giovedì 16 giugno 2011

Berlusconi teme un nuovo '92. - di Ugo Magri


Per una volta che i pm non azzannano lui, ma mettono sulla graticola amici incrollabili come Letta, personaggi devoti come Verdini, e tutto un certo mondo di cui si è servito, da cui si è fatto servire, ecco Berlusconi tirar fuori un tratto nuovo del suo carattere, tra il cinico e lo zen.

La tarda metamorfosi dell’uomo lo porta (secondo testimoni degni di fede) non a reagire con ira, ma quasi a girare le spalle. «Riparte da Napoli l’assalto dei magistrati? Puntano a coinvolgere Gianni? Bah... tante volte ci hanno già provato, finirà allo stesso modo», pare sia stata la prima reazione. Quasi distratta.

A notte Letta medesimo e il capogruppo Cicchitto ragguagliano Berlusconi. Più che dalle indagini sulla P4, più che dall’arresto di quel Bisignani che aveva una stanza a Palazzo Chigi, che addirittura gli fece far pace con la Santanchè (pentendosene molto, a quanto pare), la mente del Cavaliere in questo momento è ossessionata dai «suoi» processi, in special modo dai 750 milioni di euro che rischia di risarcire a De Benedetti: come se Paperone dovesse consegnare il Deposito all’odiato Rockerduck. In Sant’Ambrogio, tra le lacrime per l’ultimo saluto a Comincioli, vecchio compagno di scuola, Silvio commiserava ieri mattina la propria sorte: non saprebbe dove prendere tutti quei soldi se arrivasse la condanna tempo due settimane. «Vive un momento particolare, non ha la lucidità di sempre», qualcuno della vecchia guardia prova a giustificarlo. Altri azzardano un paragone terribile: «Siamo nella stessa condizione del Vaticano quando moriva un Papa, e usciva il francobollo della serie “Sede Vacante”...».

Con Berlusconi «assente», l’inchiesta di Woodcock viene vissuta nel Pdl come un salto di qualità nella lunga lotta tra centrodestra e procure. L’intero gruppo dirigente, senza eccezioni, ritiene che siamo alla resa dei conti. I pm (è la tesi collettiva) puntano a una crisi non solo di governo ma di regime, dell’intero sistema di potere berlusconiano che ha impregnato di sé l’ultimo ventennio. Mirano a destrutturarne il blocco politico (che effetto avrà domenica su Pontida questa nuova raffigurazione di Roma «capitale infetta», con il cuore dell’infezione proprio a Palazzo Chigi? Come reagirà la base della Lega?). I pm puntano, secondo la resistenza berlusconiana, a scompaginare il personale politico ancora fedele al Capo. Gianni Letta è rimasto l’unico, nella Sede Vacante, a sbrigare gli affari correnti, a fornire l’illusione di una continuità amministrativa ispirata a decoro. L’altro giorno ha voluto incontrare il presidente della federazione internazionale di pallavolo, Jizhong Wei, tenendo in anticamera una folla di ministri, da Calderoli alla Prestigiacomo, e tutto per consegnare all’ospite cinese un’alta onorificenza tricolore. Il galateo, le forme: venisse meno Letta, resterebbe il deserto.

Di tutto ciò si parlava ieri, nei conciliaboli di via dell’Umiltà. Del «tempismo assoluto», secondo Cicchitto, con cui le inchieste sono ripartite «tutte insieme dopo lo scossone politico». E dell’indagine a carico del governatore siciliano Lombardo avocata invece dal procuratore di Catania, «due pesi politici e due misure» secondo i pasdaran berlusconiani. E dell’altro arresto di ieri, quello a Torino dell’assessore Ferrero, vissuto nel giro del premier come un classico esempio di politica «commissariata dai giudici». Osvaldo Napoli teorizza: «Quando la politica diventa debole, le procure colmano il vuoto». Quagliariello, che tra le menti berlusconiane è la più capace di suggestioni, scorge «segni evidenti di ritorno al ’92», alla crisi della Prima Repubblica crollata sotto i colpi di Tangentopoli. Perché oggi, proprio come allora, sono protagonisti Di Pietro e le toghe».

Ma sotto sotto tutti quanti ammettono, sotto voce: ce la siamo andata un po’ a cercare. Perché la campagna forsennata a Milano contro i giudici «brigatisti» ha trasformato il voto nel trionfo della Boccassini; perché a Napoli il «partito dei giudici» ha imposto non solo De Magistris come sindaco, ma pure il pm che inquisì Cosentino come assessore; perché il referendum sul legittimo impedimento mette di fatto la pietra tombale su qualunque futura legge «ad personam». Prima a farne le spese sarà la cosiddetta «prescrizione breve». «Berlusconi può scordarsela», dice chi ha svolto gli opportuni sondaggi sul Colle, «Napolitano non gliela firmerà mai».



