domenica 10 aprile 2011

Salii sul Moby Prince e vidi l’orrore. - di Emiliano Liuzzi


Non credo verrà mai fatta luce attraverso quella nebbia che la sera del 10 aprile 1991 avvolgeva il mare davanti a Livorno. Come per Ustica, la strage del 2 agosto e piazza Fontana, anche per i 140 morti del più grave disastro della marineria italiana, uomini donne e bambini che quella sera si imbarcarono sul traghetto Moby Prince diretti a Olbia, non ci sarà mai giustizia. A scacciare le ombre ci ha provato qualche anno fa anche un magistrato che stimo molto, Antonio Giaconi, ma si è dovuto arrendere persino uno come lui che è un mastino. Posso raccontarvi quello che vidi io quella notte e nei giorni successivi. Per ricordare.

Vissi quei momenti da giornalista, con la macchina fotografica al collo, nonostante i miei 22 anni che, da allora, cambiarono aspetto. Ero alla finestra di casa, ad Antignano, periferia della città, guardavo l’orizzonte come spesso mi capita nelle pause di riflessione. In mare c’era appunto foschia, ma a un certo momento il fumo riusciva a distinguersi. E non era nebbia. Mio padre allora era condirettore del Tirreno e, naturalmente, era al giornale. Provai a chiamarlo, ma l’interno mi dava occupato. Allora feci il 401141, che era il numero del centralino, e mi feci passareElisabetta Arrighi, cronista di razza, certo che avrei avuto risposte. Mi disse che probabilmente era una bettolina andata a fuoco, che lei stava scappando in capitaneria perché in quelle informazioni che le avevano dato c’era qualcosa che non le tornava.

Scoprii più tardi quello che era successo. Altro che bettolina, aveva ragione Arrighi a porsi dubbi: un traghetto era finito contro la petroliera Agip Abruzzo, la prua aveva centrato la cisterna 7, carica di 2700 tonnellate di petrolio Iranian Light e gli aveva riversato addosso greggio e fiamme. Più tardi mio padre mi chiamò, mi disse di andare al porto con la macchina fotografica.

Da lì in poi la consapevolezza di qualcosa di enorme, struggente. Ma niente ancora di quello che avrei visto in seguito. Alla capitaneria, insieme a un collega, andammo negli uffici degli ormeggiatori, i primi ad accorgersi di quello che era successo davvero. Mi ricordo le loro lacrime, la tensione, finirono quasi per menarsi tra di loro in quel caos infernale. Al porto incontrai un altro collega, Furio Domenici. Mi disse che aveva parlato con un amico della Labromare (ditta privata che lavora insieme ai vigili del fuoco per spegnere le fiamme del Moby) e che il giorno successivo saremmo saliti su quella nave a vedere cosa fosse accaduto.

Fummo gli unici due giornalisti a salire sul Moby, io e Domenici. Travestiti (allora il mestiere si faceva così) da operai addetti alla bonifica di quel restava del traghetto. Io ero un ragazzino, Domenici ne aveva già viste di cotte e di crude, aveva seguito il terremoto in Irpinia, le stragi di Natale, i delitti del mostro di Firenze. Ma quando arrivammo al salone De Luxe della nave restammo di pietra. Entrambi. Avevamo delle maschere a coprirci il volto, ma quell’odore di bruciato, di carne umana bruciata, me lo porto ancora dietro.

La nave era ancora rovente, e le suole degli stivali che ci aveva dato Ghigo Cafferata della Labromare ci si scioglievano sotto i piedi. E poi quel salone. Fatto di brandelli che potevano ricondurre a essere umani, ma che non avremmo riconosciuto. Forse qualcosa di simile si trova nelle rarissime foto di forni crematori. Sì, credo di aver visto da vicino qualcosa di molto simile alla guerra. Anche se il ricordo che mi porto dentro è l’odore. Delle 140 persone non restava niente, si erano sciolte in un tentativo di fuga, forse, ma che non abbiamo mai saputo. Si dice che i passeggeri vennero tutti radunati nel salone mentre la nave prendeva fuoco e in attesa dei soccorsi. Uno degli elementi verosimili di tutta questa tragedia. Tutti particolari che non sapemmo allora e non sappiamo con certezza neanche oggi.

