mercoledì 1 giugno 2011

Lungo il viale del tramonto. - di Arturo Meli

Questa volta è una disfatta. Non ci sono sotterfugi, divagazioni, manipolazioni mediatiche che possano nascondere la realtà. Il berlusconismo crolla. Lo investe un moto di rigetto, da Milano a Napoli, che segna il tramonto di un’era politica. Il volto del Paese è cambiato. Tuttavia, il premier tenta di rimpicciolire il risultato. Non può negare la sconfitta, ma scarica su altri le responsabilità Nega che sia stato investito da questo esito disastroso il suo modo di governare. Attribuisce l’insuccesso a fattori locali, alle modeste qualità dei candidati messi in campo. Può essere comprensibile il tentativo di allontanare le realtà spiacevoli. Ma tutto ciò diventa patetico quando in questa umana debolezza cade un capo di governo, un leader. L’incapacità di dire la verità anche a se stesso è impressionante. Berlusconi sembra vivere in un mondo a parte. Si racconta la sua favola. Ma ormai ha raschiato anche il fondo del barile.

La vittoria del centrosinistra può avere molti padri, e già si vede la corsa a chi riesce a intestarsela per primo. Ma la sconfitta del centrodestra ha già un’accertata paternità, quella del Cavaliere. E’ difficile da spiegare come, in appena due anni, sia riuscito a dilapidare il patrimonio che aveva accumulato nelle ultime elezioni politiche. Certo, ci sono tutte le promesse non mantenute, c’è la crisi economica. Ma il discorso va oltre. Le ragioni vanno ricercate all’interno del berlusconismo, negli intrecci privati e personali inconfessabili, nella volgarità e rozzezza degli ultimi comportamenti, nel disprezzo sistematico delle regole e degli istituti di garanzia, nel discredito di cui soffre il Paese anche sullo scenario internazionale. Né si può trascurare l’indignazione suscitata sul terreno dell’etica privata e pubblica. C’è, in questo risultato elettorale, anche il caso Ruby, con le feste indecenti di Arcore, i misteriosi bonifici, i favori accordati alle compiacenti olgettine. Il risentimento popolare è diventato ribellione politica. Anche tra chi vota abitualmente centrodestra sono sorti i dubbi, e si è manifestato il rifiuto al momento di andare alle urne. L’inganno si è rivelato. Il rapporto seduttivo si è incrinato. E, con il crollo della fiducia in Berlusconi, è crollato anche Bossi. La sconfitta non è solo a Milano. Investe tutto il Nord, la fortezza del centrodestra, il suo serbatoio di voti.

Berlusconi e Bossi. Due debolezze che dovrebbero risollevarsi insieme. Ma è impresa assai difficile. Al principio, è naturale, prevale la prudenza. Almeno ufficialmente, il Cavaliere e il senatur non si scoprono. Ma per la Lega c’è l’esigenza primaria di ricostruire un rapporto con la base, di recuperare l’identità perduta. E, lungo questa strada, il rischio di entrare in rotta di collisione con il premier è reale. C’è chi prevede che il Caroccio chiederà la nomina di un vicepremier, il superministro dell’Economia Tremonti, mettendolo in rampa di lancio per il “dopo”. Ma Berlusconi è ancora convinto di avere lui il coltello dalla parte del manico. Certamente si muoverà. Però, con qualche trucco pirotecnico, ben difficilmente accettando di porre concretamente sul tavolo il tema della sua successione. Si parla nel Pdl di usare le primarie per scegliere i candidati. Ma dovrebbe valere anche per il candidato premier? E’ impensabile questo metodo per un partito a struttura cesarista, legato al destino di uno solo, condannato alla mancanza di ogni dibattito interno. Tuttavia, nemmeno il Pdl è il partito di un tempo. Con la crisi, si sono messe in moto correnti strutturate e agguerrite in lotta tra loro, si agitano pezzi di oligarchia che cercano di salvare almeno una parte del patrimonio. Anche tra i berluscones si è incrinato il mito del Cavaliere invincibile. E, del resto, anche sulla Lega soffia un insidioso venticello. Oggi, il Carroccio assomiglia sempre meno alla monarchia assoluta di un tempo..