Milano, a Malpensa business & decessi Scalo sotto inchiesta per “disastro ecologico”. - di Thomas Mackinson


Un documento esclusivo inchioda Sea, la società che gestisce l'aeroporto, per aver messo a rischio la salute di 250mila persone. Nella zona le vittime di malattie respiratorie sono quattro volte di più del resto della provincia. Un altro duro colpo ai piani di espansione dell'azienda in Borsa. E adesso la palla passa alla magistratura


“Disastro ecologico nell’area adiacenteMalpensa, nel pieno Parco del Ticino, dovuto al sorvolo degli aeromobili in decollo”. Una riga che ha il peso di un macigno per chi vive sotto le rotte dello scalo, per i progetti di espansione dell’aeroporto che vuol diventare il grande hub padano e sulla quotazione del gestore Sea che il Comune di Milano ha pianificato in autunno. Grazie a documenti esclusivi raccolti dal fattoquotidiano.it si scopre che l’aeroporto della salvezza in realtà è una condanna per l’ambiente e per le popolazioni che vivono entro un’area di 100 chilometri quadrati, una minaccia per la salute di 250mila cittadini sacrificati sull’altare della ragion politica. La nuova giunta Pisapiadovrà presto farci i conti e intanto i decessi in zona Malpensa per malattie respiratorie sono 4 volte superiori rispetto al resto della provincia.

A definire “disastro ecologico” l’impatto di Malpensa è una nota del ministero dell’Ambiente del 7 ottobre 2010 trasmessa a tutti gli enti con competenze aeroportuali: Regione Lombardia, ente Parco del Ticino, ministeri di Trasporti e Agricoltura. Peccato che quel dossier sia rimasto nel cassetto, forse per non danneggiare l’imminente collocamento del titolo Sea che dovrebbe portare al Comune di Milano un dividendo da 160 milioni, già scritto a bilancio dalla giunta Moratti. La notizia rischia di far saltare l’operazione: dopo gli addii di Alitalia nel 2007 e Lufthansa oggi, chi mai investirebbe su un “disastro ecologico”? Chi comprerebbe azioni di una società che va incontro a milioni di euro di indennizzo?

Alla comunicazione ministeriale è allegata una relazione del Corpo Forestale dello Stato, comando di Varese, che attesta la moria degli uccelli e la desertificazione dei boschi e termina ipotizzando “un’eventuale costituzione di parte civile del ministero dell’Ambiente”. I lumbard sono seduti su una bomba pronta a esplodere in una guerra legale di tutti contro tutti: ministero contro ministero, enti locali contro Sea, comitati contro la Regione.



Da anni si sapeva tutto. Malpensa, disastro ecologico. Eppure c’è chi sapeva tutto e niente ha fatto per impedirlo. Nel 1999 il signor Umberto Quintavalle, proprietario di un fondo di 210 ettari nel Parco del Ticino, ha intentato una causa-pilota contro Sea per danno biologico alla propria terra, desertificata dagli idrocarburi scaricati dagli aerei in decollo. La perizia disposta dal Tribunale di Milano attesta che, nei terreni del parco (protetto dall’Unesco), i livelli di idrocarburi superano la soglia consentita e sono addirittura cinque volte superiori rispetto a quelli del casello di Melegnano (A1), il più trafficato d’Italia. A ottobre 2008 è arrivata la sentenza che condanna Sea a risarcire la proprietà con 5 milioni di euro. La società pubblica è ricorsa in appello con poche speranze di ribaltare un giudizio che, per la prima volta in Italia, riconosce il danno ambientale causato dal sorvolo degli aerei e apre la via ad analoghi procedimenti in altre aeree aeroportuali.

Dal 2008 alcuni studi sulla qualità dell’aria hanno rafforzato poi l’allarme sulla pericolosità di Malpensa per la salute della popolazione residente. Negli ultimi due anni Arpa Lombardia, proprio a seguito della sentenza Quintavalle, ha effettuato numerose campagne di misurazione nei comuni di sedime aeroportuale e ha riscontrato livelli di ozono, idrocarburi, metalli pesanti e particolato superiori alle soglie consentite. Con quali effetti sulla salute lo rivela poi un’indagine epidemiologica della Asl della Provincia di Varese condotta nei comuni intorno allo scalo varesino. Lo studio ha analizzato i dati clinici di 12 anni (1997-2009) e ha registrato un aumento della mortalità per malattie respiratorie del 54,1% e un balzo nei ricoveri ospedalieri pari al 23,8%, contro medie per tutta la provincia del 14 e del 7,8%. Anche un recentissimo studio dell’Università Cattolica di Brescia sulla qualità dell’aria mette in croce Malpensa. Si tratta di in un campionamento dei valori inquinanti con diverse postazioni nei comuni intorno all’aeroporto. I risultati sono stati presentati a maggio e segnalano la criticità raggiunta da alcuni inquinanti cancerogeni come il benzopirene che a Besnate ha raggiunto il livello di guardia. Anche questi dati sono stati ignorati dagli enti preposti alla tutela dell’ambiente e della salute.

Tuttavia l’effetto domino è iniziato. Lo smottamento innescato da Quintavalle ha prodotto una valanga nel resto d’Italia: il 2 marzo il ministero della Salute ha finanziato con 550mila euro uno studio epidemiologico coordinato tra le Asl di Torino, Pisa, Verona, Milano. Roma è esclusa perché Ciampino è già oggetto d’uno studio denominato “Sera”, presentato nel 2009, che conferma la correlazione tra aeroporto ed esposizione a inquinanti acustici e chimici. I risultati arriveranno tra 2 anni ma le conclusioni, visti i precedenti, lasciano poco spazio all’ottimismo. A Malpensa analisi di tal tipo erano previste fin dal 1999, quando un decreto del governo D’Alema dava il via libera all’espansione a condizione che fosse istituito un “Osservatorio permanente” su salute pubblica e ambiente, mai insediato. Ora i nodi vengono al pettine.

