giovedì 23 giugno 2011

Islanda, un paese che vuole punire i banchieri responsabili della crisi. - di Jóhanna Sigurðardóttir




Dal 2008 la gran maggioranza della popolazione occidentale sogna di dire “no” alle banche, ma nessuno ha osato farlo. Nessuno eccetto gli islandesi, che hanno fatto una rivoluzione pacifica che non solo è riuscita a rovesciare un governo e abbozzare una nuova costituzione, ma cerca anche di incarcerare i responsabili della débacle economica del paese.

La scorsa settimana a Londra e Reykjavik sono state arrestate 9 persone per la loro presunta responsabilità nel crollo finanziario dell’Islanda del 2008, una crisi profonda che si è sviluppata in una reazione pubblica senza precedenti che sta cambiando la direzione del paese.

È stata una rivoluzione senz’armi in Islanda, paese che ospita la più antica democrazia al mondo (dal 930), e i cui cittadini sono riusciti a effettuare il cambiamento solo facendo dimostrazioni e sbattendo pentole e tegami. Perché gli altri paesi d’Occidente non ne hanno neppur sentito parlare?

La pressione dei cittadini islandesi è riuscita non solo a far cadere un governo, ma anche a iniziare la stesura di una nuova costituzione (in corso), e sta cercando di incarcerare i banchieri responsabili della crisi finanziaria del paese. Come dice il proverbio, chiedendo le cose con garbo, è molto più facile ottenerle.
Questo tranquillo processo rivoluzionario ha le sue origini nel 2008 quando il governo islandese decise di nazionalizzare le tre maggiori banche, Landsbanki, Kaupthing e Glitnir, i cui clienti erano principalmente britannici, e nord- e sud-americani.

Dopo la presa in carico da parte statale, la moneta ufficiale (krona) precipitò e la borsa valori sospese l’ attività dopo un crollo del 76%. L’Islanda stava andando in bancarotta e per salvare la situazione, il Fondo Monetario Internazionale iniettò 2.100 milioni di dollari USA e i paesi Nordici contribuirono con altri 2.500 milioni.

Grandi piccole vittorie di gente comune

Mentre le banche e le autorità locali ed estere stavano disperatamente cercando soluzioni economiche, gli islandesi si sono riversati in strada e le loro persistenti dimostrazioni quotidiane davanti al parlamento a Reykjavik hanno provocato le dimissioni del primo ministro conservatore Geir H. Haarde e del suo intero gabinetto.

I cittadini esigevano inoltre di convocare elezioni anticipate, e ci sono riusciti: in aprile è stato eletto un governo di coalizione formato dall’Alleanza Social-democratica e dal Movimento Verde di Sinistra, capeggiato dalla nuova prima ministra Jóhanna Sigurðardóttir.

Per tutto il 2009 l’economia islandese continuò a essere in situazione precaria (alla fine dell’anno il PIL era calato del 7%) ma ciononostante il parlamento propose di rifondere il debito alla Gran Bretagna e ai Paesi Bassi con un esborso di 3.500 milioni di euro, somma da pagarsi ogni mese da parte delle famiglie islandesi per 15 anni all’interesse del 5.5%.

La decisione riaccese la rabbia negli islandesi, che tornarono in strada esigendo che, almeno, tale scelta fosse sottoposta a referendum. Altra piccola vittoria per i dimostranti: nel marzo 2010 si tenne appunto tale consultazione elettorale e uno schiacciante 93% della popolazione rifiutò di rifondere il debito, almeno a quelle condizioni.

Ciò costrinse i creditori a ripensare l’operazione migliorandola con l’offerta di un tasso del 3% protratto per 37 anni. Ma anche questo non bastava. L’attuale presidente, al vedere il parlamento approvare l’accordo con un margine esiguo, ha deciso il mese scorso di non ratificarlo e di chiamare il popolo islandese alle urne per un referendum in cui avrà l’ultima parola.