Perché nessuno fuggì da quel salone che era diventato una trappola? Come fece a salvarsi una sola persona? Neanche questo si può accertare, solo un racconto di quel mozzo, Alessio Bertrand, sempre molto confuso. Fu colpa della foschia? Improbabile. Ma soprattutto una cosa: perché i soccorsi partirono in ritardo. Alle 22.25 il marconista del Moby lancia il May Day attraverso una ricetrasmittente portatile, non era in sala radio, ma i soccorsi cercavano l’Agip Abruzzo, il Moby se lo persero. Lo trovarono un’ora e dieci minuti più tardi e quasi per caso.

Il pm Giaconi qualche anno fa si è fatto mandare immagini satellitari, si è riletto le trascrizioni dei messaggi tra l’avvisatore marittimo, la nave Agip Abruzzo, le comunicazioni sul canale vhf 16 della Moby. Non ne è uscito nulla di decisivo. Il fascicolo è stato archiviato.

Sappiamo che in quello specchio di mare c’erano manovre di navi americane che caricavano armi da Camp Darby, come avviene anche oggi con una certa frequenza e grande mistero, visto che le autorità della base non sono tenute ad avvisare dei loro spostamenti. C’era un traffico inconsueto quella notte in porto, e soprattutto c’era una nave, la Theresa, che misteriosamente si allontanò subito dalla zona dell’incidente.

Ma sono solo ipotesi, supposizioni. C’era una partita in tv quella sera e il comandante del Moby,Ugo Chessa, senza possibilità di difendersi, visto che si trovava a prua e fu sicuramente tra i primi a morire, venne accusato anche per quello: i dietrologi sostengono che l’equipaggio inserì presto il pilota automatico per fare i loro comodi. Fantasiosa anche questa come ricostruzione.

E ancora: quella bettolina, che eppure era in quello specchio d’acqua c’era. Che fine fece? Niente, non lo sappiamo. Io ricordo che le fotografie non riuscii a farle. Ne ho scritto più volte, anni dopo, di quell’incidente, ma sempre con uno stato d’animo confuso dai ricordi. La stessa confusione che mi accompagnò quando scesi dalla Moby, nei giorni a seguire, quando arrivarono i parenti delle vittime e venne allestita una sala dove ricomposero quello che restava dei corpi. Anelli, catenine, orecchini. Impronte dentali. Niente, in pratica.

Quella nebbia si è portata via la Moby e quelle persone che partivano, chi per le vacanze di Pasqua, chi per tornarsene a casa.

Per una serie di coincidenze ho viaggiato con la Moby decine e decine di volte, sulla stessa rotta. Ho passato anni a tentare di ricostruire quello che accadde, tra carte vecchie e nuove, a parlare coi figli del comandante Chessa. A tentare una spiegazione di quello che avvenne. Non sono mai arrivato a nessuna conclusione. Anche perché quando si aprì il processo (se non sbaglio, parte dell’inchiesta fin nelle mani di un magistrato arrestato anni dopo per una corruzione) ero via da Livorno e non lo seguii.

Ogni anno il 10 aprile torno al porto, alla Darsena Toscana, butto in mare un fiore. Solo per ricordare, consapevole che quelle 140 persone non avranno giustizia. E se per piazza Fontana e le stragi di Natale qualche vaga spiegazione me la sono data, ho capito che alcuni apparati dello Stato non possono parlare, per la Moby no. Non sono riuscito ad arrivare a nessuna conclusione. Non sono arrivato a capire perché coloro che sanno – e ci sono – continuino a non raccontarla giusta.




