sabato 30 luglio 2011

Ecco perchè il doppio Giulio non ci convince per nulla. - di Franco Bechis



Ecco perché il doppio Giulio non ci convince per nulla

L’unica cosa che aveva regalato finora agli italiani era una battuta o poco più. Un comunicato di poche righe nel giorno più difficile, e uno scherzoso «mi sono dimesso… da inquilino», con cui Giulio Tremonti aveva pensato di archiviare la vicenda della casa romana sbucata fra le pieghe del caso Milanese. C’è voluta la punzecchiatura del suo amato Corriere della Sera (il quotidiano con cui collaborava) e il richiamo di una firma illustre come quella dell’ambasciatore Sergio Romano che stigmatizzava quella casa pagata in nero dal ministro che insegue gli evasori per convincere Tremonti a qualche passettino in più.
Il ministro dell’Economia ieri ha scritto una breve lettera al quotidiano diretto da Ferruccio De Bortoli e l’ha accompagnata per non fare torto al rivale in edicola a una chiacchierata informale con il vicedirettore di Repubblica, Massimo Giannini. Al Corriere ha raccontato di essere un ricco professionista e rivelato di ricevere come tutti i ministri 2.390 euro al mese di stipendio in contanti. Quindi per uno come lui non è stato un problema dare 4 mila euro mensili in contanti a titolo di rimborso spese per la casa che gli aveva messo a disposizione il suo collaboratore Marco Milanese. Per Tremonti non si tratterebbe di nero perché «fra privati cittadini non era dovuta l’emissione di fattura o vietata la forma di pagamento». Il ministro spiega di avere raggiunto un accordo verbale con Milanese e di avere pensato all’inizio «a un diverso contratto, che ho poi subito escluso per ragioni personali». E sostiene di non avere fatto nulla di male. A Repubblica invece la versione fornita è assai diversa, e in qualche passaggio addirittura divergente. Per prima cosa Tremonti ammette: «Ho fatto una stupidata». Poi aggiunge una spiegazione choc (che peraltro era già stata rivelata da Libero qualche settimana fa): «In quella casa ci sono andato per banale leggerezza. Il fatto è che prima ero in caserma, ma non mi sentivo più tranquillo. Nel mio lavoro ero spiato, controllato, pedinato».
Nel lungo colloquio Tremonti aggiunge di essersi sentito spiato perfino in hotel e che per questo dal febbraio 2009 ha deciso di «accettare l’offerta di Milanese. L’ospitalità di un amico, presso una abitazione che non riportava direttamente al mio nome, mi era sembrata la soluzione per me più sicura».
Basta tutto ciò a cancellare ombre? Francamente no. Anzi la duplice versione di Tremonti pare aggiungere ombra ad ombra. Per chiarire bisognerebbe andare avanti settimane con carteggi e colloqui confidenziali. E già in questo c’è la principale anomalia. Tremonti è il capo del fisco italiano. Negli ultimi due anni ha varato misure assai severe su evasione ed elusione fiscale. Il suo mandato all’Agenzia delle Entrate è stato recuperare ad ogni costo 10 miliardi di euro l’anno scorso (obiettivo raggiunto) e 20 miliardi nell’anno in corso. Non ci possono essere ombre sui comportamenti fiscali privati di chi obbliga tutti gli altri a una condotta rigorosa. Quando quelle ombre sono emerse sulla casa romana di Tremonti, il ministro non avrebbe dovuto attendere nemmeno un giorno. La soluzione più naturale sarebbe stata convocare una conferenza stampa ed accettare di rispondere a qualsiasi domanda fosse arrivata. In quel modo si sarebbe rivolto ai contribuenti italiani e non ai giornalisti di fiducia, che è ben altra cosa. Questa incapacità di parlare all’elettorato e a tutti gli italiani sta diventando un handicap grave nel centro-destra. Lo avesse fatto Tremonti avrebbe forse chiarito quel che al momento è ancora oscuro.
Che significa che fra privati può girare del nero? Non è forse privata la mia padrona di casa a cui pago l’affitto? Lo devo fare in contanti e lei semplicemente incassarlo nel disinteresse del fisco? Si poteva quindi non firmare un contratto con la mia padrona di casa per «ragioni personali» come quelle misteriosamente citate dal ministro dell’Economia? Se è così per Tremonti, deve essere così anche per tutti gli altri italiani.
Abbiamo letto su Repubblica qualche giorno fa Milanese negare qualsiasi rapporto di amicizia con il ministro: «Gli do del lei e lo chiamo professore». Due giorni dopo Tremonti spiega di essersi sentito più sicuro con «l’ospitalità di un amico». Le due versioni palesemente stridono. Quale è falsa?
Infine la domanda più rilevante: quanti anni ha passato il ministro a sentirsi spiato e perfino pedinato prima di riparare nel 2009 a casa Milanese? Quali sono le prove di un’accusa così grave? È stata denunciata alla magistratura? Ha chiesto di essere sentito dal Copasir? Ha dovuto prendere in questa situazione decisioni che altrimenti non avrebbe preso? Non sono domande inutili. Inutile è il rimpallo con i giornalisti amici. Che contano assai meno dei contribuenti italiani.



