domenica 12 giugno 2011

Dal processo breve al legittimo impedimento storia di una legge ad personam. - di Mario Portanova


Il disegno di legge proposto da Maurizio Gasparri ha suscitato polemiche di fuoco e, tra emendamenti e correzioni varie, giace tuttora in Parlamento. Ma ha aperto la strada alla norma con cui il premier stabilisce da sé se i suoi impegni istituzionali sono tali da far saltare l’udienza, mentre i normali cittadini possono soltanto presentare una richiesta al giudice, che si riserva di decidere. Anche se la Consulta ne ha depotenzionato gli effetti, solo la sua bocciatura popolare eliminerebbe qualunque possibilità di utilizzarla.


L'avvocato del premier Berlusconi alla seduta della Consulta sulla costituzionalità del legittimo impedimento

In principio fu il “processo breve”, stravagantedisegno di legge proposto da Maurizio Gasparriche potrebbe stroncare migliaia di processi in corso: tutti quelli che non arrivano a sentenza definitiva sei anni dopo la richiesta di rinvio a giudizio, eccetto i dibattimenti per alcuni reati gravi, decisi preventivamente da Gasparri medesimo.

Il processo breve ha suscitato polemiche di fuoco e, tra emendamenti e correzioni varie, giace tuttora in Parlamento dopo essere stato approvato al Senato il 20 gennaio di quest’anno e, con modifiche, alla Camera il 13 aprile, tra le proteste delle vittime di importanti casi giudiziari, come il rogo della Thyssen o il crac Parmalat.

Ma, come spesso è accaduto nella decennale storia delle leggi ad personam in favore di Silvio Berlusconi, il fantasma del processo breve ha aperto la strada a una proposta alternativa meno devastante, portata avanti in parallelo dalla maggioranza di centrodestra: il “legittimo impedimento”, la norma sottoposta a uno dei referendum del 12 e 13 giugno, che avrebbe permesso di salvare il presidente del Consiglio dai suoi processi senza affossarne altri.

Non è un caso che il relativo disegno di legge sia stato presentato dall’ex parlamentare di opposizione, l’Udc Michele Vietti, attuale vicepresidente del Csm, proprio con l’ottica della “riduzione del danno”, come spiega Marco Travaglio nella dettagliatissima ricostruzione contenuta in Ad personam (edizioni Chiarelettere, 2011).

Il legittimo impedimento esiste già nel codice di procedura penale, e vale per tutti i cittadini. Se per esempio un imputato è immobilizzato a letto da una grave malattia, il giudice ne prende atto e rinvia l’udienza del processo. Allora perché “ad personam”? Perché a norma presentata da Vietti riguardava soltanto “le prerogative del presidente del Consiglio”: i suoi impegni di governo, in pratica, avrebbero costituito automaticamente un “legittimo impedimento” a presentarsi in aula.

L’intento di preservare Berlusconi dai processi in corso (tra cui il temuto caso Mills) è dichiarato esplicitamente dal leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini e messo nero su bianco nel decreto Vietti, un provvedimento transitorio “nelle more della definitiva promulgazione” di una legge che regoli il rapporto della alte cariche dello Stato con la giustizia. In sostanza il cosiddetto Lodo Alfano, che avrebbe messo il premier al riparo da qualunque processo per tutta la permanenza in carica. Il Lodo era già stato bocciato dalla Corte costituzionale, ma il Pdl stava lavorando a una nuova formulazione.

Dopo un’altra girandola di discussioni ed emendamenti, il 2 febbraio 2010 il testo viene approvato alla Camera. La differenza fondamentale rispetto alla norma che vale per tutti è questa: il presidente del Consiglio stabilisce da sé se i suoi impegni istituzionali sono tali da far saltare l’udienza, mentre i normali cittadini possono soltanto presentare una richiesta al giudice, che si riserva di decidere. Il 10 marzo, con una celerità sorprendente e ben due voti di fiducia posti dalla maggioranza, il legittimo impedimento è approvato anche al Senato. Diventa legge il 7 aprile, con la firma del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Mentre parte la raccolte firme per il referendum contro la nuova legge, messa in moto dall’Italia dei Valori, si rivolge alla Corte costituzionale la Procura di Milano, titolare di tre processi contro Silvio Berlusconi (Mills, diritti Mediatrade e presunta frode fiscale Mediaset, mentre i caso Ruby in quel momento è di là da venire). Il 13 gennaio di quest’anno, la Corte definisce incostitituzionali alcune parti della norma sul legittimo impedimento, in particolare proprio quella che sottrae al giudice il potere di decidere, cioè il punto chiave che sta più a cuore a Berlusconi e ai suoi. I processi di Milano continuano, senza alcuna possibilità di “autocertificare” impegni irrinunciabili, tant’è che in diversi casi il presidente del Consiglio si presenta in aula.