I banchieri scappano per la paura

Tornando alla situazione tesa del 2010, quando gli islandesi si rifiutavano di pagare un debito contratto da squali finanziari senza consultazione, il governo di coalizione aveva promosso un’indagine per stabilire le responsabilità legali della fatale crisi economica arrestando già parecchi banchieri e alti dirigenti strettamente collegati alle operazioni arrischiate.

Fonte: http://serenoregis.org/2011/04/islanda-un-paese-che-vuole-punire-i-banchieri-responsabili-della-crisi-pressenza/

L’Interpol frattanto aveva emesso mandato di cattura internazionale contro Sigurdur Einarsson, ex-presidente di una delle banche coinvolte. Questa situazione ha spaventato banchieri e dirigenti inducendoli a lasciare il paese in massa.

In questo contesto di crisi, si è eletta un’assemblea per redigere una nuova costituzione che rifletta le lezioni apprese nel frattempo sostituendo quella attuale, ispirata alla costituzione danese.

Per far ciò, anziché chiamare esperti e politici, gli islandesi hanno deciso di rivolgersi direttamente alla gente, che dopo tutto detiene il potere sovrano sulla legge. Più di 500 islandesi si sono presentati come candidati a partecipare a tale esercizio di democrazia diretta e a scrivere una nuova costituzione. Ne sono stati eletti 25, senza affiliazioni partitiche, compresi avvocati, studenti, giornalisti, agricoltori e sindacalisti.

Fra l’altro, questa costituzione richiederà come nessun’altra la protezione della libertà d’informazione e d’ espressione nella cosiddetta Iniziativa per i Media Moderni Islandesi, in un progetto di legge che mira a rendere il paese un porto sicuro per il giornalismo d’indagine e per la libertà d’informazione, dove si proteggano fonti, giornalisti e provider d’Internet che ospitino reportage di notizie.

La gente, per una volta, deciderà il futuro del paese mentre banchieri e politici assistono alla trasformazione di una nazione dai margini.


Fonte: www.elconfidencial.com



Tremonti vuole far pagare la manovra finanziaria ai pensionati.


Tremonti vuole far pagare la manovra finanziaria ai pensionati

ROMA - Come al solito, il governo intende far pagare la manovra finanziaria da 40 miliardi ai più deboli, socialmente ed economicamente parlando. E questa volta decide di colpire la pensione, ovviamente dei redditi più bassi. Innanzitutto aumentando il contributo pensionistico per i lavoratori parasubordinati (cioè i precari con contratti atipici) dal 28 al 33%. Poi accellerando l'attuazione della legge sull'aumento automatico dell'età pensionabile. Infatti, nel silenzio completo dei media, con la finanziaria del 2010 venne approvata una legge che aumentava l'età per la pensione di anzianità e per quella di vecchiaia in proporzione all'aumento dell'età media. L'aumento, indicato dal Ministro Tremonti, era stato di tre mesi ogni anno (quindi un anno di aumento dell'età pensionabile ogni 4 anni) a partire dal 2015. L'idea è quello di anticipare la manovra al 2013, in modo che l'età per la pensione di anzianità sia di 66 anni e 3 mesi e quella di vecchiaia a 63 anni e 3 mesi. Con il sistema delle "finestre mobili" introdotto l'anno scorso (per cui si va in pensione da 12 a 18 mesi dopo che si è raggiunta l'età pensionabile) si bloccherebbe l'andata in pensione quasi completamente per il 2013 ed in questa maniera si realizzerebbero gran parte dei risparmi necessari per la manovra. Altri risparmi verrebbero dall'aumento di 5 anni dell'età per la pensione delle donne nel settore privato. Poi ci sarebbe un taglio di 4 miliardi ai Comuni - già maltrattati nelle scorse finanziarie - e di 6 miliardi alla Sanità. Poi anche un taglio di 5 miliardi ai Ministeri, unito ad alcune misure già prese, come il blocco del turn over nella pubblica amministrazione o il congelamento dei stipendi dei dipendenti pubblici fino al 2014.
Intanto sulla riduzione a tre delle aliquote promessa dal governo Berlusconi, la Cgia di Mestre ha calcolato che sarebbero misure che andrebbero a favore solo dei redditi più alti, quelli sopra i 70 mila euro lordi annui, con un vantaggio economico che cresce al crescere del reddito.



