sabato 28 maggio 2011

Trovata massa mancante universo.



Scoperta a Melbourne da Amelia Fraser-McKelvie, studentessa di 22 anni.


SYDNEY - Una studentessa di ingegneria aerospaziale dell'Universita' Monash di Melbourne ha scoperto quella che finora e' stata descritta come la 'massa mancante' dell'universo, o almeno una parte di essa. Amelia Fraser-McKelvie, lavorando con astrofisici della Scuola di Fisica dell'ateneo, ha condotto una ricerca mirata a raggi X, e in appena tre mesi l'ha individuata.

La scoperta, descritta nella rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, e' ancora piu' notevole perche' Fraser-McKelvie, 22 anni, non e' una ricercatrice di carriera, ma una studentessa che lavorava come stagista con una borsa di studio. Il suo relatore Kevin Pimbblet della Scuola di Fisica ha ricordato che gli scienziati cercavano da decenni la cosiddetta ''massa mancante''. ''Si pensava da un punto di vista teorico che nell'universo dovesse esserci circa il doppio della massa, rispetto a quella che e' stata osservata'', scrive Pimbblet nella relazione di cui e' coautore. ''Si riteneva che la maggior parte di questa massa mancante dovesse essere situata in strutture cosmiche di grande scala fra i gruppi di galassie, chiamate filamenti.

Gli astrofisici ritenevano che la massa fosse di bassa densita' ma alta di temperatura, attorno al milione di gradi Celsius. In teoria quindi avrebbe dovuto essere osservabile sulle lunghezze d'onda dei raggi X. La scoperta di Fraser-McKelvie ha dimostrato che l'ipotesi era corretta'', aggiunge lo scienziato. Usando le sue conoscenze nel campo dell'astronomia a raggi X, la giovane studiosa ha riesaminato da vicino i dati raccolti dai colleghi piu' anziani, confermando la presenza dei filamenti, che fino allora era sfuggita. La scoperta potra' cambiare la maniera in cui sono costruiti i telescopi, sostiene Pimbblet.


http://www.ansa.it/web/notizie/specializzati/scienza/2011/05/27/visualizza_new.html_844226632.html



Bankomat Verdini, soldi a tutti per tenerli buoni. - di Antonio Massari


Prosegue l'inchiesta su quei sette sportelli che l'hanno fatto diventare grande. Al centro dell'indagine i conti correnti di Dell'Utri e del premier, gli 800mila euro di Flavio Carboni. Per il coordinatore del Pdl questo è stato un annus horribilis che lo ha visto coinvolto in tre inchieste dalla Cricca alla P3

Denis Verdini: comprereste una banca usata da quest’uomo? Iniziano a chiederselo, da qualche mese, nel circuito del credito cooperativo della Toscana. La “banca del Verdini” è stata commissariata da Bankitalia, si presume che lo sarà per altri 8 mesi, e poi si dovrà decidere. Qualcuno dovrà comprarla, se non riesce a superare la crisi con le proprie gambe. Questa “banchina” da sette sportelli, nata a Campi Bisenzio, è però anche il motore del “sistema” Verdini. E – di riflesso – anche del “sistema” messo in piedi da Riccardo Fusi, l’ex patron dalla Btp, ora commissariata, per tenere in piedi il suo impero finanziario. Il cuore d’una formica, il peso d’un elefante. Il sistema collassa e, per di più, l’elefante si muoveva con la sua grazia nella più classica delle cristallerie. Le maggiori inchieste giudiziarie – quella sulla “cricca” che gestiva i grandi eventi e quella sulla “P3” – portano lì: nel credito cooperativo fiorentino, fondato nel 1909, per artigiani e bottegai della provincia. È lì che il 78enne sardo Flavio Carboni – indagato con Verdini a Roma per associazione segreta – versa 800 mila euro: per la Procura di Roma potrebbero essere il frutto d’una tangente sull’affare dell’eolico. I soldi finiscono nella “Società toscana edizioni” – sempre di Verdini, l’ala editoriale del suo sistema – destinati, dice lui, a un aumento di capitale. E ancora: che c’entra il siciliano Marcello Dell’Utri – condannato a sette anni per concorso esterno alla mafia – con i sette sportelli di Campi Bisenzio? C’è un conto aperto anche per lui: nel 2008 confluisce un bonifico di Silvio Berlusconi da 1,5 milioni di euro. Dell’Utri aveva un’esposizione di 2,8 milioni di euro e alcune rate di mutuo non pagate.