Ma chi sono i responsabili del “disastro ecologico”? Fin da Malpensa 2000 Regione Lombardia, Comune di Milano e il governo centrale hanno assecondato il sogno di un grande hub padano e hanno incaricato Sea di realizzarlo, abdicando al loro ruolo di indirizzo e lasciando che un soggetto pubblico si comportasse come un privato, cieco davanti ai profitti (da portare in dote al proprio azionista, il Comune di Milano) e sordo alle richieste dei residenti.

E la storia si ripete con il piano investimenti Sea (2010-2020) da 1,3 miliardi di euro che ruota attorno alla “Terza pista” e che suscita tanti dubbi perché le previsioni di crescita del traffico aereo poste a base del piano risultano sovrastimate: la capacità delle piste attuali supera i 38 milioni di passeggeri/anno quando l’esigenza di oggi non va oltre i 18 e le previsioni per il 2025 i 30. Le stesse compagnie aeree mettono in dubbio l’utilità di una nuova pista: Alitalia e Lufthansa hanno lasciato lo scalo varesino e altri operatori hanno ridimensionato i loro collegamenti. Perfino Confindustria (Assaereo) ha bollato come inutile una nuova pista. E contrari sono anche i comitati delle popolazioni locali che vengono tacciati di “estremismo ambientalista” e ignorati nonostante anni di manifestazioni, banchetti, raccolta firme, appelli e denunce. Sindaci, associazioni ambientaliste, comitati territoriali sono esclusi dal tavolo che decide del loro destino. Chiedono una Valutazione Ambientale Strategica (Vas) che faccia luce sui i rischi connessi al raddoppio del traffico ma senza trovare alcuna disponibilità. Si procederà come sempre, derogando ai piani regolatori e costruendo a suon di varianti urbanistiche. “Nessuna sorpresa. Malpensa è nata come un grande abuso edilizio”, accusa il vicesindaco di Casorate Sempione (Va), Tiziano Marsonconvinto che la 3a pista sia solo un pretesto per requisire altre aree boschive e proseguire lo sviluppo cementizio nel Parco.

Così i comuni di Lonate Pozzolo, Turbigo, Casorate e Nosate si sono rivolti a legali per tutelare ambiente e salute. “Siamo obbligati a farlo, non voglio fare allarmismo ma qui la gente muore”, denuncia il sindaco di Casorate Sempione (Va) Giuseppina Quadrio (Pd) sostenendo che “se le istituzioni non ci danno risposte, ci rivolgeremo alla Magistratura”. Perfino le amministrazioni di centrodestra impugnano i codici: “Sono pronto a far causa a Sea pur di difendere i miei cittadini”, annuncia il sindaco di Lonate Pozzolo Piergiulio Gelosa (Pdl) perché “Malpensa non ha portato ricchezza e benessere come sostengono esponenti del mio partito ma danni ambientali e problemi per residenti e imprese costretti a fuggire altrove”.

Ma Sea e Regione Lombardia tirano dritto verso il potenziamento aeroportuale. Toccherà alla magistratura, ora, fare luce sul “disastro ecologico” e supplire a quel ruolo di indirizzo e controllo che le istituzioni preposte hanno smesso di esercitare.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/06/16/business-decessi-schianto-malpensa/118423/


mercoledì 15 giugno 2011

Cosmo-Skymed, la spia perfetta Vede tutto e nessuno la controlla.


Un sistema satellitare sofisticatissimo. La cui versione militare arriva a "vedere" dal cielo oggetti di un metro. Il nostro Paese è all'avanguardia e potrebbe servirsi di queste tecnologie a fin di bene. Ma il loro utilizzo è avvolto nell'ombra. Fa capo al Ris, il nuovo servizio segreto militare voluto da La Russa che, però, non ha regole né limiti. E desta non poche preoccupazioni

ROMA - Di giorno e di notte, anche con le nuvole più fitte, loro possono scrutare ovunque: hanno occhi radar che guardano persino attraverso le tempeste di sabbia, fotografando oggetti di 40 centimetri. Sono i satelliti spia italiani, gioielli tecnologici talmente avanzati da sorprendere persino gli americani, stupiti - come evidenzia uno dei cablo inediti di WikilLeaks - nello scoprire che l'Italia dispone di una rete spaziale di sorveglianza militare. A Washington erano convinti che il programma stellare tricolore avesse scopi essenzialmente civili e solo una limitata capacità di spionaggio: invece tutti gli alleati si sono resi conto che Roma stava mettendo in orbita prodigiosi sistemi di intelligence. Ma questi sensori che tutto possono controllare sfuggono invece al controllo delle istituzioni democratiche: sono gestiti da un apparato che fa capo solo ai vertici militari, esterno ai servizi segreti e alla vigilanza del Parlamento. E nessuno sa quali immagini catturino e che fine facciano.

La rete Cosmo-Skymed è uno delle realizzazioni più moderne e costose varata dai governi italiani del nuovo millennio. Per i quattro satelliti già operativi sono stati spesi un miliardo e 137 milioni di euro: una cifra decidamente siderale. Ma si è già deciso di investire altri 555 milioni nei prossimi anni per potenziare la costellazione spia, lanciando in orbita due occhi elettronici ancora più evoluti. Le spese ricadono sulla Difesa, sul ministero delle Attività produttive e su quello dell'Istruzione e Ricerca. Quando i parlamentari discutono di questi fondi non si chiedono cosa si nasconda dietro la sigla "duale": quale è la missione militare che compiono dallo spazio? "Finalità strategiche e tattiche", spiegano i generali senza entrare nei dettagli. Il progetto, nato come Finmeccanica e poi trasferito alla joint venture italo-francese Alenia Thales Space, fa affidamento sulle meraviglie di un radar di bordo che può fotografare mezzo continente, oppure concentrarsi su dettagli "tattici": un'auto, un gruppo di uomini, persino la canna di un pezzo d'artiglieria. Ovunque: nel mondo o anche in Italia.