Parlamentari attaccati alla legislatura. Se B. cade, perdono la pensione. - di Wanda Marra


Da Scilipoti a Belcastro, a Sisto: 350 parlamentari non hanno maturato il diritto al vitalizio e non si possono permettere che le Camere si sciolgano

Se tra una settimana Francesco Pionati improvvisamente dovesse decidere di far mancare il suo sostegno al governo, molti si chiederebbero perché. Ma la motivazione potrebbe essere ritrovata nella sua anzianità parlamentare: tra esattamente 6 giorni, infatti, matura il diritto alla pensione. O meglio a quello che ora si chiama vitalizio. Stiamo ovviamente ragionando in base a un’ipotesi che in questo momento non sembra essere nell’agenda politica, ma la questione “arrivare al vitalizio” in Parlamento esiste. E non è secondaria per la tenuta del governo. Sono, infatti, 246 i deputati e 104 i senatori (dati elaborati da Openpolis, www.openpolis.it) che devono ancora maturare il diritto alla pensione, e quasi tutti lo matureranno solo se finiranno il loro mandato parlamentare e dunque se la legislatura avrà il suo termine “naturale” nel 2013. Eccezion fatta per Pionati e altri 12 deputati, che viceversa avrebbero bisogno di un ulteriore mandato e 5 senatori, di cui uno raggiunge la pensione tra 63 giorni, il PdlSanciu, e 4 hanno bisogno di una rielezione.

La pensione? Non prima del 2013
Nel dettaglio si tratta di 84 deputati del Pdl, 36 leghisti, 83 Democratici, 6 dell’Udc, 5 del Gruppo Misto, 12 dell’Idv, 13 Responsabili (quasi il 46% del totale, visto che sono 28) e 7 futuristi. A Palazzo Madama, troviamo in questa situazione 38 senatori del Pdl, 34 Democratici, 11 leghisti, 7 dell’Idv, 6 del Gruppo Misto, 5 dell’Udc, Svp e Autonomie, 2 di Coesione nazionale e uno non specificato. Che si “giocano”, infatti, non solo la loro indennità (così si definisce lo “stipendio” di un parlamentare), che per un deputato equivale a 11.703,64 euro lordi e per un senatore a 12.005,95 (al netto 5.486,58 euro per un deputato e 5.613,63 per un senatore), ma anche la possibilità di avere una pensione. Da sottolineare che questa è la prima legislatura in cui le matricole del Parlamento non arrivano alla pensione, se le Camere si sciolgono anzitempo. Prima, infatti, bastavano 2 anni e mezzo (e le pensioni erano anche più alte). A stabilirlo sono stati i nuovi Regolamenti emanati nel luglio 2007 (durante il governo Prodi), che prevedono che per avere la pensione bisogna aver fatto almeno 5 anni di effettivo mandato e aver compiuto 65 anni. Per ogni anno in più di mandato, diminuisce di un anno l’accesso alla pensione. Oggi, dunque, il vitalizio minimo corrisponde al 20 per cento dell’indennità lorda: quindi 2340,73 euro per i deputati e 2401,1 per i senatori.

Scorrendo la lista dei deputati che devono finire la legislatura per garantirsi la vecchiaia (alla Camera i numeri sono più risicati e la maggioranza più a rischio, dunque i posizionamenti anche individuali hanno più conseguenze) si trovano alcune nuove conoscenze balzate agli onori della cronaca degli ultimi mesi. Immancabile Domenico Scilipoti, tra i voti decisivi per la fiducia a Berlusconi del 14 dicembre. Oppure Souad Sbai, tra le più pronte a tornare dai futuristi al Pdl. Tra i pidiellini appesi alla legislatura va menzionato almeno Francesco Paolo Sisto, l’avvocato che era stato mandato d’ufficio ad Annozero a difendere il premier. O Elio Vittorio Belcastro, passato dall’Mpa ai Responsabili, in soccorso di Berlusconi e poi a Sud, dopo aver mancato la poltrona di sottosegretario. Senza contare il folto drappello di giovani Democratici, portati in Parlamento da Veltroni, da Marianna Madia a Matteo Colaninno.