Il referendum voluto dall’Idv viene comunque ritenuto ammissibile, con il quesito riformulato.



L’elettorato è chiamato a votare sì per abrogare la norma sul legittimo impedimento o no
per conservarla. Una norma che è ancora in vigore, anche se depotenziata nei suoi effetti dalla decisione della Corte costituzionale. La sua bocciatura popolare eliminerebbe qualunque possibilità di utlizzarla, magari giocando su cavilli e interpretazioni, da parte dei legali del presidente del Consiglio. E, sottolineano i promotori, sarebbe un forte segnale politico contro di lui e contro la pratica delle leggi ad personam.



Guida giuridica al legittimo impedimento “Ecco perché votare sì al referendum”. - di Chiara Avesani


Intervista a Guido Neppi Modona. Il vice presidente emerito della Corte Costituzionale spiega perché, dal Lodo Schifani al Lodo Alfano fino all'ultima legge ad personam, la Consulta ha sempre respinto le leggi presentate dal centrodestra in materia di giustizia. E perché il sì dei cittadini è così importante per ristabilire il giusto ruolo della maggioranza parlamentare.


Il vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, Guido Neppi Modona

“La maggioranza non è onnipotente, fermiamo il tentativo di attentare alla Costituzione”. Il 12 e 13 giugno si terranno i referendum sull’acqua, nucleare e legittimo impedimento. Perché siano validi servono oltre 25milioni e trecentomila votanti. Il vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, Guido Neppi Modona, spiega le ragioni del voto al referendum e il significato dell’abrogazione del legittimo impedimento.

Partiamo dal voto per il referendum sul legittimo impedimento. Perché andare a votare?
Perché questo voto non è solo sul legittimo impedimento, ma è un voto su un certo modo di attentare alla Costituzione repubblicana. E’ per questo che è così importante.

Ha un significato tanto ampio?
Certamente. La vittoria dei “sì” significa mandare un segnale forte: i cittadini non ammettono che la maggioranza sia onnipotente. Per capirlo bisogna ricordarsi come ci si è arrivati alla legge sul legittimo impedimento.

Come?
La legge sul legittimo impedimento è del 2010, ma la sua storia viene da lontano. Le radici affondano nei tentativi del Presidente del Consiglio di garantirsi l’immunità dai processi, prima con il Lodo Schifani e poi con il Lodo Alfano. Due tra le più indecenti leggi ad personam della Repubblica.

Come fa a dire che sono leggi ad personam?
Basta guardare la cronologia delle udienze dei processi Sme, Mills e Mediaset e le date dei lavori parlamentari. Questi sono dati oggettivi. Lo scopo è bloccare i processi nei quali il Presidente del Consiglio è imputato.

Cosa prevedevano i lodi Schifani e Alfano?
Il lodo Schifani è del 2003 e vietava di processare per qualsiasi reato, anche commesso prima della nomina, cinque cariche dello Stato: il Presidente della Repubblica, del Senato, della Camera, del consiglio dei Ministri, che allora come ora era Berlusconi, e della Corte costituzionale. Gli eventuali processi già in corso si sarebbero dovuti sospendere. Ma con sollecitudine la Corte costituzionale lo fulminò.

Perché?
Perché era illegittimo: violava chiaramente il principio di uguaglianza. La Costituzione prevede che tutti i cittadini siano ugualmente sottoposti a processo penale, se commettono dei reati. Se si vogliono inserire immunità o privilegi, si deve fare una modifica costituzionale. Purtroppo la motivazione di questa sentenza non fu abbastanza chiara e quindi il problema si ripresentò con il lodo Alfano.