Tracciare uno scenario ben definito è al momento prematuro. Ci sono i referendum di metà giugno. C’è, subito dopo, il 19 giugno, il pratone di Pontida e, a seguire, la verifica in Parlamento sulla maggioranza “allargata” e i nuovi sottosegretari imbarcati al governo. C’è, inequivocabile, la crisi economica, e si parla di mettere mano a una manovra di quaranta miliardi di euro. Come può il premier limitarsi al piccolo cabotaggio, chiuso nel suo bunker? Il berlusconismo sta finendo. Una nuova strada è possibile. Bisogna guardarsi, però, dalle insidie del suo arroccamento finale. Dagli ultimi frutti avvelenati di un carisma autoritario al tramonto.


http://www.libertaegiustizia.it/2011/05/31/sul-viale-del-tramonto/



“Nessuna mediazione sui principi”. di Massimo Vanni

«È una bella giornata per presentare questo libro», premette la presidente di Libertà e Giustizia Sandra Bonsanti. E le vittorie di Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli diventano al cinema Odeon la scenografia per un secondo dialogo – dopo quello raccolto nel libro edito da Laterza «La felicità della democrazia» – tra il presidente emerito della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky e il direttore di Repubblica Ezio Mauro. «Questi giorni segnano la fine di una degenerazione della democrazia, sta a noi controllare che non si torni indietro», rileva Zagrebelsky. «Il pericolo più grave non è che qualcuno metta in discussione la democrazia ma che attacchi la sua sostanza», risponde Mauro.
È un secondo dialogo incalzato dallo storico Paul Ginsborg, oltreché dalla giornalista Bonsanti. E nonostante la complessità della materia tantissimi “cercatori di felicità” sono arrivati all´Odeon ieri pomeriggio: platea piena (330 posti), alcune decine nel loggione. Con in prima fila il presidente della giunta regionale Enrico Rossi.
A Ginsborg piace quando il dialogo, nel libro, «diventa dibattito». Soprattutto all´inizio: «Mauro si dice sicuro nella nostra democrazia, dice che nessuno oggi, qui, nel mezzo dell´Europa attenterebbe alla democrazia. Zagrebelsky fa notare che una volta si misuravano i progressi della democrazia, oggi invece si misurano i regressi», annota lo storico. Anche lui, Ginsborg, ha scritto sullo stesso tema («La democrazia che non c´è», pubblicato da Einaudi) e immagina una democrazia quotidiana, che riconquista uno spazio alla politica, oggi protesa invece a consumare tutto dentro il palazzo.
Zagrebelsky non gradisce la parola “berlusconismo”: «Questi anni non sono il prodotto di una idea politica tanto da arrivare ad un “ismo”». E a Bonsanti che chiede del populismo, il presidente emerito replica: «Abbiamo avuto una vicenda degenerativa abbastanza normale». Sulla degenerazione però nessun dubbio: «Basta pensare alla legge elettorale, con la quale chi sta in basso conferma le scelte dall´alto». E invece «nessuna mediazione è possibile sui principi» di fondo della democrazia, dice Zagrebelsky. Citando pure Gianfranco Miglio e la sua teoria del ciclo democratico («50-60 anni, tre generazioni»).
Mentre per il direttore di Repubblica «il populismo può essere una tentazione per tutta l´Europa: non è solo un problema italiano, è un impasto di forte tradizione e novità pericoloso perché seducente in un momento di disorientamento delle persone». E´ però il populismo, annota il direttore Mauro, di una «destra al cubo, una destra reale, alla quale si contrappone una sinistra che non sa bene neppure cos´è».

Leggi l’intervista a Zagrebelsky.



http://www.libertaegiustizia.it/2011/06/01/nessuna-mediazione-sui-principi/


Mai più alle urne con questa legge.

“Mai più alle urne con questa legge”, l’appello di Libertà e Giustizia lanciato a giugno scorso, ha raccolto il sostegno di molti intellettuali e l’adesione convinta di numerosi cittadini. Ora però serve una grande mobilitazione.