Quelli dello scampato pericolo
Esiste poi un drappello piuttosto nutrito e abbastanza interessante di parlamentari che hanno maturato il diritto al vitalizio nell’appena trascorsa primavera, giorno più, giorno meno: molti di loro infatti provenivano dalla legislatura precedente che è durata solo due anni. Secondo i dati elaborati daOpenpolis, sono 103 deputati (39 del Pd, 32 del Pdl, 5 della Lega, 9 dell’Udc, 6 Responsabili, 4 furisti, 2 dell’Idv e 4 del Misto) e 40 senatori (20 del Pd, 8 del Pdl, 6 della Lega, 3 dell’Idv e 3 del Gruppo Misto). Anche qui, andando a scorgere la lista dei deputati che hanno appena scavallato il termine per arrivare al vitalizio, si può avere qualche spunto in più per leggere gli ultimi sommovimenti politici. E infatti troviamo personaggi come Aurelio Misiti, che ha appena guadagnato una poltrona da sottosegretario per passare dall’Mpa al gruppo Misto, a sostegno di Berlusconi. Senza contare Bruno Cesario, altro socio fondatore dei Responsabili alla vigilia della fiducia di dicembre. OppureGiampiero Catone, recentemente premiato con un sottosegretariato per aver scelto di votare la fiducia di dicembre contravvenendo alle indicazioni di quello che era allora il suo gruppo (Fli). Merita una citazione Remigio Ceroni, che per compiacere Berlusconi voleva persino cambiare l’articolo 1 della Costituzione.

Più anni, più guadagni
Ma in realtà il gioco delle pensioni è ancora più complicato di così: infatti per ogni anno di mandato in più si conquista un 4 per cento del vitalizio. Fino ad arrivare al tetto massimo che si raggiunge ai 15 anni di mandato. 7022,184 euro per gli ex deputati e 7203, 3 per gli ex senatori. Per cui di fatto, ogni parlamentare ha un interesse economico immediato e futuro a restare in Parlamento il più possibile. Che vuol dire anche garantirsi la rielezione con i cambi di casacca e i riposizionamenti più opportuni. Una notazione finale: la Camera spende per pagare i vitalizi degli ex deputati ben 138 milioni e 200 mila euro, mentre il Senato 81 milioni e 250 mila euro.



Foreign Policy: Si avvicina il sipario sull'era Berlusconi.


Il Premier Silvio Berlusconi

NEW YORK - «Il primo ministro Silvio Berlusconi è al capolinea», secondo la rivista americana Foreign Policy, «la farsa politica che è stata la sua legislatura potrebbe terminare presto». Oltre alle divisioni interne alla coalizione di governo, l'autore James Walston - che insegna Relazioni Internazionali all' American University of Rome - sottolinea come le non felici condizioni economiche italiane aggravino la situazione del presidente del consiglio.

L'Italia, dice Walston, ha un tasso di crescita inferiore a quello dei suoi competitori, la sua economia è stata stagnante nell'ultimo ventennio e lo scorso mese l'agenzia di rating Standard and Poor's ha rivisto al ribasso il rating del Paese. «Anche il presidente di Confidustria, Emma Marcegaglia, tradizionale alleato del centro-destra - scrive la rivista - ha criticato il governo». Per ravvivare la popolarità del premier «servirebbe una linea economica meno rigida» ma Tremonti sembra non volerci sentire da quell'orecchio.

Berlusconi è quindi con le spalle al muro: «se licenzia Tremonti e ricomincia a spendere verrà punito dai mercati - spiega Walston - se consente al ministro dell'Economia e delle Finanze di portare avanti la proprio linea verrà punito dagli elettori».

