Sullo strumento che Napolitano userà per dare un messaggio più forte del solito al Paese, ma soprattutto alla sua classe politica, non è ancora stato deciso, ma quello che si sa è che i punti su cui ruoterà questo messaggio saranno l’esigenza di ripristinare un giusto “bilanciamento tra i poteri dello Stato” e che qualsiasi investitura politica popolare, per quanto plebiscitaria, ha pur sempre “dei limiti dettati dalle regole della democrazia” che non possono in alcun modo essere disattesi.
E’ noto che il Cavaliere si è sempre fatto beffe dei messaggi di Napolitano, limitandosi ad usare con il Quirinale – comunque di malavoglia – alcune attenzioni per evitare che le sue leggi ad personam finissero tutte respinte ancor prima di arrivare al momento della firma del Colle. Da un po’ di tempo a questa parte, tuttavia, anche le buone maniere sono state messe da parte. La legge sul processo breve è l’ultimo esempio di questo dialogo interrotto – e male – tra governo e Quirinale. Il Capo dello Stato non sa nulla, ufficialmente, della prescrizione breve, né delle sue terribili conseguenze su alcuni dei processi più pesanti dell’ultima parte della storia Repubblicana. Ufficiosamente, invece, sa perfettamente dove vuole andare a parare il Cavaliere e ha fatto chiaramente capire, a chi lo segue da vicino, che così com’è uscita dalla Camera la legge lui non la firmerà mai. Stessa questione riguarderà, a breve, la legge sulle intercettazioni, che il Cavaliere vuole tirare fuori al più presto dalla polvere della commissione Giustizia della Camera per farla approvare (e stavolta in via definitiva) entro la fine di maggio, ma forse anche prima. E che dire, poi, di quell’altra legge appena presentata al Senato e gergalmente chiamata “processo lunghissimo”, a firma del peone di palazzo Madama, Franco Mugnai, che nel Pdl puntano a mandare avanti rapidamente.
Insomma, un reticolo di nuove leggi per garantire l’impunità a Berlusconi che Napolitano non ha alcuna intenzione di avallare. Da un lato perché “un Parlamento totalmente bloccato sulle questioni giudiziarie del premier – sostengono fonti vicine al Capo dello Stato – non fanno che accrescere la sfiducia dei cittadini nella classe politica” e dall’altro perché si sta determinando – ed ogni giorno che passa diventa più profondo – un “allargamento del conflitto tra poteri dello Stato” a cui Napolitano è deciso a posse un freno. Questa settimana, dunque, mentre le truppe pidielline si muoveranno come formiche operose tra le commissioni si Camera e Senato per rendere più rapide possibili le discussioni sulle leggi che interessano al Caimano, il Capo dello Stato potrebbe far sentire la sua voce in modo più determinato (e determinante) del solito. Qualcuno ha ipotizzato che possa cogliere l’occasione della calendarizzazione, in commissione Giustizia del Senato, delprocesso breve per lanciare quello che non potrà più essere considerato solo un monito, ma un vero e proprio allarme per la democrazia.
D’altra parte, i toni del Cavaliere contro la magistratura, e in generale contro chi attenta alla sua impunità, sono destinati a salire nel corso delle prossime settimane. La campagna elettorale del Pdl, soprattutto a Milano e Napoli, ruoterà tutta intorno all’aggressione ai giudici, al presidente della Camera Fini, del quale continuerà a chiedere pubblicamente le dimissioni, e alla necessità di fare le riforme, prima fra tutte la Giustizia. E il clima che si sta creando, di contrapposizione pesante e di veleni, destano profondo allarme nel Capo dello Stato. Le indagini sull’ultimo episodio dei manifesti apparsi per le vie di Milano contro una magistratura paragonata alle Br sono seguite da vicino anche dal Colle, ovviamente preoccupato di una degenerazione poi difficilmente controllabile. Sapendo che Berlusconi continuerà a soffiare sul fuoco, convinto che lo scontro istituzionale più duro alla fine lo vedrà vincitore. Anche se i sondaggi dicono l’esatto contrario.