Libertà e Giustizia e Valigia Blu rilanciano l’idea di un’alleanza della società civile, singoli cittadini e movimenti organizzati, pronti a farsi promotori di una campagna di sensibilizzazione attraverso il web, gli organi di informazione, le piazze.

Un impegno diretto, per sostenere la raccolta firme e organizzarsi in comitati, sull’esperienza positiva del referendum costituzionale 2006.

Il tema del resto, come si ricorderà, è stato al centro di discussioni che hanno visto la denuncia di Ilvo Diamanti, la proposta di Massimo Salvadori su La Repubblicae l’appello di 42 politici e studiosi pubblicato sul Corriere della Sera.

Ridateci la nostra democrazia è il fulcro dell’iniziativa. Ridateci la sovranità che ci appartiene, perché vogliamo riprenderci il diritto di scegliere chi ci rappresenta in Parlamento. Un diritto che è stato cancellato dalla legge Porcellum e che priva il popolo elettore del più elementare e insostituibile potere di contare nelle decisioni della politica.

Contro questa legge elettorale possiamo già contare sul sostegno di alcuni politici di diverse appartenenze. L’invito è ora rivolto a tutte le segreterie di partito e a tutti i parlamentari che al di là dello schieramento intendano darsi da fare per restituire ai cittadini il diritto di avere un Parlamento di eletti e non di nominati, e cancellare un premio di maggioranza così abnorme da forzare il quadro politico, come avviene oggi in Italia, caso unico nel panorama europeo.

Per rilanciare la nostra iniziativa abbiamo scritto un appello al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che vi invitiamo a sottoscrivere: Presidente ci aiuti a tenere viva la nostra Democrazia!

A tutti, ancora una volta, chiediamo di aderire alla mobilitazione anche su facebook cliccando “mi piace” sulla pagina “ridatecilanostrademocrazia”, più saremo più potremo fare pressione sul Parlamento e sui partiti.

Libertà e Giustizia e Valigia Blu si rivolgono inoltre a tutti i gruppi editoriali, alle tv e alle radio pubbliche e private, soprattutto la Rai che dovrebbe essere al servizio dei cittadini più che dei politici, ai giornali, ai siti Internet e ai blog, per sostenere la mobilitazione e darle la visibilità necessaria a raggiungere il maggior numero di persone.

http://www.ridatecilanostrademocrazia.it/?utm_source=valigiablu.it&utm_medium=banner&utm_campaign=no-porcellum&utm_content=homepage-banner-scorrimento

Ok dalla Cassazione si voterà anche sul nucleare.

Si vota il referendum sul nucleare. La Corte di Cassazione accoglie l’istanza presentata dal Pd e sollecitata anche dall’appello di Libertà e Giustizia che chiede di trasferire il quesito sulle nuove norme appena votate nel decreto legge omnibus: quindi la richiesta di abrogazione rimane la stessa, ma invece di applicarsi alla precedente legge si applicherà appunto alle nuove norme sulla produzione di energia nucleare (art. 5 commi 1 e 8). La decisione è arrivata a maggioranza dal collegio dell’Ufficio Centrale per il referendum della Cassazione, presieduto dal giudice Antonio Elefante.

Libertà e Giustizia, con l’appello firmato dai garanti aveva messo in guardia dallo “scippo dei referendum”. In un sistema di democrazia rappresentativa, si legge nell’appello, “esiste sempre il pericolo che il cittadino rimanga troppo distante dai palazzi di governo, diventi spettatore passivo e sempre più scettico. I referendum sono uno dei pochi meccanismi al di fuori delle elezioni che gli permettono di far sentire la propria voce”. Il pericolo, non fosse intervenuta la Cassazione, era che il governo Berlusconi liquidasse il referendum sul nucleare, mettendo così a gravissimo rischio il raggiungimento del quorum per gli altri due.