Nelle casse del Credito cooperativo fiorentino, nate con i risparmi dei bottegai, confluiscono i soldi del presidente Berlusconi (P2), di Verdini (presunta P3) e Dell’Utri (legato a Cosa Nostra). I vertici del Pdl. E ora confluiscono anche i soldi d’un altro parlamentare del Pdl, Antonio Angelucci, editore di Libero, ex editore del Riformista che, come ha scritto ieri il Corriere della Sera, ha sborsato 5 milioni di euro proprio per risanare la posizione di Verdini, che gli ha ipotecato una villa nel Chianti. Suo figlio Giampaolo è sotto processo a Bari, per una presunta maxi tangente, versata nel 2005 sui conti del movimento “La Puglia prima di tutto”, del ministro Raffaele Fitto, per ottenere – secondo la procura – un appalto da 198 milioni di euro nella sanità pugliese.

È questo il livello di potere che ruota intorno alla “banchina”. Un tempo non era così. Fin quando, nei primi anni Novanta, “il Denis” non riesce a raccogliere le deleghe dei soci: “Porta a porta”, raccontano gli impiegati, che chiedono l’anonimato. È così, porta a porta, che nasce il suo “sistema”. Ottiene la maggioranza e diventa presidente. La prima mossa? Bonus annuale per gli stipendi dei dipendenti: “Un media di tre milioni di lire ciascuno”. Verdini inizia ad acquisire consenso. E a diventare il padre-padrone. Straordinari spesso non registrati, qualche impiegato che fa da autista alla sua signora, e passo dopo passo, dal “si sta tutti bene, si passa al terrore d’essere invisi al presidente”. La piccola banca non usa più i servizi dei piccoli crediti cooperativi, ci dicono alla Cisl, ma s’affida a grossi gruppi esterni, come la “Cedacri”, per i sistemi informatici. Intanto molte operazioni non vengono segnalate all’anti riciclaggio. I commissari di Bankitalia le stanno scoprendo una dopo l’altra. Le radici della “banchina” vengono tradite: troppi soldi ai grossi gruppi, pochi spiccioli per le famiglie. Le indagini fanno saltare il tappo, nel luglio 2010 Verdini si dimette. E sono gli impiegati che convincono i piccoli risparmiatori a non chiudere i conti: 69 dipendenti che temono per il proprio futuro, orfani del padre-padrone, tutelati dai commissari di Bankitalia e dall’attivissimo sindacato della Cisl, che spiega: “Concentrazione dei finanziamenti a pochi gruppi, quasi tutti dello stesso settore, poi il conflitto d’interessi di Verdini e l’assenza di contrappesi con il cda e il collegio dei sindaci: questo era il problema”, dicono i sindacalisti Maria Manetti e Nicola Spinetti. Basti pensare che un membro del collegio sindacale, Antonio Marotti, divide lo studio legale con il vice presidente della banca, Marco Rocchi, che oggi è il difensore di Verdini. E che la contabilità privata di Verdini è stata trovata nello studio di un altro membro del collegio sindacale: Luciano Belli. Come distinguere, nella realtà, i controllori dai controllati? Intrecci dentro, intrecci fuori.

Sei mesi fa la Procura di Firenze perquisisce gli avvocati Gian Paolo e Pier Ettore Olivetti Rason – che sono in rapporti con Licio Gelli e la sua famiglia – dopo aver scoperto che sono stati pagati, per una consulenza, da Riccardo Fusi. I due avvocati, nel frattempo, avevano versato un bonifico di 260 mila euro sul conto di Verdini. Secondo l’accusa sono fatture per operazioni inesistenti. Sul sito dello studio – i due avvocati offrono consulenza alle società in affari – si legge che, tra i clienti, c’è anche la Ede Spa, di Stefano Biagini, costruttore edile. E c’è un fatto curioso: il costruttore edile, tra il 2008 e il 2009, decide di darsi all’editoria, costituendo la “Edicopyright”. La sua più grande operazione? Acquista i diritti dei Diari di Mussolini di Dell’Utri. Gli stessi diari pubblicati da Libero, di proprietà Angelucci, che ora risana la posizione di Verdini. E le famiglie? I piccoli risparmiatori? I dipendenti di Fusi? A loro che succede? Per capirlo basta parcheggiare all’area di servizio Firenze Nord. Fino a tre mesi fa c’era l’hotel Unaway. Ora è chiuso: 27 dipendenti in cassa integrazione da marzo, ottenuta grazie alla trattativa della Cgil. Era Riccardo Fusi l’ex patron della BPT e della catena alberghiera Una Spa. La banca del Verdini gli ha concesso prestiti per almeno 28,6 milioni di euro. Anche per questo, s’intuisce dalle intercettazioni, Verdini sponsorizzava Fusi con i politici e spingeva sui ministri per la nomina dei provveditori alle opere pubbliche. La posizione della Una Spa ora è “incagliata”: difficile per la banca recuperare i soldi. Se non bastasse, quegli affidamenti, secondo gli ispettori, configuravano un “potenziale conflitto d’interessi”.