Ad esempio i Cosmo-Skymed potrebbero concentrarsi sui porti tunisini e libici dove si imbarcano i profughi diretti verso Lampedusa, per lanciare l'allarme su quante navi e quante persone stanno per partire: ci sarebbe così il tempo per cercare di dissuadere gli scafisti intervenendo sulle autorità tunisine o mettere in allarme chi deve soccorrere o accogliere i disperati del Mediterraneo. Ma informazioni del genere ai pattugliatori della Finanza o della Capitaneria non arrivano. Spesso nemmeno i servizi segreti "istituzionali", creati con la riforma del 2007, sanno cosa stiano facendo i satelliti spia, che sono interamente nelle mani della Difesa.

In compenso, a Parigi sanno. I francesi sono rimasti così impressionati dalla potenza dei nostri sistemi stellari da creare un accordo di scambio, tutto tra generali. Loro cedono le foto dei loro satelliti con ottiche tradizionali, in pratica delle evolute macchine fotografiche che funzionano soprattutto di giorno e con condizioni meteo ottimali; noi gli forniamo le immagini dei Cosmo-Skymed, che con i loro radar guardano oltre le nuvole, incuranti della notte. Gli stati maggiori dei due paesi possono così avere una gamma completa di dati. Che tengono per sé, coperti dal massimo segreto.

EQUIVOCO DUALE. Il programma spaziale è "duale", ossia bifronte. C'è una parte civile, con attività che possono servire per molti scopi. In caso di disastri naturali - inondazioni o terremoti - i satelliti riescono a dare un quadro globale della situazione. In qualunque momento il radar riesce a scansire regioni molto vaste - una striscia larga 40 chilometri e lunga fino a 4000 chilometri - mostrando danni e trasformazioni del terreno. Sono stati utilizzati in occasione del sisma in Abruzzo e di quello di Haiti, ma anche per il Giappone. Gli apparati, poi, sono utilissimi in occasione di incidenti ecologici, soprattutto nei casi di inquinamento in mare: evidenziano le sostanze che Si disperdono e le dimensioni del problema. Infine possono servire per monitorare il traffico navale: censiscono i mercantili che affollanno zone di particolare interesse, come gli stretti. C'è poi un'applicazione commerciale: le immagini vengono vendute a privati o enti, per rilievi geologici o per progettare infrastrutture. Nel futuro prossimo potranno fare ancora di più: i due nuovi satelliti saranno in grado di guardare parzialmente sotto il terreno, aprendo prospettive nuove alla ricerca petrolifera ma anche agli studi archeologici.

La componente civile è gestita dall'Agenzia Spaziale Italiana, Asi, la Nasa tricolore che ha finanziato parte del programma Cosmo-Skymed. Tutto passa per il celebre quartier generale abruzzese di Telespazio nella Conca del Fucino, che con le sue colossali parabole dirige il movimento dei satelliti. I dati vengono poi trasmessi al Centro di Geodesia Spaziale di Matera, che li rende disponibili per gli enti o i privati. Ma si tratta di immagini a bassa risoluzione: sempre superiore al metro. Si può individuare una nave mercantile, mentre in quelle foto un peschereccio diventa poco più di un punto; si vede una villa, non un'automobile.

BASE SPAZIALE RIS.
Soltanto i militari possono selezionare i radar sulla massima risoluzione e scagliare sul terreno impulsi che tirano fuori dettagli fino a 40 centimetri. Jeep, veicoli, ogive di missili o anche gruppi di persone ed automobili. Lo fanno da una base costruita all'interno dell'aeroporto di Pratica di Mare, alle porte di Roma. Si chiama Centro Interforze Telerilevamento Satellitare: un grande compound anonimo dal quale spuntano due antenne. Lì e solo lì arrivano le informazioni delicate, che vengono decifrate e analizzate. E lì si decide come sfruttare al meglio le capacità della rete e coordinarla con quella dei francesi. Il sistema operativo è stato inaugurato nello scorso settembre, con capacità fantascientifiche. I generali possono mandare i satelliti su un obiettivo in qualunque punto del pianeta ogni sei ore, ma nel Mediterraneo il passaggio avviene ogni tre: il bersaglio viene spiato anche otto volte al giorno. Il radar funziona sempre, forando nuvole e oscurità, tempeste e polveri. Alla fine della missione quotidiana se ne ricavano fino a 75 immagini a campo stretto ed alta risoluzione: in gergo la chiamano modalità "Spotlight 1". In una superficie di 45 chilometri quadrati ogni oggetto sarà scansito con dettagli di poco inferiori al mezzo metro. Certo, non si "vedono" singole persone e non si "leggono" numeri di targa, ma la quantità di informazioni raccolte è impressionante: ricostruzioni con elaborazioni tridimensionali, talvolta scrutando anche sotto la chioma gli alberi, che battono qualunque mimetizzazione o tentativo di occultamento. Anche perché il gioco di squadra con i francesi offre la possibilità di arricchire il quadro con foto tradizionali, dove compaiono scritte e dettagli. L'asse Roma-Parigi tesse così una ragnatela di controllo elettronico senza precedenti in Europa.