I giudici della suprema Corte hanno detto “no”. Dovranno però essere ristampate le schede, visto che i quesiti andranno riformulati in base al testo del decreto omnibus. Secondo indiscrezioni trapelate ieri dal Viminale, i tempo tecnici per rifare tutto il materiale entro il 12 e 13 giugno ci sarebbe, ma mancano ancora conferme ufficiali. Per trovare l’unico precedente simile, bisogna riandare indietro nel tempo al 1978 quando il via libera definitivo alla consultazione su legge Reale e finanziamento pubblico dei partiti arrivò a dieci giorni dalla scadenza (anche in quel caso era stata cambiata in extremis dal Parlamento la legge oggetto dei quesiti) senza comprometterne l’esito. Altro problema è poi rappresentato dal voto degli italiani all’estero, che hanno già iniziato a votare per corrispondenza sulle schede ormai superate con il vecchio quesito.

“Si afferma la forza serena della Costituzione contro il tentativo giuridicamente maldestro di raggirare il corpo elettorale, cioè 40 milioni di cittadini”, ha commentato l’avvocato Gianluigi Pellegrino che ha sostenuto per il Pd le ragioni referendarie davanti alla Cassazione.

http://www.libertaegiustizia.it/2011/06/01/referendum-ok-dalla-cassazione-si-votera-anche-sul-nucleare/


Interrogazione al ministro delle Finanze sul signoraggio, a firma di Antonio Di Pietro

Interrogazione a risposta scritta 4-12113
presentata da
ANTONIO DI PIETRO
lunedì 30 maggio 2011, seduta n.479

DI PIETRO. – Al Ministro dell’economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:

l’emissione della moneta è obbligatoriamente collegata alla generazione del signoraggio che è rappresentato dal guadagno e dal potere in mano al soggetto predisposto alla creazione della moneta. Il signoraggio, dunque, è l’insieme dei redditi derivanti dall’emissione di moneta. Il premio Nobel Paul R. Krugman, nel testo di economia internazionale scritto con Maurice Obstfeld, lo definisce come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi»;

storicamente, il signoraggio era il termine col quale si indicava il compenso richiesto dagli antichi sovrani per garantire, attraverso la propria effigie impressa sulla moneta, la purezza e il peso dell’oro e dell’argento;

oggi, invece, alcuni studiosi di economia imputano al moderno signoraggio una dimensione che va ben al di là di una semplice tassa, in quanto il reddito monetario di una banca di emissione è dato solo apparentemente dalla differenza tra la somma degli interessi percepiti sulla cartamoneta emessa e prestata allo Stato e alle banche minori e il costo infinitesimale di carta, inchiostro e stampa sostenuto per produrre denaro. Apparentemente, in quanto, de facto, il signoraggio moderno è eclissato nella contabilità dall’azione di dubbia legittimità della banca emittente che pone al passivo il valore nominale della banconota. In buona sostanza, la banca dichiara di sostenere per la produzione della carta moneta un costo pari al suo valore facciale (euro 100 per una banconota del taglio di 100 euro);

le Banche centrali sono le istituzioni che raccolgono sia la ricchezza, sia il profitto da signoraggio che dovrebbero essere trasferiti, una volta coperti i costi di coniatura, alla collettività rappresentata nello Stato;

tale signoraggio è il cosiddetto signoraggio primario poiché deriva dall’abilità che possiede la Banca centrale di emettere moneta stampandola e immettendola nel mercato. Si tratta del signoraggio che sta a monte di tutto il sistema monetario, poiché si colloca nel momento di emissione della moneta;

questo processo non è però l’unico che permette l’aumento della massa monetaria in circolazione nel circuito economico. Esiste, infatti, un secondo meccanismo attraverso il quale cresce la base monetaria in circolazione, il cosiddetto signoraggio secondario o credit creation;

il signoraggio secondario è il guadagno che le banche commerciali ricavano dal loro potere di aumentare l’offerta di moneta estendendo i loro prestiti sui quali ricevono interessi e, negli ultimi decenni, con l’introduzione di nuovi strumenti finanziari quali, ad esempio i derivati;

con riferimento al sistema monetario attuale, da anni si discute sia in ambito accademico sia in ambito sociale sulle incongruenze relative alla proprietà del valore della moneta al momento della sua emissione: un valore che, in buona sostanza, non verrebbe riconosciuto in capo al suo creatore, ovvero la collettività, il popolo, ma che piuttosto le verrebbe sottratto;