Tra il febbraio 2005 e il dicembre 2006 venivano concessi decine di milioni di euro alle società “Il Forte” e “Una Spa”, in “relazioni di affari” con la Parved, “società all’epoca controllata da Verdini”. L’affare era il preliminare di acquisto, del 10 per cento, del capitale della “Una hotel & Resort spa”. E su questo, alla sua banca, Verdini non fornì alcuna informativa. Nel leggere un altro documento, però, scopriamo che nel febbraio 2005 – proprio mentre inizia la pratica di affidamento a “il Forte” e “Una spa” – la società Autostrade stipula una convenzione. Con chi? Con Una Spa. Volevano realizzare “un network di 12 alberghi su altrettante aree di servizio della rete autostradale”. Progetto oggi fallito. Ed ecco i conti di Una spa: “Nel 2008 la perdita è stata pari a 23,6 milioni di euro, nel 2009 a 31,4 mentre, per il 2010 è attesa un’ulteriore perdita di 10 milioni”. Lo scrive l’a.d. Elena David, spiegando che il quadro, per i dipendenti, è allarmante: già 35 licenziamenti effettuati, altri 23 previsti per la fine dell’anno, 68 lavoratori passati alle dipendenze di altre società. E la Btp? “Quattro cantieri ancora aperti, tre sull’autostrada, ma nessun grande appalto in vista”, dice Flavia Villani della Fillea Cgil. “E 160 dipendenti in cassa integrazione – conclude – con l’incubo dello “spezzatino” e dei licenziamenti”.



venerdì 27 maggio 2011

Tangenti nella sanità piemontese. Indagato l’assessore regionale Caterina Ferrero. - di Andrea Giambartolomei


L'esponente del Pdl sarebbe coinvolta in un giro di tangenti e bandi truccati. Indagato anche un suo collaboratore. Misure cautelari per cinque persone. Contestati i reati di turbativa d'asta, corruzione

Scandalo sanità piemontese, conferenza stampa del Pdl. Nella foto Agostino Ghiglia ed Enzo Ghigo

Nuova, pesante tegola per la giunta di Roberto Cota. L’assessore alla Sanità, Caterina Ferrero, è indagata dalla Procura di Torino, mentre Piero Gambarino, per gli inquirenti il braccio destro dell’assessore, è stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta che coinvolge anche Pierfrancesco Camerlengo, amministratore e socio di un grosso gruppo di cliniche private, e altre cinque persone.

Si tratta di una vasta “operazione chirurgica”, usando il gioco di parole del gip, partita da controlli su bandi e gare d’appalto “turbati” della Regione Piemonte per la fornitura di materiale sanitario e per l’assegnazione di una collaborazione ben remunerata. Gli altri episodi vanno dalla corruzione e turbativa d’asta, per la costruzione di una clinica privata, fino alla concussione, per bloccare la responsabile del servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro (Spresal). Secondo il gip che ha convalidato le misure cautelari emerge “un quadro a tinte fosche” in cui c’è un “sistematico sviamento a fini privati della funzione pubblica”.