La passione dei generali per gli acronimi fa subito affiorare l'altra faccia del problema. La base di Pratica di Mare infatti si chiama CITS-RIS, dove la seconda sigla non indica gli investigatori scientifici dei carabinieri resi popolari dalla fiction tv ma l'intelligence militare rimasta ancorata alla riservatezza della Guerra Fredda. Il Ris è l'erede del Sios, ossia i servizi segreti interni alle Forze Armate. Come mostra lo stemma della base, comprende tutti i corpi - aeronautica, marina, esercito e carabinieri - ed è alle dirette dipendenze dello Stato maggiore Difesa: il Ris non risponde a nessuna altra autorità e tantomeno agli organi di controllo del Parlamento.

IL BUCO NERO. Quando, dopo gli scandali dello spionaggio parallelo di Telecom intrecciato agli 007 dell'era Pollari, le Camere decisero di riformare tutti i servizi segreti, quella sigla riuscì a nascondersi nei cavilli della legislazione. Si pensava che fosse destinata a un ruolo marginale: la legge assegnava al Ris "solo compiti di carattere tecnico e di polizia militare". L'attenzione era rivolta soprattutto alle spedizioni internazionali, Libano e Afghanistan, ossia "ogni attività informativa utile al fine della sicurezza dei presidi e delle attività delle forze armate all'estero". Quindi il Ris si dovrebbe limitare esclusivamente alla raccolta di notizie sul campo, lontano dalla madrepatria, cercando di proteggere i soldati impegnati sulla frontiera israeliana o nella regione di Herat. La legge era chiara nell'escludere qualunque attività di intelligence ed esplicitava che non dovesse avere nessuna delle funzioni dei servizi segreti. Lo scopo principale della riforma era proprio quello di affidare il totale controllo degli 007 alla presidenza del Consiglio, togliendo di mezzo le prerogative degli Interni sul vecchio Sisde e della Difesa sul Sismi. Veniva creato un apparato per l'attività informativa interna - l'Aisi - e uno per la sicurezza estera - Aise - diretti dal nuovo Dipartimento delle informazioni per la sicurezza Dis. Tutto smilitarizzato, tutto civile, tutto con regole nuove che chiudessero una volta per tutte con il passato di misteri e sospetti.

Allo Stato maggiore questo "addio alle spie" non è mai andato giù. E ha trovato un potente alleato in Ignazio La Russa, pronto a invocare la necessità di una intelligence militare autonoma che assista le missioni all'estero. Il ministro lo ha fatto con una serie di dichiarazioni pubbliche alla fine del 2009, poi di fronte alle polemiche, ha scelto il dietrofront: "È stato solo un pensierino natalizio, una cosa buttata lì. D'altronde di queste cose si occupa già una struttura apposita che è il Ris...". E questa frase, che sottolineava il ruolo del Ris, è apparsa come una ritirata tattica, in attesa del momento migliore di tornare alla carica.

GUERRIERI ELETTRONICI. Nel frattempo però i generali hanno potenziato quantitativamente e qualitativamente le attività del Ris, per renderlo pronto ai nuovi conflitti. È stato creato un reparto per le guerre informatiche, le cyberwar, che si combattono in segreto già oggi attaccando le reti informatiche con ondate di virus ed overdose di imput. Sbaragliando i computer, si possono paralizzare aeroporti, linee ferroviarie, banche, enti pubblici, centrali elettriche, centri di ricerca, reti di telecomunicazione: l'Italia appare come un bersaglio fin troppo facile. E i militari sono gli unici che si stanno seriamente preparando a questo scenario, con un battaglione che fa capo al solito Ris. Ma ancora più importante è l'investimento in un altro acronimo, diventato fondamentale nella lotta al terrorismo: Sigint, l'analisi dei segnali elettronici. Ossia di tutte le comunicazioni: il che significa anche conversazioni sui cellulari e scambi di dati su reti telematiche. È la sfida che si conduce tutti i giorni in Afghanistan e in Iraq: riuscire a individuare nel traffico di telefonate la voce o le mail dei capi di Al Qaeda o dei talebani, per localizzarli o anticiparne i movimenti. O per neutralizzare gli apparecchi con cui i guerriglieri fanno esplodere le bombe, che hanno provocato numerose vittime anche tra i soldati italiani. L'ultimo attacco del genere è avvenuto nel Sud del Libano proprio alla fine di maggio. Tutte queste attività dovrebbero essere condotte dal Ris solo all'estero, nel legittimo intento di proteggere e assistere gli uomini che il Parlamento ha spedito nel mondo per costruire e difendere la pace. Ma le esercitazioni per captare e analizzare i segnali avvengono in patria, in basi come quella laziale di Nettuno che nella loro sfera di intercettazione elettronica possono abbracciare gran parte della Capitale.

L'Italia poi ha anche deciso di acquistare due aerei specialissimi, due Grandi Fratelli dei cieli che costeranno 280 milioni di euro. Il prezzo non dipende dai jet - si tratterà di bireattori Gulfstream - ma dalla dotazione di bordo: un sistema chiamato Jamms che cattura e setaccia tutte le emissioni elettromagnetiche, una sorta di Echelon volante. È una spugna di dati, che vengono filtrati secondo infinite chiavi. Possono riconoscere il profilo di una voce, di un singolo telefonino, di una rete wifi: volano e assorbono onde, che decifrano fino a renderle conversazioni o testi di mail. Sono l'arma decisiva per stanare i miliziani islamici: si appropriano delle loro comunicazioni, che si tratti di cellulari o walkie-talkie.