Bellissimo discorso di una manifestante NO TAV alle forze dell'ordine!!!.mp4




venerdì 29 luglio 2011

Due milioni di metri quadri di monnezza In Campania ora è disastro ecologico. - di Nello Trocchia



L'allarme viene lanciato dall'ultimo rapporto Arpac. Il documento rileva macchie estesi di contaminazione invasa da oltre 17 milioni di tonnellate di rifiuti anche tossici e nocivi. L'agenzia ha individuato sette macro zone.

La definizione tecnica è aree vaste. La traduzione è disastro ecologico. La Campania radiografata dal rapporto dell’Arpac, l’agenzia regionale di protezione ambiente, è un territorio con macchie estese di contaminazione. Il dossier è stato presentato da Antonio Episcopo, direttore dell’Arpac e daMarinella Vito, direttrice tecnica, durante le audizioni davanti alle commissioni anticamorra e bonifiche della regione. Le aree vaste individuate si ricavano dalla collocazione geografica dei siti potenzialmente contaminati inseriti in due elenchi.

Sono sette le macro zone individuate: “Nelle aree vaste – scrive l’Arpac – i dati esistenti inducono a ritenere che la situazione ambientale sia particolarmente compromessa, a causa della presenza contemporanea, in porzioni di territorio relativamente limitate, di più siti inquinati e/o potenzialmente inquinati”. Ogni area vasta presenta una scheda con il dettaglio dei siti, la presenza di inquinanti, lo stato degli interventi. Antonio Amato, presidente regionale della commissione Ecomafie e bonifiche, riassume i numeri del disastro: “Oltre due milioni e settecento mila metri quadri di territorio devastati, oltre 17 milioni e 400 mila metri cubi di rifiuti stimati, tra quelli noti, livelli di inquinamento che impongono un immediato intervento”.

C’è l’area vasta Masseria del pozzo nel comune di Giugliano, in provincia di Napoli, con la presenza nei siti censiti di rifiuti solidi urbani, tossici, nocivi e speciali. Non solo, nelle acque sotterranee si è evidenziata la presenza di manganese, ferro, piombo, benzene e altri inquinanti. Nei pozzi spia, discarica Masseria del Pozzo, superamenti dei livelli di “Ferro, manganese, azoto ammoniacale, idrocarburi totali, ammonio e fluoruri”.