Foreign Policy sottolinea come «buona parte degli italiani si limita a lamentarsi mentre la Lega Nord può fare cadere Berlusconi». Come hanno evidenziato sia Bossi che Maroni la scorsa settimana, altro tema caldo è la partecipazione italiana all'intervento militare Nato in Libia. «Gran parte del Paese - chi come Berlusconi per legami personali con i leader libici, chi per paura delle ondate migratorie e chi per opposizione culturale alla guerra - era ed è ancora contrario all'intervento», afferma Walston.

In una situazione simile, le vicende personali del premier passano quasi in secondo piano. «Quasi - scrive Foreign Policy - perché questa settimana Berlusconi si è dovuto recare in tribunale a Milano per il processo Mills. Mentre le accuse di sfruttamento della prostituzione legate al caso Ruby, se non hanno avuto un peso significante nelle vicende interne, hanno danneggiato l'immagine internazionale dell'Italia».

Tutto questo dopo le deludenti elezioni municipali a Milano e Napoli fa notare Walston. Se il presidente del consiglio vuole avere qualche possibilità di rimanere in sella, deve saldare le divergenze che si sono venute a creare tra il suo partito (in particolare Alemanno e gli esponenti meridionali del Pdl) e la Lega dopo le esternazioni della scorsa settimana di Bossi e Maroni.



La supercassoela (Marco Travaglio).

Sarebbe facile infierire sul Museo Lombroso padano color pisello che domenica sgomitava sul palco di Pontida ornato di gerani e begonie. Ma è più interessante occuparsi di chi stava sotto quel palco: 50, forse 80 mila (secondo gli organizzatori) simpatici beoti che, a parte la fatica immane di decrittare i suoni gutturali del Senatur improvvidamente non sottotitolato, si bevevano tutto senza fiatare e si scorticavano le mani qualunque cosa uscisse dalla sua bocca. Intendiamoci: nei primi 5-6 anni di vita, la Lega Nord ha svolto un ruolo positivo nella politica italiana. Senza Bossi e i suoi, nel ’92 il pool Mani Pulite sarebbe stato trasferito in blocco in Barbagia o impiombato in un viadotto di cemento armato della Salerno-Reggio.

E il primo governo B. non sarebbe caduto dopo soli 8 mesi, dunque nel ’96 Prodi non avrebbe vinto e nel ’98 l’Italia non avrebbe agganciato in extremis il treno europeo salvandosi da sicura rovina. Da allora però la Lega ha perso qualunque ragione di esistere e Bossi ha supplito al vuoto pneumatico di funzione storica con una supercàzzola (in padano, supercassoela) dopo l’altra. L’ampolla del dio Po, il Va’ pensiero al posto dell’Inno di Mameli, il tricolore per pulirsi il culo, le macroregioni (prima tre poi quattro, poi cinque: chi offre di più?), la secessione, la devolution, la Guardia Padana, il Parlamento della Padania, il Procuratore della Padania (il siciliano Brigandì), i magistrati padani eletti dal popolo padano, gl’insegnanti padani per erudire i pupi sui dialetti padani, le scuole col Sole delle Alpi, le nozze celtiche, l’amico Milosevic, l’amico Saddam, i 300 mila padani armati pronti marciare su Roma, le banche padane (capitanate dall’ottimo Fiorani), il culto della Malpensa cioè l’aeroporto di Sesto Calende spacciato per l’ombelico d’Europa, le frontiere da chiudere contro l’invasione albanese, poi cinese, poi islamica, i dazi anti-Cina, Bin Laden travestito da imam di Gallarate, l’imam di Gallarate travestito da Tettamanzi, l’uscita dall’euro per tornare al tallero, le vacche padane contro le quote latte. Roba che doveva far ridere anche i polli padani e invece veniva presa terribilmente sul serio dal ceto politico e dalla stampa al seguito. Intanto la Lega, da movimento rivoluzionario, diventava la guardia repubblicana del berlusconismo e, per farsi digerire dal popolo padano, evocava attese messianiche in vista di una sempre nuova Ora X che i dirigenti speravano non arrivasse mai, per non dover scoprire il bluff. Poi, purtroppo per loro, l’Ora X è scoccata: una classe politica di dementi ha fatto passare il federalismo fiscale e ora se ne assaggiano i primi balsamici effetti: i comuni, affamati dall’abolizione dell’unica tassa federale (l’Ici), s’affrettano a gonfiare le addizionali Irpef. Urgono nuove supercàzzole per spostare la nuova frontiera un po’ più in là. Ed ecco la data di scadenza alla guerra in Libia (perché – rivela Bossi – “quelle che chiamano missioni di pace sono guerre!”: ma va? E chi ha votato le guerre travestite da pace in Afghanistan e in Iraq?). I ministeri al Nord. Il taglio delle tasse. E naturalmente dei “costi della politica”, perché “non è giusto che li paghino i cittadini”. Bene bravo bis. Il popolo padano sul pratone, sempre in attesa dei sottotitoli, si scortica le mani a furia di applausi, sulla fiducia. A nessuno viene in mente di domandare: e poi chi lo paga il Trota? Nessuno pensa che quei furbacchioni sul palco campano e ingrassano grazie ai “rimborsi elettorali” moltiplicati per 11 in 10 anni grazie ai voti della Lega; alle province inutili che costano 17 miliardi l’anno; o alle consulenze facili del ministro Castelli (condannato dalla Corte dei conti a rifondere il maltolto), che si circondava di dirigenti come Alfonso Papa, parte padano e partenopeo. Bossi, poveretto, ha già tanti guai: altrimenti verrebbe da augurargli che esistano davvero, i 300 mila padani armati. Perché se esistessero, non marcerebbero più su Roma. Ma su Pontida e dintorni. Per farsi restituire i soldi, i danè, gli schei. Anzi, i talleri.