Ma sulle loro missioni in patria di queste macro-spie c'è incertezza. Dovrebbero venire schierati anche nel nostro paese, ad esempio, per dare la caccia ai latitanti di mafia. L'aereo può restare per ore in alto sulla zona dove si ritiene siano nascosti il boss Matteo Messina Denaro o il padrino casalese Michele Zagaria, ascoltando tutto e tutti. Poi quando nell'etere si materializza la voce del ricercato, il sistema di bordo ne individua la posizione e il numero che usa, permettendo di seguirlo o fare scattare la trappola.

FUORI CONTROLLO.
Gli aerei spia dovrebbero essere gestiti in condominio dai servizi segreti e dal solito Ris, che essendo interno alle forze armate ovviamente dispone già di piloti, hangar e tecnici. Ma il dilemma è lo stesso: poiché la legge non prevede che i militari si occupino di intelligence, nessun organismo parlamentare li controlla. Non ci sono sospetti di deviazioni da pare di questo reparto, resta però un problema fondamentale di regole: chi vigila sulle operazioni del Ris? Non sono stare definite regole e limiti per la sua attività. Mentre le informazioni a cui il Ris ha accesso diventano sempre più ampie. Lo dimostra la gestione dello scambio dati sui satelliti spia con la Francia, che non passa attraverso i servizi segreti istituzionali ma avviene tra intelligence militare. O l'accesso diretto del Ris ai dossier degli 007 americani in Afghanistan che - come rivelano i file di WikiLeaks - è stato concesso al ministro La Russa al fine di migliorare l'incisività dei nostri incursori. Tutto top secret.

Delle operazioni di Cosmo-Skymed si sa soltanto che in questi mesi i satelliti spesso scrutano la zona di Tripoli, per scoprire i movimenti delle truppe di Gheddafi. Una missione lecita, rivelata in modo anomalo. Ne ha parlato Marco Airaghi, il "consigliere spaziale" di La Russa e vicepresidente dell'Asi, svelando: "Cosmo-Skymed oggi può essere utilizzato nella sua funzione principe di supporto alle forze armate". La "funzione principe" quindi è quella militare. E gli italiani hanno pagato oltre un miliardo per mantenere nell'alto dei cieli un sistema che tutto controlla senza venire controllato: la spia perfetta.



SPIONI DAL CIELO


Tra il 2007 e il 2010, lo Stato italiano ha speso 1,137 miliardi per acquistare da Thales Alenia Space 4 supersatelliti in grado di "vedere" anche di notte e oltre le nubi oggetti fino a 40 centimetri. Il ministro La Russa li ha affidati al Ris, il servizio militare di nuova istituzione che agisce senza regole e controlli. Nessuno sa cosa "osservano" e chi utilizza i dati.

Costano 300 milioni l'uno. "Leggono" fino a 40 centimetri".

Tutti i dati relativi al sistema SkyMed. I primi quattro satelliti sono costati allo Stato 1,137 miliardi di euro. Sono stati messi in orbita tra il 2007 e il 2010. Altri due entreranno in orbita nel 2015

COSMO SKYMED
4 satelliti con compiti militari e civili. Il primo è stato lanciato in orbita il 7 giugno 2007, l'ultimo il 6 novembre 2010. Altri due satelliti sono stati finanziati: dovrebbero essere immessi in orbita entro il 2015

COSTO
1,137 miliardi di euro per i primi 4 satelliti e tutti i sistemi connessi (775 per i primi 3 satelliti, 116 per il quarto, il resto per i centri terrestri). Altri 550 per i due nuovi satelliti: 190 milioni a carico della Difesa, il resto di Ministero dell'Istruzione e ministero delle Attività produttive.

COSTRUTTORE
THALES Alenia Space (67% Thales- 33%Finmeccanica)

CARATTERISTICHE
I satelliti hanno un radar ad apertura sintetica Sar-2000 in banda X che vede anche di notte e attraverso le nuvole. La rete di satelliti può scattare fino a 1800 immagini al giorno

IMMAGINI
Immagini radar, anche tridimensionali, che quindi possono essere riprese di notte e con brutto tempo. La definizione militare arriva fino a 40-50 cm su un'area di 11 chilometri quadrati; quella civile non è mai sotto il metro. Con risoluzione di 15 metri si può coprire un'area di 40 km di larghezza e 4500 di lunghezza

GESTIONE
Asi per la parte civile, Stato maggiore Difesa per quella militare. Scambio di informazioni militari con la Francia. Accordi di scambio informazioni civili con Argentina e Giappone. Trattative in corso con l'Australia

AUTONOMIA
Previsti cinque anni di servizio dal momento dell'entrata in orbita, si ritiene che la vita operativa possa essere prolungata di altri due anni.



Corruzione, Consiglio d’Europa: “Norme rischiose e scarsa attenzione dall’Italia”


Nel mirino dell'organismo di controllo europeo diverse disposizioni italiane. Dal processo breve, ritenuto pericoloso, al legittimo impedimento, definito "deplorevole". Passando per l'inerzia nella legislazione anticorruzione e la poca attenzione al conflitto d'interessi.