Per ogni sito, la maggior parte discariche, c’è anche il dettaglio con lo stato delle attività di messa in sicurezza e bonifica. Ogni scheda con progetto annesso di ripristino ambientale si conclude con la stessa dicitura: non attuato. Tra i siti c’è l’area di stoccaggio Fibe Spa con 215 mila metri cubi di rifiuti solidi urbani, con il piano di caratterizzazione redatto, ma non attuato. Per molti siti, anche gestiti da mano pubblica, non sono state realizzate indagini e in molte discariche mancano anche i teli di copertura e di contenimento con fuoriuscita di biogas e percolato.

Cambiamo area vasta e la situazione è la stessa. Cittadini e colture che convivono con vere e proprie bombe ecologiche. Area Maruzzella, in provincia di Caserta. Non solo i buchi della camorra e dell’imprenditoria collusa. In questo caso i siti censiti hanno avuto tutti il controllo pubblico (consorzi o partecipate) o della Fibe Spa, la società di Impregilo che avrebbe dovuto realizzare il ciclo di gestione dei rifiuti in Campania. Ci sono ammassati circa 2 milioni e 900 mila tonnellate di rifiuti. In uno dei siti monitorati, nelle acque sotterranee si rilevano superamenti dei livelli di arsenico, ferro, manganese, idrocarburi, piombo così come nelle acque di falda: ferro e arsenico. Area vasta Pianura, ancora in provincia di Napoli.

Un quadro agghiacciante di contaminazione con la presenza di rifiuti speciali, tossici, nocivi, industriali nei siti monitorati. Nelle acque di falda i superamenti dei livelli di ferro, manganese, arsenico, nei suoli, invece: stagno e berillio. Completano le aree vaste quella di Lo Uttaro, Bortolotto, in provincia di Caserta, e Regi Lagni e Fiume Sarno ( che comprendono aree interprovinciali). L’Arpac scrive: “ Si tratta di aree particolarmente interessate dalla presenza contemporanea di due o più siti di smaltimento rifiuti, per le quali le diverse indagini effettuate nel tempo, principalmente sulla falda acquifera, hanno evidenziato situazione di contaminazione delle acquee sotterranee, potenzialmente correlabili ad una cattiva gestione dei siti presenti”.

Nel dossier si evidenzia lo stato di avanzamento degli interventi dei siti potenzialmente ‘contaminati’, censiti nel 2005. Su 2551 siti radiografati ( potenzialmente inquinati) solo su 519 ( il 20%) si registra, a settembre 2010, un avanzamento dell’iter procedurale. Su questi 519, 67 sono risultati non contaminati, i bonificati sono 5, quelli in corso di bonifica 3. Per intervenire servono risorse: “ L’anagrafe e il censimento – conclude Amato – dei siti inquinati in Campania, restituiscono una situazione drammatica e realisticamente, sarebbero necessarie oltre 4 finanziarie dello stato per realizzare una bonifica completa”.


giovedì 28 luglio 2011

Menarini, l'inchiesta si allarga altra azienda truffava lo stato.


La procura di Firenze accusa la filiale italiana della multinazionale Bristol Myers Squibb.
Avrebbe aiutato Alberto Aleotti a frodare il servizio sanitario e aumentare i prezzi dei farmaci.


Avrebbero gonfiato notevolmente i prezzi di vendita dei farmaci commercializzati, ottenendo un indebito rimborso di oltre un miliardo di euro dal Servizio Sanitario Nazionale. E' l'accusa rivolta dalla Procura della Repubblica di Firenze alla multinazionale Bristol Myers Squibb Italia, che avrebbe messo in atto la truffa assieme al gruppo Menarini. Nei confronti della società sono state effettuate oggi delle perquisizioni dalla Gdf.

L'ipotesi degli inquirenti è che entrambi i gruppi industriali abbiano messo in atto comportamenti finalizzati ad ottenere, attraverso una serie di artifici e raggiri, l'inserimento nel Prontuario farmaceutico nazionale di farmaci commercializzati sia da Menarini che da Bristol Myers Squibb a prezzi notevolmente gonfiati rispetto al costo effettivamente sostenuto.