principio fermo di ogni democrazia è che la «sovranità» appartiene al popolo e la nostra Carta costituzionale sancisce chiaramente questo principio all’articolo 1;

ne consegue che derivazione diretta di tale sovranità è anche la sovranità monetaria, che determina il potere di chi detiene il controllo della moneta e del credito;

essendo il popolo a produrre, consumare e lavorare, la moneta, sin dal momento in cui viene emessa da una qualsiasi Banca centrale dovrebbe, in linea di principio, come affermato da molti studiosi, diventare proprietà di tutti i cittadini che costituiscono lo Stato, il quale però non detiene il potere di emettere moneta;

la distorsione alla base della sovranità monetaria è stata oggetto di uno studio da parte del procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini che sul punto ha scritto il libro La banca, la moneta e l’usura, edizione Controcorrente, Napoli, 2001. Secondo il procuratore generale Bruno Tarquini, lo Stato avrebbe avuto i mezzi tecnici per esercitare in concreto il potere di emettere moneta e per riappropriarsi di quella sovranità monetaria che avrebbe permesso di svolgere una politica socio-economica non limitata da influenze esterne, ma soprattutto liberandosi di ogni indebitamento;

anche il professor Giacinto Auriti, docente fondatore della facoltà di giurisprudenza di Teramo, ha compiuto numerosi studi sulla sovranità monetaria e sul fenomeno del signoraggio;

in particolare, il professor Giacinto Auriti ha sostenuto che l’emissione di moneta senza riserve e titoli di Stato a garanzia per la realizzazione di opere pubbliche non creerebbe inflazione in quanto corrisposto da un eguale aumento della ricchezza reale, e che le Banche centrali ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta, dando origine in tal modo al debito pubblico;

altra denuncia compiuta dal professor Giacinto Auriti è quella relativa alla totale assenza al livello giuridico di una norma che stabilisca in maniera univoca di chi sia la proprietà dell’euro all’atto della sua emissione. Per tali ragioni, ad avviso del professor Auriti, risulterebbe impossibile individuare chi sia creditore e chi debitore nella fase della circolazione della moneta e i popoli europei non sapranno mai se siano «creditori» (in quanto proprietari) o «debitori» (in quanto non proprietari) per un valore pari a tutto l’euro che viene messo in circolazione -:

se alla luce di quanto descritto in premessa il Governo non intenda intervenire, anche nelle competenti sedi europee, per verificare la compatibilità delle teorie elaborate dal procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini e dal professor Giacinto Auriti con i Trattati dell’Unione europea e il principio costituzionale della sovranità monetaria, anche al fine chiarire di chi sia la proprietà dell’euro al momento della sua emissione, quale sia la natura giuridica della moneta emessa dalle banche commerciali e, infine, quale sia la reale efficacia degli strumenti di controllo a disposizione della Banca centrale sulla massa monetaria messa in circolazione dalle banche commerciali.
(4-12113)


http://www.stampalibera.com/?p=27052



Il nuovo Pdl pensato dal premier: Alfano commissario e toto nomi per la Giustizia


Dopo il cappotto elettorale, il Cavaliere ritocca il partito. In testa c'è l'idea di affidare la guida di via dell'Umiltà all'attuale Guardasigilli. Per il suo posto sono in ballo due nomi: Lupi e Cicchitto, attuali vicepresidente e capogruppo alla Camera. Ma se il primo non piace alla Lega, il secondo smentisce e metterebbe in difficoltà Napolitano