Corruzione e processo breve. Una coppia che rischia di essere pericolosa secondo il Consiglio d’Europa. Da Strasburgo arriva un giudizio non positivo sull’attività di contrasto dell’Italia, contenuto nell’ultimo rapporto del Gruppo di Stati contro la corruzione (‘Greco’). Delle 22 misure che l’organismo aveva raccomandato all’Italia di introdurre nel 2009 per rendere più efficace la sua azione contro questo fenomeno, si ricorda nel rapporto, le autorità ne hanno introdotte meno della metà. E non va meglio con le proposte spontanee del governo italiano, come il processo breve. Riguardo al quale, scrive il Greco, bisogna rimanere “cauti circa i previsti (limitati) effetti positivi che questa legge può avere sui processi futuri, quando comparati ai possibili rischi che i processi per corruzione falliscano a causa della prescrizione dei termini”. Pareri negativi anche sul legittimo impedimento e la scarsa attenzione dedicata al conflitto d’interessi, si legge nel rapporto.

Ancora sull’accorciamento dei termini di prescrizione, sui possibili ”effetti dannosi” preoccupazioni erano già state espresse da Strasburgo in occasione dell’introduzione della legge 251 del 2005. Il Gruppo aveva chiesto alle autorità di fare uno studio approfondito sul possibile effetto della prescrizione dei termini sulla impossibilità di portare a termine i processi. Ma nel rapporto si legge che questa informazione non è stata fornita.

Una “inerzia” dimostrata dall’Italia anche sul problema della corruzione nel settore privato. Per il Greco servono urgenti misure che obblighino tutte le società, quotate e non, a fare un resoconto dei propri bilanci, ma anche provvedimenti che garantiscano sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive contro il fenomeno corruttivo. Preoccupazione che comunque resta anche nel settore pubblico, per come il governo ha agito sulla riforma della pubblica amministrazione e la lotta contro il riciclaggio di denaro sporco. Dall’organismo del Consiglio d’Europa si sottolinea come “nonostante vi siano stati dei progressi”, resta ancora uno spazio considerevole per ulteriori miglioramenti.

“Nessuna o poca attenzione” dedicata anche alla questione del conflitto d’interessi, si legge nel rapporto del Gruppo. Che condivide infine con i 27 milioni di elettori italiani che hanno votato sì ai referendum la bocciatura senza appello per il legittimo impedimento. “E’ deplorevole introdurre leggi sull’immunità – scrive il Greco – che possano diventare un ostacolo alla celebrazione di un processo”.





Le verità di Annarella




P4, “Soffiate per favorire i potenti” Arrestato il lobbysta Bisignani. - di Marco Lillo


L'ex appartenente alla P2, nonché uomo d'affari vicino a palazzo Chigi, accusato di associazione per delinquere e rivelazione del segreto d' ufficio. Coinvolto anche il deputato e magistrato Pdl Alfonso Papa per il quale non è stata accolta dal Gip l'accusa di estorsione.


Non ci sono solo il lobbysta Luigi Bisignani e il deputato Alfonso Papa tra gli arrestati nell’inchiesta P4 della Procura di Napoli coordinata dai pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio. Tra i destinatari dell’ordinanza di arresto c’è anche Enrico La Monica, maresciallo del Ros dei Carabinieri. Bisignani è ora agli arresti domiciliari. Su Papa dovrà esprimersi la Camera dei Deputati alla quale il Gip di Napoli nelle prossime ore recapiterà la richiesta di autorizzazione all’arresto. Mentre il maresciallo La Monica dopo le perquisizioni del dicembre del 2010 che annunciavano l’indagine ha preferito trattenersi in Africa, dove si trovava per un viaggio, senza tornare in servizio nella sua caserma romana.

L’accusa sostiene che Alfonso Papa e Luigi Bisignani, grazie ai loro rapporti nei palazzi della politica e della giustizia, e tra questi anche Enrico La Monica, avevano creato una sorta di rete di protezione informativa a beneficio dei potenti coinvolti nelle inchieste penali. Il riscontro dell’efficienza della rete è proprio il destino dell’indagine P4: danneggiata gravemente da una fuga di notizie sulla quale continuano in gran segreto gli accertamenti. Gli indagati non sono riusciti però a sapere notizie riservate solo sull’inchiesta che li riguardava in prima persona ma anche su altri casi molto importanti, spesso rivelati all’opinione pubblica proprio da Il Fatto Quotidiano.

Si va dall’indagine del pm di Trani Michele Ruggiero sulle pressioni del 2009 per cacciare Michele Santoro dalla RAI a quelle avviate nel 2008 dall’allora pm di Potenza Henry John Woodcock sugli appalti acquisiti dalla cooperativa La Cascina durante l’emergenza immigrazione.

La parte più delicata dell’indagine sulla P4, quella riguardante per esempio l’influenza della lobby di Bisignani sulle nomine nei servizi segreti o sui vertici della RAI, sarà invece tra pochi giorni trasmessa a Roma per ragioni di competenza.

Nell’ordinanza eseguita oggi invece si contestano a Bisignani e compagni solo alcuni specifici episodi di favoreggiamento.

Non è stato invece accolta dal Gip la richiesta di arresto per un’accusa pesantissima contro il deputato Alfonso Papa: corruzione. Secondo i pm Woodcock e Curcio la candidatura di Papa nel 2008 alla Camera per il Pdl sarebbe stata il prezzo delle informazioni ottenute da Papa sulle inchieste che interessavano Bisignani, il quale sarebbe intervenuto su Denis Verdini, il coordinatore del partito di Berlusconi che decideva chi entrava nelle liste.

Tra i beneficiati della lobby – secondo l’accusa – c’è anche Mauro Masi, allora direttore generale della RAI e da sempre grande amico di Bisignani. Secondo i pm, Bisignani brigava per conoscere il destino dell’indagine di Trani – svelata dal Fatto nel febbraio 2010 – nella quale il manager RAI era stato intercettato (ma non indagato) mentre parlava con Giancarlo Innocenzi delle strategie per fermare Annozero e gli altri talk televisivi invisi al Cavaliere.