Perché non fu chiara?
Io di quella sentenza ho ricordi precisi perché facevo parte della Corte Costituzionale. Il problema era stato che in camera di consiglio ci siamo accorti che non c’era la maggioranza dei giudici per affrontare il problema di fondo.

Cioè?
Il problema di fondo è che queste cose possono essere fatte solo con legge costituzionale. Non basta una legge ordinaria, servono maggioranze molto ampie, perché si tratta di cambiare uno dei principi fondamentali dell’ordinamento: l’uguaglianza di tutti i cittadini. Invece non ci fu il coraggio di dirlo subito chiaramente. La sentenza sembrava quasi suggerire quali correzioni avrebbero dovuto essere apportate alla legge. Il che puntualmente avvenne con il lodo Alfano che portava qualche modifica, ma continuava ad essere una immunità mascherata.

Quindi anche il lodo Alfano venne dichiarato incostituzionale.
Certamente. E questa volta spiegando che per inserire una immunità che privilegi i ministri o titolari di alte cariche dello Stato è necessaria una legge costituzionale, con una maggioranza molto più ampia di quella di chi vince le elezioni. E’ un principio fondamentale. E’ il messaggio che si manda votando “sì” a questo referendum.

In che modo sono collegati i lodi Schifani e Alfano alla legge sul legittimo impedimento?
Dopo due sentenze della Corte è stato chiaro che non si potevano inserire immunità con una legge ordinaria. Ma la maggioranza più ampia non c’era quindi la via delle immunità era definitivamente sbarrata. I legali del Presidente del Consiglio si trovarono costretti, per raggiungere lo stesso effetto, a percorrere una via più problematica: rinviare continuamente le udienze per legittimo impedimento. E hanno pensato a una legge apposita per ampliarne l’uso.

Cos’è il legittimo impedimento? A cosa serve nel processo penale?
Il legittimo impedimento esiste da sempre nel codice di procedura penale. Si tratta dell’assoluta impossibilità dell’imputato di comparire in udienza. Se il giudice accerta che l’imputato non poteva presentarsi per un impedimento grave e assoluto, rinvia l’udienza perché possa essere presente a difendersi.

In quali casi si può essere giustificati?

Possono essere situazioni di infermità fisica, ricovero ospedaliero, detenzione all’estero, ma anche la partecipazione ai lavori parlamentari e, per i ministri, le attività istituzionali di governo, come la partecipazione al consiglio dei ministri.

Se c’è già nel codice di procedura penale, perché è stata fatta una legge apposta?

Evidentemente la disciplina ordinaria del codice non era sufficiente per il Presidente del Consiglio. Ecco quindi la legge di cui parla il referendum del 12 giugno: una legge speciale sul legittimo impedimento in cui, solo per il Presidente del Consiglio e dei ministri, gli impedimenti legittimi sono molti più ampi che per i comuni cittadini. E la Corte Costituzionale è di nuovo intervenuta.

A cosa serve il referendum, quindi, se è già intervenuta la Corte costituzionale?
La Corte ha eliminato in parte questa legge. Il referendum si riferisce a quello che è rimasto in piedi dopo la sentenza della Corte. Il quesito del referendum chiederà “ Si vuole abrogare la legge n. 51 del 2010 come risulta a seguito della sentenza della Corte costituzionale?” Sì! Ciò che è rimasto di questa sciagurata legge va definitivamente eliminato per chiarire un equivoco di fondo: cioè che la semplice maggioranza in Parlamento non è onnipotente.

Con il referendum quindi i cittadini completano il lavoro della Corte Costituzionale.
Sì. Ormai sono più di dieci anni che le preziose risorse del Parlamento e del Governo che dovrebbero essere utilizzate per l’interesse di tutti, vengono invece strumentalizzate per creare leggi ad personam per il Presidente del Consiglio. Nel frattempo altre risorse, quelle della Corte Costituzionale e del Presidente della Repubblica sono state costrette a bloccare i danni provocati alla Costituzione da queste leggi ad personam incostituzionali. Dieci anni di risorse sprecate spese, rispettivamente, per attentare alla Costituzione e per difendere la Costituzione.

Votare sì al referendum significa liberarsi dei rimasugli di queste leggi che hanno avvelenato gli ultimi dieci anni della nostra storia Repubblicana.




sabato 11 giugno 2011

"Ancora festini, Silvio è malato" le telefonate Briatore-Santanché.


