore italiano a Tripoli, Francesco Trupiano. Alwash dice che «Trupiano si rifiuta di incontrarsi con l'Unhcr» e che ha saputo che Trupiano dice di lui che è soltanto un «piantagrane». Trupiano, dice Alwash, è concentrato soltanto sui respingimenti e dice addirittura di non sapere niente di un iniziale accordo tra Nazioni Unite e governo italiano per riportare in Italia una ventina dei 93 titolari di asilo politico che le Nazioni Unite hanno identificato tra i respinti in Libia. Tutti elementi che lo portano a concludere che «l'accordo di cooperazione tra Italia e Libia per respingere i migranti intercettati nel Mediterraneo verso la Libia, stia violando i diritti umani dei migranti e mettendo in pericolo i richiedenti asilo».

Un altro documento, dopo il cable di ieri, che raccomandiamo di utilizzare agli avvocati dei due processi ancora in piedi contro i respingimenti, nella speranza che sebbene a due anni di distanza dai fatti, si possa ristabilire la ragione del diritto sopra la ragione politica.