Mafia e politica, Lombardo verso il rinvio a giudizio.


Notificato dai pm di Catania l'avviso di conclusione delle indagini, ora il governatore ha venti giorni per depositare memorie e chiedere di essere sentito. Incriminati con lui il fratello Angelo, deputato Mpa, il deputato regionale Giovanni Cristaudo e l'ex parlamentare Fausto Fagone, già in carcere
Raffaele LombardoSi conclude probabilmente con la richiesta di rinvio a giudizio per concorso in associazione mafiosa l'inchiesta della procura di Catania nei confronti del governatore della Sicilia Raffaele Lombardo. I pm hanno depositato l'avviso di conclusione delle indagini, e da oggi il presidente della Regione ha venti giorni di tempo per depositare una memoria e chiedere di essere sentito nell'inchiesta che coinvolge anche il fratello del governatore, Angelo Lombardo, deputato nazionale dell'Mpa, un deputato regionale, Giovanni Cristaudo, e un ex deputato ancora in carcere Fausto Fagone. Sarebbero in tutto 56 gli indagati per i quali la Procura si appresta a chiedere il processo. Lombardo e' accusato di avere incontrato alcuni boss mafiosi ai quali avrebbe sollecitato consensi elettorali in cambio di favori. Il governatore ha sempre ammesso di avere incontrato quelle persone, esponenti del clan Santapaola, senza conoscere la loro qualita' di uomini d'onore, negando di aver chiesto loro voti. Il presidente della Regione ha chiesto piu' volte di essere sentito dalla Procura di Catania, che pero' l'ha sempre respinta ritenendo di rinviare l'interrogatorio ad un momento successivo. "Ho chiesto reiteratamente e invano, sin da quando la stampa ha iniziato a raccontare questa storia, di essere sentito - sostiene adesso Raffaele Lombardo - e sinora ho potuto rendere conto soltanto all'opinione pubblica. Da oggi disporrò di elementi certi e potrò contribuire a ricostruire compiutamente la verità". E conclude: "La scelta dei titolari dell'indagine di depositare gli atti che mi riguardano - aggiunge il governatore - pone fine allo stillicidio di notizie, sulla cui fugà sono state avviate indagini, strumentalizzate più d'una volta a fini politici, anche per la modalità di diffusione troppe volte coincidente con momenti delicati della vita politica e istituzionale della nostra Regione".


Berlusconi, un uomo solo allo sbando. - di Sara Nicoli


Mentre Napolitano e Maroni lavorano per riportare l'Europa sui binari di Schenghen, il Cavaliere pensa a se stesso. Dal palco dei Confondatori di Rotondo attacca i giudici. Quindi vola a Lampedusa per una passerella a suo uso e consumo. Intanto, il Pdl è sempre più lacerato da una guerra per bande

Adesso cominciano a chiederselo anche nel Pdl, anche a casa sua, anche nei suoi giornali; sarà mica che il Cavaliere, ormai, è bollito? Ecco, guardando la situazione con freddezza, non si può che convenire che ormai parrebbe arrivato alla frutta: crisi mediterranea, sfacelo immigrazione, maggioranza in ordine sparso, partito ormai evaporato da qualche mese, processi senza sosta. Quirinale gelido, poteri forti diventati avversari, Geronzi abbattuto senza neppure mandargli un sms di avviso, sondaggi a picco.

Eppure, nonostante tutto, oggi il Caimano sorrideva. Dalla mattina presto in cui ha incontrato i “Confondatori” democristiani di Rotondi fino alla sera, quando è volato a Lampedusa per fare l’ennesima passerella. In ogni istante non ha mai perso di vista l’obiettivo unico della sua esistenza: farsi i fatti suoi. Adesso, diventati un’emergenza tale da essere diventati oggetto di campagna elettorale e predellino mediatico ad uso e consumo del suo popolo.