Nuovo capitolo delle vicende che riguardano Silvio Berlusconi e lo scandalo Ruby: l'affarista - intercettato nell'ambito di un'inchiesta per evasione fiscale - parla con il sottosegretario delle feste del premier: "Sta male come dice Veronica". Nelle trascrizioni si parla anche di Geronzi e Lei.


MILANO - "Lele Mora mi ha detto: tutto continua come nulla fosse". A parlare è Flavio Briatore e il 'tutto' che continua sono i festini di Silvio Berlusconi: "Non più lì ad Arcore - continua l'ex manager di Formula Uno - ma nell'altra villa. Tutto come prima". Sono le trascrizioni delle intercettazioni - disposte dalla procura di Genova nell'ambito di una inchiesta per evasione fiscale - di conversazioni tra Flavio Briatore e il sottosegretario Daniela Santanché che sono state inviate alla procura di Milano, dove sono in corso i procedimenti per il caso Ruby. Briatore e la Santanché sono stati soci nel Billionaire.

Le telefonate risalgono allo scorso aprile, quindi mesi dopo lo scoppio dello scandalo e l'apertura dell'inchiesta della procura di Milano nei confronti del premier, Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti.

Briatore racconta alla Santanché che Lele Mora è andato a trovarlo e gli ha raccontato che "tutto va avanti: stesso gruppo, qualche new entry, ma la base del film è uguale". In un'altra telefonata, sempre Briatore commenta con il sottosegretario una nuova festa del premier: "Ha ragione Veronica, è malato. Persino Lele Mora è in imbarazzo!". Dall'altra parte della linea la Santanché è lapidaria: "Ma allora qua crolla tutto".

Nelle intercettazioni, Briatore e Santanché parlano anche di economia e politica: Mediobanca, le
le dimissioni di Geronzi da Generali, le posizioni di Tremonti la nomina di Lorenza Lei come direttore generale della Rai ("Una mia carissima amica", dice il sottosegretario).

Su Repubblica in edicola, tutte le intercettazioni tra Flavio Briatore e Daniela Santanché..



Il premier pentito "Che errore dire che non voterò". - di AMEDEO LA MATTINA


Il timore: se va male, sarò considerato sconfitto come Craxi.

«Ho sbagliato. Mi è sfuggito, ma non riusciranno a darmi la spallata». Berlusconi si è pentito di avere detto che non andrà a votare per i referendum. Gli era stato consigliato di non pronunciarsi, di non attirare l’attenzione. Dopo la batosta delle amministrative gli «strateghi» del Pdl hanno capito che le parole del Cavaliere mobilitano, eccome se mobilitano di questi tempi, nel senso che tutti quelli che sentono l’odore del sangue (quello del premier) o che più semplicemente vogliono voltare pagina politica si precipitano a votare.

«Morditi la lingua», gli avevano detto in coro stereofonico Letta, Alfano, Verdini, Cicchitto. Invece il premier spontaneo non ce l’ha fatta. Ha inanellato involontariamente una serie di spot pro-referendum. Qualche giorno fa aveva detto che queste consultazioni sono «inutili e dannose». E a qualcuno dalla memoria robusta era venuto in mente quando Craxi disse, nel 1991, che quello sulla preferenza unica voluto da Mario Segni era «il più inutile fra i referendum». Memorabile il consiglio del leader socialista ai cittadini di andare al mare: venne giù il diluvio politico, si recarono a votare 27 milioni di elettori, pari al 62 per cento. Adesso i promotori del referendum del 12-13 giugno non sperano tanto, anche se sono convinti di essere vicinissimi alla fatidica soglia del 50 per cento più uno, sfatando la maledizione che dal ‘95 vede fallire tutte le consultazioni referendarie.