Da Il Fatto Quotidiano del 21/06/2011.



PRESIDIO MONTECITORIO: intervento di Gaetano.



È iniziato il 4 giugno lo sciopero della fame di un gruppo di cittadini italiani che presidiano davanti a Palazzo Montecitorio trasformatosi, ormai da quasi 20 giorni, in luogo di malcontento e protesta. Sostenuta da qualche centinaio di attivisti e promossa da migliaia di cittadini.



mercoledì 22 giugno 2011

Un anno di fatti de ilfattoquotidiano.it - di Peter Gomez


Sembra ieri e invece è già passato un anno. Oggi ilfattoquotidiano.it supera la boa dei 12 mesi di vita. Noi, qui dalla redazione, se ci voltiamo indietro, quasi non ci crediamo. Il 22 di giugno del 2010, e nelle settimane immediatamente successive, non funzionava niente. I server cadevano di continuo, il nostro WordPress si impallava spesso e ci costringeva ad aggiornare il sito tra le tre e le cinque del mattino. Ogni visitatore in più ci creava nuovi patemi d’animo. Allora, raccontano le statistiche, viaggiavamo a una media di 100mila utenti unici al giorno e quando, per la prima volta, ci era capitato di superare i 180mila avevamo pensato di aver fatto il botto.

Bene, oggi tocchiamo spesso il mezzo milione, abbiamo avuto persino un picco di 600.000 (la media è poco sotto i 400.000), e se guardiamo le classifiche delle versioni online dei quotidiani cartacei scopriamo che ilfattoquotidiano.it sta lottando per il quarto posto.

Non è però per questo che siamo (parzialmente) soddisfatti. Essere arrivati fin qui, stare così in alto (con 549mila followers siamo primi assoluti tra i giornali su Facebook) e rendersi conto che a volte i concorrenti si ispirano a noi nella grafica e nei contenuti, dimostra invece solo che l’intuizione da cui è nato questo sito era giusta.

Scrivere tutte le notizie che si è in grado di trovare e valutare (senza pensare chi possono favorire o danneggiare); dare spazio nei blog a opinioni politiche (ma non solo) diverse tra loro e spesso non coincidenti con le nostre; permettere a tutti gli utenti che lo desiderano di intervenire nel dibattito anche per criticarci, era e rimane la nostra linea. Ilfattoquotidiano.it, d’altra parte, ha un solo obiettivo: fare informazione.