Qualche fotografia sparsa di un assolato sabato d’aprile all’ombra del Caimano; davanti alla platea democristiana, Silvio spara a palle incatenate contro i giudici ma soprattutto se la prende con il famoso Mesiano, quello che l’ex direttore di Studio Aperto, Claudio Brachino, fece a pezzi per il solo fatto che portava i calzini azzurri. Silvio lo odia quel giudice perché gli ha dato torto sulla questione Mondadori condannandolo a pagare 750 milioni di euro: “E’ stata una rapina a mano armata”, sentenzia, ma poi piange miseria perché la Mondadori varrebbe anche meno della multa (252 milioni, dice lui) e dunque sono i giudici che vogliono vederlo anche in miseria. Poi, mentreGiorgio Napolitano da un lato e Bobo Maroni dall’altro strattonano un’Europa recalcitrante a tener fede al trattato di Schengen, arrivando fino al punto (Napolitano) di chiederne una “revisione”, lui è a Lampedusa ufficialmente per dichiarare di aver tenuto fede alla promessa di svuotare l’isola. Ma, soprattutto, per far vedere alle telecamere degli inviati di mezza Europa che lui la casa a Lampedusa l’ha effettivamente comprata, anche se ci sono un po’ di rogne notarili. Ma “se non si risolveranno, vorrà dire che ne comprerò un’altra; ho già promesso ad amici di passare le vacanze qui”. Magicamente, i fatti suoi sono tornati al centro della scena.

La realtà che emerge da due episodi avvenuti a poche ore di distanza l’uno dall’altro, è evidente: Berlusconi, al momento, vede solo due emergenze, quella di vincere le prossime amministrative e di riuscire ad uccidere i processi che lo riguardano. Ancora ieri sera a Lampedusa ha sparato sui magistrati “che lavorano contro il Paese” perché lo chiamano alla sbarra “in un momento come questo”. “Ditemi voi – ecco le sue parole – se si può lavorare così, io avevo fatto una legge sul legittimo impedimento ma la Corte Costituzionale l’ha affossata; che ciascuno tragga le sue conclusioni”.

Le prossime settimane saranno fotocopie fedeli di questo sabato, una campagna elettorale continua, puntata sull’aggressione alla magistratura da una parte e poggiata sul lavoro parlamentare ammazza processi dall’altra. Nonostante la maggioranza che fa acqua da tutte le parti. Ecco, il Cavaliere mente sui numeri parlamentari. Anche ieri ha annunciato, come ormai fa ogni due, tre giorni, il prossimo arrivo di nuovi adepti nel gruppo dei “Responsabili”, tre nuovi assoldati da Verdini dai banchi delle opposizioni. “Siamo ormai a quota 330, adesso possiamo fare le riforme”, ha gongolato davanti ai Confondatori democristiani. Non è vero niente. E lui lo sa bene. La settimana scorsa, i primi voti sul processo breve sono arrivati solo perché i ministri deputati erano presenti in massa alla Camera. In un momento così difficile e drammatico per il Paese, è stato persino spostato il Consiglio dei Ministri di giovedì per garantire che il governo fosse sempre in aula; altro che maggioranza “serena” per poter fare le riforme. Nel Pdl è ormai una guerra per bande, Scajola contro La Russa e Verdini, Gelmini e Frattini asserragliati accanto a Silvio, ex Dc e ex Forza Italia che fanno fronda, Miccichè contro tutti, Alemanno che sente odore di bruciato e si guarda intorno. Per non parlare del ricatto dei Responsabili, ormai veri padroni della partita e a cui Berlusconi deve pagare la cambiale più rapidamente possibile se non vuole vedersi staccare la spina quando meno se lo aspetta. Gli obiettivi prioritari del Caimano per il momento sono due: approvare il prima possibile il processo breve (Ghedini vorrebbe entro i primi di giugno) e vincere le amministrative di maggio. Se li centrerà, potrà anche non preoccuparsi troppo dei referendum successivi e puntare subito a mettere in cantiere la leggina supera-Bassanini per aumentare i posti di governo e accontentare i Responsabili.

