Questa volta è una disfatta. Non ci sono sotterfugi, divagazioni, manipolazioni mediatiche che possano nascondere la realtà. Il berlusconismo crolla. Lo investe un moto di rigetto, da Milano a Napoli, che segna il tramonto di un’era politica. Il volto del Paese è cambiato. Tuttavia, il premier tenta di rimpicciolire il risultato. Non può negare la sconfitta, ma scarica su altri le responsabilità Nega che sia stato investito da questo esito disastroso il suo modo di governare. Attribuisce l’insuccesso a fattori locali, alle modeste qualità dei candidati messi in campo. Può essere comprensibile il tentativo di allontanare le realtà spiacevoli. Ma tutto ciò diventa patetico quando in questa umana debolezza cade un capo di governo, un leader. L’incapacità di dire la verità anche a se stesso è impressionante. Berlusconi sembra vivere in un mondo a parte. Si racconta la sua favola. Ma ormai ha raschiato anche il fondo del barile.
La vittoria del centrosinistra può avere molti padri, e già si vede la corsa a chi riesce a intestarsela per primo. Ma la sconfitta del centrodestra ha già un’accertata paternità, quella del Cavaliere. E’ difficile da spiegare come, in appena due anni, sia riuscito a dilapidare il patrimonio che aveva accumulato nelle ultime elezioni politiche. Certo, ci sono tutte le promesse non mantenute, c’è la crisi economica. Ma il discorso va oltre. Le ragioni vanno ricercate all’interno del berlusconismo, negli intrecci privati e personali inconfessabili, nella volgarità e rozzezza degli ultimi comportamenti, nel disprezzo sistematico delle regole e degli istituti di garanzia, nel discredito di cui soffre il Paese anche sullo scenario internazionale. Né si può trascurare l’indignazione suscitata sul terreno dell’etica privata e pubblica. C’è, in questo risultato elettorale, anche il caso Ruby, con le feste indecenti di Arcore, i misteriosi bonifici, i favori accordati alle compiacenti olgettine. Il risentimento popolare è diventato ribellione politica. Anche tra chi vota abitualmente centrodestra sono sorti i dubbi, e si è manifestato il rifiuto al momento di andare alle urne. L’inganno si è rivelato. Il rapporto seduttivo si è incrinato. E, con il crollo della fiducia in Berlusconi, è crollato anche Bossi. La sconfitta non è solo a Milano. Investe tutto il Nord, la fortezza del centrodestra, il suo serbatoio di voti.
Berlusconi e Bossi. Due debolezze che dovrebbero risollevarsi insieme. Ma è impresa assai difficile. Al principio, è naturale, prevale la prudenza. Almeno ufficialmente, il Cavaliere e il senatur non si scoprono. Ma per la Lega c’è l’esigenza primaria di ricostruire un rapporto con la base, di recuperare l’identità perduta. E, lungo questa strada, il rischio di entrare in rotta di collisione con il premier è reale. C’è chi prevede che il Caroccio chiederà la nomina di un vicepremier, il superministro dell’Economia Tremonti, mettendolo in rampa di lancio per il “dopo”. Ma Berlusconi è ancora convinto di avere lui il coltello dalla parte del manico. Certamente si muoverà. Però, con qualche trucco pirotecnico, ben difficilmente accettando di porre concretamente sul tavolo il tema della sua successione. Si parla nel Pdl di usare le primarie per scegliere i candidati. Ma dovrebbe valere anche per il candidato premier? E’ impensabile questo metodo per un partito a struttura cesarista, legato al destino di uno solo, condannato alla mancanza di ogni dibattito interno. Tuttavia, nemmeno il Pdl è il partito di un tempo. Con la crisi, si sono messe in moto correnti strutturate e agguerrite in lotta tra loro, si agitano pezzi di oligarchia che cercano di salvare almeno una parte del patrimonio. Anche tra i berluscones si è incrinato il mito del Cavaliere invincibile. E, del resto, anche sulla Lega soffia un insidioso venticello. Oggi, il Carroccio assomiglia sempre meno alla monarchia assoluta di un tempo..
Tracciare uno scenario ben definito è al momento prematuro. Ci sono i referendum di metà giugno. C’è, subito dopo, il 19 giugno, il pratone di Pontida e, a seguire, la verifica in Parlamento sulla maggioranza “allargata” e i nuovi sottosegretari imbarcati al governo. C’è, inequivocabile, la crisi economica, e si parla di mettere mano a una manovra di quaranta miliardi di euro. Come può il premier limitarsi al piccolo cabotaggio, chiuso nel suo bunker? Il berlusconismo sta finendo. Una nuova strada è possibile. Bisogna guardarsi, però, dalle insidie del suo arroccamento finale. Dagli ultimi frutti avvelenati di un carisma autoritario al tramonto.
http://www.libertaegiustizia.it/2011/05/31/sul-viale-del-tramonto/