Nell’autunno scorso alcuni bandi di gara della Società di committenza regionale (Scr), di cui Gambarino è consigliere, sollevano i dubbi della Guardia di Finanza. Andava assegnato il servizio di fornitura triennale di pannoloni e per il primo lotto, dall’importo di 50 milioni di euro, venne effettuata una gara, poi revocata con una delibera dell’assessore Ferrero per la revisione e la riorganizzazione del servizio. In realtà, secondo le fiamme gialle, era già stato definito un accordo tra Gambarino e due rappresentanti della Federfarma, la federazione dei titolari di farmacie, il presidente regionale Luciano Platter e il segretario cittadino Marco Cossolo, affinché la fornitura fosse data senza una gara alle farmacie, per un prezzo più alto delle base d’asta. Da questa mattina i due uomini di Federfarma sono agli arresti domiciliari. Un altro “sviamento a fini privati della funzione pubblica” riguarda l’assegnazione di un incarico a un “collaboratore designato”. Per attribuire l’incarico alla direzione regionale della sanità, Ferrero e Gambarino avrebbero fatto predisporre un bando “su misura” di un ex funzionario di un’Asl: laurea in economia e commercio, esperienza nella gestione di servizi sanitari e monitoraggio dei costi, conoscenza della normativa nazionale e regionale del servizio sanitario.

Gli altri episodi non riguardano l’assessore regionale, ma sempre il suo fido collaboratore. Un’asta ritenuta truccata per l’acquisto di ex capannoni industriali da trasformare in residenze sanitarie a Cavagnolo (To), definita grazie a un incontro promosso dal commissario dell’Asl 5 di Torino Vito Plastino (arrestato stamattina) tra Gambarino e un architetto collaboratore di Camerlengo,Pasqualino Fico, nella sede di un’impresa del gruppo della sanità privata. Nell’occasione il sindaco di Cavagnolo Franco Sampò aveva messo a disposizione l’ufficio tecnico del Comune, concordato i tempi di pubblicazione del bando (a ridosso delle festività natalizie, così che possa passare inosservato) e non aveva concesso la proroga dei termini richiesta da un concorrente. Per questa complicità anche lui è stato tratto in arresto. Risulta anche che Camerlengo, insieme all’odontoiatra Marco Mozzati, abbia corrotto Plastino con false fatture passate tramite lo studio dentistico di Mozzati. Infine Gambarino è indagato per concussione: su segnalazione di una consigliere regionale del Pdl ha cercato di rimuovere dall’incarico la responsabile dello Spresal, che aveva trovato delle irregolarità in un’azienda di un imprenditore vicino al consigliere trasmettendole in procura. “Mi ha detto tutto a posto – disse la Ferrero a Gambarino riportando l’apprezzamento del politico – grazie, sei stato bravissimo”.

La complicità dell’assessore in questo sistema getta ombre sulla giunta di Cota che, a giorni, potrebbe essere colpito da un’altra tegola. Martedì è attesa la sentenza per le firme false di Michele Giovine, consigliere regionale. Nel marzo scorso aveva ottenuto 32 mila voti, più del triplo dello scarto tra Cota e Mercedes Bresso.



G8: Carlà bacia tutti. Tranne Berlusconi.



L'arrivo dei capi di Stato accolti dalla consorte di Sarkozy. L'ex modella è affettuosa con tutti, un po' meno col premier italiano.



All' "Adotta un astensionista" c'è chi risponde con "Bruciacchia il tuo comitato".



Il finto attentato al comitato elettorale di Lettieri.
Si capisce subito che è stato organizzato ed anche male.


BERLUSCONI : OBAMA = SINDONA : REAGAN. - di Andrea Sceresini



Mentre il premier Berlusconi denuncia al presidente degli Usa Barack Obama: "Sono perseguitato dai giudici di sinistra, in Italia c'è una dittatura", riemerge dagli archivi una lettera dal carcere che Michele Sindona scrisse nel 1981 a Ronald Reagan e che rivela un inedito parallelo.


Quello che state per leggere è un documento inedito. Nel 1981 il banchiere Michele Sindona si trovava in carcere a Springfield, Missouri. Sul suo capo gravavano ben 65 accuse: frode, spergiuro, false dichiarazioni bancarie, appropriazione indebita di fondi bancari. Anche la giustizia italiana, oltre a quella statunitense, lo aveva ormai incastrato. Si sentiva in trappola. Così scrisse molte lettere, tra queste una, interminabile, destinata a Ronald Reagan, il presidente degli Stati Uniti.
La missiva fu inviata e ricevuta, ma non ottenne risposta. Per trent'anni un'unica copia di quel documento è rimasta sepolta nell'archivio del figlio di Sindona, Nino.
Oggi Nino Sindona, che era stato coinvolto nell'inchiesta giudiziaria per l'omicidio di Giorgio Ambrosoli da parte di un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano e poi assolto, vive in Brasile, dove si è sposato e ha avuto un figlio. Gestisce una catena di ristoranti italiani, ma ha tagliato ogni ponte con il suo Paese d'origine. E' stato lui a decidere, dopo decenni di silenzio, di consegnarci una copia della "Lettera al Presidente". E' una lunga arringa difensiva: l'ultimo grido d'aiuto del potentissimo banchiere piduista, uno dei grandi vecchi della Prima Repubblica.