A detta dei suoi, nella testa del Caimano c’è solo un’ombra su questo progetto all’insegna dell’impunità giudiziaria e del mantenimento del potere attraverso una nuova investitura popolare, seppur solo amministrativa: il Quirinale e Napolitano che potrebbe mettersi di traverso sulla firma al processo breve e sull’allargamento della maggioranza. Ma, a quel punto, non avendo più nulla da perdere, Berlusconi non ci penserebbe un attimo ad attaccare anche il Colle, in modo più pesante di quanto non sia avvenuto fino ad oggi. Il Cavaliere, insomma, non ci sta a fare la parte del “bollito”, anche se il suo mondo e il suo sistema ormai sta in piedi solo per miracolo. Un miracolo che per il Paese sta durando sempre troppo.



sabato 9 aprile 2011

Mondadori, Berlusconi: il lodo fu una rapina. Cir replica: la politica non c'entra.




Roma - (Adnkronos/Ign) - Il premier interviene davanti alla platea dei cofondatori Pdl: ''Dal '94 non mi fanno mancare nulla. Mi attaccano sul piano politico, processuale e anche su quello patrimoniale. I processi contro di me gettano fango su Italia e sul governo'', poi assicura: ''Vinceremo le amministrative'' e ''mi dedicherò al rilancio del partito''. Quindi lancia una bordata a Fini ''coaffondatore''. ''Cambiare la Costituzione''

Roma, 9 apr. - (Adnkronos/Ign) - Ribadisce la teoria del complotto contro di lui, attacca il ''coaffondatore'' Fini e i giudici politicizzati, torna a invocare la necessità di una radicale riforma della giustizia che ''elimini i partiti dall'interno della magistratura'', assicura che ''veniceremo le amministrative'', traccia un bilancio di cose fatte e promette un rilancio del partito. Silvio Berlusconi interviene alla convention dei cofondatori del Pdl ringraziandoli per ''questo calore attorno a me perché quando ti azzannano da tutte le parti e si è convinti di essere nel giusto, quando vedi questo calore di chi ti sostiene è molto meglio per poter andare avanti".

PROCESSI - Nonostante gli attacchi, soprattutto sul profilo giudiziario, il premier assicura che non mollerà e andrà avanti per completare la legislatura. "Dal '94 non mi fanno mancare nulla. Mi attaccano sul piano politico, processuale e anche su quello patrimoniale. Con tutti questi processi nei miei confronti gettano fango non solo sull'immagine del governo ma anche su quella dell'Italia. Se ti fanno 31 processi, anche Al Capone al confronto è un dilettante.... Ho giurato - ha spiegato il premier - che nessuno dei fatti sul quale i magistrati hanno costruito i 31 processi che mi riguardano corrispondono a realtà. Alla fine ci sarà un giudice a Berlino. Non sono mai stato preoccupato''.

IL PATTO FINI-GIUDICI - Quindi punta il dito contro Gianfranco Fini: ''Finalmente dopo un anno di critiche se ne è andato. Finché c'è stato lui, non è stato possibile fare la riforma della giustizia, perché c'era un patto tra lui e il sindacato dei magistrati che gli garantivano protezione, mentre lui garantiva a loro che non sarebbe mai passata dalla Camera una riforma della giustizia sgradita ai magistrati e che solo quando Berlusconi non ci fosse stato più lui avrebbe discusso con i giudici una riforma della giustizia''.