Unico indagato, per il momento, risulta l'ex amministratore delegato Guido Porporati, accusato di concorso in truffa con Alberto Aleotti, patron di Menarini.

La vicenda è collegata all'inchiesta che sempre la procura di Firenze sta conducendo sul gruppo Menarini, nella quale sono indagati i vertici dell'azienda. Secondo i magistrati, il gruppo, attraverso società 'cartiere' che avevano come compito quello di aumentare il costo dei principi attivi acquistati, era riuscito ad ottenere un prezzo di vendita dei farmaci più alto rispetto al prezzo reale, con notevole aggravio di spesa per il servizio sanitario nazionale che doveva rimborsarli.

In questo contesto la Bristol Myers Squibb, fin dal 1984, avrebbe concesso al gruppo Menarini la licenza non esclusiva per il confezionamento e la vendita in Italia di farmaci preparati sulla base proprio di quei principi attivi, essendo a conoscenza dell'esistenza delle cartiere per aumentare il prezzo. Ci avrebbe guadagnato adeguando il prezzo dei suoi farmaci, prodotti con lo stesso principio attivo di quelli di Menarini, a quelli della società toscana.

Oltre alle perquisizioni nelle sedi della multinazionale, gli uomini della Guardia di Finanza hanno notificato alla Bms il decreto di fissazione dell'udienza per l'applicazione di misure cautelari, prevista per il 19 settembre.

L'ipotesi di frode su cui lavorano gli inquirenti non riguarderebbe la qualità dei farmaci bensì l'illecita sovrafatturazione dei costi sostenuti dalla Bms Italia per l'acquisto dei principi attivi (Pravastatina, Fosinopril, Captopril, Aztreonam) utilizzati per la produzione e la vendita di farmaci impiegati nella cura di malattie cardiache e di battericidi (anch'essi impiegati per il trattamento di particolari patologie cardiache), per i quali è previsto il rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale.

http://firenze.repubblica.it/cronaca/2011/07/28/news/prezzi_dei_farmaci_gonfiati_truffa_da_1_miliardo_al_servizio_sanitario-19733317/?ref=HREC2-6

Sfrattati, soli e senza soldi la parabola discendente dei pentiti.


Oltre 90 hanno perso la casa e vivono in conventi o sistemazioni di fortuna. E mancano anche i fondi per farli deporre ai processi. "Prima ci hanno spremuti poi buttati".

di ATTILIO BOLZONI
Coccolati alla bisogna, assecondati nelle loro bizze, per un bel po' qualcuno li ha creduti in tutto e per tutto. Erano le voci della verità. Quando non sono serviti più li hanno buttati via. Si sa, lo Stato italiano ha sempre avuto la memoria corta. Pentiti. A Palermo, quasi trent'anni fa era parola d'offesa. Come cornuto e sbirro. Se volevi insultare qualcuno dicevi: "Sei un Buscetta". O lo apostrofavi proprio in quel modo: pentito. Il capo dei capi di Cosa Nostra quando parlava di loro scandiva le sillabe - pen-ti-ti - e si difendeva raccontando che "quelli camminano mani per mani e sono tutta una bugiarderia". Giulio Andreotti - ce n'erano trentasette che lo accusavano - rispondeva a tutti loro così: "Vendono bufale a rate". Uno, Leonardo Messina, alla fine dell'estate del 1992 giurò che il divo Giulio era addirittura 'punciuto', cioè non un semplice simpatizzante ma un affiliato alle famiglie mafiose. Allora, se ne parlò tanto di quella rivelazione. Se Leonardo Messina la dovesse ripetere oggi, lo chiuderebbero in un manicomio giudiziario e getterebbero la chiave a mare.

