In 14 anni hanno incassato 2,2 miliardi e speso 579 milioni. Il resto è utile (loro).
Qualche giorno fa Pier Luigi Bersani, comprensibilmente turbato dalle vicende che stanno scuotendo il Pd, ha chiesto «una legge sui partiti che garantisca bilanci certificati, meccanismi di partecipazione e codici etici, pena l'inammissibilità a provvidenze pubbliche o alla presentazione di liste elettorali». Si tratta di una presa di posizione che, in realtà, conferma la voracità della Casta postulando, ancora una volta, la volontà dei partiti di accedere a quella mangiatoia delle «provvidenze pubbliche» che i cittadini, nell'ormai lontano 1993, avevano deciso di voler chiudere con una quasi plebiscitaria votazione. A quell'epoca, infatti, sull'onda emotiva dello scandalo di Tangentopoli, gli italiani, in un referendum abrogativo proposto dai radicali, si espressero in massa - il 90,3% dei voti - a favore della eliminazione del finanziamento pubblico dei partiti. Naturalmente la volontà degli italiani non fu tenuta nel minimo conto. Il risultato del referendum abrogativo venne tradito immediatamente con uno squallido trucco: il rimborso delle spese per le consultazioni elettorali e referendarie disposto per legge, attraverso una normativa più volte ritoccata nel corso degli anni in modo da rendere le cifre versate sempre più consistenti fino al punto da superare di gran lunga le somme effettivamente spese. In tal modo è stato reintrodotto di fatto il finanziamento pubblico dei partiti. Alla faccia degli italiani e delle loro - inequivoche - indicazioni. Ho parlato di trucco, ma - diciamolo a chiare lettere - siamo in presenza di una truffa. Una truffa colossale imbastita dalla Casta ai danni dei cittadini costretti a tirare la cinghia per dover pagare le tasse imposte da uno Stato sempre più pervasivo e vorace. Le cifre di questa truffa non sono bruscolini. E lo dimostra un solo, ma eloquente, dato. Fra il 1994 e il 2008, stando ai numeri certificati dalla Corte dei Conti, i partiti hanno speso 579 milioni di euro e hanno incassato 2,25 miliardi di euro. La differenza, ben 1,67 miliardi di euro, è per i partiti tutto utile, utile netto. È finanziamento pubblico allo stato puro. Ammesso naturalmente - e non concesso - che il rimborso delle spese elettorali non sia da considerarsi finanziamento. Ma non basta. L'arroganza della Casta è arrivata, qualche mese fa, al punto da presentare un disegno di legge, rigorosamente bipartisan, per raddoppiare di fatto il finanziamento ed estenderlo ai partiti che abbiano superato la soglia dell'1% dei suffragi in qualsiasi tipo di votazione. Infine, come se ciò non bastasse, nella recente e vessatoria manovra socialista del ministro Tremonti, è stabilito che l'erogazione dei rimborsi viene effettuata persino «in caso di scioglimento anticipato» delle Camere e che «il versamento della quota annua di rimborso» viene «effettuato anche nel caso in cui sia trascorsa una frazione di anno». Dulcis in fundo, poi, la stessa norma precisa che «le somme erogate o da erogare ai sensi del presente articolo ed ogni altro credito, presente o futuro, vantato dai partiti o movimenti politici possono costituire oggetto di cartolarizzazione e sono comunque cedibili a terzi». Altro che riduzione del costo della politica! Roba da non credere! La verità è che il finanziamento pubblico dei partiti - sotto qualunque forma - andrebbe abolito. In primo luogo perché contrasta con una concezione autenticamente liberale della democrazia. Un caposaldo teorico della democrazia concorrenziale è, infatti, l'uguaglianza nei punti di partenza che viene meno, ovviamente, se al nastro di partenza della competizione elettorale si presentano soggetti che, proprio grazie al finanziamento pubblico, si trovano in una posizione privilegiata rispetto a chi di tale finanziamento non può (ancora) godere. In altre parole, il finanziamento pubblico riduce la concorrenza politica, favorisce la cristallizzazione del sistema politico e la sua trasformazione in un sistema oligopolistico di potere. In una Casta, appunto. In secondo luogo - e le attuali vicende giudiziarie e paragiudiziarie lo dimostrano ad abundantiam - il finanziamento pubblico non elimina affatto né il finanziamento occulto ottenuto tramite tangenti. Si somma, semmai, ad esso in una spirale corruttiva e di malaffare. Si dirà. La politica costa. Ed è vero, ma è anche vero che sarebbe più giusto, pure da un da un punto vista etico, che il peso del mantenimento degli apparati burocratici e della vita dei partiti fosse sopportato dai militanti e, più in generale, da coloro, privati individui o gruppi economici, che ne hanno interesse. Anche per evitare che un cittadino sia costretto a finanziare gruppi, partiti, uomini che portano avanti idee contrarie a quelle nelle quali egli crede. Naturalmente tutto ciò dovrebbe avvenire alla luce del sole, con precisi controlli e bilanci certificati. In nome della libera concorrenza e in ossequio ai principi di una democrazia liberale. Mettendo da parte l'idea che lo Stato sia una greppia alla quale attingere per i propri interessi. Come ha fatto finora, e continua a fare, la Casta.
http://www.iltempo.it/politica/2011/07/31/1275960-altro_austerity.shtml?refresh_ce