(GQ) Fa uno strano effetto il parallelismo tra le parole pronunciate oggi dal premier Silvio Berlusconi in presenza del presidente americano Barack Obama e quelle della lettera inedita del bancarottiere Michele Sindona all'allora presidente americano Ronald Reagan. Siamo nel 2011, la lettera è invece datata 1981. Sono passati trent'anni, ma i temi di fondo sono gli stessi: la magistratura è di sinistra e perseguita chiunque si metta contro i comunisti che dominano l'Italia. I valori patriottici di Sindona, come quelli di Berlusconi, vengono calpestati e i loro portatori diventano bersaglio di inchieste giudiziarie mirate a eliminarli. La sola differenza è il finale: Sindona rimase in un carcere americano nonostante la supplica a Reagan, Berlusconi è diventato presidente con il libero voto degli italiani e a Obama si rivolge mentre frequentano vertici internazionali.


Ecco il contenuto della lettera, che si può vedere nella gallery sopra. Domani, sempre su GQ.com, altri dettagli sulla lettera.

7 settembre 1981

Al Presidente degli Stati Uniti
Casa Bianca
Washington, D.C. 20500

Signor Presidente:

Il mio nome è Michele Sindona. Sono un cittadino italiano e ho 61 anni. Sono un detenuto delle prigioni federali degli Stati Uniti d'America dal 7 febbraio 1980.

Attualmente sono nel Centro Medico della prigione federale di Springfield, Missouri. Il mio numero di matricola è 00450-054. Sono stato condannato due volte a 25 anni di carcere per bancarotta fraudolenta.

Io mi sono sempre sentito un amico degli Stati Uniti d'America. Sono stato perseguitato dalla Sinistra italiana soltanto perché mi sono battuto con tutte le mie forze per il rispetto delle istituzioni italiane e l'elezione di un governo veramente democratico che potesse onorare le alleanze con i Paesi occidentali, in primo luogo con gli Stati Uniti.

(…) Ho comprato un giornale italiano in lingua inglese per evitare che cadesse nelle mani della sinistra (…) Ho studiato il modo per evitare che la sinistra italiana prendesse il controllo della stampa e della televisione. Per questi miei tentativi la sinistra italiana ha fatto di me un bersaglio e ho rischiato la vita in più di una occasione.

(…) Il Consiglio superiore della magistratura, di cui fanno parte in maggioranza rappresentanti della sinistra, ha cacciato il presidente della Corte di Cassazione che aveva sottoposto un affidavit nel quale si affermava che i giudici italiani avevano illegalmente dichiarato che le mie banche fossero in bancarotta.

(…) Ho descritto solo una parte delle incredibili torture morali, psicologiche e talora perfino fisiche che ho dovuto subire. Ora mi rivolgo a Lei, signor presidente, con la speranza di ottenere protezione e serenità per la mia famiglia. Gli Stati Uniti hanno duramente criticato le dittature che perseguitano le famiglie di coloro i quali considerano criminali. Io mi sono soltanto battuto per la democrazia e la giustizia, e a causa di questo sono stato perseguitato dai comunisti italiani. Sono ancora convinto che gli Stati Uniti siano il solo Paese capace di salvare la mia patria e l'intero mondo libero dalla minaccia comunista. L'Italia ha bisogno di recuperare tre valori: lavoro, famiglia e fede. La propaganda di sinistra ha distrutto questi valori, così come ha distrutto la democrazia e il tessuto stesso dello Stato. Nessuno vuole più lavorare perché confida nell'assistenza sociale. La ricca famiglia italiana di un tempo è ora soltanto un ricordo. Quanto alla fede, un tempo valore stabilizzante, è stata perduta dagli italiani. (…) Io resto nella tempesta e da qui le grido: "E' questo quel che accade a un amico degli Stati Uniti?"