In Italia, è andata come è andata anche con i pentiti. Osannati prima, "schifiati", disprezzati poi. Qualcuno di loro ha retto al cambio di passo dello Stato e qualcun altro s'è spezzato. In verità tutti, venendo da dove venivano, lo immaginavano che sarebbe finita così. Nell'abbandono, nella solitudine di chi ha scelto di buttarsi dall'altra parte. Ripudiati da mogli e perfino da madri
("Io non li ho mai partoriti quegli infami", gridò nel quartiere palermitano dello Sperone Marianna, quando i suoi due figli Emanuele e Filippo Di Pasquale si consegnarono agli agenti della Dia), spremuti dallo Stato e poi lasciati al loro destino.

È capitato perfino a Francesco Marino Mannoia, il primo dei "corleonesi" a collaborare alla fine del 1989 con il giudice Falcone, uno che aveva raccontato come funzionava il traffico di droga fra la Sicilia e gli States (lui stesso aveva imparato a raffinare la morfina base da corsi e marsigliesi) e che poi era finito nelle mani degli americani e trattato con i guanti gialli per un ventennio. Figuriamoci la sorte degli altri. Quelli semi sconosciuti e usati per incastrare il boss di un paese, quelli che non si chiamano Giovanni Brusca o Nino Giuffrè, nomi del firmamento mafioso.
Per esempio è solo di qualche giorno fa la notizia che proprio uno dei collaboratori di giustizia più ignoti, un certo Roberto Spampinato di Catania, è stato sfrattato dall'abitazione dove era agli arresti domiciliari. Insomma non può scontare neanche la sua pena perché - come ha scritto il giudice di sorveglianza del Tribunale di Roma, "non ha più una fissa dimora". Non ha più casa perché lo Stato non paga il suo affitto. Sono in tutto 90 i pentiti sfrattati nell'ultimo anno. Le casse del Servizio centrale di protezione sono vuote. È il crac. Alcuni sono stati dirottati in comunità religiose - conventi di suore - che li hanno accolti, altri hanno raggiunto senza auto blindata (non c'erano soldi per la benzina) la Calabria, altri ancora hanno perso l'assistenza sanitaria. E poi i loro avvocati, da un anno lavorano gratis: non ricevono più gli onorari. Lo Stato non paga nemmeno loro. Lo Stato non è più in grado di rispettare il patto che aveva fatto con quei mafiosi che avevano deciso di stare con la giustizia.

I fondi per i collaboratori erano 70 milioni di euro nel 2006 e 52 milioni nel 2008, 49 milioni nel 2010 e 34 in questo 2011. Un taglio del cinquanta per cento in cinque anni che di fatto sta mettendo in pericolo molti processi di mafia, 'ndrangheta e camorra. "Anticipiamo soldi di viaggi e alberghi, i collaboratori non vanno a colloquio nemmeno con i loro familiari perché al servizio di protezione non hanno il denaro per i trasferimenti", racconta Mariella Di Cesare, un avvocato che assiste i napoletani Giuseppe Sarno e Paolo Di Grazia e il casalese Luigi Guida.

Lo Stato non paga l'affitto ma se ne frega anche del resto. C'è un romeno, Alexandru Bodnariu - pentito di un'associazione mafiosa che regnava su Santa Maria Capua Vetere - che da mesi chiede le carte per iscriversi all'Università ma il Servizio di protezione neanche gli risponde. "Nel Servizio di protezione ci sono anche persone molto responsabili che cercano di risolvere i grandi problemi che ci sono ma è il sistema che è al collasso, lo Stato ignora le esigenze primarie di queste persone", denuncia Monica Genovese, avvocata palermitana che difende Santino Di Matteo - uno dei pentiti della strage di Capaci - e una dozzina di collaboratori di ultima generazione. Uomini che vivono con 1200 euro al mese insieme a moglie e due figli ma che ricevono lo stipendio con settimane di ritardo. O che si ritrovano con la luce tagliata a casa perché chi deve pagare non paga. O che sono costretti, per una testimonianza, a fare su e giù per l'Italia per 48 ore perché lo Stato non può permettersi un pernottamento in un albergo.