LODO MONDADORI - Tornando agli attacchi patrimoniali il premier lancia un affondo contro De Benedetti, i giudici e il centro sinistra: "A Milano un giudice singolo, su cui non voglio dire nulla ma su cui ci sarebbe da dire moltissimo, ha formulato una sentenza a favore della tessera numero uno del Pd, Carlo De Benedetti, attribuendogli 750 milioni di danni per un lodo" a cui "la Mondadori fu costretta per una vera e propria estorsione subita per un intervento della politica di allora che disse a Berlusconi non puoi, visto che sei entrato nella Mondadori, tenerti le televisioni e tenere anche 'Repubblica' ecc, devi decidere per l'una o per l'altra e io naturalmente decisi di tenere le televisioni". "E a De Benedetti, scorporandogli la Mondadori, furono dati 'Repubblica', diciotto giornali provinciali importantissimi, 'L'Espresso', la cartiera di Ascoli, che non era nel suo primitivo gruppo, e De Benedetti alla fine di questo lodo si alzò dal tavolo saltando di gioia, mentre io rimasi seduto al tavolo convinto di aver subito un'estorsione. Bene, è stata trovata la formula per cui De Benedetti, a seguito di quel lodo, pretende un danno di 750 milioni di euro; la Mondadori, che resta in Fininvest, oggi in Borsa ha per il 52% 250 milioni di valore. Voi pensate, contro 250 milioni di valore della maggioranza Mondadori, si è riusciti a pensare a un danno di 750 milioni. Definire questo fatto una rapina a mano armata - incalza Berlusconi - è dire ancora una cosa minore".

LA REPLICA CIR - Un attacco su cui a stretto giro arriva, con una nota, la replica Cir: "Quando il presidente Berlusconi definisce la sentenza civile di primo grado sul Lodo Mondadori una 'rapina a mano armata' dimentica di dire che l'unico reato di questa lunga vicenda, come stabilito dalla Corte di Cassazione, è stata la corruzione del giudice Vittorio Metta perpetrata nell'interesse di Fininvest nel 1991. Da tale reato di corruzione giudiziaria, di cui Cir fu vittima, è nata l'attuale causa civile. Si tratta di un contenzioso tra due aziende, la Cir - società quotata in Borsa - e la Fininvest, non riguarda l'attività politica passata e presente del presidente del Consiglio né le legittime idee dell'ingegner Carlo De Benedetti ed è pertanto una vicenda che nulla ha a che vedere con le polemiche politiche quotidiane", conclude la nota.

INTERCETTAZIONI - Il capo del governo torna poi a puntare il dito contro l'uso delle intercettazioni telefoniche ribadendo il suo no "allo stato di polizia". "Non è possibile continuare così, siamo in uno stato di polizia".

AMMINISTRATIVE E MAGGIORANZA- Ma Berlusconi torna poi a galvanizzare la platea: "Vinceremo anche le amministrative, siate sicuri". E in Parlamento "tra qualche giorno, probabilmente tra due settimane, arriveramo a 330 deputati alla Camera e così saremo in grado di approvare le riforme".

RILANCIO DEL PDL - Quanto al partito, ''bisogna dare nuovo slancio al Popolo della libertà. Quest'anno non abbiamo potuto occuparci come avremmo dovuto dell'organizzazione del Pdl sul territorio. Ma oggi voglio prendere un impegno e prometto che dopo le amministrative mi dedicherò al partito. Mi impegno a dare una nuova organizzazione al nostro partito che deve sempre guardare al futuro".

IMMIGRATI - Tornando all'agenda politica, sulla questione immigrati il premier torna a chiedere un intervento Ue. "L'Europa deve condividere con noi questa accoglienza". ''Dobbiamo accogliere le persone in modo disignitoso, preservandoci dai pericoli ma anche ricordando che 60 milioni di italiani all'estero sono figli di emigranti e abbiamo un dovere di umanità e generosità''. ''Ho parlato oggi con il prefetto -rivela il Cavaliere- stanotte sono sbarcati a Lampedusa 600 immigrati, ma non resteranno sull'isola''. Il premier si augura che i rimpatri degli immigrati tunisini costituiscano un deterrente per quelli che vogliono venire in Italia. L'accordo siglato con il governo di Tunisi, "un governo di persone serie'', spiega, prevede che i tunisini giunti sulle nostre coste vengano rimpatriati: ''Speriamo sia un deterrente efficace. Vedremo nei prossimi giorni se funzionerà''.