Cosa accadrà è ancora tutto da vedere, ma anche Berlusconi ha dei sondaggi con percentuali vicine al quorum. Però fa sapere di essere «tranquillo»: «Se questa sciagura del quorum dovesse accadere andremo avanti». Ma potrà farlo come se nulla fosse? Non ha gradito le recenti esternazioni del Capo dello Stato sul dovere di andare a votare che spingono gli italiani verso le urne. Come se non bastasse, anche le parole del Papa Benedetto XVI sul rispetto dell’ambiente e i pericoli del nucleare hanno lo stesso effetto spingi-quorum nell’elettorato cattolico. L’onda antiberlusconiana potrebbe diventare alta e il rischio di un «effetto Craxi» ha messo in serio allarme la war room del premier. Per questo lo stesso Cavaliere ha riconosciuto di avere sbagliato, di essersi fatto scappare quel «non vado a votare, è un diritto dei cittadini non recarsi alle urne». Come del resto ha detto Bossi, l’altro leader della maggioranza il cui destino è sempre legato a quello di Berlusconi. La vittoria del sì sarebbe la sconfessione di alcuni punti cardine del programma dell’esecutivo su giustizia, ambiente ed energia. Punti che sono altrettanti provvedimenti governativi che Berlusconi, con il suo invito ad astenersi, non difende nelle urne. Fallire il quorum invece sarebbe per il centrodestra una boccata d’ossigeno non indifferente alla vigilia della verifica parlamentare del 22 giugno. Sarebbe un analgesico sulle ferite delle amministrative.

Così, dopo l’errore del premier, gli «strateghi» del Pdl ieri hanno cercato di tamponare la falla. Si era pensato a una raffica di dichiarazioni dei big del Pdl e del governo per raddrizzare la gaffe del premier. Ma si è preferito tenere un profilo più basso per evitare di moltiplicare l’effetto spot contrario. Meglio dire che tutte le scelte - voto, non voto, astensione - sono legittime. E ribadire, come hanno fatto il capogruppo Cicchitto e la vice portavoce Bernini, che comunque vada a finire il governo non è in discussione. E’ esattamente quello che ieri Berlusconi ha voluto che filtrasse da Palazzo Chigi: mostrare tranquillità, dire che non ci saranno spallate al suo governo. Piuttosto, la maggioranza deve concentrarsi sulla verifica parlamentare voluta da Napolitano dopo il minirimpasto. E’ questa magari la preoccupazione maggiore, dicono i berlusconiani, perché il pallottoliere traballa dopo la mini-scissione di Miccichè e le permanenti fibrillazioni dei Responsabili. Elezioni alle viste nel 2012?



Da Fukushima, appello per il referendum.



Da Fukushima, Kumi Naidoo, Direttore di Greenpeace International e Junichi Sato, Direttore di Greenpeace Giappone, fanno un appello agli italiani per andare a votare Sì al referendum del 12 e 13 giugno.


La triste fine del Cavaliere Berlusconi DI GUILLERMO ALMEYRA

La Jornada

Silvio Berlusconi, l’uomo più ricco d’Italia e zar della televisione e dei mezzi di comunicazione, fra le tante cose, è nel momento più difficile della sua carriera imprenditoriale e politica cominciata, secondo le accuse che gli fanno, come prestanome della mafia nel ramo dell’edilizia e come protetto del grande corrotto e corruttore Bettino Craxi, che ha dovuto morire in esilio per non finire i suoi giorni in un carcere italiano.

Infatti Berlusconi affronta procedimenti giudiziari per corruzione, appropriazione indebita, abuso di potere, favoreggiamento della prostituzione, corruzione di minori, prevaricazione, falso in bilancio e svariati altri reati e se perdesse l’immunità che gli deriva dalla sua carica di primo ministro (e dalle leggi ad hoc votate dai suoi servitori per mantenerlo fuori dai tribunali), potrebbe andare in carcere o in esilio, come il suo predecessore e padrino Bettino Craxi.

Berlusconi aveva trasformato le recenti elezioni municipali in un referendum sul suo governo e la sua persona, perché si aspettava una sostanziosa vittoria.

Ebbene, queste elezioni sono state precisamente questo, un referendum, ma nel quale è stato ripudiato e condannato. Infatti, ) nonostante il primo ministro abbia usato al massimo il suo contollo sulla televisione privata (di sua proprietà) e su quella pubblica (la RAI), che controlla grazie ai suoi servi, e abbia riempito gli schermi con i suoi commenti e la sua immagine, il governo ha perso il controllo di città come Napoli, Torino, Milano, Cagliari, Trieste, Novara, Bologna, Arezzo, così come quelle della Toscana o Arcore, la sua città di residenza e il luogo dove realizza le orge, i famosi bunga bunga, fra gli altri peccati minori.