L'altro venerdì si è impiccato un esattore del "pizzo" della famiglia palermitana della Guadagna. Si chiamava Giuseppe Di Maio, la moglie l'aveva lasciato perché "spione". Non ce l'ha fatta e se n'è andato per sempre. Qualche giorno prima un altro pentito siciliano ha detto quello che pensava. Era in udienza, a Roma. Ha chiesto la parola e poi ha cominciato a parlare: "Se voi lasciate soli i collaboratori non date un buon esempio perché la mafia non li lascia mai soli i mafiosi. Cosa Nostra assicura uno stipendio ai carcerati e ai loro familiari, paga anche gli onorari agli avvocati. Io vengo qua perché sono pentito dentro, altrimenti dovrei solo scappare da questo Stato". Manuel Pasta, mafioso della famiglia di Resuttana Colli, Palermo.



Rai, Cda approva contratto della Gabanelli Accettata clausola temporanea 'manleva'.



Roma - (Adnkronos) - Sì di viale Mazzini alla prossima edizione di 'Report' con l'impegno di rispondere di eventuali cause per danni ma solo a certe condizioni.

Roma, 28 lug. (Adnkronos) - Il Cda della Rai ha approvato a maggioranza il contratto per la prossima edizione della trasmissione 'Report'. Questo - a quanto apprende l'ADNKRONOS - vuol dire che il consiglio ha accettato la clausola temporanea della 'manleva' proposta dalla Gabanelli, cioè con l'impegno da parte della Rai di rispondere di eventuali cause per danni ma solo a certe condizioni.

"In nome di un dovere cui la Rai è tenuta, quello di garantire la sopravvivenza e il rilancio del Servizio pubblico, è augurabile che la decisione di assicurare a Milena Gabanelli la tutela legale per la trasmissione da lei condotta sia un atto, non isolato né provvisorio, da iscriversi a una strategia rifondativa del valore civile e culturale che la Rai ha sempre rappresentato". Ad affermarlo il presidente della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, Sergio Zavoli.


Terremoto a L'Aquila, nove indagati per i lavori di ricostruzione della questura.


I soccorsi del dopo terremoto

L'Aquila - (Adnkronos) - Gli avvisi di garanzia nell'ambito dell'inchiesta supresunte irregolarità nell'affidamento delle opere di ripristino. Il reato ipotizzato è di abuso d'ufficio. A far nascere qualche sospetto sarebbe stato il rialzo dei prezzi passati da 3 a 18 milioni di euro.

L'Aquila, 28 lug. - (Adnkronos) - Nell'ambito dell'inchiesta su presunte irregolarità nell'affidamento dei lavori di ricostruzione della questura del capoluogo, la Procura della Repubblica dell'Aquila ha emesso nove avvisi di garanzia. Il reato ipotizzato è quello di abuso d'ufficio. A far scattare l'inchiesta sarebbe stata la forte lievitazione dei prezzi passati da 3 a 18 milioni di euro.

Destinatari del provvedimento sono Giuliano Genitti, Lorenzo De Feo, ingegnere, Carlo Clementi, dirigente attualmente in servizio all'Aquila; Giovanni Guglielmi, ex provveditore. Con loro quattro esponenti interni ed esterni del comitato tecnico amministrativo tutti provenienti da Roma. Indagato risulta anche il legale rappresentante della ditta Inteco Spa, che aveva ricevuto inizialmente l'affidamento diretto dei lavori, poi ritirato.

Per via dell'urgenza i lavori erano stati assegnati dal provveditorato interregionale alle opere pubbliche Lazio-Abruzzo-Sardegna con affidamento diretto alla ditta Inteco spa, ma dopo i rilievi della Corte dei conti il nuovo provveditore alle opere pubbliche, Donato Carlea, ha ritirato l'affidamento per indire una nuova gara d'appalto vinta dall'associazione temporanea d'imprese (Ati) Nidaco-Califel.