Dopo il cappotto elettorale, il Pdl cerca nuove strade, dentro e fuori dal partito. Ieri l’ufficio di presidenza è stato rinviato di 24 ore per dare il tempo al Cavaliere di razionalizzare al meglio il nuovo schema del partito. Piani che in serata, come scrive l’agenzia di stampa Agi, sono stati, in parte, svelati. Primo punto, annunciato anche dal ‘Corriere della Sera’ di oggi, il commissario (o reggente) del Pdl. Ruolo che andrebbe al ministro della Giustizia Angelino Alfano. A lui, scrive l’Agi, riportando fonti vicine alla maggioranza, il compito di riscrivere lo statuto. In questo modo, però, Alfano lascerebbe il suo dicastero che passerebbe a Maurizio Lupi. Una nomina che però non è piaciuta alla Lega, vista l’appartenenza ciellina dell’attuale vicepresidente della Camera. Così ieri, nella concertazione generale, si era fatto pure un altro nome: quello di Fabrizio Cicchitto, attuale capogruppo alla Camera. In serata Cicchitto ha risposto a chi gli chiedeva conferma del progetto di nomina con un semplice “non ne so nulla, casco dalle nuvole”. E oggi rilancia: “Non ho nessuna intenzione di fare il ministro, preferisco il lavoro in Parlamento come sto facendo”. Ma se questo sarà lo schema definitivo, la palla dovrà comunque passare al presidente della Repubblica che ancora una volta si troverà tirato per la giacca nel firmare la nomina, quella di Cicchitto, di un ex piduista.

Scettico sulla strategia pare anche Ignazio La Russa che, in un’intervista al quotidiano ‘Il Messaggero’, parla chiaro: “Non è che se arriva Alfano al posto di Verdini si fanno miracoli. Non ci sono bacchette magiche. Il Pdl riparte solo se riusciremo a dare risposte alla gente”. Nonostante, sottolinea il ministro della Difesa, la stima e l’amicizia che lo lega al Guardasigilli. Che “vista la sua giovane età – aggiunge La Russa – è una risorsa nella prospettiva di un partito che duri a lungo”. Per lo stesso titolare della Difesa, attualmente tra i tre coordinatori del partito, è previsto un incarico di peso, ma non è ancora chiaro quale. I due, La Russa e Alfano, si sono comunque incontrati ieri. Appuntamento, spiegano fonti parlamentari del Pdl, che sarebbe servito ad aprire alla soluzione studiata dal Cavaliere.

E un altro incontro si è svolto ieri tra il premier e Denis Verdini affinché anche l’altro coordinatore di via dell’Umiltà possa dare l’ok al piano del presidente del Consiglio. Domani quindi nell’ufficio di presidenza del Pdl convocato per le ore 18 in via del Plebiscito, il Cavaliere dovrebbe già prospettare la possibilità che sia Alfano a guidare nel futuro il partito di via dell’Umiltà, mentre La Russa e Verdini – soprattutto quest’ultimo – potrebbero ricoprire incarichi legati all’organizzazione oppure restare coordinatori fino al cambiamento dello statuto. Eccoli, quindi, i punti salienti che stanno in testa al premier, il quale, nei giorni scorsi aveva anche sposato l’idea delle primarie. Nonostante qualcuno dalla maggioranza faccia notare come, da statuto, nessun cambiamento nell’impianto del triumvirato possa essere effettuato fuori dal congresso del partito.

Un’altra incognita, ricorda ancora il Corriere, è il nome di Claudio Scajola. Per cui, se Lupi dovesse passare alla Giustizia, si libererebbe il posto di vicepresidente della Camera. Mina vagante del piano sarebbe invece il governatore lombardo Roberto Formigoni che, ospite ieri a ‘Ballarò’, ha dichiarato: “Nel partito l’opinione di Berlusconi conta, ma non decide da solo”.



Nucleare, la Cassazione dice sì al referendum del 12 e 13 giugno. - di Silvia D’Onghia


Dopo la decisione dei giudici di mantenere l'atomo tra i quesiti, la battaglia elettorale entra nel vivo. Con le opposizioni unite per il 12 e 13 giugno. Caccia a 8 milioni di schede oltre a quelle delle amministrative. Bersani: “Togliamo l’ultima macchietta”