Il resto però lo avete fatto voi. In occasione del nostro primo compleanno il vero ringraziamento va per questo alla Rete e ai navigatori. A chi viene a farci visita. E a chi ha contribuito a renderci interessanti accettando di aprire qui il suo blog, segnalandoci storie e notizie, o scrivendo anche uno solo tra il milione e 658mila commenti postati quest’anno.

Il secondo ringraziamento lo devo poi io, nelle mie vesti di direttore, alla redazione. Eravamo una mezza sporca dozzina, oggi siamo in nove. Forse sporchi come allora, ma certamente molto più stanchi. Aggiornare dalle 8 del mattino fino alle 24 un giornale online come il nostro è un lavoro massacrante. Nonostante questo i colleghi non si sono mai tirati indietro. Hanno sempre lavorato con professionalità ed entusiasmo. Non hanno pensato alle domeniche, alle famiglie, a festività come Pasqua o Capodanno. Qui infatti c’è stato sempre qualcuno. E quando la situazione si è fatta davvero critica ci sono stati tutti, senza recriminare su carichi di lavoro, turni ed orari.

Il risultato, anche grazie al contributo dei nostri 300 blogger, dei consigli di Antonio Padellaro, e dei pezzi dei giornalisti della redazione romana de Il Fatto Quotidiano e dei nostri collaboratori, è stata la pubblicazione di 22.000 post in 12 mesi. Storie e video-inchieste spesso pesanti, in grado di informare, suscitare discussioni e, sopratutto, di far pensare.

Ovviamente non vogliamo fermarci. È appena nata la sezione Emilia Romagna che in questo periodo viaggia già al ritmo di 50mila utenti unici al giorno. Tra qualche settimana i nostri tecnici, in questi mesi impegnati quanto i colleghi giornalisti, metteranno online la nuova versione del sito, mentre ha già preso il via il lavoro per il lancio di una vera web-tv con un palinsesto da trasmettere anche in diretta streaming. Per questo sarà necessario ingrandirci ancora un po’. Ma con prudenza.

Internet è un drago vorace e costoso. Dopo un lungo dibattito interno e, come qualcuno ricorderà, con la Rete, abbiamo scartato l’idea di chiedere dei contributi volontari ai navigatori. Viste le risposte entusiastiche che il progetto aveva ricevuto dal web certamente i finanziamenti non sarebbero mancati. Ma alla fine un motivo, che forse è giusto definire etico, ci ha spinto a rinunciarvi. La nostra società editoriale è una Spa che, grazie allo straordinario successo de Il Fatto Quotidiano in edizione cartacea, produce utili in parte redistribuiti. Non sarebbe stato giusto, in queste condizioni, domandare ai lettori di aprire il portafoglio.

Così per pareggiare al più presto i conti del sito e affrontare con serenità i nuovi investimenti (oggi spendiamo tra tutto circa un milione di euro) ci siamo rivolti alla pubblicità. Senza farci condizionare da nessuno (il caso della nostra polemica con Enel insegna) abbiamo dato lo spazio a inserzionisti e offerto anche ospitalità a database sponsorizzati per la ricerca di case, lavoro e assicurazioni, pensando che si trattasse di un servizio utile dal punto di vista economico sia per i lettori che per noi. In una Nazione come la nostra, in cui tutti parlano e straparlano di libero mercato e concorrenza (spesso dal comodo pulpito di giornali cartacei e online che incassanofinanziamenti pubblici), noi abbiamo deciso di provare a far vedere da soli quanto valiamo.

I fatti, anzi i numeri, ci daranno ragione? Ci contiamo, ma non lo sappiamo. Ai lettori e ai navigatori possiamo solo assicurare che continueremo a mettercela tutta. C’è un Paese, anzi un mondo, che merita di essere raccontato. C’è un futuro che, per quel che possiamo, va immaginato. E noi, accada quel che accada, anche l’anno prossimo, e per molti altri anni ancora, saremo sempre qui per farlo. Restate con noi.