Al nord, bastione della Lega Nord, il suo principale alleato, separatista, razzista e xenofobo, e a sud, dove il voto conservatore e fascista è sempre stato importante, ha stravinto un centrosinistra rinnovato per lo meno per quanto riguarda i suoi canditati, perché invece dei vecchi rappresentanti di partito ha presentato personaggi nuovi e più giovani, con un discorso democratico più di sinistra che in passato.

Gli elettori hanno disatteso in questo modo gli avvertimenti di Berlusconi per il quale se il centrosinistra avesse vinto a Milano la città sarebbe diventata zingaropoli piena di moschee e rifugio di immigrati ed omosessuali.

Una città ricca e di classe media benestante e conservatrice (Milano) che la destra controllava da 20 anni, ha votato contro Berlusconi, così come lo ha fatto una parte importante degli imprenditori e del mondo finanziario, della chiesa cattolica, della stampa conservatrice, come Il Corriere della Sera, o anche il romano La Repubblica, e del bacino elettorale popolare della Lega Nord. Tutti costoro si rendono conto che un avventuriero e maniaco sessuale senza scrupoli né idee non garantisce niente a nessuno, neanche al capitalismo italiano.

Come risultato di questo tsunami politico, la Lega Nord è sulla difensiva e indebolita; l’alleanza con Berlusconi è in crisi, perché quelli del nord vedono che il primo ministro fa perdere loro appoggio popolare e come conseguenza, civettano con gli ex-comunisti di destra del Partito Democratico, che tendono loro la mano offrendo ponti, dimenticando la xenofobia e il separatismo dei leghisti.

Anche nel centrosinistra vincitore c’è crisi tra il Partito Democratico e l’elettorato della classe media e popolare più radicale, che ha neutralizzato e perfino conquistato settori popolari che prima votavano il Cavaliere.

Quest’ultimo è più isolato che mai anche sul piano internazionale, nonostante esistano ancora governanti, come il presidente dell’Argentina, che dicono con sorprendente superficialità che l’Italia è un modello da e imitare, ignorando che le medie imprese del nord si fondano sulla deregulation sindacale, la xenofobia, i salari in nero e e sull’eccessivo sfruttamento del lavoro familiare, così come sull’esportazione di capitali e sulla delocalizzazione verso i paesi dell’Europa orientale.

Berlusconi, che non si è ancora ripreso dal colpo ricevuto, dovrà affrontare il 12 e 13 del mese in corso una serie di quattro referendum che chiedono l’abrogazione del nucleare, che venga impedita la privatizzazione dell’acqua e che vengano posti ostacoli alla discrezionalità del governo sull’utilizzo di fondi pubblici. In altre parole i referendum si oppongono soprattutto al tentativo di lasciare il territorio e la salute in mano al capitale reintroducendo l’energia nucleare che era stata proibita da già quasi un quarto di secolo e regalando al grande capitale una risorsa di tutti come l’acqua.

L’unica possibilità che Berlusconi non sia nuovamente schiacciato dal voto di opposizione risiede nell’eventualità che i suffragi non arrivino al 50 per cento del corpo elettorale. Ma l’ opposizione è motivata e mobilitata, oltre che entusiasta, dalla possibilità di rafforzare il suo successo nelle amministrative con un’altra disfatta politica di Berlusconi che faccia precipitare la crisi nella coalizione di governo ed obblighi il Cavaliere a convocare elezioni anticipate perché, se si ostinasse ad arrivare al termine legale, nel 2013, la situazione economica e politica sarebbe ancora più sfavorevole.

Bisognerà aspettare quindi fino a metà giugno per vedere se il governo Berlusconi, ferito, sopravvive ancora un poco, se al contrario cade o se decide affossare il paese nel caos per conservare il potere (e la sua libertà personale) secondo il principio che ispirava Luigi XIV: Dopo di me, il diluvio.

Il destino del Cavaliere, come sempre, non dipende solo dalla volontà dell’elettorato o dai calcoli dei suoi alleati razzisti e reazionari, ma anche dalla pusillanimità e dall’opportunismo dei dirigenti del Partito Democratico e del centrosinistra, che temono di essere spazzati via dalla loro stessa vittoria.

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