SPOT PER LAMPEDUSA - Quanto a Lampedusa, ''presto lanceremo in tv spot e speciali'' per esaltare e rilanciare l'immagine dwll'isola e scongiurare negativi effetti economici d'immagine sul turismo.

FAMIGLIA - "Entro il prossimo anno faremo la legge sul quoziente famigliare".

DIO CI PROTEGGA - Quindi Berlusconi chiede il 'sostegno' di Dio per il prosieguo dell'azione di governo: "Chiedo al buon Dio di dare uno sguardo dall'alto, perché in questo momento abbiamo bisogno anche di lui per riuscire".





Costui è un tiranno... e noi che lo tolleriamo siamo schiavi!



Imbarazzante è un eufemismo...
Questa mattina nel cortile di palazzo Chigi un nuovo spettacolo deprimente offerto dall "indegno occupante" silvio berlusconi"
l'occasione è stata la consegna dei premi per le eccellenza giovani.
a parte le solite barzellette scadenti l'anziano omuncolo, ha profuso i suoi consigli d'immagine ad un paio di ragazzi premiati...
Per le ragazze invece complimenti più espliciti "siete così carine che vi invito al bunga bunga"
e giù tutti a ridere istericamente....
ecco però io dico che uno che si comporta così è uno squallido, sfacciato, volgare ed inconcludente pagliaccio.
Ma come, sei lì a premiare dei giovani per deirisultati di alto valore scientifico ed intellettuale e ti soffermi sulla lunghezza della cravatta di uno o sul taglio della barba dell'altro o sullo stacco di coscia dell'altra?
il dramma più grave però è che NESSUNO in sala ne tra i premiati sul palco, ne tra i docenti o gli accompagnatori persenti ha battuto ciglio, nessuno ha rovesciato il tavolo, nessuno ha ritenuto di dover difendere la propria onorabilità, nessuno ha detto l'unica cosa da dire in quel momento : " senti bene , vecchio sporcaccione, tu sei qui a fare il tuo lavoro, consegnare un premio a nome della Repubblica, e non a raccontare barzellette o a sminuire il valore dell'impegno di chi ha lavorato sodo per raggiungere un risultato. Queste porcate pertanto vai a dirle a tua nipote, vergognati!"
Possibile che nessuno sappia togliersi questo sfizio?
Tutti credono di aver troppo da perdere?
Costui è un tiranno! e se noi lo tolleriamo ... siamo schiavi
leggete cosa scriveva tre secoli fa Vittorio Alfieri da Asti
« ...Tirannide indistintamente appellare si deve ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzione delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto eluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono o tristo, uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammetta, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo. »

di Redazione IL PUNRO ROSSO a cura di Giampiero Monaca per la rubrica "inviaci la tua nota"


Fukushima: cosa non dice la Tepco. - Giorgio Ferrari - Cadoinpiedi.it



Cadoinpiedi.it

Una presenza imbarazzante ed ingombrante.


Il problema del nostro paese è la presenza ingombrante di Berlusconi.

Da quando lui è al governo il paese si è fermato, è in stallo permanente.

Lui è stato in grado, con il potere economico e mediatico che possiede, di portare acqua al suo mulino; ha dato vita alla più becera forma di servilismo offrendo posti di prestigio, alleandosi con la parte peggiore del paese.

E mentre la sua economia cresce e raddoppia, quella dell'intero paese va in default.
Che aspettiamo a muoverci per liberarci una volta per tutte di questa presenza ingombrante e imbarazzante?

In definitiva è solo un uomo, molto odiato, ne sono sicura, anche da chi lo supporta.

Ha stravolto l'etica, vuole stravolgere anche l'unico baluardo di libertà, sicurezza e garanzia che abbiamo: la Costituzione.

Non dobbiamo permetterglielo!