Rispettosamente suo,

Michele Sindona

http://www.gqitalia.it/viral-news/articles/2011/5/silvio-berlusconi-a-obama-come-michele-sindona-a-ronald-reagan-in-italia-giudici-di-sinistra#?refresh=ce


Berlusconi all’ultima spiaggia. - di Patrizia Rettori

Niente di nuovo sotto il sole. Berlusconi va in tv (ancora!) a dire che non è colpa sua: sono gli altri, i candidati deboli, gli alleati infidi, gli elettori senza cervello, ad azzopparlo. Ma state tranquilli, lui non se ne andrà, anche se perdesse Milano o Napoli o tutte e due. Davvero?

In realtà nel centro destra sembra accaduto qualcosa di irreparabile. Non è tanto la sconfitta al primo turno quanto il fatto che a quella sconfitta il capo non sia stato capace di reagire. Non si sono viste armi segrete, alzate d’ingegno, trovate sorprendenti. Solo il solito Berlusconi che ripropone all’infinito se stesso e il consueto armamentario propagandistico. Per ora gli elettori non hanno abboccato, e speriamo che confermino la scelta nei ballottaggi. Ma la sensazione inedita è che, comunque vada il voto, a non abboccare più siano le sue truppe.

Il blocco sociale che lo sosteneva si va sgretolando: c’è un mondo, che va dagli imprenditori alla gerarchia cattolica, che non gli crede più e, anzi, lo ritiene ormai impresentabile. Fa impressione vedere un personaggio come AntonioD’Amato, leader della Confindustria più berlusconiana di sempre, tifare esplicitamente De Magistris. O un grande vecchio come Cesare Romiti dichiarare il suo appoggio a Pisapia. Per non parlare delle posizioni prese dal cardinale Tettamanzi e da giornali come Avvenire e Famiglia cristiana.

È ovvio che tutto questo disorienti lo schieramento politico di governo. Perdere supporter di quel calibro deve fare molto male. E nessuno, tranne qualche fedelissimo, vuole essere travolto dal crollo dell’imperatore. Non Bossi, che infatti già cerca di riposizionarsi e riduce al minimo sindacale il suo appoggio ai candidati berlusconiani. E nemmeno larghi settori del Pdl, che lavorano freneticamente a nuove aggregazioni capaci di avere un futuro.

Tutto questo lavorio verrà alla scoperto in fretta se Milano e Napoli saranno conquistate da Pisapia e De Magistris. Il fatto che Berlusconi abbia sentito il bisogno di dire e ripetere che non ci saranno contraccolpi sul governo significa proprio che si sente in allarme rosso. Ma la novità che si percepisce in queste ore convulse è che se pure accadesse l’imprevedibile, e cioè se Moratti e Lettieri la spuntassero, la situazione non sarebbe comunque più recuperabile. Certo, ci sarebbe una battuta d’arresto e in un primo momento si sprecherebbero le professioni di lealtà. Ma la consapevolezza di averla scampata per il rotto della cuffia e di essere all’ultima spiaggia riporterebbe presto alla luce tutte le tensioni nascoste. Pensate alla manovra economica che dovrà essere varata per far fronte agli impegni di risanamento presi con l’Europa: Bossi avrà la sua ricetta e nel Pdl ne verranno avanzate altre quattro o cinque. Ciascuno cercherà interlocutori dentro e fuori la maggioranza, e gli interlocutori detteranno le loro condizioni, la prima delle quali sarà di mettere da parte il Cavaliere. Né sembrano fondate le speranze dei berlusconiani ortodossi di cercare l’intesa con Casini.

Al leader dell’Udc si possono imputare molte cose, ma non la stupidità. Che senso avrebbe, per lui, trasformarsi in stampella per un premier a fine corsa? Nessuno. L’Udc ha un progetto preciso: cambiare la legge elettorale con un sistema alla tedesca e attuare una parte dimenticata della Costituzione attraverso una legge sulla democrazia nei partiti. E’ un’idea impegnativa, che ha molti difetti e però ha anche qualche pregio: prosciuga l’acqua del berlusconismo archiviando l’era del bipolarismo muscolare, e cancella il fenomeno dei partiti personali (Pdl compreso) rendendoli scalabili da parte di una nuova classe dirigente.

In ogni caso, il dibattito post elettorale si svolgerà su un terreno già deberlusconizzato. E sarà un bel banco di prova per la sinistra in generale e per il Pd in particolare. Ne parleremo. Ma ora l’importante è vincere i ballottaggi. Perché se ci riusciremo tutti i processi saranno accelerati, idee e proposte verranno allo scoperto e si potrà finalmente ragionare sul futuro.

http://www.libertaegiustizia.it/2011/05/26/berlusconi-allultima-spiaggia/