La Corte di Cassazione ha deciso: all’interno della tornata referendaria del 12 e 13 giugno ci sarà anche il quesito che chiede di bloccare per sempre i piani nucleari del governo. Nonostante la fiducia posta al decreto Omnibus, con cui il governo ha fatto marcia indietro rispetto alla decisione di costruire nuove centrali, il collegio – composto da 17 giudici e presieduto da Antonino Elefante - ha accolto l’istanza presentata dal Pd. L’opposizione chiedeva di votare le nuove norme appena inserite nel decreto. Insomma, al posto del vecchio quesito, agli italiani sarà chiesto di esprimersi sulle leggi appena varate dal Parlamento che congelano per 12 mesi il programma governativo per tornare all’energia prodotta dall’atomo. E, intanto, dall’Autorità garante per le Comunicazioni è arrivato il richiamo alla tv di Stato affinché collochi i messaggi autogestiti sulla tornata in fasce orarie di maggior ascolto.

Nonostante la decisione della suprema Corte, la sfida per raggiungere il quorum non sarà facile. Con l’attuale legge, servirebbero tutti i voti che le opposizioni hanno preso alle elezioni più – almeno – altre otto milioni di schede. E considerate le date, gli italiani potrebbero essere indotti ad andare al mare. Anche perché, come è stato dall’inizio, c’è un unico quesito che fa realmente paura a Berlusconi, quello sul legittimo impedimento. Nonostante ieri lo stesso presidente del Consiglio avesse messo le mani avanti: “Non mi sono mai occupato dei referendum – ha detto il premier – ma se la gente non lo vuole, non è che il governo può decidere, non possiamo obbligare nessuno a costruire centrali. Con molto dispiacere il governo si adeguerà”. “Berlusconi fa il gioco delle tre carte”, ribattono i Comitati.

E allora, se fino a prima delle amministrative in piazza scendevano l’Idv e i comitati referendari (cioè molta gente comune), adesso i muri delle città si riempiono di manifesti coi loghi dei partiti. Dopo la presa di posizione del presidente della Camera, Gianfranco Fini, che lunedì ha invitato tutti i cittadini ad andare a votare “per non rinunciare alle proprie prerogative” e ieri ha pranzato col leader Udc, Pier Ferdinando Casini anche per trovare una linea comune sul referendum , ieri è stata dunque la volta del centrosinistra. Ieri il segretario Pd, Pier Luigi Bersani, ha ribadito una massiccia campagna di iniziative: “Togliamo l’ultima macchietta”, ha detto riferendosi all’ormai celebre battuta sul giaguaro di Arcore. “Crediamo che il 12 e il 13 giugno possiamo dargli l’ultima spallata e dimostrare che in termini di fiducia e di programma Berlusconi non ha più alcun rapporto con gli italiani”, ha ribadito il leader Idv, Antonio Di Pietro, che dall’inizio ha sposato la campagna referendaria. Un appello al voto è arrivato anche da Nichi Vendola e Francesco Rutelli, che per la verità ha insistito solo sul nucleare riferendosi alla scelta tedesca di chiudere l’ultima centrale entro il 2020.

Ma la scia positiva dei ballottaggi entusiasma tutti. “Coloro che hanno votato alle amministrative rivoteranno per esprimere il loro dissenso rispetto a una certa maniera di fare politica – commenta padre Alex Zanotelli, membro del Comitato per i referendum sull’acqua –, sono profondamente fiducioso. Stiamo lavorando sodo da cinque o sei anni e ho la sensazione che la gente abbia capito di che si tratta, quanto è importante l’acqua, un bene già scarso”. Padre Zanotelli è contento di ricevere il supporto dei partiti, ma avverte: “Deve essere chiara una cosa: non accettiamo tradimenti. Non chiediamo una cosa generica, chiediamo che l’acqua venga gestita da un ente di diritto pubblico e non da una Spa”.

L’indicazione a votare quattro sì viene anche dal mondo cattolico: “Al di là di quello sull’acqua, per il quale siamo nel Comitato promotore – spiega il presidente nazionale delle Acli, Andrea Olivero – avremmo preferito non arrivare al referendum. Ma adesso che ci siamo, daremo indicazione di votare sì anche sul nucleare e sul legittimo impedimento. L’importante è che il tentativo maldestro del governo di soffocare il voto non vada a buon fine. La partecipazione è l’elemento per riprendersi la democrazia”.