Tra gli indagati dell’inchiesta sulla P4 di Napoli , in una posizione marginale,c’è anche Angelo Chiorazzo, un nome che i lettori del Fatto conoscono bene. Chiorazzo è il numero uno delle cooperative della galassia Cascina, vicina a Comunione e Liberazione, finita nel mirino delle procure di Potenza, nell’inchiesta raccontata dal primo numero de Il Fatto, il 23 settembre del 2009, e poi archiviata a Lagonegro nei mesi scorsi. Angelo Chiorazzo, amico di Gianni Letta come Luigi Bisignani, era stato raccomandato dal sottosegertario alla presidenza del consiglio al prefetto responsabile dell’immigrazione, Mario Morcone, poi candidato a sindaco di Napoli, per l’affidamento di appalti nel settore dei centri per richiedenti asilo. Proprio per saper notizie sull’esito di quell’inchiesta svelata dal Fatto si muoveva la lobby Bisignani-Papa.

Il terzo episodio contestato dai pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio riguarda il mondo Finmeccanica. L’ex giornalista dell’Ansa è – per ragioni misteriose – uno degli uomini più ascoltati dai vertici delle due principali società quotate in borsa del Tesoro: Eni e Finmeccanica appunto. E, secondo i pm si sarebbe mosso per ottenere informazioni sulle inchieste penali che coinvolgevano Lorenzo Borgogni, braccio destro del numero uno del gruppo pubblico del settore bellico, responsabile delle relazioni istituzionali Finmeccanica, indagato a Roma.

Non sempre la Procura è riuscita a trovare riscontri alla reale capacità di penetrazione informativa del network. In uno degli episodi però un elemento che sembra confermarla c’è: si tratta del favoreggiamento finalizzato a trovare notizie sull’indagine riguardante la ex moglie di Gianni De Michelis, Stefania Tucci e il suo compagno di affari, Alessandro Bondanini. Bisignani, molto amico di Stefania Tucci, era riuscito a sapere che sul capo della commercialista 46 enne pendeva una richiesta di arresto. Ed effettivamente la richiesta (poi rigettata dal Gip) esisteva.

Per questi episodi Bisignani, già iscritto nella loggia segreta P2 negli anni ottanta e poi arrestato per la mazzetta Enimont da lui veicolata fin dentro le segrete stanze dello IOR in Vaticano nel 1992, ha ricevuto un’ordinanza applicativa della misura degli arresti domiciliari per favoreggiamento e rivelazione del segreto istruttorio. Secondo la difesa dell’imprenditore arrestato, invece, sarebbe stata rigettata la richiesta della Procura per il reato più grave di associazione a delinquere finalizzata alla costituzione di un’associazione segreta in violazione della cosiddetta legge Anselmi, varata per contrastare fenomeni simili alla P2. Sempre secondo l’interpretazione difensiva, inoltre, la Procura di Napoli avrebbe ricevuto uno stop dal Gip anche sul fronte delle intercettazioni delle conversazioni riguardanti i parlamentari. Tra gli indagati ci sono anche Raffaele Balsamo, titolare del negozio di telefonini dove erano state comprate le schede telefoniche, intestate a terze persone, e usate dal gruppo per comunicare in sicurezza. Il Fatto Quotidiano ha pubblicato nei mesi scorsi alcune anticipazioni sui contenuti dell’indagine. Luigi Bisignani, difeso dall’avvocato Fabio Lattanzi, nei mesi scorsi si era fatto sentire e aveva collaborato con la Procura, sperando di evitare l’arresto. In realtà ha ottenuto solo la mitigazione della pena con la concessione dei domiciliari, che sconterà nella sua splendida casa romana. Bisignani emerge nell’indagine come il consigliere più ascoltato di molti politici e manager pubblici. I pm di Napoli lo avevano interrogato per ottenere chiarimenti sulle sue parole al telefono. Tra i temi esaminati c’erano gli importanti appalti ottenuti dalla Presidenza del consiglio dalla Italgo del suo amico Anselmo Galbusera, un grande amico di Angelo Rovati che era stato perquisito senza essere indagato, nei mesi scorsi.

I chiarimenti forniti da Bisignani non devono avere convinto i pm Woodcock e Curcio. L’uomo di pubbliche relazioni aveva parlato a ruota libera mentre era intercettato nell’autunno del 2010. Bisignani discuteva questioni delicate con ministri, membri importanti di Confindustria e con i manager dell’Eni. Con l’ex direttore generale RAI Mauro Masi per esempio, come abbiamo raccontato, analizzava nel dettaglio le modalità legali per colpire Michele Santoro. L’ex iscritto alla P2 si interessava anche alle nomine ai vertici dei servizi segreti e accompagnava Adriano Santini, fresco capo dell’Aise, a incontrare il presidente del Copasir Massimo D’Alema.

Masi, Santini, D’Alema, il direttore dell’Avanti Valter Lavitola e lo stesso Bisignani erano stati sentiti in Procura a Napoli, come anche Italo Bocchino e tanti altri personaggi coinvolti dalle chiacchiere intercettate di Bisignani.

L’inchiesta ha subito però un brusco stop dovuto alla fuga di notizie che ha messo sull’allarme gli indagati alla fine del 2010. Ora arrivano gli arresti.